“L’IMPRESA”
PROF. MATTIA LETTIERI
Università Telematica Pegaso
L’impresa
Indice
1
L’IMPRESA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
OBIETTIVI, DECISIONI E VINCOLI DELL’IMPRESA ------------------------------------------------------------ 4
3
I FATTORI PRODUTTIVI -------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
4
LA FUNZIONE DI PRODUZIONE ---------------------------------------------------------------------------------------- 8
5
LA LEGGE DEI RENDIMENTI MARGINALI DECRESCENTI --------------------------------------------------- 9
6
RENDIMENTI DI SCALA -------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
7
LA SCELTA DELLA COMBINAZIONE DI FATTORI OTTIMALI --------------------------------------------- 17
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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L’impresa
1 L’impresa
La visione del sistema economico e le ipotesi di funzionamento dell’agente imprese restano
le stesse di quelle analizzate per il consumatore, però in questo caso si analizzerà il mercato dal lato
dell’offerta.
Nel caso del consumatore l’obiettivo da raggiungere era la massimizzazione del benessere
individuale. Per le imprese le decisioni vengono prese dall’imprenditore al fine di massimizzare il
profitto.
Le decisioni dell’impresa, cosa produrre, quanto produrre e come produrre, sono valutate in
relazione ai benefici ed ai costi che esse comportano, sono quindi il risultato di una scelta razionale.
Valuteremo i comportamenti e le scelte economiche di una singola unità decisionale, l’impresa
rappresentativa, questi risultati verranno poi estesi all0insieme di tutte le imprese presenti
all’interno di un dato mercato.
Verrà ipotizzato che sul mercato operino tante agenti/imprese, ciascuna delle quali è troppo piccola
per influenzare il mercato con le proprie decisioni, l’impresa può solo decidere la quantità di beni
da produrre ed offrire sul mercato, dato il prezzo del bene.
Le imprese, quindi, decidono liberamente la quantità offerta, ma non il prezzo a cui venderla.
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L’impresa
2 Obiettivi, decisioni e vincoli dell’impresa
Gli individui soddisfano i loro bisogni utilizzando beni e servizi a loro disposizione.
Per parlare di bene economico non è sufficiente che sia in grado di soddisfare un bisogno. È
necessario, infatti, che il bene sia scarso e che per poterne disporre si debba pagare un prezzo.
I beni e i servizi che utilizziamo, nella maggior parte dei casi, sono il risultato finale di un processo
di trasformazione che qualche agente economico ha messo in atto.
L’impresa, infatti, trasforma attraverso un processo produttivo uno o più beni e servizi, definiti
fattori produttivi o input, in un nuovo bene o servizio, output, che venderà sul mercato con
l’obiettivo di massimizzare i profitti.
Quando si parla di impresa o di imprenditori, si fa riferimento a quei soggetti economici che
organizzano l’attività produttiva assumendosi i rischi imprenditoriali che ne derivano.
Organizzare la produzione vuol dire scegliere quale attività intraprendere e quali beni produrre,
inoltre, quali dimensioni dovrà avere l’impresa, quanto produrre e come produrre in relazione alle
condizioni di mercato, ovvero, domanda dei consumatori, tecniche produttive a disposizione, ecc .,
presenti e future, quali costi sostenere per l’acquisto di macchinari, impianti, materie prime e per
l’assunzione di lavoratori, cioè di tutti i fattori produttivi necessari per la produzione.
Il rischio imprenditoriale è legato al fatto che i risultati delle scelte sono, molto spesso,
incerti poiché dipendono non solo dalla capacità dell’imprenditore ma anche da altri eventi che sono
difficili o impossibili da prevedere, ad esempio le condizioni meteorologiche per l’agricoltore.
Dal punto di vista economico è un’impresa sia la grande azienda sia la piccola impresa
familiare che l’attività di un artigiano.
Gli economisti il processo di trasformazione o di produzione lo intendono in un senso più
ampio, rispetto al linguaggio comune. Produrre significa trasformare qualcosa in qualcos’altro,
questa trasformazione, però, non va intesa solo in senso fisico, come ad esempio l’azienda che
trasforma legno, chiodi, ecc … , in mobili.
È un’attività produttiva anche, ad esempio, quella dello spedizioniere che invia un pacco dall’Italia
in Australia, in questo caso è chiamata trasformazione nello spazio, lo è anche la conservazione del
raccolto ad esempio, di cereali in un silos, trasformazione nel tempo, ma anche la vendita al
dettaglio da parte di un fruttivendolo o la produzione di servizi come la visita di un medico.
I fattori produttivi utilizzati per la produzione possono essere: risorse primarie, ovvero fattori che
non sono il risultato di precedenti processi di trasformazione, materie prime e il lavoro; beni
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capitali, cioè beni che sono stati a loro volta prodotti per essere utilizzati come mezzi di produzione,
impianti, macchinari, stabilimenti.
I fattori produttivi possono essere raggruppati in:

