Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 VOLUME DEGLI ABSTRACT
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1 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Relazioni
Giovedì,17 maggio 2 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ABSTRACT RELATIVO ALLA RELAZIONE: CORRELAZIONI CLINICHE E STRUMENTALI
DELLE AZOOSPERMIE
Carlo Foresta (Padova)
Introduzione: le più moderne tecniche di procreazione medicalmente assistita e di selezione dei gameti
hanno reso possibile la fertilità anche in assenza di spermatozoi nel liquido seminale. Infatti, in varie
situazioni di azoospermia come ad esempio le forme ostruttive, le non ostruttive e gli arresti maturativi a vari
livelli della spermatogenesi, è possibile recuperare spermatozoi maturi dal testicolo o dall’epididimo. Poichè
nè il volume testicolare nè il valore dell’FSH sembrano essere dirimenti per la presenza o l’assenza di
spermatozoi intratesticolari, sembra di fondamentale importanza conoscere lo stato tubulare al fine di predire
il recupero e decidere la tecnica più adeguata per il prelievo. Allo scopo di chiarire questi aspetti abbiamo
valutato un ampio gruppo di soggetti azoospermici sulla base della citologia testicolare per agoaspirazione
(FNAC), dei volumi testicolari e dei valori ormonali in relazione al recupero degli spermatozoi mediante
biopsia testicolare (TESE).
Materiali e Metodi: 256 soggetti azoospermici giunti consecutivamente al nostro ambulatorio tra il 2002 e il
2008 sono stati sottoposti a ecografia e doppler testicolare, dosaggio di FSH, LH, testosterone totale
estradiolo e inibina B. In 419 testicoli sono state eseguite inoltre la valutazione dello stato tubulare mediante
FNAC e in 391 di questi il recupero bioptico mediante TESE per l’eventuale crioconservazione di
spermatozoi e per l’indagine istologica.
Risultati: l’indagine FNAC ha evidenziato in 252 testicoli la presenza di sole cellule del Sertoli, in 108 un
quadro di ipospermatogenesi, in 31 un arresto maturativo e in 28 una forma ostruttiva. In tutti i testicoli con
diagnosi di ostruzione è stato possibile recuperare e crioconservare spermatozoi mediante agoaspirato
testicolare (TESA) o epididimale. Nei restanti testicoli la TESA e la TESE hanno consentito il recupero di
spermatozoi rispettivamente in 102 e 193 testicoli su 391 totali (26.1 e 43.9%). Nessuno degli altri parametri
presi in esame era in grado di predire il successo della TESE.
Conclusioni: l’agoaspirazione testicolare è la procedura più indicata per recuperare spermatozoi nei casi di
ostruzione completa delle vie seminali mentre la biopsia è la metodica migliore nei soggetti con azoospermia
non-ostruttiva severa. La citologia testicolare appare il migliore metodo per predire il recupero di
spermatozoi testicolari in quest’ultima categoria di soggetti. Se spermatozoi sono presenti alla FNAC la
TESE o la TESA possono essere effettuata anche al momento del pick-up. Se non sono presenti spermatozoi
alla FNAC è consigliato eseguire la biopsia testicolare su aree mirate con ecocolordoppler e crioconservare
gli eventuali spermatozoi.
3 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 SINDROMI OSTRUTTIVE DELLE VIE SEMINALI: ECOGRAFIA TRADIZIONALE E NUOVE
METODICHE
N. Caretta (Padova)
L’Azoospermia costituisce circa il 10% dei casi d’ infertilità maschile. L’identificazione dei fattori eziologici
è molto importante ai fini prognostici e terapeutici. In 639 pazienti azoospermici, dopo aver eseguito l’esame
citologico mediante aspirazione testicolare, abbiamo analizzato il risultato dell’esame ecografico trovando
nei soggetti con azoospermia ostruttiva un caratteristico quadro ecografico. Questo consiste in un normale
aspetto del testicolo (73%) con un ingrandimento dell’epididimo che appare ad ecostruttura disomogenea
(68%). Tuttavia questo quadro ecografico veniva riscontrato anche in soggetti con altri tipi di azoospermia.
Per questo motivo abbiamo studiato 25 soggetti normozoospermici e 50 soggetti azoospermici (25 con
azoospermia ostruttiva e 25 con azoospermia non ostruttiva), non affetti da varicocele, mediante ecografia
con mezzo di contrasto per valutare una metodica ecografica che fosse maggiormente in grado di identificare
i soggetti con azoospermia ostruttiva.
Nei soggetti con azoospermia ostruttiva abbiamo riscontrato regimi di flusso parenchimale sovrapponibili a
quelli riscontrati nei soggetti normozoospermici (Tempo di transito medio MTT< 36 sec) a riprova di una
normale struttura parenchimale. Nei soggetti con azoospermia non ostruttiva abbiamo riscontrato un
riduzione della velocità di transito parenchimale rispetto ai soggetti normozoospermici e azoospermici
ostruttivi (MTT >36 sec) con prevalente incremento della fase arteriolare a riprova di una maggior resistenza
al flusso in un parenchima strutturalmente sovvertito.
4 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ECOCOLORDOPPLER DINAMICO PENIENO NELLA DIAGNOSI DI DE: FACCIA A FACCIA
SI’
Libero Barozzi
Direttore U.O.C. di Radiologia
Dipartimento di Emergenza/Urgenza, Chirurgia Generale e dei Trapianti
Policlinico S.Orsola-Malpighi, Bologna
Il pene è tra degli organi che hanno tratto i maggiori vantaggi diagnostici dalla diffusione clinica dell’EcoColor-Doppler, in quanto la patologia è relativamente frequente e gli organi per la loro sede superficiale
vengono facilmente esplorati con sonde ad alta frequenza.
E’ quindi possibile studiare con elevato dettaglio le più fini strutture anatomiche ed identificare vasi di
piccolo calibro.
L’esatta interpretazione della semeiotica ecografica e dei segnali Doppler non può prescindere da una
dettagliata conoscenza della anatomia umana normale e di quella vascolare arteriosa e venosa. E’, inoltre,
fondamentale la conoscenza dei processi morbosi dei distretti anatomici e delle modificazioni
fisiopatologiche che accompagnano le diverse affezioni.
Minore e tardivo rispetto ad altri distretti anatomici l’impatto dell’uso dei Mezzi di Contrasto ecografici
(MdC) sia di I che di II generazione.
Nello studio del pene il capitolo più importante è sicuramente quello che riguarda l’impotenza, per studiare
la quale è indispensabile una valutazione Color-Doppler della mappa vascolare, associato ad un
monitoraggio longitudinale nel tempo dell’analisi spettrale di entrambe le arterie cavernose dopo
stimolazione farmacologicamente indotta.
Si tratta di una metodica in grado di valutare in maniera affidabile i deficit erettivi provocati da ipoafflusso
arterioso o da mancata attivazione del sistema veno-occlusivo, è pertanto possibile con tale approccio
discriminare i pazienti con problematiche vascolari da quelli con problematiche di altra natura.
Non rilevante in questa patologia l’impatto dei MdC.
NO
M. Silvani (Biella)
L’ecocolor doppler dinamico del pene fino a qualche anno fa considerato esame di primo livello nella
diagnostica della disfunzione erettile e’ oggi , con l’avvento degli iPDE5 diventato un esame di secondo
livello.L’assunzione del farmaco orale ed il tipo di risposta costituiscono gia’ un test diagnostico oltre che
una soluzione terapeutica.La comunita’ scientifica , urologi,andrologi, radiologi,chirurghi vascolari e’ divisa
circa il ruolo effettivo di tale indagine che e’ mirata esclusivamente allo studio del fattore vascolare
dell’erezione quando, e’ ben noto che l’erezione e’ un evento vascolare complesso ma , sostenuto anche da
fattori ormonali,bioumorali,psicologici e neurologici .L’opinione condivisa e’ quella che l’indagine vada
eseguita sempre in presenza di un’insuccesso della terapia orale ,terapia di prima linea,anche in assenza di
fattori di rischio poiche il solo test di farmacoerezione non e’ suffragante per un’inquadramento
diagnostico.Va sottolineato che l’esame e’ inficiato da fattori psicologici che attraverso l’increzione di
catecolamine possono alterare la dinamica erettiva con false diagnosi e rendere necessario un redosing
immediato o a distanza di alcuni gg con relativo discomfort del pz.Non vanno nenche dimenticate le
possibii complicanze , ematoma ,dolore nel sito di iniezione,erezione prolungat priapismo.L’EDC ‘ ancora
esame di primo livello nel caso di traumi del pene,IPP,priapismo soprattutto nelle forme ad alto
flusso,e’un’esame mandatorio in tutti i casi di pz con DE candidati a chirurgia protesica.
5 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 6 Giovedì,17 maggio Poster Urologici
Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 IPERMOBILITA’ URETRALE POST PROSTATECTOMIA: MITO O REALTA’?
Autori: M. Abbinante*, S.Crivellaro*, L.Tosco*, G. Mastrocinque**, E. Ammirati*, B.Frea*
* Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine, Clinica Urologica
P.le S.nta Maria della Misericordia 15 - 33100 - Udine (UD) – Italia
** AOUP Paolo Giaccone di Palermo, Clinica Urologica
Via del Vespro 129 – 90127 – Palermo (PA) - Italia
INTRODUZIONE
La reale causa dell’incontinenza maschile dopo prostatectomia deve ancora essere dimostrata. Una delle più
diffuse teorie riguarda l’esistenza della cosiddetta Ipermobilità uretrale post-prostatectomia che
provocherebbe una compressione inefficace dello sfintere striato altrimenti ancora funzionante. Secondo
questa teoria la correzione chirurgica dell’ipermobilità uretrale porterebbe alla correzione dell’incontinenza
maschile post-prostatectomia. Lo scopo del nostro studio è quello di provare l’esistenza di questo nesso e
stabilirne l’associazione con l’incontinenza post-prostatectomia.
MATERIALI E METODI
Da Dicembre 2008 ad Aprile 2011, 205 pazienti sono stati sottoposti a controllo ecografico trans-rettale dopo
prostatectomia radicale. Dopo aver valutato l’assenza di spandimenti peri-anastomotici, il catetere è stato
rimosso ed il paziente è stato invitato a ponzare (Manovra di Valsalva) per valutare il corrispondente
movimento dell’uretra. Tutti i pazienti sono stati rivalutati a mesi 1/3/6 con diario minzionale e numero di
pads. E’ stato considerato incontinente chi utilizzasse più di 1 pad/die.
RISULTATI
In 185 pazienti su 205 (90%) è stata dimostrata, sotto sforzo, una rotazione dell’uretra membranosa di circa
15° in senso cranio-caudale. Il rischio relativo dell’associazione tra Ipermobilità uretrale e Incontinenza
urinaria da sforzo post operatoria a sei mesi è stato <1 (0.02).
6 mesi
Incontinenza
si
Incontinenza
no
Totale
Ipermobilità Si
3
182
185
Ipermobilità No
10
10
20
Totale
13
192
205
CONCLUSIONE
L’ipermobilità uretrale post-prostatectomia è una realtà ed è presente nel 90% dei pazienti inclusi nel nostro
studio. La presenza dell’ipermobilità non è comunque associata ad un maggior rischio di sviluppare
Incontinenza urinaria da sforzo.
7 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 TURP AND PVP TREATMENTS ARE REALLY SIMILAR? FROM SENSATION TO OBJECTIVE
DATA. PILOT STUDY (PROOF OF CONCEPT) PROSPECTIVE RANDOMIZED TRIAL
Giuseppe Albino, Ettore Cirillo Marucco
UOC di Urologia, Ospedale “L.Bonomo” – Andria, ASL BAT
Introduzione
La terapia dell’Iperplasia Prostatica Benigna (IPB) con sintomi del basso tratto urinario (LUTS) può essere
farmacologica o chirurgica. La resezione transuretrale della prostata (TURP) è considerata il gold standard
della terapia chirurgica.[1][2][3] L’utilizzo dei resettori bipolari ha migliorato ulteriormente l’efficacia e la
sicurezza della TURP. Purtroppo la popolazione con LUTS secondari a IPB presenta un’alta incidenza di
elevato rischio cardiovascolare e turbe della coagulazione secondarie all’assunzione di anticoagulanti o
antiaggreganti. Per tale motivo sono state sviluppate tecniche chirurgiche alternative, tra cui quelle che
utilizzano la tecnologia laser. La vaporizzazione fotoselettiva della prostata (PVP: Photoselective
Vaporization of Prostate) mediante laser a luce verde (Green laser) è una tecnica utilizzata con lo scopo di
ottenere un’ablazione tissutale con istantanea emostasi [4]. L’efficacia e la sicurezza della PVP sono
riportate in 152 articoli indicizzati su PubMed di cui 23 sono review. Nella nostra esperienza abbiamo
percepito la sensazione di alcune differenze fra le due tecnologie. Questo studio ci ha aiutati a coglierle
oggettivamente.
Materiali e metodi
Sono stati inseriti nello studio i pazienti con LUTS e ghiandola prostatica < 60gr misurata mediante
ecografia, assenza di calcoli vescicali, anamnesi negativa per episodi di ritenzione acuta d’urine e rilievo
clinico negativo per neoplasia prostatica. Il solo sospetto di neoplasia prostatica mediante DRE o PSA è stato
ritenuto un criterio di esclusione. Sono stati arruolati 105 pazienti consecutivi e randomizzati in due gruppi
secondo una proporzione di 2:1. I pazienti del gruppo I sono stati sottoposti ad intervento disostruttivo
cervico uretrale mediante TURP con resettore monopolare Gyrus; i pazienti del gruppo II sono stati
sottoposti a PVP con KTP 80W (70 TURP e 35 PVP). Ogni paziente ha eseguito una uroflussimetria con
valutazione del flusso massimo (Qmax), flusso medio (Qmed) ed ecografia per la misurazione del residuo
post minzionale (RPM) prima dell’intervento e 6 mesi dopo l’intervento.[5][6] I risultati dei due gruppi sono
stati confrontati e valutati mediante analisi statistica (t-test e deviazione standard).
Risultati
Per ogni paziente è stata calcolata la differenza (∆) fra Qmax, Qmed, RPM a 6 mesi dopo l’intervento
rispetto alle misurazioni preoperatorie (∆Qmax, ∆Qmed, ∆RPM). Nelle tabelle sono riportati, per ciascun
gruppo, le medie aritmetiche dei ∆Qmax, ∆Qmed, ∆RPM, la significatività statistica (p) gli intervalli di
confidenza (IC) e le deviazioni standard (dev.stand.).
pz
∆Qmax ml/sec
IC
Dev.Stan
∆Qmed ml/sec
IC
Dev.Stan
∆RPM ml
IC
Dev.Stan
PVP
35
+11.04
0-23.4
8.29
+5.87
0-20.5
5.51
-43
-10-60
28.87
1 pz
sottoposto
a TURP
TURP
70
+8.9
3.2-25.1
5.01
+3.64
1.1-6.5
1.64
-86.15
-20-200
52.05
1 pz
trasfuso
p
n.s.
n.s.
n.s.
Discussione
Poiché nel confronto fra PVP e TURP le differenze fra i risultati in termini di ∆Qmax, ∆Qmed, ∆RPM non
sono statisticamente significative, vuol dire che “in media” il miglioramento flussimetrico fra le due tecniche
è sovrapponibile. Questa evidenza non fa altro che riaffermare quanto già verificato nella letteratura
indicizzata.[7][8] È chiaro, quindi, che considerando la media dei risultati non emergono differenze
significative fra le due tecniche. Le vere differenze emergono, invece, dalla considerazione delle deviazioni
8 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 standard: le deviazioni standard più elevate dei Qmax e Qmed della PVP rispetto alla TURP (8.29 vs 5.01;
5.51 vs 1.64) indicano che il risultato finale di un intervento disostruttivo eseguito mediante TURP è più
vicino al risultato atteso preoperatoriamente; al contrario il risultato finale di un intervento disostruttivo
eseguito mediante PVP mostra una variabilità sensibilmente più elevata.
Conclusioni
“In media” i risultati finali di una disostruzione cervico-uretrale mediante PVP o TURP sono sovrapponibili,
ma se consideriamo i singoli pazienti è possibile che qualche paziente in più tra quelli sottoposti a PVP,
rispetto a quelli sottoposti a TURP, possa rimanere deluso nelle sue aspettative. Per la nostra condotta clinica
ne deriva che proporre una procedura chirurgica che mostra il “rischio” di una maggiore variabilità del
risultato finale è giustificato solo nei casi di elevato “rischio” cardiovascolare ed emocoagulativo.
Riferimenti bibliografici
[1] Wasson JH, Reda DJ, Bruskevitz RC, Elison J, Keller AM, Henderson WG. A comparison of
transurethral surgery with watchful waiting for moderate symptoms of benign prostatic hyperplasia. The
Veterans Affairs Cooperative Study Group on Transurethral Resection of the Prostate. N Engl J Med 1995;
332: 75-9.
[2] de la Rosette JJ, Alivizatos G, Madersbacher S, Perachino M, Thomas D, Desgrandchamps F. EAU
guidelines on Benign Prostatic Hyperplasia (BPH). Eur Urol 2001; 40: 256-63.
[3] Roehrborn CG, Bartsh G, Kirby R, Andriole G Boyle P, de la Rosette JJ. Guidelines for the diagnosis and
treatment of benign prostatic hyperplasia: a comparative, international overview. Urology 2001; 58: 642-50.
[4] Malek RS, Kuntzman RS, Barrett DM. High power potassium-titanyl-phosphate laser vaporization
prostatectomy. J Urol 2000; 163: 1730-3.
[5] Kim HH, Kwak C, Seo SI, Chung H, Lee ES, Lee CW. The effects and complications of transurethral
resection for benign prostatic hyperplasia: results of long-term follow up. Korean J Urol 1996; 37: 268-80.
[6] Abrams PH, Farrar DJ, Turner-Warwick RT, Withside CG, Feneley RC. The results of prostatectomy: a
symptomatic and urodynamic analysis of 152 patients. J Urol 1979; 121: 640-2.
[7] Horasanli K, Silay MS, Altay B, Tanriverdi O, Sarica K, Miroglu C. Photoselective potassium titanyl
phosphate (KTP) laser vaporization versus transurethral resection of the prostate for prostates larger than 70
mL: a short-term prospective randomized trial. Urology 2008; 71: 247-51.
[8] Tasci AI, Tugcu V, Sahin S, Zorluoglu F. Rapid communication: photoselective vaporization of the
prostate versus transurethral resection of the prostate for the large prostate: a prospective nonrandomized
bicenter trial with 2-year follow-up. J Endourol 2008; 22: 347-53.
