MediOrienti / di Stefano M. Torelli @mideastorels Un candidato per tutti “Sciita”, “sunnita”, “cristiano”: il politico si fa votare con un manifesto diverso per ogni zona ePA/MiChAel ReYNoldS arabia saUdita diritti umani violati? riyadh accusa la norvegia Il Ministro degli Esteri norvegese Borge Brende (foto) non credeva alle sue orecchie nel corso dell’audizione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite in cui i delegati dell’Arabia Saudita accusavano il governo di Oslo di non rispettare alcuni diritti fondamentali. Si trattava di una seduta della Universal Periodical Review, un meccanismo che prevede l’esamina delle performance dei Paesi membri dell’Onu in temi di diritti umani. Mentre si discuteva di Norvegia, l’Arabia Saudita ha attaccato il Paese scandinavo per non tutelare abbastanza le minoranze musulmane che vivono all’interno del suo territorio e per non combattere le continue critiche – ritenute da Riyadh illegali – al Profeta Maometto e alla religione islamica. Mentre appare se non altro curioso come proprio l’Arabia Saudita (uno dei Paesi notoriamente meno liberali al mondo) critichi un Paese come la Norvegia per il mancato rispetto dei diritti umani, a Oslo c’è chi ricorda dei 9 milioni di donne e bambine e dei 9 milioni di lavoratori immigrati – su cui pure si basa in parte l’economia saudita – i cui diritti vengono regolarmente disattesi, per non parlare degli arresti contro gli stessi attivisti per i diritti umani. © riproduzione riservata 72 sette | 19 — 09.05.2014 Lo scorso 30 aprile l’Iraq è stato chiamato al voto per il rinnovo del parlamento e la formazione di un nuovo governo per i prossimi quattro anni. A undici anni di distanza dall’intervento a guida statunitense che ha portato alla caduta di Saddam Hussein, il Paese fa ancora molta fatica a uscire fuori da una crisi che coinvolge tutte le sfere – economica, politica, sociale e di sicurezza – della vita pubblica, ma il momento delle elezioni rappresenta sempre un passo importante per le realtà in transizione. Sicuramente, tra le divisioni etniche e religiose che attraversano l’Iraq (abitato da arabi sunniti, arabi sciiti, curdi e in piccolissima parte anche cristiani), non è passata inosservata la trovata elettorale di un candidato di nome Shaykh Ayad al-Ashuri. Secondo alcune fonti, si tratta di un cristiano convertito all’Islam, ma la cosa più curiosa è che ha affisso tre diversi manifesti elettorali in cui, a seconda della zona o del quartiere, si indicava che il candidato avesse un’affiliazione diversa. E così, la stessa persona si professava un sunnita sui cartelli affissi nelle aree a maggioranza sunnita, uno sciita nelle aree sciite, mentre in un quartiere a maggioranza cristiana è apparsa la sua immagine con sotto la scritta: “La religione è di Dio, la patria è di tutti”, lasciando intendere un attaccamento alla comune appartenenza nazionale, piuttosto che a questa o quella fede religiosa. Una tattica che ha funzionato? I risultati ancora non sono ufficiali, ma sicuramente è difficile immaginare che al-Ashuri possa essere stato eletto risultando così ambiguo e considerando il fatto che in molti si sono accorti del trucco. La campagna elettorale per le elezioni irachene dello scorso aprile, del resto, è stata caratterizzata da una recrudescenza della violenza settaria, ai livelli che non si erano mai più visti dallo scoppio della guerra più di dieci anni fa. Da un lato, a pesare rispetto agli anni passati è stato il fatto che, per la prima volta, le forze di sicurezza irachene si sono trovate a dover gestire una situazione potenzialmente esplosiva senza l’ausilio delle truppe statunitensi (Obama ha ritirato i soldati statunitensi dall’Iraq nel dicembre del 2011). Dall’altro, anche il conflitto nella vicina Siria ha contribuito a creare ulteriore instabilità. Nel mezzo, la violenza continua e le elezioni rappresentano uno dei momenti più delicati. Chissà se il candidato per tutti i gusti prenderà posizione da una o dall’altra parte. tUnisia ti chiamerai… Mehdi Secondo una curiosa statistica che ogni anno viene pubblicata sui nomi di persona più diffusi nei vari Paesi del mondo, il Medio Oriente e il Nord Africa si confermano indissolubilmente legati alla religione islamica. Ciò è dimostrato dal fatto che, dal Marocco all’Arabia Saudita, nei Paesi arabi musulmani il nome più diffuso è sempre e solo uno: Maometto. Certo, declinato secondo i dialetti del luogo, per cui in Nord Africa è Mohamed, in Siria, Iraq e nel Golfo Mohammad e in Mali Mamadou, ma pur sempre al profeta e fondatore dell’Islam ci si riferisce. Un’unica eccezione: la Tunisia. In questo caso il nome di “battesimo” più diffuso è Mehdi, che in arabo vuol dire il “ben guidato” e che, per alcuni versi, può anche avere una connotazione religiosa, ma non così diretta come Mohamed. Il Mehdi tunisino più famoso? Sicuramente l’attuale primo ministro: Mehdi Jomaa (foto). AP Photo/ KhAlid MohAMMed iraq