Terra;

Lavoro;

Capitale.
La terra comprende non solo i terreni in senso stretto, ovvero quelli utilizzati in agricoltura , per
costruire case , strade, ma in generale tutte le risorse naturali disponibili, dall’acqua alle risorse
minerarie ed energetiche.
Il lavoro raggruppa l’insieme delle risorse umane e comprende il lavoro manuale, quello
intellettuale, il talento dell’imprenditoriale, cioè la capacità dell’imprenditore di organizzare altro
lavoro, capitale e risorse naturali per produrre.
Nel capitale rientrano tutti i beni intermedi, impianti e le attrezzature impiegati nel processo
produttivo.
Alcuni di questi fattori durante il processo produttivo si esauriscono completamente, come ad
esempio l’energia utilizzata da una azienda per far funzionare i macchinari.
Altri, come nel caso del capitale e del lavoro, ciò che viene impiegato non è il fattore di per sé,
ma il suo servizio, ovvero l’uso che ne viene fatto in una certa unità di tempo, e che può essere
ripetuto nel tempo. In questo caso, si può prendere come esempio il trattore utilizzato per arare il
campo, oppure la giornata lavorativa di un operaio di una azienda.
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3 I fattori produttivi
Il processo produttivo può essere visto come una scatola nera, nella quale entrano input ed
escono output. All’interno di questa scatola ci sono conoscenze, tecnologie che con il passare del
tempo si sono create e che permettono di migliorare e semplificare i processi di trasformazione.
Prendiamo come esempio la produzione di automobili, ovvero l’output, gli input sono invece
costituiti dai numerosi materiali che occorrono per produrre l’auto, quindi, acciaio, ferro, vetro,
tessuto, plastica, ecc .. , dal lavoro degli ingegneri che si occupano della progettazione dell’auto,
degli operai addetti alle linee produttive, delle segretarie che si occupano degli aspetti contabili, dai
macchinari e dalle attrezzature necessarie per la produzione, dallo stabilimento in cui si effettua il
ciclo produttivo ecc ..
Sia le imprese che producono beni tangibili e sia quelle che erogano servizi alla base del
processo di trasformazione vi sono le conoscenze
e la tecnologia. Queste si accumulano e
aumentano progressivamente nel corso del tempo, permettendo, così, alle imprese di ottenere, da
una stessa quantità di fattori produttivi, una quantità di output maggiore e migliore rispetto al
passato.
È proprio grazie al progresso delle conoscenze e all’evoluzione delle tecnologie che si
sviluppano i sistemi economici.
L’economia, però, non è interessata a studiare dal punto di vista tecnico cosa la scatola nera
contiene, né potrebbe prendere in esame ogni singola tecnica utilizzata dalle imprese nella realtà,
per cui si limita ad esaminare la relazione che esiste fra quantità di fattori produttivi che entrano e
quantità di beni che escono dal processo produttivo.
La teoria economica ipotizza che l’obiettivo dell’impresa sia la massimizzazione del
profitto. Per ottenere questo risultato l’imprenditore deve cercare di combinare nel miglior modo
possibile i fattori di produzione, data la tecnologia disponibile, al fine di ottenere la quantità più
elevata possibile di output riducendo al minimo i costi di produzione.
L’imprenditore per poter disporre dei fattori produttivi deve sostenere dei costi. Ovvero deve pagare
le materie prime ed i beni intermedi che utilizza per la produzione, i salari ai lavoratori, l’affitto
dello stabilimento , e cos’ via.
La quantità complessiva di output prodotta verrà poi venduta ai consumatori ad un prezzo
che, per ora assumiamo che sia fissato dalle regole del mercato. L’imprenditore realizza un ricavo
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con il quale potrà acquistare altre materie prime, continuare a remunerare i lavoratori, dando così
inizio ad un nuovo ciclo produttivo.
La differenza tra l’ammontare dei ricavi, che derivano dalla vendita dell’output ed i costi
totali sostenuti, costituisce il profitto economico, ovvero quello che rimane all’imprenditore dopo
aver pagato tutti i fattori produttivi utilizzati nella produzione.
Le decisione dell’imprenditore su cosa, come e quanto produrre, può, a seconda dei casi, richiedere
tempi più o meno lunghi.
Ad esempio, una azienda già esistente nel caso in cui vuole avviare una nuova produzione,
quindi vuole lanciare una nuova automobile, ha bisogno del tempo necessario per progettarla,
realizzarla, collaudarla e commercializzarla.
Gli input si possono distinguere tra:

Fattori produttivi fissi;

Fattori produttivi variabili.
I fattori produttivi fissi sono costituiti dagli stabilimenti, dagli impianti e dai macchinari che
l’imprenditore ha nella propria azienda. Tali fattori sono il frutto di decisioni prese in passato e non
possono essere variati da un giorno all’altro. Prendere decisioni di lungo periodo, per un’impresa
vuol dire decidere gli investimenti, gli impianti e il tipo di produzione ritenuti più opportuni in
relazione alla situazione attuale e futura del mercato.
I fattori produttivi variabili sono, invece, quei fattori produttivi che possono essere variati
liberamente, sono: le materie prime, l’energia e il lavoro. Sono, quindi, quegli input che
l’imprenditore può decidere di cambiare giorno per giorno in base alle proprie esigenze.
Si possono distinguere due diversi orizzonti temporali:

Il breve periodo;

Il lungo periodo.
Nel breve periodo le imprese possono variare la produzione modificando solo i fattori variabili
ma non quelli fissi, devono, quindi, prendere decisioni di produzione tenendo conto della capacità
dell’impianto che hanno.
Nel lungo periodo le imprese possono modificare tutti i loro fattori produttivi, l’impresa può
decidere, riguardo agli impianti, se costruirne di nuovi, o se ingrandire, ridurre o chiudere quelli già
esistenti, per cui non esistono più fattori fissi.
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4 La funzione di produzione
La funzione di produzione mette in relazione la quantità di input impiegati nell’attività
produttiva e la massima quantità di un dato bene o servizio che da essi è possibile ottenere, in un
dato periodo di tempo.
Una funzione di produzione può essere rappresentata da una funzione matematica indicando
con Q la quantità di prodotto totale che un’impresa può ottenere con l’impiego di una certa quantità
di lavoro, L, e di capitale, K:
Q = f(L,K)
A seconda del processo produttivo oltre a K e L, si prenderanno in considerazione, se siamo
nel lungo periodo i fattori variabili, oppure i fattori fissi, nel caso si è nel breve periodo.
Si assume che il lavoro e il capitale siano i due soli fattori produttivi impiegati nella produzione.
Nel breve periodo il lavoro costituisce il fattore variabile, mentre il capitale è il fattore fisso. Nel
lungo periodo, invece, saranno entrambi variabili.
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5 La legge dei rendimenti marginali decrescenti
Analizziamo la relazione che esiste, nel breve periodo, tra la produzione, ad esempio, di
grano e l’impiego del fattore lavoro (L), fermi restando i fattori fissi che per semplicità
raggruppiamo sotto la definizione generale di capitale (K). Il capitale potrebbe essere: la terra, le
attrezzature agricole, dei magazzini, quindi, tutti quei fattori che non possono essere
immediatamente modificati.
La funzione di produzione in questo caso:
Q grano = f (L,K)
Poiché K è fisso e costante lo si può trascurare, studiando solo la relazione che esiste tra Q e
L.
La funzione di produzione o funzione del prodotto totale (PT) parte dall’origine degli assi, figura n.
26. Questo vuol dire che la produzione di grano è nulla se non viene utilizzata alcuna unità di
lavoro.
Al crescere della quantità di lavoro utilizzata, cresce anche la produzione totale di grano, ma
non allo steso ritmo. Infatti, inizialmente, aumentando l’uso del fattore variabile, la produzione
cresce più che proporzionalmente, nel nostro esempio, raddoppiando l’impiego di lavoro, passando
da una unità a due unità, la produzione triplica. Aumentando ancora l’impiego di lavoro, anche la
produzione di grano continua a crescere, ma ad un tasso via via decrescente fino a quando
raggiunge un massimo, in corrispondenza di 6/7 unità di lavoro, oltre al quale inizia a diminuire.
Oltre al prodotto totale (PT), ovvero alla massima produzione ottenuta con un dato impiego di
input, vengono calcolate altre due misure di produttività:

Prodotto medio = PMe = quantità totale di prodotto = PT
quantità di lavoro utilizzato

Prodotto marginale = PMg =
L
variazione del prodotto totale
variazione unitaria del fattore lavoro
= ΔPT
ΔL
Il prodotto medio (PMe) di un fattore variabile è il rapporto fra il prodotto totale e la
quantità impiegata del fattore e ci permette di capire qual è, in media, la produttività di ciascuna
delle unità di lavoro impiegate nella produzione.
Il prodotto marginale (PMg) esprime come varia il prodotto totale in seguito alla variazione di ogni
singola unità impiegata di fattore variabile, Δ indica le variazioni di quantità delle due grandezze.
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PT
Z
70
60
50
C
+
D
+ PT
40
B
+
30
Z
A
+
20
10
(a)
+
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
L
PMe
PMg
20
15
10
PMe
Z
5
(b)
+
0
1
2
3
4
5
-5
6
7
8 9
PMg
Z
L
Figura n. 26
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Passando dal prodotto totale al prodotto medio e marginale l’informazione è sempre più
specifica ed accurata. Nel nostro esempio, 5 unità di lavoro permettono di ottenere
complessivamente 60 quintali di grano, in media 12 quintali di grano per ciascun lavoratore.
Nel caso in cui l’impiego di lavoro viene aumentato di una unità, da 5 a 6, il prodotto totale passa
da 60 a 63 quintali, questo vuol dire che la produttività media scende a 10,5 quintali di grano per
lavoratore e, che, la produttività marginale del 6° lavoratore è pari a 3 quintali di grano.
La produttività marginale è utile all’imprenditore, perché gli fornisce le informazioni che gli
consentono di decidere fino a quale punto conviene incrementare l’impiego di un solo fattore,
quando gli altri fattori sono fissi.
Nella figura n. 26 b), sono rappresentate le curve di prodotto medio e di prodotto marginale
corrispondenti alla funzione di prodotto totale.
Nel caso del nostro esempio, possiamo dedurre che:

Tutte e tre le funzioni hanno un andamento prima crescente, ma quando raggiungono un
punto massimi diminuiscono;

La produttività media cresce e decresce più lentamente rispetto alla produttività marginale;

Le funzioni di prodotto medio e marginale si incontrano quando il prodotto medio è al suo
livello massimo;

La produttività media assume sempre valori positivi, mentre la produttività marginale può
assumere anche valori negativi;