9 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 SPONTANEOUS RUPTURE OF URINARY BLADDER: A CASE REPORT AND REVIEW
Giuseppe Albino1; Francesco Bilardi2; Domenico Gattulli2; Pietro Maggi3, Antonio Corvasce1; Ettore
Cirillo Marucco1.
1
UO di Urologia; 2UO di Chirurgia generale; 3UO di Diagnostica per Immagini.
Ospedale “L.Bonomo” – Andria – ASL BAT.
Introduzione
La rottura spontanea della vescica è un evento raro. La presentazione clinica rispecchia i segni ed sintomi
della peritonite, ma la diagnosi avviene al tavolo operatorio. E’ un evento gravato da un elevato tasso di
mortalità
Materiali e metodi.
E’ giunto alla nostra osservazione un paziente di 73 anni affetto da diabete tipo II scompensato, ipertensione
arteriosa non controllata con episodi di 200/100mmHg, emiblocco anteriore sinistro e ipertrofia ventricolare,
sofferenza vascolare cronica cerebrale con disturbi della deambulazione, iperplasia prostatica con prostata di
circa 98gr e diverticolo sulla parete anteriore della vescica. Negli ultimi 3 anni ha registrato 6 accessi al
pronto soccorso per esiti di caduta accidentale ed almeno 7 episodi di rimozione traumatica ed accidentale
del catetere, con ematuria, idronefrosi bilaterale e rialzo della creatinina. Circa 3 mesi prima aveva eseguito
una cistoscopia negativa per neoplasie vescicali. Viste le condizioni cliniche generali il paziente ha
rinunciato ad eseguire un intervento disostruttivo cervico-uretrale ed ha scelto di essere portatore di catetere
vescicale a permanenza. Con il catetere in sede la creatinina rimaneva nel range di normalità (0.9mg/dl) e i
reni non mostravano idronefrosi. Al momento del ricovero mostrava drastica riduzione della diuresi (1000ml
in 3 giorni), assenza di idronefrosi, normale funzionamento del catetere, addome diffusamente teso e
meteorico, presenza di livelli idroaerei alla prima TC con mdc, reni nella norma, assenza di versamento
libero in addome. La seconda TC eseguita a distanza di 4 ore con mdc in vescica, mostrava una raccolta
fluida di circa 7cm di diametro massimo tra vescica e retto.
Risultati
La laparotomia esplorativa ha rilevato una raccolta saccata secondaria ad una piccola fissurazione della
parete posteriore vescicale, organizzata con una pseudo parete di origine infiammatoria facilmente
asportabile. Presenza di evidenti segni di peritonite. Si esegue riparazione della parete vescicale. Trasferito il
paziente in terapia intensiva per le gravi condizioni generali, se ne constata il decesso poche ore dopo
l’intervento.
Discussione
La rottura spontanea della vescica è un evento molto raro. Solo una riparazione chirurgica tempestiva offre la
possibilità di una prognosi favorevole, ma le condizioni di presentazione del quadro clinico spesso non sono
chiare e per questo motivo è una condizione clinica gravata da un elevatissimo tasso di mortalità. Nella
maggior parte dei casi la rottura spontanea della vescica avviene in presenza di una neoplasia uroteliale o in
seguito a radioterapia degli organi pelvici. Pur essendo un evento raro in letteratura sono riportati dal 1980
ad oggi 177 casi di rottura spontanea le cui cause possono sostanzialmente suddividersi un due grandi
gruppi: 1) per aumento della pressione endovescicale; 2) per indebolimento della parete vescicale [1].
L’etiologia della rottura spontanea di vesciica nol nostro caso non è riferibile ad una neoplasia vescicale o
alla radioterapia. E’ possibile che sia stata causata dai ripetuti episodi di ritenzione acuta d’urina con estrema
distensione vescicale fino a 3 litri, in un episodio dell’anno precedente all’evento infausto. Tre altri episodi
sono accaduti nelle settimane precedenti. E’ possibile che la parete vescicale si sia indebolita e
probabilmente micro-lacerata innescando gradualmente la successione di eventi che sono precipitati negli
ultimi 3 giorni prima del decesso.
Conclusioni
Non è facile pensare ad una perforazione vescicale in pazienti che si presentano con segni evidenti di
peritonite senza una storia di neoplasia vescicale o radioterapia pelvica. Una TC con con mdc endovescicale
potrebbe aiutare nell’orientamento diagnostico.
Bibliografia
[1] Mitchell T, Al-Hayek S, Patel B, Court F, Gilbert H. Acute abdomen caused by bladder rupture
attributable to neurogenic bladder dysfunction following a stroke: a case report. J Med Case Reports 2011; 5:
254.
10 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DEL PCA3 SCORE NELLA DIAGNOSI DI CARCINOMA
PROSTATICO IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A SATURATION BIOPSY: CUT-OFF 20 VS 35
Azienda Ospedaliera per l’Emergenza Cannizzaro – Catania
U. O. di Urologia. Direttore: F. Aragona
*Ospedale di Sciacca U. O. di Urologia, Direttore : Q. Paola
Pepe P, Barbera M*, Aragona F, Paola Q*
INTRODUZIONE
Abbiamo valutato l’accuratezza del PCA3 score (cut-off 20 vs 35) nella diagnosi di carcinoma prostatico
(CaP) in pazienti sottoposti a e rebiopsia prostatica.
MATERIALI E METODI
Dal Gennaio 2010 al Marzo 2012 177 pazienti (mediana 64 anni) sono stati sottoposti a rebiopsia prostatica
mediante tecnica di saturation biopsy (mediana: 30 prelievi). Le indicazioni alla rebiopsia erano: PSA
persistentemente elevato o in incremento, PSA > 10 ng/ml, PSA compreso tra 4,1-10 ng/ml e 2,6-4 ng/ml e
PSA free/total, rispettivamente, < 25% and < 20%. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a dosaggio urinario
del PCA3 dopo massaggio prostatico; l’esplorazione digito-rettale era negativa in tutti i casi ed il PSA
mediano era pari a 9.5 ng/ml (range: 3.7-28 ng/ml) .
RISULTATI
In 48 pazienti (27.1%) è stato diagnosticato un CaP; il PCA3 score mediano era pari a 60 (range: 7-208) e 34
(range: 3-268), rispettivamente in presenza o assenza di CaP (p <0.05). Nei pazienti con diagnosi di ASAP e
HGPIN il PCA3 score mediano era pari, rispettivamente, a 109 e 40. L’accuratezza diagnostica, la
sensibilità, la specificità, il valore predittivo positivo (VPP) e negativo (VPN) del PCA3 utilizzando un cutoff di 20 vs 35 era pari, rispettivamente a 44.9% vs 50%, 90.6% vs 71.9%, 27.9% vs 41.8%, 31.9% vs 31.5%
and 88.9% vs 80%. L’area sotto la curva (AUC-ROC) per valori di PCA3 > 20 vs > 35 era pari,
rispettivamente, a 0.67 and 0.63.
CONCLUSIONI
L’utilizzo di un PCA3 score > 20 si associa ad un elevato VPN (90%) per CaP permettendo di evitare il
22.6% di biopsie non necessarie, ma con un rischio non diagnosticare neoplasie clinicamente significative
pari all’ 8.4%.
11 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 RUOLO DELL’IMAGING NEL FOLLOW-UP DELLE TERAPIE FOCALI
Paolo Consonni, C. Mazzieri, P. Premoselli, G. Toia, G.C. Comeri
U.O. Urologia, Casa di Cura Multimedica, Presidio Ospedaliero di Castellanza (VA)
In questa presentazione viene considerato l’impiego delle metodiche di imaging e la biopsia imagingguidata dopo terapia focale per neoplasia clinicamente localizzata della prostata e neoplasie parenchimali del
rene. Per quanto riguarda la neoplasia prostatica clinicamente localizzata, numerose sono le possibilità di
terapia focale, a partire dalla prostatectomia radicale “nerve-sparing” mono o bilaterale, fino all’ablazione
zonale. Molteplici e molto diverse fra loro sono anche le tecnologie e le energie che possono venire
impiegate con lo scopo di “ablare” una zona della prostata; le più impiegate e conosciute sono l’HIFU, la
crioterapia e l’ablazione con radiofrequenza o microonde; ma anche “elettroporation”, terapia fotodinamica –
Tookad-, laser, brachiterapia e Cyber-Knife cominciano ad essere impiegati. In considerazione del fatto che
il tumore della prostata è spesso multifocale, è chiaro come il follow-up di questi pazienti debba essere
attento ed efficace. Prima di analizzare nel dettaglio le metodiche di imaging e bioptiche disponibili è
opportuno avere ben presenti alcune considerazioni preliminari; anche nel caso di terapie focali è utile come
prima cosa capire se è possibile stabilire dei criteri di “recidiva biochimica”; fatto questo la seconda
considerazione è quella relativa al fatto che i pazienti sottoposti a terapia focale dovrebbero essere a basso
rischio di metastasi occulte, e, non meno importante, devono esistere delle terapie alternative efficaci in caso
di recidiva o persistenza di malattia. Ovviamente la diagnostica per immagini giuoca un ruolo fondamentale,
ma esistono delle metodiche di imaging efficaci, “cost-effective” ed ampiamente disponibili sul territorio?
Infine non dobbiamo dimenticare che l’imaging dell’area trattata è molto diversa da quello dell’area
risparmiata. Nella presentazione vengono presi in considerazione i dati della letteratura relativi ai concetti di
recidiva biochimica ed all’impiego di diverse metodiche di imaging (ecografia, mezzi di contrasto ecografici,
color doppler, elastografia, histoscanning, TC, MRI e PET) e la conclusione, purtroppo abbastanza
sconfortante, è che, ad oggi, non esistono né marcatori né metodiche di imaging in grado di diagnosticare
efficacemente la ripresa o persistenza di malattia. Ancora una volta dobbiamo quindi affidarci alla biopsia
prostatica per identificare i pazienti che ricadono; ma quale tipo di biopsia è più efficace? La prima
considerazione da fare è che la biopsia prostatica, in questo particolare setting, non ha più il compito di dirci
solo “SE” c’è il tumore, ma soprattutto “DOVE” e “QUALE” tumore abbiamo di fronte. Emerge abbastanza
chiaramente dall’analisi della letteratura che nemmeno la biopsia prostatica di saturazione 3D (con
“template”) è in grado di diagnosticare tutte le recidive o la persistenza di malattia; pertanto conviene ancora
adottare schemi bioptici personalizzati e ritagliati sulle caratteristiche del Paziente e della sua neoplasia; è
possibile che in futuro la tecnologia ci consentirà di colmare questo “gap”; infatti la biopsia prostatica
robotizzata RM o ecoguidata, o le tecniche di fusione tra immagini RM ed ecografiche o la biopsia 3D
spazialmente orientata (Enivioneering) sono tecnologie estremamente promettenti. Anche per quanto
riguarda le neoplasie renali parenchimali le terapie focali da tempo giocano un ruolo determinante; infatti
l’ablazione di una neoformazione renale può essere fatta di necessità (monorene chirurgico, congenito o
funzionale) oppure in elezione (piccole masse renali <6cm, neoformazioni benigne, ecc.); da questa
trattazione sono state volutamente escluse le resezioni chirurgiche (resezioni parziali, eminefrectomie,
enucleoresezioni) sia a cielo aperto che laparoscopiche ormai considerate gold standard nel management di
questa patologia; focalizzeremo invece la nostra attenzione sulle ablazioni vere e proprie sia percutanee che
laparoscopiche. Le tecnologie a nostra disposizione, come nel caso della neoplasia prostatica, sono la
crioterapia (percutanea e laparoscopica) e l’ablazione con radiofrequenza o microonde (percutanea e
laparoscopica); il trattamento HIFU è ancora sperimentale e non verrà pertanto preso in considerazione. La
diagnostica per immagini (ecografia, TC, MRI) viene impiegata sia nel pretrattamento (diagnostica,
stadiazione e caratterizzazione), che durante il trattamento (trattamenti percutanei eco guidati e/o TC
guidati), che nel post-trattamento (verifica efficacia della terapia e follow-up a distanza), ed è su quest’ultimo
aspetto che ci concentreremo.
Nella presentazione si prende in considerazione la diagnostica per immagini nel post-trattamento cercando di
rispondere ad alcune domande;
1)Perché: nella maggior parte dei casi è impossibile infatti ottenere una conferma istologica dell’efficacia
del trattamento; è inoltre importante valutare nel tempo gli effetti del trattamento.
2)Quando: nell’immediata fase postoperatoria (24-48 ore) onde valutare la completa copertura della lesione
e la sua completa devascolarizzazione; ed i controlli a distanza (1, 3, 6, 12, 18, 24 mesi e poi ogni 6 mesi)
che devono evidenziare una progressiva riduzione volumetrica dell’area trattata e la persistenza della
devascolarizzazione.
3)Come: MRI, TC ed ecografia; MRI è la tecnica di studio ideale mentre la TC può essere impiegata come
tecnica di studio alternativa in caso di non disponibilità o di controindicazione alla MRI; l’ecografia
12 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 purtroppo non trova applicazione in questo campo soprattutto perché, ad oggi, i mezzi di contrasto ecografici
non sono ancora di impiego routinario.
4)Aspetti normali: nelle prime 24-48h si assiste ad un aumento volumetrico della lesione, mentre completa
è la copertura e la devascolarizzazione della lesione; a distanza si assiste ad una progressiva riduzione di
volume della lesione fino al 95% a 84 mesi, mentre persiste una completa devascolarizzazione.
5)Complicanze: incompleta devascolarizzazione della lesione a 24-48h, ematomi perilesionali ed
intralesionali.
6)Recidive locali e lesioni metacrone: l’imaging è prezioso nel riconoscere sia la recidiva locale (nella sede
del pregresso trattamento) che eventuali lesioni metacrone (in sedi diverse da quella del trattamento). Infine
uno sguardo alla biopsia delle piccole masse renali, soprattutto nel sospetto di recidiva o lesione metacronia;
nonostante la tecnica bioptica si sia molto affinata permangono ancora alcune incertezze sull’utilizzo
routinario della biopsia; l’ecografia è, in questo caso, la metodica di imaging più efficiente per la guida alla
biopsia delle piccole masse renali e/o di sospette recidive.
13 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 POSIZIONAMENTO DI DISTANZIATORE (BIOPROTECT PRO-SPACE) FRA PROSTATA E
RETTO IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA PROSTATICO IN ATTESA DI
RADIOTERAPIA ESTERNA
M.Cussotto, E. Barbero, G.Biamino, F. Bardari, F. Morabito, E. Graziano
U.O.A. Urologia ASL ASTI
Introduzione
La radioterapia esterna (RT) ricopre un ruolo fondamentale nella terapia del carcinoma prostatico (CP)
clinicamente localizzato o localmente avanzato. Per migliorare la tollerabilità e l’efficacia del trattamento
radioterapico sono stati recentemente introdotti dei dispositivi biodegradabili con lo scopo di aumentare la
distanza fra prostata e gli organi/strutture contigue in particolare il retto ed i nervi responsabili dell’erezione.
Vi riportiamo la nostra preliminare esperienza con il Bioprotect PRO-SPACE (BPS)
Note di tecnica
Paziente in analgo sedazione/anestesia spinale; sotto controllo ecografico si procede a idrodissezione dello
spazio prostato-rettale: quindi si posiziona l’introduttore contente già il palloncino sgonfio sino alla base
della prostata in prossimità delle vescicole seminali e si gonfia con soluzione fisiologica il dispositivo sotto
controllo ecografico per appurare il corretto posizionamento del palloncino,
Materiali e metodi
6 pazienti: 76 AA Ca. prostata gleason score 7 (4+3 bilateralmente su tutti i prelievi) PSA tot 13 ng/ml con in
anamnesi diverticolosi intestinale e portatore di ernia inguinoscrotale monolaterale, 78 AA Ca prostata
gleason score 7 (3+4 bilateralmente su tutti i prelievi) PSA tot 12.3 ng/ml già sottoposto 3 aa prima ad
adenomectomia transvescicale preceduta da biopsia negativa 67 AA Ca prostata gleason score 6 (3+3
bilateralmente) PSA tot 14 ng/ml rifiuto intervento chirurgico 67
AA Ca prostata gleason score 7 (3+4
bilateralmente) PSA tot 7.4 ng/ml forte rifiuto intervento chirurgico per forte volontà a tentativo
mantenimento potenza sessuale, 70 AA ca prostata gleason score 6 (3+3 bilateralmente) PSA tot 10 ng/ml
forte rifiuto intervento chirurgico comorbidità intestinale, 78 AA Ca prostata gleason score 7 (3+4
bilateralmentei) PSA tot 12.8 ng/ml
Conclusioni
La manovra è a nostro avviso fattibile dal punto di vista tecnico da tutti gli urologi con una discreta
esperienza in biopsie prostatiche; il ha permesso in tutti i casi l’attuazione di un piano di cura maggiore a
quello programmato precedentemente (a detta dei fisici sanitari e dei radioterapisti) e quindi oltre una
migliore tollerabilità del trattamento radioterapico si è avuto un aumento delle dosi somministrate con
conseguente potenziale maggiore efficacia da valutare nel lungo termine. Nella nostra esperienza tutti i
pazienti hanno completato senza alcun evento avverso la radioterapia. Aggiungeremmo soltanto che lo
spazio prodotto dal palloncino è stato in media di 1.8 cm e che nei primi due casi eseguiti quasi un anno fa il
dispositivo è completamente riassorbito senza reliquati.
14 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 INCIDENZA NELLA DIAGNOSI DI ANEURISMA DELL’AORTA ADDOMINALE
MISCONOSCIUTO DURANTE ESAME ECOGRAFICO PER PATOLOGIA UROLOGICA:
NOSTRA ESPERIENZA
Lucio Dell’ Atti, Gian Rosario Russo
U.O. Urologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Arcispedale “S. Anna”, Ferrara
Mail primo autore: [email protected]
Tel: 0532236078
INTRODUZIONE: L’ Aneurisma dell’aorta addominale (AAA) è definito come una dilatazione,
circoscritta e permanente della parete del vaso ≥3cm (70-80% in sede sottorenale) ed in fase di rottura
costituisce una delle situazioni d’emergenza a più elevata mortalità. I pazienti portatori di AAA hanno una
sintomatologia silente e subdola fino alla comparsa della rottura.
L’AAA colpisce 2-3% della popolazione e questa percentuale è in aumento nei soggetti fumatori ed ipertesi
con un rapporto M:F=5:1. Una rottura dell’AAA operato d’urgenza ha mortalità operatoria del 50%, mentre
in elezione del 3%. Il rischio di rottura a 5 anni per dimensioni ≤5cm è del 7-10%, se ≥5cm giunge al 2040%.
Il 50% dei pz muore prima di arrivare in P.S., con mortalità totale pre e intra- operatoria del 77-94%. Il
rischio di rottura a 5 anni per dimensioni ≤5cm è del 7-10%, se ≥5cm giunge al 20-40%.
Allo stato attuale la maggior parte degli AAA viene diagnosticato incidentalmente durante ecografie o studi
radiologici addominali.
MATERIALI E METODI: Abbiamo preso in considerazione 140 pazienti di sesso Maschile e d’età >50
anni (range 50-82 anni), afferenti al nostro ambulatorio per eseguire un indagine ecografica di routine
dell’apparato genito-urinario. Per l’esame ecografico è stata utilizzato ecografo Logiq 7 della GE munito di
sonda convex multifrequenza. Tutti gli esami sono stati eseguiti da un unico ecografista esperto.
Con il paziente in posizione supina dopo aver eseguito un esame ecografico standard dell’apparato urinario,
si è proceduto spostando l’esame sulla linea mediana nel quadrante centrale alto dell’addome, con scansioni
ecografiche longitudinali sulla linea ombelicale è stato possibile studiare l’aorta addominale sino alla
biforcazione dei vasi iliaci. Il tempo medio di esecuzione per ogni indagine è stato di circa 2 minuti in più
rispetto all’indagine specifica di partenza.
RISULTATI: Dei 140 pazienti studiati in 10 non è stato possibile visualizzare l’aorta addominale per
habitus o meteorismo intestinale, in 8 vi è stato un riscontro occasionale di un aneurisma ≥ 3cm,
successivamente confermato da un ecografia addominale dei colleghi specialisti radiologi. In 2 pazienti
invece è stato rilevato un’AAA ≥3cm come reperto occasionale successivamente a seguito di esecuzione di
TAC addome eseguita a breve a scopo stadiante per neoplasia.
L’ecografia dell’addome è il test di scelta per l’individuazione di tale patologia, è un esame economico, non
invasivo e possiede un elevata sensibilità diagnostica 80%, nel nostro studio,(dato di poco inferiore ai range
riportati dalla letteratura 82-99%), ed una specificità del 100%.
DISCUSSIONE: Visto sotto quest’ottica l’esame ecografico è finalizzato non solo alla pura rilevazione
iconografica dei singoli distretti d’indagine su cui effettuare una diagnosi, bensì ad una diagnostica che
presuppone una competenza clinica più ampia, non solo etichettata nell’ambito della propria
specializzazione, ma interattiva con le altre specialità.
Se questo non fosse la regola si svuoterebbe il significato dell’attività ecografica praticata e si avrebbe una
competenza tecnica ecografia estremamente limitata.
Quindi è ovvio che l’attività ecografica sempre più importante nella medicina moderna, a cavallo tra clinica e
chirurgia, deve esser praticata in equipe da radiologo, medico, chirurgo, portando ad un progressivo
arricchimento delle competenze nelle varie branche, con tentazioni di approfondimento continuo.
CONCLUSIONI: L’ecografia nelle mani di un medico specialista s’inserisce come la strategia diagnostica
di fondamentale interesse, in quanto può dimostrare la presenza di una serie di patologie in pazienti a rischio
anche in assenza di sintomatologia conclamata, in modo tale da riconoscerle, quando son ancora contenute, e
monitorale fino al momento in cui l’intervento si rende necessario, come nel caso dell’AAA.
Bibliografia:
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2. Harris PL: Reducing the mortality from abdominal aortic aneurysms: need for a National screening
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3. Davies AJ: Prevalence of abdominal aortic aneurysms in urology patients referred for ultrasound.
Ann R Coll Surg Engl 1999; 81:235-238.
15 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ADDING AMOXICLAV TO FLUOROQUINOLONE-BASED ANTIMICROBICAL PROPHYLAXIS
REDUCES PROSTATE BIOPSY INFECTION RATES
Lucio Dell’ Atti , Gian Rosario Russo
U.O. Urologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Arcispedale “S. Anna”, Ferrara
Mail primo autore: [email protected]
Tel: 0532236078
INTRODUCTION:
Transrectal ultrasound guided prostate biopsy (TRUSB) is currently the “gold standard” test for detection of
prostate cancer. The possible risks and complications of TRUSB have been well documented and include
pain, dysuria, rectal bleeding, haematuria, haematospermia, and urinary retention. One of the most serious
complications associated with TRUSB is infection.
Infectious complications have been reported to occur in 1-6% of patients and include fever, acute prostatitis,
epididymo-orchitis and sepsis. Hence, antimicrobical prophylaxis is routinely used to prevent these
complications. Fluoroquinolone is widely prescribed as prophylaxis because of its good penetration into the
prostatic cytosol, ease of use and safety profile; however, recent reports suggest that infectious complications
due to fluoroquinolone-resistant organisms are increasing.
The aim of the present study was to examine if the addition of co-amoxyclav (amoxicillin and clavulanic
acid) to the routine antimicrobical prophylaxis with fluoroquinolones reduces infections after TRUSB.
MATERIALS AND METHODS:
In a single urological centre, we performed a observational study that compared a prospective group with
retrospective control. . This study evaluated 620 consecutive patients, arrived at the Urology’s Unit
Arcispedale “S.Anna” of Ferrara between November 2009 to December 2011, to undergo TRUSB.
Fluoroquinolones such as ciprofloxacin is one of the most commonly used prophylactic antibiotics for
TRUSB and our centre has been doing so for the past 10 years. Patients were divided by prophylactic
antibiotic regimens used into two groups: Group A) 302 patients received only ciprofloxacin as prophylaxis
(500 mg twice daily) orally starting 1 hour before the biopsy and continuing for 5 days after the procedure,
Group B) 293 patients received in addition to ciprofloxacin, co-amoxiclav (1gr three times daily) was given
orally 1 day before and continuing for 5 days after TRUSB.
Patients were instructed to return to our hospital if they developed fever of > 38,0°C, severe irritative voiding
symptoms and macroscopic hematuria with clots.
RESULTS:
Patient’s characteristics in two group are similar in terms of mean ages, mean PSA levels, prostate volume
and the number of biopsy cores. The number of diabetic patients is also similar in both groups.
When the patients were hospitalised, the diagnosis of sepsis was established and non urological causes of the
symptoms were excluded.
There were 13 cases of post TRUSB sepsis in the Group A and 6 cases in Group B.
Ciprofloxacin-resistant Escherichia coli (E.coli) was the only pathogen isolated in both groups. In the Group
A, 8 patients had positive blood cultures and 7 were sensitive to co-amoxiclav. The only case of E. coli in
Group B was resistant to ciprofloxacin and co-amoxiclav. This patients underwent orchiectomy after about
10 days for severe abscess of the scrotum.
DISCUSSION:
Infective complications after TRUSB are serious and potentially life-threatening.
In the pursuit of the ideal antibiotic prophylaxis, various regimens have been utilised with no clear consensus
among urologists. In addition to a regimen’s efficacy in preventing infection, its cost-effectiveness and
clinical applicability should be considered. The incidence of infective complication after TRUSB in our
centre with ciprofloxacin prophylaxis is 4,3% . The addition of co-amoxiclav has reduced the incidence to
2,04%.
CONCLUSION:
We conclude that adding co-amoxiclav to fluoroquinolone-based antimicrobial prophylaxis in areas with
high fluoroquinolone resistance confers significant benefit in preventing infections after TRUSB.
REFERENCES:
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16 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 THE POTENTIAL ROLE OF TRANSRECTAL ULTRASOUND AS A TOOL FOR DIAGNOSIS OR
RECURRENCE DETECTION IN BLADDER CANCER. TWO CASES REPORT
Fabiani A. MD, Filosa A. MD PhD*, Piergallina M. MD, Servi L. MD, Mammana G. MD
Unit of Urology, Surgical Department, * Section of Pathological Anatomy, Department of Clinical
Pathology, Macerata Hospital, Area Vasta 3, ASUR Marche, Italy
INTRODUCTION
Transrectal ultrasound (TRUS) is a specific urological diagnostic procedure. This morphological imaging
technique is mainly able to find the most probable cause of raised prostate-specific antigen values and to
identify abnormally hard tissue regions found at digital rectal examination (1) This technique is routinely
used to guide prostate biopsy both with a transrectal and a transperineale access. TRUS represents also a
gynecological diagnostic tool to study the female pelvic structures as a reasonable alternative to routine
abdominal ultrasound (2) Moreover TRUS could be usefully employed in atypical urological cases of the
current clinical practice in addition or as alternative to other instrumental procedures that are more invasive
and/or more expensive (3). For example TRUS has been proposed in the evaluation of the vesico-urethral
anastomosis in patients submitted to radical prostatectomy. Recently some authors have investigated the role
of TRUS in early detection of local bladder cancer recurrence after radical cystectomy showing an accuracy
similar to that obtained by Computed Tomography or Magnetic Resonance. Thus TRUS could be used as the
first diagnostic tool in bladder cancer detection. At the best of our knowledge this non conventional use of
TRUS in patients with bladder in situ has not been investigated.
MATERIAL AND METHODS
We report two cases of a primary lesion of bladder neck and trigone misdiagnosed by conventional
sonographic abdominal evaluation and another case of urothelial bladder recurrence diagnosed by a TRUS
performed before cystoscopy.
RESULTS
The first patient presented at the ER of our Hospital for a flank pain with concurrent hematuria. The
abdominal ultrasonography showed a right hydronefrosis and a thickened bladder wall without endoluminal
projections. The end-fire probe with a longitudinal approach clearly showed a thickening of the bladder wall
extended from the bladder neck to the posterior area. The patient was submitted to a transrectal prostate
biopsy and to a urethrocystoscopy with a transurethral resection. The second patient was admitted to the
Urology Unit for hematuria. Abdominal ultrasonography was unremarkable and urine cytology negative. The
prostatic TRUS with an end-fire probe showed a 5 mm area of irregular thickening of the mucosa at the
bladder neck. The uretrocystoscopy confirmed the presence of a perimeatal papillary lesion.
DISCUSSION
Cystoscopy is still considered the main approach for bladder cancer diagnosis and the main diagnostic
approach for detecting bladder cancer recurrence. Although accurate in visualizing the lesion, cystoscopy is
currently expensive and painful. Only if a bladder tumour has been visualized in earlier imaging studies,
diagnostic cystoscopy can be omitted because the patient will receive a transurethral resection (3) . On the
other hand TRUS is easy to perform and inexpensive. The reported cases suggest that TRUS can be useful
for the detection of bladder carcinoma in selected patients, in particular in case of neck and trigone disease,
in obese patients and/or in patients with benign prostatic hyperplasia.
CONCLUSION
We therefore recommend the use of TRUS for bladder cancer detection in these patients, as an easy, accurate
and inexpensive tool. We need further study to validate the role of TRUS in the diagnosis and follow-up of
bladder urothelial carcinoma.
References
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bladder cancer? J Urol 1997 Feb;157(2):480-1.
17 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 GLI SCHEMI BIOPTICI: REVISIONE DELLA LETTERATURA
C. Mazzieri, P. Consonni, G. Toia, P. Premoselli, G.C. Comeri
U.O. di Urologia, Casa di Cura Multimedica, Presidio Ospedaliero di Castellanza (VA).
Il cancro della prostata è, ad oggi, il tumore maligno più frequente nel sesso maschile e la seconda causa di
morte nel maschio. La diagnosi di cancro della prostata, a dispetto della scoperta di nuovi marcatori tumorali
e dello sviluppo delle tecniche di imaging, rimane una diagnosi istologica. E’ pertanto comprensibile come
l’evoluzione della tecnica bioptica abbia subito, negli ultimi anni, un’impressionante e rapida evoluzione.
Quando sono state introdotte, nel 1989, le biopsie sistematiche ecoguidate a sestante hanno rivoluzionato la
nostra abilità di diagnosticare il cancro della prostata. Prima di allora le biopsie venivano effettuate per via
transperineale o transrettale sotto la guida del dito esploratore. Quasi 20 anni fa Hodge fu il primo a
dimostrare che 6 biopsie sistematiche, distribuite spazialmente nella prostata, erano in grado di migliorare
l’accuratezza diagnostica delle biopsie mirate su lesioni ipoecogene visibili all’ecografia transrettale (1).
Studi recenti (2-4) hanno dimostrato che questo schema “perde” comunque il 15-34% dei tumori
clinicamente diagnosticabili.Sono stati pertanto condotti studi anatomo-volumetrici su pezzi da
prostatectomia radicale con modelli computerizzati che hanno dimostrato come il numero di tumori
diagnosticati con la tecnica a sestanti di Hodge sia inversamente proporzionale al volume della prostata; circa
il 70% dei tumori origina dalla zona periferica, e la maggior parte di essi è localizzata nella porzione posterolaterale (il cosiddetto “corno anteriore”) alla base della prostata e, sulla linea mediana, in regione apicodorsale (5).Sulla scorta di questi studi Stamey (6) nel 1995 ha proposto di spostare più lateralmente i prelievi
bioptici, così da campionare meglio la zona periferica.
Tuttavia studi recenti hanno dimostrato come anche lo schema bioptico di Stamey “perda” il 15-34% dei
tumori clinicamente diagnosticabili (1-4). Pertanto molti Autori hanno elaborato degli schemi che prevedono
più di 6 prelievi (da 8 a 18) nell’intento di migliorare la diagnosi di tumore della prostata e di campionare
anche la zona di transizione, soprattutto anteriormente, in prossimità della linea mediana, in sede parauretrale
(ore 11 e 13) ove è stato dimostrato originare la maggior parte dei tumori della zona di transizione (7). Nel
1998 Vashi pubblica dei nomogrammi (Nomogramma di Vienna) che sono costruiti per ottenere il 90% di
“detection rate”; questi nomogrammi sono calcolati in funzione del volume della prostata, dell’età del
paziente, del “volume pericoloso per la vita” del tumore, e sono costruiti utilizzando un modello
computerizzato di biopsie virtuali su pezzi di prostatectomia radicale. Nel 2002 Presti (10) e collaboratori
effettuano degli studi circa la topografia del cancro della prostata; sulla scorta di questi studi gli Autori hanno
dimostrato che se si paragonano vari schemi bioptici con uno schema ottimale virtuale che fornisca una
detection rate pari al 100% si evince che: uno schema che preveda 5 prelievi per lobo (apice, apice-laterale,
mediolobare, medio-laterale, base-laterale fornisce una detection rate pari al 96% rispetto allo schema
ottimale (100%). Recentemente sono comparsi in letteratura numerosi lavori che dimostrano come schemi
bioptici estesi (>10 prelievi) non solo migliorino la detection rate ma anche forniscano una miglior
concordanza tra Gleason score bioptico ed alla prostatectomia radicale ed incrementino la corrispondenza tra
stadio clinico e patologico senza un aumento significativo delle complicanze rispetto a schemi bioptici con
un numero inferiore di prelievi (13-14-15). La critica più forte che viene mossa a schemi bioptici che
prevedano più di 8 prelievi riguarda la possibilità, per lo meno teorica, di diagnosticare tumori cosiddetti
insignificanti con un conseguente overtreatment dei pazienti; in realtà l’analisi della letteratura recente
evidenzia come schemi bioptici estesi non siano in grado di aumentare significativamente la percentuale di
tumori insignificanti (16-17). Sulla scorta di questa importante messe di lavori abbiamo cercato di
identificare uno schema bioptico personale che fornisca un ottimo campionamento della zona periferica,
dell’apice nelle sue porzione mediali e laterali e del corno anteriore;in totale vengono prelevati 14 frustoli
per prostate fino a 50gr. e 20 frustoli per prostate di maggior volume. Dal 2003 abbiamo effettuato 1107
biopsie seguendo questo schema; la detection-rate globale per il tumore della prostata è stata del 50,2%. In
conclusione dagli studi della letteratura emerge chiaramente che 8 prelievi non sono sufficienti; studi
anatomo-topografici sulla distribuzione del tumore prostatico hanno dimostrato come sia vitale campionare
l’apice e le porzioni laterali (corno anteriore), e come sia necessario aumentare il numero di prelievi in
prostate voluminose.Sembra altresì inutile biopsiare la zona di transizione alla prima serie bioptica in
prostate medio-piccole. Sembra pertanto ragionevole proporre uno schema bioptico che preveda almeno 12
prelievi mirati sull’apice e sulle porzioni laterali e periferiche della prostata.
18 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 BIBLIOGRAFIA
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19 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 RUOLO DELL’ECOGRAFIA NELLA GESTIONE DELLE COMPLICANZE A LUNGO
TERMINE SECONDARIE A CISTECTOMIA ED AL CONFEZIONAMENTO DI NEOVESCICA
A. Mudoni, F. Caccetta, M. Caroppo, F. Musio, A. Accogli, G. Vantaggiato, V. Nuzzo.
U.O. Nefrologia e Dialisi Ospedale “Cardinale G. Panico” – Tricase (Lecce)
INTRODUZIONE
L’intervento di neovescica, secondario a cistectomia radicale per carcinoma vescicale, pur avendo l’obiettivo
di un ripristino anatomico e funzionale dell’organo, è associato a complicanze sia a breve che a lungo
termine con conseguenze sulla qualità di vita.
Le complicanze a breve termine più frequenti sono le fistole urinose, le pielonefriti e le fistole enteriche,
oltre alle complicanze generiche (tromboflebiti, embolie polmonari, deiscenze delle suture). Le complicanze
a lungo termine sono l’occlusione intestinale, l’insufficienza renale, le ernie e le stenosi della stomia o
dell’anastomosi neovescico-ureterale (1).
CASO CLINICO
Descriviamo la storia clinica di un uomo di 66 anni portatore di neovescica ileale sec. Hautmann da circa
dieci anni. A 57 anni intervento di cistectomia radicale e derivazione urinaria interna con linfoadenectomia
per Carcinoma uroteliale della cupola vescicale scarsamente differenziato infiltrante la tonaca muscolare, con
successivi cicli di chemioterapia adiuvante, durante i quali si è verificato un transitorio peggioramento della
funzionalità renale.
Dopo pochi mesi dall’intervento episodio di sepsi delle vie urinarie con iperpiressia e brividi, complicato da
insufficienza renale acuta (IRA) e risolto con adeguata terapia reidratante ed antibiotica. L’ecografia renale
evidenziava solo una modesta pielectasia a destra.
Da tale epoca la storia si complica con coliche renali ripetute e quadri ecografici di idronefrosi bilaterale
trattati dapprima con posizionamento di nefrostomie percutanee bilaterali e, successivamente di stent
ureterali, seppur con funzionalità renale nella norma.
A 63 aa episodio di IRA (creat 13.5) con oliguria, squilibrio elettrolitico ed acidosi metabolica di grado
severo.
All’ecografia renale: rene destro con idronefrosi di III-IV° grado con assottigliamento dell'anello corticale.