Fino a quando la funzione di prodotto totale cresce, la produttività marginale è positiva.
Quando il prodotto totale è al suo valore massimo (punto C) la produttività marginale è
uguale a zero. Quando la funzione di prodotto totale inizia a diminuire (punto D) la funzione
di prodotto marginale diventa negativa.
Nella realtà, tale osservazioni sulla produttività delle imprese sono spesso confermate.
Gli economisti, per la regolarità e la frequenza con cui si manifesta l’andamento delle funzioni di
prodotto totale, hanno formulato la legge economica, legge dei rendimenti marginali decrescenti.
Tale legge afferma che: aggiungendo successive quantità di un fattore produttivo mentre gli
altri si mantengono costanti, il prodotto totale aumenta ma in misura via via minore.
Questo vuol dire che la produttività marginale del fattore variabile, nel nostro esempio il lavoro, ad
un certo punto diminuisce, ovvero è decrescente.
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La ragione di questo andamento della produttività è legata alla presenza, nel breve periodo,
di fattori fissi che vincolano la possibilità di espansione della produzione.
Per quanto, quindi, possa aumentare il tasso di impiego del fattore variabile, la produzione di grano
nel nostro esempio, su uno stesso appezzamento di terra, non può crescere infinitamente, al
contrario, oltre un certo livello, l’eccessivo impiego di lavoro potrebbe addirittura arrecare un danno
alla produzione.
Un discorso analogo si sarebbe verificato se avessimo considerato come fattore variabile i
fertilizzanti, invece del lavoro.
L’imprenditore dovrà, quindi, porsi in un’ottica di lungo periodo e programmare i suoi
investimenti futuri.
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6 Rendimenti di scala
Consideriamo ora il precedente esempio della produzione del grano, ottenuta con l’impiego
di un fattore variabile e uno fisso, al caso in cui sia il lavoro che il capitale siano variabili.
Quindi consideriamo il caso in cui entrambi i fattori produttivi sono variabili.
In questo caso, per poter rappresentare graficamente la relazione fra tre variabili, si dovrebbe
usare un grafico a tre dimensioni.
Per ovviare questa difficoltà, gli economisti ricorrono a funzioni o curve che rappresentano
le possibili combinazioni dei due fattori produttivi, K e L, per ogni dato livello produttivo.
Queste curve si chiamano isoquanti, stessa quantità, rappresentate nella figura n. 27.
Capitale
K
12
9
A
A1
E
D
B
7
Q=150
B1
4
Q=100
C
2
0
3 4 5
7,5
10
Q=50
Lavoro
L
Figura n. 27
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Lungo uno stesso isoquanto troviamo tante combinazioni possibili di fattori che permettono
di produrre una stessa quantità di output.
Nella figura n. 27, ad esempio, una produzione pari a 50 può essere ottenuta impiegando
alternativamente 12 unità di capitale e 3 di lavoro (punto A), anche la combinazione produttiva B
(K = 7; L = 5) oppure C (K = 2; L = 10).
Si può quindi utilizzare la tecnica che prevede un maggior uso di capitale rispetto al lavoro, capital
intensive, ovvero ad alta intensità di capitale; oppure labour intensive o ad alta intensità di lavoro.
Entrambe permettono, comunque, di ottenere la stessa quantità di bene.
La scelta fra le due tecniche dipende dal costo dei fattori, cioè dal costo del capitale e del lavoro.
La analogia tra curve di indifferenza e isoquanti è evidente:

Le curve di indifferenza esprimono le preferenze del consumatore, gli isoquanti
rappresentano i processi produttivi dell’impresa. La differenza è che le curve di indifferenza
esprimono una relazione psicologica, mentre gli isoquanti rappresentano una relazione
tecnica;

Se ci allontaniamo dagli assi, ad ogni curva di indifferenza sono associati livelli crescenti di
benessere e ad ogni isoquanto corrispondono livelli crescenti di output;

Nella teoria del consumatore ad ogni curva di indifferenza corrisponde un indice che
esprime solo un ordine delle preferenze, senza assegnare una grandezza specifica all’utilità.
Il numero che associamo a ciascun isoquanto esprime una quantità precisa di prodotto che
può essere ottenuta con tecniche di produzione alternative;