Rene sinistro con idronefrosi di III° grado e regolare spessore cortico-midollare. Presenza bilateralmente di
stent pielo–vescicale. Materiale disomogeneamente ipoecogeno fluttuante nel lume della neovescica,
attribuibile a coagulo.
Dopo terapia medica, trattamento emodialitico urgente e sostituzione degli stent per stenosi bilaterale
dell’anastomosi uretero-neovescicale, graduale e progressivo miglioramento della funzionalità renale con
ripristino di una diuresi efficace e correzione dello squilibrio elettrolitico e della acidosi metabolica.
Successivamente il paziente è stato sottoposto con regolare periodicità a controlli clinici e monitoraggio
ecografico al fine di correggere l’idronefrosi dovuta a stenosi dell’anastomosi uretero-neovescicale
procedendo, appena necessario, alla sostituzione degli stents.
DISCUSSIONE
Il caso clinico esposto focalizza l’attenzione soprattutto sulle complicanze a lungo termine del
confezionamento di neovescica.
In accordo con uno studio di Lantz e coll.(2), da un lato l’insorgenza di incontinenza diurna e notturna
migliora con il follow-up, dall’altro si verifica uno sviluppo precoce di idronefrosi e un progressivo
deterioramento della funzione renale.
Hautmann e coll (3) inoltre, prendendo in esame 25 anni di esperienza con 1000 neovesciche, hanno
sottolineato quanto sia elevata la percentuale delle complicazioni a lungo termine soprattutto idronefrosi,
stenosi dell’anastomosi neovescicale, sepsi, acidosi metabolica severa e ostruzione intestinale.
CONCLUSIONI
Un’attenta gestione dei pazienti con neovescica ortotopica comporta impegno e collaborazione tra urologo e
nefrologo avvalendosi del monitoraggio ecografico che aiuta nell’individuare le complicanze di questa
patologia durante il follow-up, al fine di garantire una gestione tale da preservare la funzione renale,
migliorando la qualità di vita.
20 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 BIBLIOGRAFIA
1. Jagdeesh N. Kulkarni
Perioperative morbility of radical cystectomy: a review
Indian J Urol. 2011 Apr-Jun;27(2): 226-232
2. Andrea G. Lanz, MD; M. Eric Saltel, MD,FRCSC; Ilias Cagiannos,MD, FRCSC
Renal and functional outcomes following cystectomy and neobladder reconstruction
CUAJ 2010 October vol 4 issue 5
3. Hautmann RE, De Petriconi RC, Volkmer BG
25 years of experience with 1000 neobladders: long-term complications
J Urol. 2011 Jun;185(6):2207-12
Dott.ssa Anna Mudoni
Numero di telefono: 333 6868124
21 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Giovedì,17 maggio Poster Nefrologici
22 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LA BIOPSIA RENALE: ECOGUIDATA O ECOASSISTITA?
S.V. Bertoli**, A. Liccardo*, M.E. Procaccio**, L.A. Rocca-Rey*, P. Consonni***
**
U.O. Nefrologia e Dialisi Casa di Cura Multimedica –Presidio di Sesto S. Giovanni-, *U.O. Nefrologia e
Dialisi Casa di Cura Multimedica –Presidio di Castellanza-, ***U.O. Urologia Casa di Cura Multimedica –
Presidio di CastellanzaIntroduzione: Benchè le prime biopsie renali fossero effettuate a cielo coperto facendo riferimento a reperi
anatomici, con la diffusione della metodica ecografica ormai la quasi totalità delle biopsie renali vengono
effettuate con metodica eco-assistita (sotto guida ecografia ma a “mano libera”) o eco-guidata (sotto guida
ecografia avvalendosi di collimatore e traccia elettronica). Il nostro è uno studio retrospettivo che ha l’intento
di confrontare le due metodiche, sia per quanto riguarda l’efficacia, sia per quanto riguarda le complicanze.
Materiali e metodi: Sono state esaminate 10 biopsie, effettuate dallo stesso operatore Nefrologo mediante
ago tranciante tipo tru-cut Bard® 14G 20cm; 7 sono state effettuate con metodica Eco-guidata, 3 con
metodica Eco-assisitita. In entrambi i casi la procedura si avvaleva dell’utilizzo di Ecografo Hitachi H21 HiVision e sonda Convex da 5MHz. La biopsia è stata sempre eseguita con paziente in posizione prona e
spezzatura lombare; in ogni caso è stata eseguita anestesia locale dei piani superficiali e profondi con
lidocaina; in 3 pazienti è stata anche eseguita blanda sedazione con midazolam 5mg in sol. Fisiologica
100ml. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad ecografia renale di controllo a 24 ore dalla procedura. I dati
presi in considerazione sono stati: 1. Il numero dei prelievi, 2. Il numero dei glomeruli utili per la
diagnostica, 3. Le complicanze immediate (macroematuria, ematoma subcapsulare e/o perirenale,
peggioramento dei valori di funzione renale) e tardive (ematoma subcapsulare e/o perirenale, fistole arterovenose, rottura renale).
Risultati: Le 10 biopsie renali prese in considerazione sono state effettuate in pazienti di età compresa tra i
46 e gli 80 anni, 8 maschi e 2 femmine; in nessuno dei due gruppi si sono manifestate complicanze, né
precoci, né tardive. Il numero medio di prelievi effettuati nei pazienti in cui il Nefrologo si avvaleva di EcoAsssistenza è stato di 3,2, mentre nei pazienti in cui l’operatore si avvaleva di Eco-Guida, il numero medio di
prelievi è stato di 2,6. Il numero medio di glomeruli rinvenuti nei prelievi del primo gruppo (biopsia ecoassistita) è stato di 21 per paziente, il numero medio di glomeruli conteggiati nei prelievi del secondo gruppo
(biopsia eco-guidata) è stato di 28.
Conclusioni: Pur con il limite dell’esiguità del campione, ma con il vantaggio di avere un unico operatore, il
nostro studio evidenzia come l’ecografia riduca al minimo il rischio di complicanze precoci e tardive nella
biopsia renale. L’analisi della casistica permette inoltre di verificare come la metodica eco-guidata sia
modestamente più efficace sia in termini di qualità del prelievo bioptico che di numero delle prese bioptiche
necessarie.
23 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 SINDROME NEFROSICA E SOFFI ADDOMINALI IN GIOVANE PAZIENTE IPERTESA
MP Canale1, E Staffolani1, A Noce1, N Miani1, MS Borzacchi1, O Durante1, V Castagnola1, F Fiorini2 e N
Di Daniele1.
1
Dipartimento di Medicina Interna- Servizio di Nefrologia ed Ipertensione-Università degli Studi di Roma
“Tor Vergata”
2
SOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale “S. Maria della Misericordia” ULLS 18, Rovigo
Primo autore: Maria Paola Canale Tel:0620902185
e-mail:[email protected]
CASO CLINICO
Presentiamo il caso clinico di una donna africana di 34 anni, affetta da ipertensione arteriosa, insufficienza
renale cronica (creatininemia 1,8mg/dl e GFR 50 ml/min con MDRD formula), ipoalbuminemia (albumina
2,4g/dl), dislipidemia (Col. totale 300 mg/dl) e proteinuria(5g/24h), di riscontro occasionale nel corso di un
ricovero per infarto ischemico pontino complicante un difetto del setto interatriale.
L’esame obiettivo ha documentato soffi addominali a livello paraombelicale e dei vasi iliaci ed assenza di
edemi improntabili. Il monitoraggio della pressione arteriosa delle 24H ha documentato buon controllo dei
valori pressori in terapia con ramipril 5mg/die.
L’ecografia renale con valutazione (color)Doppler ha evidenziato: rene dx di dimensioni ridotte (DL 8,7 cm)
e rene sx di normali dimensioni (DL 10,9 cm), ecogenicità bilateralmente aumentata, con differenziazione
cortico-midollare assente nel rene dx e ridotta nel rene sx. Spessore parenchimale ridotto a dx e conservato a
sx. La valutazione (color)Doppler ha evidenziato all’origine di entrambe le arterie renali una velocità di
flusso ematico aumentata (>250 cm/sec nel rene dx e pari a 200 cm/sec nel rene sx). Gli I.R. intrarenali
apparivano bilateralmente aumentati, valore medio 0,79 e la morfologia dei tracciati flussimetrici appariva
notevolmente appiattita, con PSV ridotto ed allungamento della fase diastolica. La velocità di flusso ematico
campionata a livello dell’aorta addominale sovra renale risultava notevolmente aumentata. Il rapporto
reno/aortico era inferiore a 3.
L’Angio-RMN dell’aorta toracica ed addominale ha mostrato una riduzione del calibro (21 mm x 20 mm)
del tratto prossimale dell’aorta toracica discendente con dilatazione fusiforme post-stenotica mentre l’aorta
addominale ed i vasi iliaci apparivano ridotti in toto con presenza di alcune dilatazioni fusiformi.
La PET-TC non documentava infiammazione a carico della parete vasale. Lo studio dell’autoimmunità era
negativo. La biopsia renale evidenziava una glomerulonefrite mesangio-proliferativa di tipo I in evoluzione
sclerotica e grave arteriosclerosi.
DISCUSSIONE
In letteratura sono stati descritti casi di glomerulosclerosi focale in presenza di ipertensione nefrovascolare
con proteinuria inferiore a 3 g/24h (1). Mentre studi condotti in vitro hanno dimostrato sia l’effetto
proliferativo delle LDL che l’effetto citotossico delle LDL ossidate sulle cellule mesangiali (2).
Nell’uomo è stato descritto un caso di glomerulonefrite mesangioproliferativa in un paziente anziano affetto
da aterosclerosi polidistrettuale (3).
CONCLUSIONI
La peculiarità del nostro caso è rappresentata dall’insorgenza precoce della patologia che ci suggerisce che il
meccanismo patogenetico della glomerulonefrite sia riconducibile a molteplici cause tra cui l’ipoperfusione
renale cronica, la dislipidemia e l’ipoplasia dei vasi.
BIBLIOGRAFIA
1. Thadhani R, Pascual M, Nickeleit V, Tolkoff-Rubin N, Colvin R. Preliminary description of focal
segmenal glomerulosclerosis in patients with renovascular disease. Lancet 1996;347:231-233
2. Nishiday Yorioca N, Oda H, Yamakido M Effect of lipoproteins on cultured human mesangial cells.
Am J Kidney Dis 1997;29(6):919-930
3. Miki Y, Shimizu H, Danbara A et al A case of mesangial proliferative glomerulonephritis with
endothelial damage. Nihon Jinzo Gakkai Shi 2002 Oct; 44(7):547-551
24 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 DIAGNOSI ECOGRAFICA D’INFARTO RENALE: CASO CLINICO E REVISIONE DELLA
LETTERATURA
Lucio Dell’ Atti, Giovanni Pietro Daniele, Consuelo Ricci, Gaetano Capparelli, Carmelo Ippolito, Laura
Fornasari, Gianni Ughi, Gian Rosario Russo.
U.O. Urologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Arcispedale “S. Anna”, Ferrara
Mail primo autore: [email protected]
Tel: 0532236078
INTRODUZIONE:
La Trombosi dell’arteria renale è una condizione clinica rara che molto spesso viene misconosciuta e mal
diagnosticata. In una serie di oltre 14.000 autopsie, sono stati rilevati circa 200 casi d’infarto renale. (1)
L’infarto renale di solito si verifica in pazienti con severa aterosclerosi, patologie cardiache o raramente con
malattie di tipo autoimmunitario.
In questo case report viene preso in analisi un caso d’infarto renale sostenuto da una trombosi dell’arteria
renale in un paziente giovane-adulto con fattori di rischio per trombosi, senza una precedente storia di
tromboembolismo.
CASO CLINICO:
Un uomo di 39 anni è giunto in regime di Pronto Soccorso presso nostra U.O. Urologia per comparsa
improvvisa nella notte di dolore in regione lombare sinistra, irradiato anteriormente in fossa iliaca e didimo
omolaterale. Il dolore si manifestava subcontinuo caratterizzato da puntate di tipo colico, resistente ai
comuni antidolorifici. Il paziente si presentava apiretico (T: 36,8°C), alvo regolare, non segni di nausea e
vomito, non disturbi minzionali di tipo ostruttivo o irritativo.
In anamnesi riferiva intervento per varicocele sinistro, pregressa litiasi ureterale destra risoltasi con
espulsione spontanea di calcolo, pregressa ablazione di Fibrillazione Atriale cinque anni fa.
Nessuna terapia domiciliare in atto. Gli esami ematochimici, fatta eccezione di una lieve neutrofilia
risultavano esser nella norma. Eseguiti presso il Pronto Soccorso in regime di emergenza : ECG, Rx diretta
addome, URO – TC senza mezzo di contrasto risultavano esser nella norma e negativi per litiasi, non segni
d’idronefrosi, non versamenti liberi.
Vista la non remissione della sintomatologia algica viene ricoverato presso nostro Reparto e sottoposto ad
ecografia addome che repertava la presenza a carico del parenchima renale di sinistra un ampia area ad
ecostruttura ipoecogena a livello del labbro anteriore del terzo medio e di buona parte del polo inferiore; tale
area non appariva vascolarizzata allo studio color e power – Doppler. Il quadro ecografico appariva
ascrivibile ad un infarto renale.
Pertanto per una migliore definizione del quadro clinico si procedeva ad eseguire una TC Addome con MDC
che confermava nel rene sinistro un ampia area di parenchima renale non vascolarizzato a causa di un
processo trombotico del ramo anteriore dell’arteria renale omolaterale.
Si invia il paziente presso la nostra Radiologia Interventistica e si procede ad arteriografia selettiva
dell’arteria renale sinistra. Evidenziata una trombosi completa del ramo prepielico, previo posizionamento di
catetere angiografico all’interno dell’arteria interessata, si procedeva a trombolisi con 100000 unità di
urochinasi. Il paziente attraverso il posizionamento del catetere angiografico viene sottoposto a terapia
continua trombolitica perfusionale per circa 4 giorni.
Eseguite arteriografie selettive seriate di monitoraggio in terza giornata si documentava la completa
ricanalizzazione del ramo arterioso interessato. Il paziente viene dimesso in decima giornata previa
esecuzione di eco color – doppler renale che documentava segni di rivascolarizzazione parenchinale.
DISCUSSIONE:
L'infarto acuto dell’arteria renale è raramente rilevato nella pratica clinica e questo si riflette nella letteratura
in cui sono descritti diversi casi clinici, anche se manca uno studio prospettico singolo o multicentrico di tale
condizione.
Il primo caso descritto d’infarto renale è apparso nel 1856 da L. Traube in Germania.
Braun e Sawczuk riportano 205 casi di infarto renale identificati in 14.411 autopsie eseguite in un grande
ospedale metropolitano, con un'incidenza del 1,4%, ma la lesione è stata diagnosticata clinicamente solo in
due casi. (1)
Lessman et al. hanno riportato 17 casi (2), Korzets et al. (3) segnalato 11 casi, e Hazanov et al. (4) segnalato
44 casi. L’infarto renale secondario a tromboembolia di solito rappresenta la sequela di una malattia
cardiaca, il cuore è la sorgente di embolia arteriosa sistemica nel 94% dei casi, le tre cause principali sono: la
25 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 fibrillazione atriale, infarto miocardico e stenosi mitralica reumatica. Altre cause includono l’embolizzazione
ateromatosa, raramente alcune malattie autoimmuni e l’uso di sostanze stupefacenti. L’infarto renale è spesso
confuso con altre condizioni cliniche a causa di una sintomatologia similare di presentazione comportando
un ritardo nell'inizio del trattamento e diminuendo significativamente le possibilità di recupero dell’organo.
CONCLUSIONI:
Concludiamo che l'infarto renale acuto è una condizione patologica rara, ed il suo quadro clinico come tutti i
disturbi con dolore addominale è ampia; questa somiglianza può quindi ritardare una diagnosi e trattamento
adeguato. Un alto indice di sospetto ecografico e clinico clinico è importante per aumentare le possibilità di
recupero renale. L’ecografia con utilizzo del color –Doppler può come nel nostro caso a contribuire a
facilitare una rapida diagnosi, ottenuta in maniera certa con TC con MDC, come riportano i dati in
letteratura. Linee guida terapeutiche per l’infarto acuto renale non sono ben stabilite. La terapia
anticoagulante può esser efficace quanto l’intervento chirurgico.
REFERENZE:
1- Braun DR, Sawczuk IS, Axelrod SA. Infarto renale idiopatico.Urology 1995; 5:142-5
2- Lessman RK, Johnson SF, Coburn JW, JJ Kaufman. Embolia dell'arteria renale: aspetti clinici e lungo
termine di follow up di 17 casi. Ann Inter Med 1978; 89 (4) :477-82
3- Korzets Z, Plotkin E, J Bernheim, Zissin R. Il quadro clinico di un infarto renale. Isr J Med Assoc 2002; 4
(10): 781-4.
4- Hazanov N, Somin M, Attali M, et al. Renale acuta embolia-Quaranta quattro casi di infarto renale nei
pazienti con fibrillazione atriale. Medicine di Baltimora 2004; 83 (5) :292-9.
26 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ULTRASONOGRAPHIC FINDINGS IN DUAL KIDNEY TRANSPLANTATION
S.V. Impedovo, S. Palazzo, P. Ditonno, M. Tedeschi, F. Palumbo, A. Tafa, M. Battaglia,
P. Martino
Dipartimento dell’emergenza e dei trapianti d’organo
Sezione di Urologia, Andrologia e Trapianto di reni
Università degli Studi di Bari
INTRODUCTION:
The organ shortage has led to use grafts from expanded criteria donors (ECD). Double kidney transplantation
is an accepted strategy to increase the donor pool, using organs from an ECD, which are not acceptable for
single kidney transplantation (KT). It is possible to perform the double transplantation by placing the kidneys
in both iliac fossae bilaterally or unilaterally in one iliac fossa. The aim of this retrospective study was to
analyse the role of colour Doppler ultrasound (CDUS) in the diagnosis of major surgical complications in
patients with dual kidney transplantation (DKT) performed as unilateral or bilateral ones.
MATERIALS AND METHODS:
From 2000 to 2011 we performed 54 DKT. The unilateral placement of both kidneys was done in 26 patients
while the others 28 received bilateral DKT through two separate Gibson incisions (18) or one midline
incision (10). Each patient underwent at least 3 CDUS before the hospital discharge. Main surgical
complications discovered initially tanks to US were hydronephrosis from ureteral obstruction, lynfocele and
deep venous thrombosis.
RESULTS:
Mean follow up time was 42.7 months. Good postoperative renal function was demonstrated in 25 patients
(46.3%) while delayed graft function occurred in 29 (53.7%). Ureteral obstruction requiring surgery was
discovered tanks to ultrasound scan in 5 unilateral DKT while no patient undergone to bilateral DKT,
developed severe hydronephrosis. Lynfocele surgically drained was demonstrated in 6 bilateral DKT with
midline incision, 2 bilateral DKT with two separate incisions and 3 unilateral DKT. By CDUS was also
possible to make diagnosis of 2 cases of deep vein thrombosis (dvt) in ipsilateral DKTs.
DISCUSSION:
DKT of marginal kidneys is a safe strategy to expand the donor pool by offering to transplant candidates a
very satisfactory kidney transplantation in terms of renal function (1-3). However, DKT has a potentially
greater risk of surgical complications compared with single kidney transplantation. Frequently these
complications are clinically asymptomatic and occur late when treatment is more difficult. Ultrasound allows
early detection of these events and therefore early treatment.
CONCLUSIONS:
CDUS provides useful information in patients with DKT, allowing detection of clinically unsuspected
unilateral diseases. Through the U.S. study of our patients we observed that unilateral DKTs are more
susceptible to develop dvt and urethral stricture, while the incidence of voluminous lymphocele is more
frequent in the bilateral DKT trough single midline incision. According to this arguments, each patient
undergoing DKT, should be carefully monitorized trough ultrasonography after surgery.
1. Bunnapradist S, Gritsch HA, Peng A, et al. Dual kidneys from marginal donors as a source for
cadaveric renal transplantation in the United States. J Am Soc Nephrol. 2003;14:1031-1036.
2. Gill J, Cho YW, Danovitch GM, et al. Outcomes of dual adult kidney transplants in the United
States: an analysis of the OPTN/UNOS database. Transplantation. 2008;85:62-68
3. Salifu MO, Norin AJ, O’Mahony C, et al. Long-term outcomes of dual kidney transplantation-a
single center experience. Clin Transpl. 2009; 23:400-406.
27 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 CALCOLOSI RENALE LIQUIDA: QUANDO L’ECOGRAFIA RENALE FA LA DIFFERENZA
Liccardo A.1, Rocca-Rey L.A.1, Procaccio M.1,Consonni P.2, Bertoli S.V.1
1 U.O. di Nefrologia e Dialisi - Ist. Osp. Multimedica, Castellanza (VA)
2 U.O. di Urologia - Ist. Osp. Multimedica, Castellanza (VA)
Il Signor Z.G., di 64 aa, giunge alla nostra osservazione presso l’Ambulatorio della Calcolosi, lamentando
dolore di tipo urente, localizzato al fianco sinistro, fisso e non associato a fenomeni neurovegetativi. Il
paziente nega macroematuria e reca con sé esami di funzionalità renale nella norma, esame urine standard
indifferente e Rx addome smc che evidenzia, sulla proiezione della loggia renale sinistra, immagine
tondeggiante, a densità calcica, delle dimensioni di circa 15 mm. Non rilievi patologici all’esame obbiettivo
generale. Viene richiesto approfondimento diagnostico con uroTC con mdc e ricostruzioni MIP della via
escretrice; l’esame evidenzia formazione litiasica di circa 15 mm in un calice del gruppo inferiore
apparentemente escluso dalla via escretrice; ad un più attento esame delle immagini TC sembra evidenziarsi
piccola falda liquida disposta attorno alla formazione litiasica. Si richiede pertanto approfondimento con
ecografia renale che dimostra idrocalice inferiore contenente echi intensi, con sbarramento acustico
posteriore, che si estendono per circa 15 mm e che variano di posizione al variare del decubito del paziente,
assumendo, in alcune posture, aspetti di “livello liquido-solido”; il quadro ecografico è suggestivo per
calcolosi renale liquida in idrocalice escluso. Le immagini TC, riviste alla luce del reperto ecografico,
confermano la diagnosi. Il paziente viene pertanto escluso dal trattamento di litotrissia extracorporea
(ESWL) inizialmente ipotizzato; la sintomatologia riferita è infatti da ascriversi a radicolalgia conseguente a
quadro di spondiloartrosi della colonna lombo-sacrale.
La Calcolosi Renale Liquida (Milk of Calcium Renal Stone) è un’evenienza piuttosto rara (meno dell’1% di
tutti i casi di calcolosi renale) e si caratterizza per la presenza di una sospensione semiliquida di sali di calcio
in un diverticolo caliciale o in un segmento ectasico di un dotto collettore.
Un accurato esame ecografico permette di diagnosticare con certezza la presenza di questo particolare tipo di
calcolosi renale, e di effettuare diagnosi differenziale con altre patologie renali, quali nefrolitiasi solida,
nefrocalcinosi, rene a spugna midollare e idropionefrosi.
28 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 VALUTAZIONE ECO(COLOR)DOPPLER E TRATTAMENTO DI STENOSI BILATERALE
DELLE ARTERIE RENALI MEDIANTE ANGIOPLASTICA PERCUTANEA E STENT
A Noce 1, O Durante1, C Parolini 1, S Manca di Villahermosa 1, E Athanasopoulou 1, F Fiorini 2 e N Di
Daniele 1 .
1
Dipartimento di Medicina Interna, Unità di Nefrologia ed Ipertensione, Università degli studi di
Roma“Tor Vergata”
2
SOC di Nefrologia e Dialisi, Ospedale “Santa Maria Della Misericordia” ULLS 18, Rovigo
Primo autore: Annalisa Noce Tel:0620902185
e-mail: [email protected]
La stenosi o l’occlusione mono o bilaterale delle arterie renali può essere causa di ipertensione secondaria.
La causa più frequente di stenosi dell’arteria renale in pazienti, prevalentemente di sesso maschile e di età
superiore ai 50 anni, è l’aterosclerosi.
L’affidabilità diagnostica dell’eco(color)doppler (ECD) e l’efficacia terapeutica dell’angioplastica
nell’ipertensione nefrovascolare sono ancora in discussione.
Presentiamo un caso clinico giunto alla nostra osservazione cinque anni fa. Il paziente di 51 aa, affetto da
insufficienza renale acuta (creatininemia 3,8 mg/dl), microalbuminuria (280 mg/gr di creatinina) ed
ipertensione arteriosa di recente insorgenza non controllata con la terapia farmacologica (220/190-130/110
mmHg), arrivava a noi con diagnosi istologica di glomerulosclerosi focale in fase iniziale ed arteriosclerosi.
L’esame ECD delle arterie renali da noi eseguito, rilevava irregolarità morfologiche delle curve di velocità
nei vasi intrarenali ed elevata velocità di picco sistolico, associata a fenomeni di turbolenza, all’origine di
entrambe le arterie renali, ponendo diagnosi di stenosi bilaterale su base aterosclerotica. L’angio-RMN e la
scintigrafia con test al Captopril hanno confermato tale diagnosi.
Il paziente è stato sottoposto ad angiografia digitale selettiva ed angioplastica percutanea transluminale con
impianto di stent bilateralmente.
L’esame eco(color)doppler eseguito dopo l’intervento ha evidenziato un tracciato di normale morfologia con
ripristino del picco sistolico.
Clinicamente si osservava una riduzione progressiva della pressione arteriosa, fino alla sua completa
normalizzazione, e laboratoristicamente un decremento della creatininemia (1,5 mg/dl) e la scomparsa di
microalbuminuria.
Dopo cinque anni il paziente, in terapia conservativa, presenta un valore normale di pressione arteriosa ed
una insufficienza renale stabile (II stadio, secondo le linee K-DOQI).
Bibliografia.
Granata A, Fiorini F, Andrulli S et al. Doppler Ultrasound and Renal Artery Stenosis: an overwiev. J of
Ultrasound 2009; 12:133-143.
The ASTRAL investigators. Revascularization versus Medical therapy for renal artery stenosis. New
England J of Medicine 2009; 361(20):1953-1962
29 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 DIAGNOSI ECOGRAFICA DI NEOPLASIA DEI RENI NATIVI IN PAZIENTE PORTATORE DI
TRAPIANTO RENALE FUNZIONANTE
A Noce1, G. Iaria2, O Durante1,D Sforza2, P Ciano2, S. Manca Di Villahermosa1, S. Santini1, F Fiorini3,
G. Tisone2 e N Di Daniele1.
1
Dipartimento di Medicina Interna-Servizio di Nefrologia ed Ipertensione-Università degli Studi di Roma
“Tor Vergata”
2
UOC Chirurgia dei trapianti, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
3
SOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale “S. Maria della Misericordia” ULLS 18, Rovigo
Primo autore: Annalisa Noce Tel:0620902185
e-mail:[email protected]
CASO CLINICO
Presentiamo il caso clinico di un paziente di 61 anni trapiantato nel 2007 da donatore cadavere, in dialisi dal
1999 per insufficienza renale cronica da glomerulosclerosi focale e segmentaria. In anamnesi pregresso K
tonsillare nel 1997 trattato chirurgicamente, diverticolosi del colon e vasculopatia polidistrettuale. La terapia
immunosoppressiva post-trapianto è stata: basiliximab (giorno 0 e giorno 4), micofenolato mofetile (1000
mg x2/die) e tacrolimus (con livelli ematici compresi tra 6 e 10 ng/ml).
Il post-operatorio è stato caratterizzato da necrosi tubulare acuta, diagnosticata istologicamente, e risoltasi
dopo 5 settimane. Dopo circa due mesi sono stati inseriti in terapia i corticosteroidi al dosaggio di 20 mg/die
per sospetto di rigetto acuto. Le condizioni cliniche del paziente erano discrete e gli indici di funzionalità
renale lievemente alterati (creatininemia 2 mg/dl), tuttavia è stata interrotta la terapia corticosteroidea per
insorgenza di diabete post-trapianto (PTDM).
A sei mesi dal trapianto, il valore di creatininemia era pari ad 1,4 mg/dl e la microalbuminuria negativa; la
terapia immunosoppressiva seguita dal paziente era: micofenolato (500 mg x2/die), tacrolimus (0,5 mcg
x2/die).
La funzionalità renale e la terapia immunosoppressiva sono rimaste invariate fino a dicembre 2011, quando il
paziente ha riferito episodi di macroematuria per circa una settimana, pertanto è stato sottoposto ad un esame
ecografico. Gli esami ecografici renali eseguiti sia prima del trapianto che dopo (ultimo controllo effettuato a
luglio 2009), risultavano negativi per neoformazioni espansive.
Il controllo di dicembre 2011 evidenziava a carico del rene nativo di destra in corrispondenza del terzo
medio, la presenza di una formazione rotondeggiante delle dimensioni di 3,6 x 3,7 cm ipoecogena acapsulata
ad ecostruttura disomogenea (ipo-iperecogena), con presenza di segnali colore intra-perilesionali che al
campionamento Doppler mostravano bassa velocità e bassa resistenza,; analoga formazione era presente a
livello del rene di sx in sede polare inferiore delle dimensioni di 10 x 7,8 cm.
Pertanto il paziente ha eseguito una TC total body che ha evidenziato a carico dei reni nativi, che
presentavano aspetto pielonefritico cronico, una grossolana lesione discariocinetica con ampie componenti
necrotico-colliquative nel contesto ( 10 x 7,8 cm) localizzata a livello del rene sx ed analogo reperto era
presente in sede mediana del rene destro (3,7 x 3,6 cm). Inoltre, a livello del torace era presente una
grossolana lesione discariocinetica a carico dell’emitorace di sinistra con dimensioni di 5,3 x 4,8 cm.
A gennaio 2012 il paziente è stato sottoposto a binefrectomia dei reni nativi ed a switch terapeutico: il
tacrolimus è stato sostituito da everolimus (con livelli ematici intorno a 8 ng/ml) ed il dosaggio del
micofenolato mofetile è stato ridotto a 500 mg/die. Il referto istologico ha evidenziato un carcinoma renale a
cellule chiare in entrambi i reni, infiltrante la capsula renale (pT3).
A marzo 2012 il paziente è stato sottoposto a lobectomia superiore sinistra (carcinoma squamo cellulare
cheratinizzante ampiamente necrotico non infiltrante la pleura nel margine di resezione bronchiale –
pT2b,N0).
Attualmente il paziente presenta creatininemia pari a 0,8 mg/dl ed è in terapia solamente con everolimus
(livelli ematici pari a 7 ng/ml) e le sue condizioni generali sono discrete.
DISCUSSIONE
I più frequenti tumori diagnosticati nei trapiantati di rene sono i tumori della pelle, i genitourinari e le
neoplasie linfoproliferative. Kasiske ed i suoi collaboratori hanno evidenziato un’incidenza 20 volte
superiore rispetto alla popolazione generale del sarcoma di Kaposi e del linfoma non Hodgkin.
Negli ultimi anni è stato inoltre osservato un incremento da 10 a 100 volte, rispetto alla popolazione generale
anche dei tumori nei reni nativi. In particolare, il carcinoma a cellule chiare dei reni nativi oltre ad essere più
frequente, è anche più aggressivo rispetto alla popolazione generale.
30 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 CONCLUSIONI
Come si evidenzia in letteratura, gioca un ruolo fondamentale la diagnosi precoce delle neoplasie nei
trapiantati. Pertanto è auspicabile che tutti i pazienti trapiantati annualmente siano sottoposti ad esame
ecocolorDoppler, non solo del rene trapiantato ma soprattutto dei reni nativi, al fine di poter effettuare una
diagnosi precoce.
BIBLIOGRAFIA
4. Garcia Alvarez T, Mazuecos Blanca A, Navas Garcia Net al. Early diagnosis and treatment of renal
cell carcinoma of native kidney in kidney transplantation. Nefrologia 2011; 31(5):567-72
5. Kasiske BL, Snyder JJ, Gilbertson DT et al. Cancer after kidney transplantation in The United
States. Am J Transplant 2004; 4(6): 905-13
31 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 UN CASO DI IPERECOGENICITA’ CORTICALE RENALE MONOLATERALE IN ASSENZA DI
CORRISPETTIVO CLINICO
Rocca-Rey L.A.1, Liccardo A.1, Procaccio M.E.3, Consonni P.2, Bertoli S.V.3
1
U.O. di Nefrologia e Dialisi – Casa di Cura Multimedica Presidio di Castellanza
2
U.O. di Urologia – Casa di Cura Multimedica, Presidio di Castellanza
3
U.O. di Nefrologia e Dialisi – Casa di Cura Multimedica Presidio di Sesto S. Giovanni
N.Z., di 15 anni, giunge in PS per dolore di tipo urente in ipocondrio dx, non modificabile con il decubito;
nega iperpiressia o disturbi minzionali; viene somministrato anti-spastico ev e dimesso. Circa due settimane
dopo giunge nuovamente in PS, riferendo lo stesso tipo di dolore; gli esami ematochimici non mostravano
alcuna alterazione, in particolare creatinina, urea, funzionalità epatica ed elettroliti risultavano nella norma,
normali gli indici di flogosi; da segnalare proteinuria modesta (++) in assenza di altre alterazioni urinarie. Rx
Torace negativo, non lesioni costali; è stata eseguita ecografia renale che mostrava reni regolari per
dimensioni e morfologia, in assenza di calcoli o idronefrosi; evidente peraltro iperecogenicità corticale
esclusiva del rene destro. Il paziente giunge quindi alla nostra osservazione recando ecografia renale che
confermava ipercogenicità corticale a carico del rene destro. Una nuova ecografia renale conferma
un’alterazione del parenchima renale di destra, per netto incremento dell’ecogenicità parenchimale
(sovrapponibile a quella epatica) con virtuale scomparsa della differenziazione cortico-midollare;
vascolarizzazione ed indici di resistenza apparivano bilateralmente nella norma (IR 0.64 a dx e 0.59 a sn).
Gli esami di funzione renale prescritti erano nella norma (sCr 0.54mg/dl, sUrea 28 mg/dl, sUrato 5 mg/dl);
esame urine standard indifferente (pH 5, P.S. 1031, chetoni 5 mg/dl, GR 10/mcrL, GB e nitriti assenti),
urinocoltura negativa. I markers virali per EBV, CMV, HAV e HCV, erano negativi per infezioni acute in
atto. Cistoureterografia retrograda e minzionale negativa per reflusso vescico-ureterale, in assenza di residuo
post-minzionale. La scintigrafia renale evidenzia regolare fase perfusionale bilateralmente, ridotta
concentrazione del radiofarmaco a destra (rene in sede, di morfologia conservata, volume ridotto) durante la
fase corticale, regolare fase escretiva bilateralmente con GFR totale di 126 ml/min (destro 53 ml/min,
sinistro 73 ml/min). In considerazione della funzione renale normale e dell’assenza di rilevanti evidenze
cliniche, si soprassiede ad ulteriori accertamenti e si programma follow-up ecografico e laboratoristico. A
distanza di sei mesi, sempre in assenza di rilevante sintomatologia, è stata eseguita nuova ecografia renale
sostanzialmente invariata rispetto al controllo. Le ipotesi diagnostiche comprendono le glomerulonefriti, la
patologia vascolare, la nefropatia da reflusso, le malformazioni renali congenite, le pielonefriti su base
infettiva. Ciascuna delle ipotesi diagnostiche è però stata esclusa sulla scorta degli accertamenti clinicolaboratoristici eseguiti e, per la monolateralità dell’alterazione ecografica che esclude, per esempio, le
glomerulonefriti. E’ stata quindi eseguita una ricerca bibliografica con “Pubmed” (parole chiave: monolateral
kidney ultrasound abnormalities AND kidney disease; monolateral kidney iperechogenicity) che non ha
prodotto risultati. Gli Autori ritengono pertanto possa trattarsi di un raro caso di alterazione ecografica del
rene in assenza di corrispettivo clinico.
32 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Giovedì,17 maggio Poster Andrologici
33 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 CRIOPRESERVAZIONE DEL LIQUIDO SEMINALE “IN EMERGENZA” DOPO FRATTURE
MULTIPLE TESTICOLARI BILATERALI
G. Liguori, S. Bucci, S. Benvenuto, A. Boltar, G. d’Aloia, R. Napoli, G. Ollandini, G. Mazzon,B. De
Concilio, N. Pavan, A. Zordani, E. Belgrano, C. Trombetta
Clinica Urologica; Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
Scopo del lavoro
Presentiamo un caso paradigmatico di un pz, già affetto da infertilità di coppia, in cui abbiamo eseguito una
criopreservazione del liquido seminale “in emergenza” a pochi giorni da un trauma chiuso dello scroto con
perdita quasi totale del parenchima testicolare per la preservazione della fertilità.
Materiali e metodi
AC, 31 aa, dopo incidente motociclistico con severo trauma da schiacciamento dello scroto sul serbatoio,
giunge per uno scroto acuto con dolore irradiatesi bilateralmente al canale inguinale e al fianco associato a
nausea. All’esame obiettivo lo scroto era teso, aumentato di volume ed era evidente un modesto ematoma.