Gli isoquanti, così come le curve di indifferenza, non si intersecano mai, perché altrimenti
l’ipotesi di efficienza tecnica verrebbe contraddetta;

Le curve di indifferenza e gli isoquanti sono rappresentati da una curva decrescente poiché
la diminuzione nell’impiego di un fattore deve essere compensata con l’aumento dell’altro,
se si vuole mantenere lo stesso livello di output;

Come per le curve di indifferenza, così per le curve degli isoquanti, possono assumere forma
convessa ed è dovuta dall’ipotesi che le due grandezze considerate possono essere
continuamente sostituite l’una all’altra. Però man mano che si riduce una grandezza
occorrono quantità sempre maggiori dell’altra per restare sulla stessa curva.
Il grado di sostituibilità di un fattore produttivo rispetto ad un altro può essere misurato
attraverso il saggio marginale di sostituzione tecnica (SMST):
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SMST K,L = ΔK/ΔL
Il saggio marginale di sostituzione tecnica è pari al rapporto tra le variazioni di impiego dei
due fattori che permettono di mantenere invariato il livello produttivo.
Lungo uno stesso isoquanto il SMST è continuamente decrescente, e, poiché la curva è inclinata
negativamente avrà sempre valore negativo, noi però trascureremo il segno considerando solo i
valori assoluti del SMST.
Questo è quello che succede lungo uno stesso isoquanto confrontando tra loro tutte le combinazioni
possibili di fattori produttivi che permettono di realizzare una stessa quantità di prodotto.
Aumentando l’impiego di un fattore produttivo si riduce l’altra ma la quantità di output non cambia.
Ora consideriamo il caso in cui vogliamo sapere cosa succederebbe se aumentassimo
entrambi i fattori.
Per risolver questo problema occorre introdurre il concetto di rendimenti di scala.
I rendimenti di scala indicano ciò che accade sul piano produttivo quando tutti i fattori variano nella
stessa proporzione.
Si possono verificare tre casi:

Rendimenti di scala costanti;

Rendimenti di scala crescenti;