L’ecocolor Doppler (ECD) scrotale dimostrava a destra la presenza di residui del testicolo che era
ipoecogeno, disomogeneo e ormai completamente avascolare. A sinistra invece il testicolo appariva più
conservato, sebbene comunque disomogeneo in toto e marcatamente ipovascolarizzato. Eseguiva quindi una
RM che confermava il dato ecografico.
Il paziente eseguiva una esplorazione chirurgica: l’emiscroto destro era disabitato ed il parenchima
testicolare completamente distrutto; venne quindi eseguita una orchiectomia. A sinistra, invece, nonostante
fossero presenti importanti lacerazioni dell’albuginea e vi era parziale fuoriuscita di parenchima testicolare,
il testicolo sembrava in minima parte ancora vitale per cui veniva eseguita una sutura delle brecce albuginee
al fine di preservare almeno una minima quota di funzione testicolare.
Il pz quindi, già di base affetto da infertilità di coppia e per questo seguito dal nostro ambulatorio, dopo
questo incidente presentava una elevatissima probabilità di compromettere completamente la sua già ridotta
funzionalità gonadica e di diventare azoospermico. Per questo motivo, nell’immediato postoperatorio a 10 gg
dall’incidente, abbiamo invitato il paziente ad eseguire uno spermiogramma e vennero evidenziati 40 milioni
di spermatozoi che furono crioconservati.
Il pz presentava inoltre valori di testosterone al di sotto della soglia per cui venne iniziato un trattamento
ormonale sostitutivo.
Risultati
Tre mesi dopo il trauma il pz presentava una funzione erettiva ed eiaculatoria normale, ma lo
spermiogramma evidenziava la presenza di azoospermia. L’ECD dimostrava un testicolo residuo ipotrofico
(circa 7 cc) disomogeneo ed ipovascolarizzato.
Discussione
I trauma testicolari rappresentano la seconda causa di infertilità maschile acquisita e sono generalmente
dovuti a incidenti stradali, traumi sportivi o lavorativi. Nella letteratura internazionale il tema del trattamento
dei traumi dell’apparato genitale che condizionano negativamente la funzione gonadica e quindi la futura
fertilità è molto poco trattato.
Conclusioni
Al fine di prevenire una futura infertilità, il nostro studio sottolinea l’importanza di eseguire prima possibile
il congelamento del liquido seminale dopo traumi dell’apparato genitale con perdita totale o quasi del tessuto
testicolare.
34 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Venerdì,18 maggio Comunicazioni Andrologiche
35 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ANGIOMA CAVERNOSO DEL CORPO SPONGIOSO DELL’URETRA
Autori: M. Abbinante*, S.Crivellaro*, L.Tosco*, G. Mastrocinque**, E. Ammirati*, B.Frea*
* Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine, Clinica Urologica
P.le S.nta Maria della Misericordia 15 - 33100 - Udine (UD) – Italia
** AOUP Paolo Giaccone di Palermo, Clinica Urologica
Via del Vespro 129 – 90127 – Palermo (PA) - Italia
Introduzione
Gli angiomi uretrali sono tumori vascolari rari e benigni. Il loro aspetto istologico è caratterizzato da lacune
vascolari circoscritte da sottili pareti di cellule endoteliali. La loro origine non è ben conosciuta;
verosimilmente originano da una cellula staminale angioblastica unipotente, incapace di seguire la normale
linea differenziativa delle cellule della parete vascolare. La variante più comune è l’emangioma cavernoso. Il
trattamento a tutt’oggi può rappresentare una procedura complessa, variando da approci trans-uretrali alla
chirurgia ricostruttiva open. Di seguito riportiamo il caso di un giovane uomo affetto da angioma cavernoso
del corpo spongioso dell’uretra, sottoposto ad asportazione della neoformazione in chirurgia open.
Caso clinico
Il paziente, un giovane uomo di 18 anni, giunge alla nostra osservazione nel gennaio 2012 lamentando, da
circa tre settimane, episodi frequenti di uretrorragia monosintomatica con emissione di coaguli e con
riscontro presso altro nosocomio di anemia, tale da dover effettuare terapia emotrasfusionale e marziale. Al
ricovero l’Hb era di 9.2g/dl.
All’esame obiettivo: obbiettività addominale negativa, genitali esterni nei limiti, nulla di anomalo a carico
dei corpi cavernosi del pene, presenza di coaguli freschi fuoriuscenti dal meato uretrale dopo manovra di
spremitura.
Viene quindi sottoposto, in regime di ricovero, ad uretrocistoscopia con evidenza nel lume uretrale di un’area
protrudente a circa sei centimetri dal meato esterno, con due boccucce venose sanguinanti, ad ore 12; vescica
di aspetto regolare in tutti i settori.
L’iter diagnostico viene completato con studio ecografico dell’uretra mediante sonda lineare 7.5 MHz
(ecografo Hitachi), che confermava la presenza di alcune lacune anecogene comunicanti, in sede periuretrale, che mostravano un vivace segnale vascolare alla valutazione con ECD. Tale formazione risultava
rifornita da un ramo di provenienza dal corpo cavernoso sinistro.
E’ stato quindi sottoposto nel febbraio 2012 ad intervento di asportazione di angioma del corpo spongioso
dell’uretra: “Incisione subcoronale e degloving penieno. Emostasi. Sezione bilaterale della fascia di Buck
lateralmente al corpo spongioso dell'uretra. Si identifica a circa 6 cm dal meato uretrale esterno vaso
proveniente dal corpo cavernoso sinistro tributario di angioma del corpo spongioso dell'uretra. Legatura e
sezione dello stesso. Succesiva incisione e drenaggio di piccolo ematoma angiomatoso, sutura della piccola
breccia chirurgica in punti riassorbibili Vicryl 3/0. Emostasi e sutura bilaterale della fascia di Buck
bilateralmente in Vicryl 3/0. Sutura dell'accesso chirurgico e frenuloplastica in Vicryl rapid 3/0. Perdite
ematiche trascurabili. Posizionamento di Foley 16 Ch.”.
A distanza di un mese dall’intervento chirurgico, il paziente è stato sottoposto a nuovo studio ecografico
dell’uretra mediante sonda lineare 7.5 MHz (ecografo Hitachi), in cui la spongiosa uretrale appare
riccamente vascolarizzata, come da verosimili processi infiammatorio-riparativi e si riconosce sul versante
sinistro, al confine tra la spongiosa uretrale ed il corpo cavernoso sinistro, una minuta lacuna anecogena
(circa 2,5 mm) che prende segnale alla valutazione color-doppler; tale struttura appare in continuità solo con
il corpo cavernoso.
Discussione
La Letteratura disponibile indica che l’emangioma uretrale è una patologia rara, che può colpire soggetti di
ogni età. La maggioranza dei casi colpisce soggetti di sesso maschile. Il quadro clinico può essere variabile,
in relazione alla sede ed alle dimensioni della lesione. Le manifestazioni più frequenti sono l’emospermia,
l’uretrorragia e la macroematuria terminale dopo il coito o l’esercizio fisico intenso; lesioni di grosse
dimensioni si possono, meno frequentemente, presentare con sintomatologia ostruttiva delle vie urinarie o
come una massa protrudente sul meato uretrale. L’uretroscopia e l’ecografia uretrale con colordoppler
vengono considerati ad oggi il gold standard per l’inquadramento diagnostico di questa rara patologia.
Le lesioni asintomatiche solitamente non richiedono trattamenti, mentre le lesioni clinicamente evidenziabili
richiedono, nella maggior parte dei casi, l’escissione in chirurgia open dell’angioma e la ricostruzione
uretrale. I trattamenti con LASER possono essere una scelta alternativa alla chirurgia open, mentre
l’elettrocauterizzazione, utilizzata in passato, è oggi in disuso. Non esistono in letteratura studi esausitivi
sull’approcio endoscopico mentre l’impiego dell’embolizzazione selettiva del vaso rifornente può creare
36 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 difficoltà nel controllo del sanguinamento. La maggior parte dei pazienti, nel follow-up a quattro mesi, non
presentano più sintomi.
Conclusioni
L’asportazione chirurgica di un angioma del corpo spongioso dell’uretra, seppur di non facile esecuzione,
sembra ad oggi essere l’indicazione prevalente nella risoluzione di questa rara patologia. Lo studio e la
gestione di questi angiomi uretrali richiedono un’attenta valutazione preoperatoria nel definire l’estensione e
l’esatta sede della lesione. A tal fine si possono utilmente impiegare l’uretrocistoscopia e l’ecografia uretrale.
Riferimenti
Urethral Hemangioma. An Unusual Cause of Hematuria, S Parshad, SP Yadav, B Arora, Urol Int.
2001; 66(1):43-5
Hemangioma of Penile Urethra-Treatment with Simple Transurethral Excision: a Case Report, I
Efthimiou, D Kavouras, P Vasilakis, S Katsanis, Cases Journal 2009, 2:6199
Benign Neoplasm oh the Urethra, As Segal, IaD Kan, IaL Dunaevskiî, DG Dolgopiatov, Urol Nefrol
(Mosk) 1996, May-Jun;(3):39-42
37 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 TORSIONE DI UN TESTICOLO NEOPLASTICO INTRASCROTALE: QUANDO È LA
TORSIONE CHE RIVELA LA MASSA. A CASE REPORT AND REVIEW
Giuseppe Albino1, Rosanna Nenna2, Antonio Corvasce1, Ettore Cirillo Marucco1.
(1) UO di Urologia, Ospedale “L.Bonomo”, Andria, ASL BAT.
(2) UO di Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale “L.Bonomo”, Andria, ASL BAT.
Introduzione
I casi di torsione del funicolo sono rari oltre i 30 anni. Tra i 20 ed i 30 anni le casistiche riportano una
prevalenza fra il 33% e il 52% fra tutti i pazienti con diagnosi di scroto acuto in quella fascia di età [1], il 4%
tra 30 e 35 anni [2], ma sono riportati anche casi di torsione testicolare fino a 68 anni [3]. Anche se
raramente i tumori testicolari si possono manifestare con la sintomatologia dello scroto acuto.
Materiali e metodi
E’ riportato il caso di un paziente di 38 anni che si è presentato alla nostra attenzione per una sospetta
torsione del testicolo sinistro. Riferiva che il dolore si era manifestato acutamente 2 giorni prima, ma che
sollevando e facendo ruotare il testicolo all’interno dello scroto il dolore era scomparso e si era ripresentato
la mattina in cui si è dovuto recare al Pronto Soccorso. All’esame obiettivo il testicolo risultava nettamente
aumentato di dimensioni rispetto al controlaterale (x 2.5 volte), aumentato di consistenza e dolente. La testa
dell’epididimo si palpava posteriormente in basso come per una rotazione di 180°. La derotazione manuale
faceva scomparire drammaticamente il dolore. L’ecocolordoppler eseguito dopo la derotazione manuale
mostrava uno sconvolgimento della trama parenchimale con una vascolarizzazione accentuata. Il quadro
ecografico è stato interpretato come una ipervascolarizzazione reattiva alla flogosi secondaria alla necrosi di
alcune aree del testicolo più volte sottoposto a sub torsioni. Proposto il ricovero per effettuare l’orchidopessi,
il paziente ha rifiutato l’intervento. Si è presentato alla nostra osservazione dopo circa un mese di episodi
ricorrenti di sub torsione, con l’internzione di essere sottoposto alla orchidopessi.
Risultati
All’apertura dello scroto il testicolo appariva nettamente aumentato di volume (x2.5) con albuginea integra
ma tesa, che mostrava grossolane aree emorragiche sotto albuginee, a macchia di leopardo, le più grossolane
a carico del polo superiore. Con l’intento di detendere il testicolo è stata eseguita una incisione polare
superiore dell’albuginea con evacuazione di materiale necrotico emorragico, inviato per esame istologico.
Dopo aver suturato l’albuginea è stata praticata l’orchidopessi, come da programma. A sorpresa, la diagnosi
istologica del materiale prelevato metteva in evidenza la presenza di uno Yolk Sac Tumor. E’ stata eseguita
l’orchifunicolectomia radicale con asportazione in blocco dell’emiscroto sinistro. L’Alfa feto proteina (AFP)
2749 ng/ml prima dell’orchiectomia, era < 4 ng/ml un mese dopo l’intervento. La TC di staging è risultata
negativa per linfonodi e metastasi a distanza (N0, M0). Ha eseguito 4 cicli di chemioterapia e a 5 mesi di
follow up non risultano recidive di malattia.
Discussione
In letteratura sono riportati 39 casi di torsione di un testicolo ritenuto in addome con neoplasia [4][5], mentre
solo 7 casi di torsione intrascrotale di un testicolo con neoplasia [6][7]. Il nostro è l’ottavo caso. Il motivo per
cui le torsioni dei testicoli neoplastici intra addominali risultano prevalenti rispetto agli intrascrotali risiede
nel fatto che la diagnosi di neoplasia testicolare intrascrotale è fatta occasionalmente grazie
all’autopalpazione o ad una visita di routine prima che avvenga una eventuale torsione, mentre la presenza di
una neoplasia su un testicolo ritenuto in addome su cui avviene una torsione acquista rilievo clinico da
menzionare in un case report. Deve far riflettere il fatto che in una serie di 48 esplorazioni laparoscopiche per
asportare in elezione il testicolo criptorchide, nessuno degli esami istopatologici rilevava la presenza di
neoplasia [8], mentre su 41 case report di torsione intra addominale di testicolo, solo 2 non mostravano
neoplasie, ma 1 dei 2 mostrava idrocele [9]; gli altri 39 casi mostravano neoplasia.
Conclusioni
Sembra che ci sia una forte correlazione fra la presenza di una massa testicolare e la possibilità che avvenga
una torsione spontanea in addome, probabilmente a causa dell’asimmetrica distribuzione del peso
parenchimale causato da una massa testicolare. Se ciò sembra vero in addome, sarebbe ancora più verosimile
per i testicoli intrascrotali, che godono di un maggiore grado di libertà. Queste riflessioni devono spingere ad
indagare sull’eventuale presenza di una neoplasia testicolare misconosciuta, anche per i casi evidenti di
torsione del funicolo.
38 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 References
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History, Physical, and Laboratory Examinations. 3rd edition. Boston: Butterworths; 1990. Chapter 186.
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[3] Davol P, Simmons J. Testicular torsion in a 68 year old man. Urology 2005; 66:195.
[4] Hutcheson JC, Khorasani R, Capelouto CC, Moore FD Jr, Silverman SG, Loughlin KR. Torsion of
intraabdominal testicular tumors. A case report. Cancer 1996;77: 339-43.
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out of the inguinal canal: a case report. Hinyokika Kiyo 2009; 55: 783-5.
[6] Oda H, Sakaguchi K, Kanemura M, Yokoyama M. Torsion of a seminoma in an intrascrotal testis. A case
report. Nihon Hinyokika Gakkai Zasshi 1994; 85: 1273-5.
[7] Minagawa T, Murata Y. Testicular cavernous hemangioma associated with intrascrotal testicular torsion:
a case report. Hinyokika Kiyo 2009; 55: 161-3.
[8] Bugel H, Pfister C, Liard-Zmuda A, Bachy B, Mitrofanoff P. The value of examination and treatment
using laparoscopy in non-palpable testes: apropos of a series of 48 cases. Prog Urol 1998; 8: 78-82.
[9] Kinoshita Y, Shono T, Nishimoto Y, Masumoto K, Taguchi T, Suita S. A case of an abdominoscrotal
hydrocele surgically treated under laparoscopic assistance. J Pediatr Surg 2006; 41: 1610-2.
39 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 IMPIANTO ECOGUIDATO DI PROTESI PENIENA TRICOMPONENTE IN PAZIENTI AFFETTI
DA FIBROSI DEI CORPI CAVERNOSI
M. Bitelli, M.Valitutti, A. Berardi, G. Naccarato, F. Carbonaro, G. Virgili, A. Zucchi, G. Vespasiani
Ospedale S. Sebastiano Martire , Frascati (Roma)
Aurelia Hospital, Roma
Cattedra di Urologia, Università degli studi di Perugia
Cattedra di Urologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Introduzione: L’impianto di protesi peniena in pazienti con fibrosi dei corpi cavernosi è soggetto ad un alto
rischio di complicanze intra e post operatorie. In questi pazienti la dilatazione dei corpi cavernosi, poiché
effettuata “a cieco”, risulta essere la manovra tecnicamente più a rischio di complicanze come perforazione
dell’albuginea, cross over e lesioni uretrali.
Questo lavoro descrive l'utilità dell'ecografia come monitoraggio visivo durante tali fasi dell’intervento al
fine di evitare le suddette complicanze.
Materiali e metodi: Dal Settembre 2008 a Dicembre 2011 abbiamo effettuato 8 impianti protesici in pazienti
con fibrosi estesa dei corpi cavernosi (2 idiopatiche, 1 post traumatica, 5 post priapismo). La valutazione
ECD preoperatoria che mostrava fibrosi diffusa dei corpi cavernosi e il conseguente DE, i pazienti sono stati
sottoposti ad intervento chirurgico per l’impianto di protesi peniena tricomponente. Dopo il tentativo
infruttuoso di dilatazione con Hegar, con l’ausilio di sonda lineare 7.5 Mhz posta ventralmente veniva
ripetuta tale manovra in 6 casi con forbice smussa ed in 2 casi con Hegar e successivamente con forbice
smussa. La stessa tecnica è stata utilizzata per la dilatazione della porzione crurale dei corpi cavernosi
posizionando la sonda in sede perineale Dopo tale manovra veniva effettuata la misurazione dei corpi
cavernosi ed il successivo impianto dei cilindri.
Risultati: Tutti gli impianti protesici sono andati a buon fine senza complicanze intra-peri operatorie.
Nessuna difficoltà è stata incontrata nella dilatazione dei corpi cavernosi. Il tempo operatorio è stato
sostanzialmente sovrapponibile alla metodica standard.
Conclusioni: L’utilizzo della guida ecografica intraoperatoria è di ausilio nell’impianto di protesi peniena
nei pazienti affetti da fibrosi dei corpi cavernosi. La tecnica è semplice, sicura, a basso costo e riduce
nettamente l’incidenza di complicanze intra operatorie
40 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 SITE SPECIFIC LEAK NELLE LESIONI DA IPP: ESPERIENZA PERSONALE E DATI
PRELIMINARI
M. Bitelli1, M. Valitutti2, A. Zucchi3, G. Alei4, P. Letizia4, F. Ricottilli4, G. Virgili5, S.M. Di Stasi5, G.
Vespasiani5
1
UOC Urologia Ospedale S. Sebastiano, Frascati (Roma)
Aurelia Hospital, Roma
3
Cattedra di Urologia, Università degli Studi di Perugia
4
Dipartimento di Chirurgia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
5
Cattedra di Urologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
2
Introduzione: I dati di letteratura confermano la relazione tra IPP e disfunzione erettile sebbene non sia
ancora chiaro quale delle due preceda l’altra ed esistono poche informazioni riguardo la prevalenza e
soprattutto i meccanismi di insorgenza della DE in questa categoria di pazienti. Questo lavoro, parte di uno
studio multicentrico, esamina i quadri ECDP in pazienti affetti da IPP con particolare attenzione alla
presenza di SSL (Site Specific Leak) perilesionali.
Materiali e metodi: Dal 2006 al 2011 sono stati reclutati 84 pazienti in 5 centri; criteri di inclusione sono
stati l’assenza di DE all’insorgenza della malattia documentata attraverso il questionario IIEF, assenza di
traumatismi penieni e di fattori di rischio per DE in anamnesi. A 12 mesi dall’insorgenza della malattia i
pazienti venivano sottoposti a IIEF e in caso di DE veniva effettuato uno studio ECDP con particolare
attenzione alla stadiazione della placca e alla presenza eventuale di SSL.
Risultati: Degli 84 pazienti arruolati 39 (32,7%) hanno riferito DE a 12 mesi dall’insorgenza dell’IPP
confermato dai risultati del questionario IIEF. Il successivo esame ECDP ha mostrato deficit arterioso in
5/39 pazienti deficit misto in 6/39 e disfunzione venoocclusiva in 29/39 (62%).
Dei 29 pazienti con DVO 23 (67%) presentavano SSL periplacca confermati con studio flussi metrico
Doppler. Ad una prima analisi non sembra esserci correlazione tra localizzazione della placca ed alterazioni
emodinamiche specifiche.
Conclusioni: I risultati preliminari del nostro studio confermano la correlazione IPP-DE anche in pazienti
senza fattori di rischio precedenti all’insorgenza della malattia. La DVO si conferma essere la causa
maggiore di DE in pazienti con IPP e la contemporanea presenza di SSL periplacca può spiegare l’origine
della DVO stessa nella maggioranza di questi pazienti.
41 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 COMPARAZIONE TRA ANESTESIA ECOGUIDATA E DIGITOGUIDATA NELLA
PREPARAZIONE DEL PAZIENTE ALLA BIOPSIA PROSTATICA
Giuseppe D’Eramo, Daniela Fasanella, Francesca Di Quilio, Peter Molnar, Stefano Salciccia,
Alessandro Sciarra e Vincenzo Gentile
Dipartimento di Urologia “U. Bracci”, Policlinico Umberto I, Roma
In memoria del prof. Franco Di Silverio
INTRODUZIONE: Ci proponiamo di valutare l’efficacia della anestesia ecoguidata rispetto alla
digitoguidata nella riduzione del fastidio e del dolore durante l’esecuzione della biopsia prostatica.
MATERIALI E METODI: Tra marzo 2011 e gennaio 2012 abbiamo sottoposto a biopsia prostatica 150
pazienti che presentavano elevati livelli di psa e/o un rapporto psa libero/totale inferiore del 15% e/o
un’alterazione rilevata all’esame ecografico, e/o una positività all’esplorazione rettale
I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi. In 75 pazienti (gruppo A) è stata eseguita una anestesia
locale ecoguidata con una dose di 10 ml di mepivacaina 1%; negli altri 75 pazienti (gruppo B) è stata
eseguita una anestesia locale digitoguidata sempre con egual dose di 10 ml di mepivacaina 1%.
Dopo la biopsia abbiamo tenuto i pazienti in osservazione per due ore, ed è stato chiesto loro di fornire una
descrizione del dolore provato durante la biopsia, usando una scala di valori da 1 a 10 (Visual Analogue
Scale; 1 se non hanno provato dolore fino a 10 se hanno provato un dolore insopportabile).
RISULTATI: I pazienti del gruppo A hanno mostrato valori del VAS score più bassi rispetto ai pazienti del
gruppo B. Ematuria è stata riscontrata in 87 pazienti; 13 pazienti hanno presentato un episodio vasovagale. Si
è verificato solo un episodio di ritenzione acuta di urina, per cui è stato sottoposto a posizionamento di
catetere vescicale. Nessun paziente ha riportato infezioni a carico delle basse vie urinarie e/o sanguinamento
rettale.
DISCUSSIONE: La biopsia prostatica è un esame ormai routinario, eseguito per diagnosticare la presenza o
l’assenza di una neoplasia prostatica. E’ comunque una metodica invasiva, che può provocare dolore se non
viene effettuata una anestesia mirata e adeguata. Per valutare l’efficacia delle due tecniche anestesiologiche
nella riduzione del dolore provocato dalla biopsia , si è deciso di far riferimento ai valori del VAS score dei
singoli pazienti. Queste scale di punteggio hanno valore indicativo perché esprimono un parere
estremamente soggettivo e quindi non valutabili in senso assoluto.
CONCLUSIONI: L’anestesia prostatica ecoguidata è da preferire a quella digitoguidata, in quanto riduce
notevolmente il dolore legato alla procedura diagnostica.
BIBLIOGRAFIA:
1. Visapaa H, Taari K. : Combination of paracetamol, codeine and lidocaine for pain relief during
transrectal ultrasound guided biopsy of the prostate. Scand J Surg. 98(1): 55-7, 2009
2. M. Raber, V. Scattoni, et al: Perianal and intrarectal anaesthesia for transrectal biopsy of the
prostate: a prospective randomized study comparing lidocaine-prilocaine cream and placebo
3. BJU International; 96, 1264-1267, 2005
4. Cesur M, Yapanoglu, et al: Caudal analgesia for prostate biopsy. Acta Anaesthesiol Scand.; 54(5):
557-61, 2010.
42 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 PARAMETRI ECOGRAFICI DELLE MODIFICAZIONI DELLA PARETE VESCICALE
(DANNO D’ORGANO) IN PAZIENTI CON IPETROFIA PROSTATICA SINTOMATICA
A. B. Galosi §, D. Mazzaferro°, V.Lacetera°, D. Cantoro°, P. Consoni, P. Martino, G. Muzzonigro°, G.
Tucci §§.
°Clinica Urologica, Università Politecnica delle Marche, AOU Ospedali Riuniti, Ancona. §§U.O.S.
Diagnosi e Terapia Incontinenza urinaria, Area Vasta 4 ASUR Marche §U.O.C. di Urologia, di
Urologia, Area Vasta 4 ASUR Marche Ospedale “Murri”, Fermo
Introduzione: La patologia ostruttiva delle basse vie urinarie secondaria ad ipertrofia prostatica (IPB) causa
progressive modificazioni della parete vescicale. Le elevate pressioni di svuotamento, dimostrate
dall’urodinamica, causano inizialmente un incremento della quota di muscolo liscio (iperplasia/ipertrofia
detrusoriale) fino a modificazioni stadi avanzati di scompenso vescicale (fibrosi), iperattività o diminuzione
della capacità funzionale. L’identificazione precoce delle modificazioni vescicali indotte dall’ipertrofia
prostatica può orientare verso scelte terapeutiche che possono prevenire il danno d’organo della parete
vescicale. Lo scopo del nostro studio è quello di codificare e diffondere i parametri ecografici, oggi ritenuti
riproducibili ed attendibili, che dimostrano il danno della parete vescicale.
Metodi: Abbiamo eseguito una revisione della letteratura e in base alla nostra esperienza abbiamo
valutato una serie di casi clinici con ipertrofia prostatica con vari gradi di danno d’organo secondari ad
ostruzione cervico-uretrale secondaria ad IPB.
Risultati: Lo Spessore normale della parete vescicale (BWT, Bladder Wall Thickness): valori mediani
2.3 mm (IC 25-75: 1,8- 2.7mm), variabilità 9.8% (IC 25-75: 4,9% - 14%). La Stima del Peso Vescicale
(EBW, Estimated Bladder Weigth SA × BWT × 0.957 g/ml peso specifico) ha in soggetti normali valori
mediani 48.5 gr (IC 25-75: 43,7- 53), variabilità 7,9% (IC 25-75: 4- 11%).
Tali parametri si
aggiungono all’ecografia tradizionale che rileva: diverticolosi, , trabecolazioni, calcolosi e il residuo
urinario postminzionale. Quest’ultimo è inteso come diminuzione della capacità funzionale e deve essere
correlato in percentuale al volume vescicale ed eseguito evitando sovradistenzione vescicale.
La tecnica ecografica di misurazione del BWT e EBW avvien sia con ecografia convenzionale 9-4 MHz che
con il sistema automatico di calcolo (BVM 65003.7 MHz scanner). Entrambi I metodi consentono una
valutazione attendibile, ma nel 2–14% dei casi il sistema automatico non consente una valutazione
attendibile. La risoluzione è dipendente dalla frequenza: sonde da 7.5 e 3.5 MHz hanno una risoluzione di
0.13 e 0.3 mm, rispettivamente. La misurazione manuale rimane superiore a quella automatica, viene
effettuata sulla parete anteriore a riempiento di circa 150-250 cc, calcolando lo spessore del muscolo
ipoecogeno compreso tra due strati iperecogeni (sierosa e mucosa), la media di almeno 3 misurazioni.
Alcuni hanno proposto la parete posteriore usando sonde transrettali poichè non sono state dimostrate
differenze nello spessore nelle varie parti della vescica. La Variabilità di misurazione intra (4,6-5,1%) ed
inter-operatore (12,3%) è accettabile. Esiste un’alta correlazione tra parametri morfologici, quando
corretamente valuati, e parametri funzionali. La EBM diminuisce significativamente da 52.9 ± 22.6 g a 31.6
± 15.8 g a 3 mesi dopo prostatectomia disostruttiva.
Correlazioni urodinamiche dimostrano una correlazione elevata (88%) con patologia ostruttiva per valori
BWT > 5 mm, Valori compresi tra 3,1 e 5mm rilevano ostruzione nel 37%. Valori di BWT > 3,1mm sono
da considerare sospetti e anormali.
Discussione: EBW e BWT sono utili nello screening non invasivo, la diagnosi della ostruzione cervico
uretrale correlata all’IPB. Misurare, quantificare e monitorare l’ostruzione cervico-uretrale negli uomini
affetti da IPB sintomatica è possibile mediante il calcolo della BWT e EBM, in modo non invasivo
monitorando la risposta della parete vescicale e limitando le indicazioni allo studio urodinamico. Come per il
paziente affetto da ipertensione arteriosa, l’ecocardiografia rappresenta la misura del danno d’organo a
livello cardiaco, così l’ecografia vescicale rappresentare un metodo non invasivo per misurare il danno
indotto sulla parete vescicale da elevati pressioni di svuotamento. Il danno vescicale conclamato, facile da
diagnosticare, determina riduzione della compliance e della capacità, vescica iperattiva legata a involuzione
fibrotica della parete. L’identificazione precoce ha il vantaggio di adottare provvedimenti terapeutici
adeguati ad evitare una progressione del danno d’organo (EBW e BWT) e quindi ridurre la sintomatologia
urinaria o renderla quanto meno reversibile. Conclusioni: I parametri ecografici di danno vescicale sono
riproducibili ed attendibili. L’implementazione nella pratica clinica di tali parametri può aiutare nella
diagnosi precoce ed evitare una progressione del danno sulla parete vescicale. studi longitudinali sulla
ostruzione cervico-uretrale ancora mancano in relazione all’invasività dell’urodinamica, ma l’opzione
ecografica
ci
consentirà
di
eseguire
studi
di
monitoraggio.
43 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 BIOPSIE PROSTATICHE GUIDATE DALL’ECOGRAFIA CON MEZZO DI CONTRASTO
(CEUS) IN PAZIENTI CON PREGRESSO ASAP AND/OR PIN: NOSTRA ESPERIENZA
PRELIMINARE
Andrea Galosi, Daniele Cantoro, Vito Lacetera, *Alessandro Felicioli, *Marco Olivieri, *Giulio Argalia e
Giovanni Muzzonigro
Clinica Urologica, *Clinica di Radiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti, Ancona,
Italy
OBIETTIVO:
Presentare la nostra iniziale esperienza iniziale con le biopsie prostatiche guidate dall’ ecografia transrettale
con mezzo di contrasto (contrast enhanced ultrasonography - CEUS -) in pazienti con precedente biopsia
negativa per neoplasia ma con riscontro di proliferazione microacinare atipica (ASAP) e/o neoplasia
intraepiteliale (PIN).
MATERIALI E METODI:
11 pazienti con pregresso ASAP e/o PIN e sospetto clinico persistente di neoplasia prostatica sono stati
sottoposti a mapping bioptico CEUS-guidato ( Ecografo Philips con sonda end-fire, mezzo di contrasto
utilizzato : SONOVUE, BR1, Bracco, SpA).
In media i pazienti avevano avuto 1,3 set bioptici precedenti ( intervallo 1-3).
I pazienti sono stati sottoposti a ecografia transrettale prima e dopo infusione di mezzo di contrasto
ecografico. Successivamente tutti i pazienti sono stati sottoposti a mapping bioptico, segnalando le zone che
presentavano enhancement contrastografico positivo sui singoli prelievi. Il follow-up medio dopo la biopsia
è stato di 20 mesi ( intervallo 6-36 mesi)
RISULTATI:
Età media dei pazienti 62,7 anni (59-69). PSA medio di 5,45 ng/ml (3,8-8). DRE sospetta in 2 pazienti . 2
pazienti in terapia con Dutasteride. 4 pazienti presentavano ASAP e 5 PIN e 2 ASAP + PIN. Numero medio
dei prelievi 14 ( 10-18). Presenza di aree CEUS positive in 10/11 pazienti. Numero di prelievi mirati su aree
CEUS positive 22. L’esame istologico ha mostrato assenza di neoplasia in tutti i campioni esaminati,
comprese le aree segnalate come positive alla ecografia con mezzo di contrasto. Il 100% dei campioni
istologici corrispondenti a zone CEUS positive presentavano flogosi acuta e cronica.
DISCUSSIONE:
Diversi studi hanno mostrato una maggiore sensibilità nella diagnosi di carcinoma prostatico mediante
l’ausilio di biopsie guidate dalla positività al CEUS [1,2]. I costi dell’uso del contrasto ecografico sono
sicuramente un limite al suo impiego su larga scala. Abbiamo provato quindi a introdurre tale tecnica
selezionando i pazienti in cui la metodica poteva aiutarci ad eseguire un secondo mapping più mirato. Nella
nostra serie di pazienti nessuna delle aree risultate positive all’ecografia con mezzo di contrasto è risultata
positiva per neoplasia. Tutte le biopsie positive alla CEUS presentavano flogosi acuta e cronica stromale,
perighiandolare e intrepiteliale . Nel corso del follow-up solo un paziente ha poi evidenziato neoplasia
prostatica ad un mapping successivo in sede anteriore ed ha poi eseguito una radioterapia guidata dalle
immagini (IGRT).
CONCLUSIONI:
Nella nostra esperienza preliminare la CEUS non ha mostrato una maggiore capacità diagnostica di neoplasia
prostatica rispetto all’ecografia in scala di grigi in pazienti con pregresso PIN e/o ASAP. La presenza di
flogosi prostatica potrebbe rendere la procedura ad elevato rischio di falsi positivi: infatti la presenza di
ipertrofia prostatica e prostatite ha mostrato di ridurre la specificità della tecnica nella nostra esperienza
preliminare.
BIBLIOGRAFIA
1. M. Wink et al. Contrast-Enhanced Ultrasound prostate cancer; a multicenter european research
coordination project. Eur. Urol 2008; 54: 982-993
2. Frauscher F., Klauser A, Helphern E. J., Horninger W., Bartsc G. Detection of prostate cancer with
microbubble ultrasound contrast agent. Lancet 2001; 357: 1849-1850
44 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 CONTROLLO ECOGRAFICO DELL’ANASTOMOSI CERVICO-URETRALE PER LA
RIMOZIONE DEL CATETERE VESCICALE DOPO PROSTATECTOMIA RADICALE: 10 ANNI
DI ESPERIENZA
A.M. Granata, V. Varca, F. Pietrantuono, A. Gregori, G.P. Incarbone, F. Scieri, A.L. Romanò, G.
Mombelli, B. Costa, F. Gaboardi
Introduzione
La rimozione del catetere vescicale dopo prostatectomia radicale richiede un controllo dell’anastomosi
cervico-uretrale al fine di evitare complicanze legate allo stravaso di urina.
Il metodo maggiormente utilizzato è la cistografia retrograda. Presso la nostra Divisione utilizziamo invece
routinariamente un controllo ecografico. Riportiamo qui la nostra esperienza decennale nell’utilizzo di tale
metodica.
Materiali e metodi:
Tra il 2001 e il 2011 sono state effettuate nella nostra Divisione 1127 prostatectomie radicali laparoscopiche
transperitoneali. Il protocollo di gestione post-operatoria prevede il controllo dell’anastomosi sette giorni
dopo l’intervento. La procedura consiste nell’introduzione di 150 ml di soluzione fisiologica attraverso il
catetere sotto controllo ecografico, utilizzando una sonda transrettale biplana (Esaote Logos Hi Vision E ). In
caso di evidenza di spandimento di urina, di ematomi o raccolte perianastomotiche che incrementano durante
l’introduzione del liquido manteniamo il catetere in sede per altri sette giorni.
Valutiamo i risultati del controllo ecografico dell’anastomosi sulla base di possibili complicanze a breve
termine legate allo stravaso di urine, considerand o falsi negativi i pazienti che hanno necessitato di una
ricateterizzazione.
Risultati:
Su 1127 prostatectomie radicali laparoscopiche trans peritoneali 832 pazienti (73,9 %) hanno rimosso il CV
in 7^ giornata post-operatoria, 246 pazienti (21,8%) in 14 giornata post-operatoria, 49 pazienti (4,3%) oltre
la 14^ giornata.
I falsi negativi nel controllo ecografico dell’anastomosi sono stati 4 (0,3%), necessitando di
ricateterizzazione per riscontro secondario di raccolta di urine perineale o peritoneale.
Conclusione:
Il controllo ecografico dell’anastomosi cervico-uretrale permette una rimozione sicura del catetere vescicale
dopo prostatectomia radicale, riducendo i costi e l’esposizione a raggi X legati all’utilizzo della cistografia
retrograda. Permette inoltre valutazioni supplementari come la presenza di ematomi e raccolte
perianastomotiche.
45 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 IMPIANTO ECO-GUIDATO TRANSRETTALE IN ANESTESIA LOCALE DI PROTESI PROACT
IN PAZIENTI CON INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO DOPO TUR-P PER IPB.