Rendimenti di scala decrescenti.
Nei rendimenti di scala costanti l’output varia nella stessa proporzione degli input. Quindi se
l’impresa raddoppia l’impiego di fattori, anche la produzione raddoppia. Se tutti i fattori vengono
ridotti di un terzo, anche l’output si riduce di un terzo. La variazione delle dimensioni dell’impresa
non costituisce né un vantaggio né uno svantaggio, in questa situazione.
Nei rendimenti di scala crescenti l’output varia in misura più che proporzionale. La crescita della
dimensione di impresa risulta, in questo caso, vantaggiosa, perché, nel caso in cui si raddoppiano
tutti i fattori, la produzione aumenta più del doppio, si parla in questo caso di economie di scala.
Ciò può dipendere dal fatto che alcune tecniche produttive possono essere utilizzate solo se la
produzione è elevata. In un’impresa di maggiori dimensioni il lavoro può essere diviso su di un
numero maggiore di lavoratori, ciascuno dei quali può specializzarsi in una particolare mansione.
I rendimenti di scala decrescenti si verificano quando l’output varia in misura meno che
proporzionale, in questo caso si hanno diseconomie di scala. Se, ad esempio, l’imprenditore
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aumenta l’impiego dei fattori produttivi del 50% ma la sua produzione aumenta solo del 30%. Le
cause dei rendimenti decrescenti possono essere legate al fatto che, quando un’impresa aumenta le
sue dimensioni aumentano anche le difficoltà di gestione e di organizzazione.
Accade la stessa situazione nel caso in cui l’output viene raddoppiato: siamo in presenza di
rendimenti costanti se per ottenere un output doppio occorre il doppio anche dei fattori; rendimenti
crescenti se l’incremento dei fattori è inferiore rispetto a quello dell’output; rendimenti decrescenti
se per raddoppiare l’output è necessario più che raddoppiare i fattori.
I rendimenti di scala dicono cosa succede alla produzione dell’impresa quando tutti i fattori
variano nella stessa proporzione, e si riferisce ad un orizzonte di lungo periodo, dove è possibile
variare tutti i fattori.
La legge dei rendimenti marginali decrescenti è riferita ad una situazione in cui varia un solo
fattore mentre gli altri rimangono costanti, ed è valida nel beve periodo quando almeno uno dei
fattori è fisso.
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7 La scelta della combinazione di fattori ottimali
Un’impresa per produrre una certa quantità di output ha a disposizione tutte le combinazioni
di fattori identificate da un isoquanto. Ad isoquanti più lontani dall’origine degli assi corrispondono
livelli maggiori di produzione.
L’obiettivo per un’impresa è di rendere massimo il profitto, tra tutte le alternative possibili, essa
sceglierà quella che comporta il costo minore.
I profitti economici di un’impresa sono la differenza fra ciò che l’impresa ricava dalla
vendita dei beni che ha prodotto ed i costi che ha sostenuto per acquistare i fattori produttivi
necessari per la produzione.
Per rendere massima questa differenza, l’impresa, deve produrre la quantità più elevata
possibile di output al costo più basso possibile. La combinazione di fattori produttivi che permette
di ottenere questo risultato è la combinazione ottimale o efficiente.
Occorre prendere in esame i vincoli di natura finanziaria, ovvero, occorre considerare qual è il costo
che deriva da ciascuna delle possibili combinazioni di fattori. Questo per poter individuare la
tecnica di produzione efficiente.
Considerando due soli fattori produttivi, L e K, il costo totale, CT, che l’impresa deve
sostenere dipende dalla quantità di lavoro e di capitale impiegata nel processo produttivo oltre che
dal prezzo di questi fattori, indicati con PL e PK. Inoltre, supponiamo, che l’impresa sia troppo
piccola per influenzare con la sua domanda il prezzo dei fattori stessi.
Il costo totale:
CT = PL L + PKK
Con una rappresentazione grafica, figura n. 28, ricaviamo una linea di isocosto lungo la
quale sono indicate tutte le possibili combinazioni di fattori produttivi che per l’impresa
comportano lo stesso costo.
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L’impresa
Capitale
K
CT
Pk
10
CT
10
=
Pk
15
4
CT
PL
0
9
Lavoro
L
Figura n. 28
Con un costo totale pari a 150, figura n. 28, l’impresa acquista 10 unità di capitale oppure 15
unità di lavoro, oppure una qualunque combinazione di L e K che si trova sulla linea di isocosto.
È possibile tracciare tante curve di isocosto a ciascuna delle quali sono associati diversi livelli di
costo per l’impresa.
A parità di prezzo di fattori produttivi gli isocosti si collocheranno più lontano o più vicino
all’origine degli assi a seconda che il costo totale per l’acquisto dei fattori sia rispettivamente
maggiore o minore. Saranno sempre parallele fra loro se i prezzi non cambiano.
Considerando congiuntamente isoquanti e isocosti si è in grado di individuare la combinazione di
input più efficiente per un dato costo.
La scelta ottimale è quelle individuata dal punto di tangenza fra le due funzioni.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso
L’impresa
K
8
F
E
6
0
Q=80
CZ
3
Q=50
CZ
Q=30
CZ
L
6
Figura n. 29
La combinazione ottima di input che permette all’impresa di ottenere il massimo livello di
output al costo minimo è indicata al punto E, figura n. 29.
A parità di costo totale l’impresa potrà scegliere la tecnica produttiva indicata con F, che però non è
una scelta efficiente poiché consente di produrre una quantità di output minore rispetto alla tecnica
indicata nel punto E.
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L’impresa
Bisogna dire, però che un’impresa per produrre una quantità di beni più elevata, dovrebbe
essere disposta a sostenere un costo più elevato. Quindi la combinazione di fattori individuata nel
punto di tangenza fra isocosto e isoquanto è la più efficiente ma anche la meno costosa tra le tante
possibili per la produzione di una data quantità di output.
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