RISULTATI CLINICI A LUNGO TERMINE DI UNA TECNICA CHIRURGICA ORIGINALE
Gregori A., Varca V., Incarbone P., Scieri F., Romanò A.L., Granata A., Pietrantuono F., Gaboardi F.
U.O. Urologia – Azienda Ospedaliera “Luigi Sacco”, Milano
Introduzione
In letteratura l’incidenza di incontinenza urinaria da sforzo dopo resezione trans uretrale di prostata (TUR-P)
per ipertrofia prostatica benigna (IPB) è compresa in un range tra 0.5 e 1% dei casi.
Riportiamo i risultati clinici a lungo termine sul recupero della continenza urinaria di una tecnica di impianto
originale (eco guidata per via transrettale in anestesia locale) del sistema protesico modulabile ProACT in
pazienti con incontinenza urinaria da sforzo post-TUR-P per IPB.
Materiali e Metodi:
La tecnica è stata utilizzata tra settembre 2006 e marzo 2011 in 14 pazienti consecutivi (età media 63.2 anni;
range 54-76) con incontinenza urinaria da sforzo post-TURP urodinamicamente confermata.
L’impianto viene eseguito in regime di day surgery, in anestesia locale (20 mg di ropivacaina 7.5 mg/ml)
mediante ausilio ecografico trans rettale (sonda biplanare da 7.5 MHz, lineare + small convex) posizionando
i palloncini protesici lateralmente all’apice della prostata, al di sopra del pavimento pelvico.
Caratteristiche dei pazienti: il PAD test delle 24 ore preoperatorio era 312.4 grammi (range 180-730), il
numero medio di pannolini usati nelle 24 ore (PPD) era 3.6 (range 1-9).
L'efficacia della procedura è stata valutata mediante modifica del numero di PPD considerando i pazienti
come asciutti (nessuno o 1 pad di sicurezza/24 ore), migliorati (riduzione >50% del PPD e del PAD test delle
24 ore) o falliti (riduzione <50% del PPD o del PAD test delle 24 ore).
Risultati:
Il follow-up medio è 46 mesi (range 12-66). Il numero medio di aggiustamenti delle protesi è stato 3.1 (range
1-8). Nove pazienti (64.2%) sono asciutti, 3 pazienti (21.4%) sono migliorati significativamente e 2 pazienti
(14.3%) sono falliti. Si sono verificate 2 complicanze maggiori (1 migrazione unilaterale e 1 rottura della
protesi.
Conclusioni
L'impianto del sistema ProACT nei pazienti con incontinenza urinaria da sforzo post-TURP permette di
ottenere buoni risultati clinici che si mantengono a lungo termine.
La tecnica di impianto in anestesia locale è mini-invasiva ed è eseguibile in regime di day surgery. L’utilizzo
dell’ecografia transrettale permette di seguire la procedura nelle proiezioni sagittali e coronali in “real-time”
continuo con perfetta visualizzazione di tutte le strutture anatomiche
46 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 UTILITA’ DELL’IMAGING PRE E POSTOPERATORIO PER IL POSIZIONAMENTO DI
PROTESI PENIENA NEL TRANSESSUALE ANDROGINOIDE
N. Pavan, M. Bertolotto*, G. Liguori, S. Bucci, S. Benvenuto, G. Mazzon, G. Ollandini, B. De Concilio, E.
Belgrano, C. Trombetta
Clinica Urologica – Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
*Radiologia - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste
INTRODUZIONE
La fase conclusiva dell’approccio multidisciplinare nella terapia di riassegnazione dei caratteri sessuali in
senso gino-androide prevede la costruzione chirurgica del neofallo. Questa procedura permette di soddisfare
bisogni che molto spesso i pazienti ritengono fondamentali, come la possibilità di avere rapporti sessuali e di
urinare in piedi. Attualmente la grossa difficoltà sta nel poter reperire un tessuto che possa avere le stesse
funzioni del tessuto erettile maschile e le tecniche chirurgiche fino ad ora proposte risultano complicate e
poco soddisfacenti. Nel 1977 Puckett e Montie furono i primi ad applicare una protesi peniena nelle
conversioni gino –androidi. La nostra esperienza si basa su 2 casi di riconversione gino-andoride che in
seguito alla creazione del neofallo hanno fatto richiesta di posizionamento di protesi peniena.
MATERIALI E METODI
Sono stati eseguiti presso la Clinica Urologica dell’Università di Trieste due interventi di posizionamento di
protesi peniena semirigida. In entrambi i casi il confezionamento chirurgico del neofallo era avvenuto nella
metà degli anni ’90 ed in un caso era stato effettuato un precedente tentativo di posizionamento di protesi
tricomponente. L’imaging con l’utilizzo dell’eco color Doppler e lo studio con la Risonanza Magnetica
hanno permesso una accurata valutazione oltre che della vascolarizzazione, anche della struttura del neopene.
In particolare l’identificazione dell’apporto vascolare e il suo orientamento spaziale hanno permesso di
identificare la più congrua via d’accesso per l’inserimento della protesi. Nel primo caso la vascolarizzazione
del neopene è stata identificata in sede paramediana sinistra con apporto vascolare proveniente dall’arteria
epigastrica profonda di destra mobilizzata, questo ha permesso di individuare la regione dorsale del pene
come il miglior punto d’accesso per l’inserimento della protesi. Nel secondo caso attraverso l’imaging si è
osservato un neopene deformato con intensità di segnale alterata alla RM per la presenza di estesi esiti
fibrotici; le strutture vascolari sono state segnalate come filiformi, con posizione prevalente a destra ed in
sede mediana e di provenienza dall’arteria epigastrica profonda di destra, tutto ciò ha permesso di
individuare la più congrua via d’accesso nella radice del pene, a livello ventrale.
RISULTATI
Durante gli interventi non si sono registrate complicanze e il decorso post operatorio di entrambi i pazienti è
stato regolare. Attualmente i due pazienti si trovano in buone condizioni cliniche e riferiscono di essere
soddisfatti del risultato estetico e funzionale dell’intervento. L’individuazione delle sedi di vascolarizzazione
del neofallo ha permesso una corretta individuazione del punto di accesso chirurgico senza pregiudicare una
già delicata e minima vascolarizzazione del lembo di Chang.
CONCLUSIONI
La difficile gestione della protesizzazione del paziente con disturbo dell’identità di genere convertito
chirurgicamente in senso gino-androide riesce a trovare un valido supporto grazie all’utilizzo dell’eco color
Doppler e della RM. La preservazione della vascolarizzazione del lembo di Chang risulta di fondamentale
importanza per garantire la vitalità e la successiva funzionalità del neofallo.
47 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Venerdì,18 maggio Relazioni
48 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LA VALUTAZIONE ECOGRAFICA PREOPERATORIA DELL'IPB: APPROCCIO TRANS
RETTALE? PRO
Dr. Vincenzo Scattoni
L'ipertrofia prostatica benigna (IPB) rappresenta il più comune tumore benigno dell'uomo e la sua incidenza
è legata all'età. Studi bioptici attestano che la prevalenza dell'IPB è del 20% negli uomini tra i 41 e i 50 anni,
fino al 50% tra i 51 e i 60 anni e più del 90% negli ultraottantenni. L'approccio terapeutico dell'IPB è
rappresentato dal watchful waiting, dalla terapia medica e dalla chirurgia. Il trattamento chirurgico dell'IPB
trova spazio quando le altre opzioni hanno fallito nel consentire un adeguato controllo della sintomatologia.
Nella preparazione pre-operatoria è indispensabile conoscere le dimensioni della prostata, ma soprattutto il
volume della zona di transizione (adenoma), ossia quella porzione ghiandolare peri-uretrale responsabile del
patologico svuotamento vescicale e quindi delle manifestazioni cliniche. L'ecografia con approccio trans
addominale non rappresenta la metodica di elezione poiché non permette lo studio della zona di transizione e
offre una stima sovradimensionata del reale volume ghiandolare. In base al volume prostatico (e al volume
dell'adenoma) sono raccomandati diversi approcci chirurgici e per tale motivo è cruciale ottenere valori
dimensionali più precisi possibili. In particolare le linee guida EAU raccomandano l'esecuzione di TURP per
le prostate tra i 30 e gli 80 cc, TUIP per valori inferiori a 30 cc e un approccio a cielo aperto o HOLEP per
volumi superiori a 80 cc.
L'ecografia prostatica trans rettale (TRUS) è lo strumento diagnostico più adeguato nello studio preoperatorio. Questa tecnica permette una precisa determinazione del volume totale della ghiandola e
dell'adenoma. Inoltre fornisce informazione riguardo all'eventuale presenza di noduli ipoecogeni sospetti,
calcificazioni, corpora amylacea ed alterazioni cistiche. In presenza di un valore di PSA elevato e di
un'esplorazione rettale anomala la TRUS, a differenza dell'approccio ecografico tran addominale, fornisce
delle informazioni cruciali che possono cambiare l'indicazione all'intervento disostruttivo in favore di un
campionamento bioptico per escludere la presenza di neoplasia. Prima di procedere con un intervento
disostruttivo è, infatti, fondamentale escludere la presenza di un carcinoma prostatico che cambierebbe la
strategia terapeutica. In questo senso, l'esecuzione di una ecografia prostatica TR prima di un intervento di
TURP diventa un passaggio irrinunciabile. La scarsa invasività e facile esecuzione rendono la ecografia
prostatica TR prima della TURP un esame che viene praticato routinariamente in tutti i reparti di Urologia in
Italia.
49 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LA VALUTAZIONE ECOGRAFICA PREOPERATORIA DELL'IPB: APPROCCIO TRANS
RETTALE? CONTRO
P.P. Graziotti
Il ruolo dell’ecografia transrettale nella valutazione iniziale di un paziente affetto da LUTS/IPB deve essere
oggi riconsiderato alla luce dei dati ricavabili dalla letteratura. In primo luogo è bene ricordare che, nella
diagnosi differenziale fra IPB e Carcinoma Prostatico il dosaggio del PSA + esplorazione rettale sono
superiori sia per sensibilità che per specificità e hanno un più alto valore predittivo positivo (60%) rispetto
all’ecografia transrettale.
L’ecografia transrettale fornisce un’eccellente valutazione dell’anatomia e della morfologia prostatica così
come del volume della ghiandola , tuttavia la sua accuratezza nel valutare il volume totale della prostata non
è significativamente superiore a quella offerta dall’ecografia sovrapubica
e la sua provata maggiore
accuratezza nel calcolare le dimensioni della zona di transizione non ha mostrato una sicura correlazione con
la severità dei sintomi dell’IPB e non è di utilità clinica . Per la valutazione del volume prostatico quindi
nella pratica clinica la preferenza dovrebbe andare all’ecografia sovrapubica per la sua maggiore rapidità di
esecuzione e la minore invasività.
Sfugge infatti su quale evidenza scientifica ,quotidianamente si leggano referti nei quali “per una miglior
valutazione della ghiandola” viene richiesta un esame trans rettale. Quando si propende per una terapia
mininvasiva la più precisa conoscenza della morfologia della prostata e delle sue differenti zone, la
misurazione della zona centrale e di quella di transizione nonché di un eventuale lobo medio può diventare
determinante nella scelta e nella pianificazione del trattamento. Anche le linee guida dell’AUA sottolineano
che le dimensioni e la morfologia della prostata sono importanti per selezionare i pazienti candidati a
ipertermia con microonde, TUNA e altre terapie mininvasive così come per decidere per una TUIP invece
che una TURP.
50 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LO STUDIO ECOGRAFICO DELLE NEOFORMAZIONI VESCICALI: A CHE PUNTO SIAMO?
L.Mearini (Perugia)
Il carcinoma della vescica è una delle neoplasie di più frequente riscontro per l'urologo, con elevata
incidenza e prevalenza. Il 90-95% dei tumori primitivi della vescica è costituito da carcinomi a cellule di
transizione, con forme cosiddette superficiali, che rappresentano circa il 70-75% delle neoplasie vescicali,
mentre le forme transizionali infiltranti, talora sono tali ab initio, ma possono anche derivare da una
progressione locale di una forma inizialmente superficiale.
Dal punto di vista clinico, l'ematuria macroscopica costituisce il primo segno di malattia in una percentuale
di casi oscillante dal 61 al 75%. L'irritabilità vescicale, espressa da pollachiuria, minzione imperiosa, bruciori
e dolori minzionali, costituisce, invece, il quadro clinico di esordio nel restante 30% circa dei casi. Non è
possibile stabilire una correlazione precisa tra dimensione, sede e malignità del tumore ed entità del
sanguinamento anche se i tumori voluminosi sono i più soggetti a sanguinamenti. Nella maggior parte dei
casi però l'ematuria è "capricciosa" il che significa che è monosintomatica, indipendente da ogni tipo di
attività svolta e a rapida comparsa e scomparsa; può persistere per più giorni o essere presente in una sola
minzione.
In presenza di sospetto ed in ogni caso di micro o macroematuria, gli esami da effettuare in prima istanza
sono la citologia urinaria, l'ecografia sovrapubica e l'uretrocistoscopia.
Non esiste un criterio assoluto nello stabilire l'ordine cronologico degli esami iniziali, ma l'ecografia
sovrapubica, per la facilità di esecuzione e l'immediatezza dei reperti, in genere precede ogni altro esame.
L'ecografia sovrapubica, grazie alla sua attuabilità, facile ripetibilità e non-invasività, rappresenta un esame
diagnostico ideale nei soggetti con sospetta neoplasia vescicale. Se ben eseguita riesce infatti a dimostrare la
presenza di neoformazioni di volume anche modesto (fino a cinque millimetri) indicandone con molta
precisione numero, sede ed estensione. La definizione dell'estensione in profondità della neoplasia è invece
meno attendibile, anche se studi comparativi sembrano rilevare una capacità diagnostica migliore rispetto
alla TC.
Discuteremo i dati acquisiti rispetto alla utilità dell’ecografia nella diagnosi, stadiazione e follow up del
paziente con tumore della vescica, assieme alle nuove acquisizioni con le ricostruzioni 3D (cistoscopia
virtuale) e i mezzi di cotrasto ecografici comunemente utilizzati.
51 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 VALUTAZIONE ECOGRAFICA DELLO SPESSORE E DEL PESO VESCICALE, POSSIBILI
CORRELAZIONI CON LE TERAPIE FARMACOLOGICHE
Cosimo De Nunzio
UOC Urologia, Ospedale Sant’Andrea, Università “La Sapienza”, Roma
Gli urologi pediatrici, per prima hanno proposto la possibilità di valutare mediante indagine ecografica il
grado di ipertrofia del detrusore ed hanno osservato una significativa correlazione tra spessore del detrusore
(BWT), massa vescicale (UEBM) e disfunzioni minzionali. Solo negli ultimi anni, la valutazione ecografica
dello spessore detrusoriale e della massa vescicale è considerata una metodica non-invasiva, accurata nella
valutazione dei pazienti affetti da Lower urinary tract symptoms (LUTS) allo scopo di identificare i pazienti
a maggior rischio di ostruzione cervico uretrale secondaria ad ipertrofica prostatica (BPO). Tuttavia, ad oggi
il suo impiego routinario è limitato e pochi studi hanno valutato la possibilità di utilizzare la BWT e la
UEBW come possibili parametri in grado di identificare i pazienti affetti da ipertrofia prostatica ed a rischio
di progressione; o prevedere la risposta ai diversi trattamenti. Uno dei principali limiti legati a tale metodica
è rappresentato dalla mancanza di una standardizzazione nella procedura di acquisizione dei parametri
ecografici; l’influenza del grado di riempimento vescicale come l’esperienza dell’operatore. Lo sviluppo e
l’introduzione in commercio di apparecchiature ecografiche portatili dedicate ((BVM 6500 and BVM 9500,
Verathon, Bothell, WA USA) favorirà nei prossimi anni una migliore standardizzazione delle procedure
ecografiche di acquisizione del BWT e della UEBM permettendone un maggior impiego nella pratica clinica
urologia.
52 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Venerdì,18 maggio Comunicazioni Urologiche
53 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 IMPIANTO DI PROACT ATTRAVERSO PROCEDURA ECOGUIDATA “OVER THE WIRE”
Crivellaro S1, Abbinante M1, Ammirati E.1, Mastrocinque G 1, Tosco L.1, Frea B1
1. Ospedale di Udine
Introduzione
L’incontinenza urinaria da sforzo che segue un intervento di prostatectomia radicale, con un’incidenza del 520%, rimane ancora un problema significativo sia per i pazienti che per gli urologi. Tra le più recenti opzioni
terapeutiche è incluso il trattamento di regolazione della continenza (pro adjustable continence therapy,
ProACT). Siccome l’efficacia del dispositivo è strettamente correlata al suo corretto impianto lateralmente
all’uretra membranosa, si è cercato di raggiungere un miglior controllo del posizionamento attraverso
l’impiego dell’ecografia transrettale guidata da stepper (TRUS) previo posizionamento di guida semirigida.
Questo video mostra una innovativa modalità sperimentale di posizionamento del proACT in un paziente,
che ha fornito il consenso informato a tale procedura.
Procedura
Dopo aver posizionato la sonda ecografica in sede, si è proceduto alla fase preparatoria del posizionamento
del dispositivo. In visione trasversale si è calcolata la distanza dalla posizione ideale della sinfisi pubica, dai
rami ischiopubici e dall’uretra alla sonda, mentre in visione longitudinale si è calcolata la distanza dalla cute.
Le misurazioni sono poi state riportate sulla cute e sul trocar. Con un ago di Chiba si è verificato il percorso
del trocar sulla base delle misurazioni acquisite in precedenza. Si è inserita una guida nell’ago di Chiba,
seguendo la quale si è poi inserito su guida ecografia un trocar appositamente modificato (provvisto di un
canale interno di 0,38Ch), fino a raggiungere il suo posizionamento ideale. Infine si è inserito il dispositivo
attraverso la camicia del trocar. I palloncini sono stati riempiti con 1 millilitro di liquido di contrasto isoosmolare.
Risultati
Il tempo operatorio è stato di 20 minuti. La perdita ematica è stata inferiore a 20 centilitri. Il volume di
riempimento del palloncino, necessario a raggiungere un buon risultato, sembra essere lievemente inferiore
rispetto al solito, probabilmente riducendo il rischio di rottura nel tempo.
Conclusioni
Il nostro studio dimostra che il corretto posizionamento dell’impianto ProACT® è facilitato dall’impiego
della tecnica con stepper over the wire, che permette di ottenere una maggiore precisione nel raggiungimento
della corretta sede di impianto e di ridurre l’incidenza di erronei posizionamenti, che frequentemente sono la
causa della persistenza dell’incontinenza da sforzo.
54 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 CONFRONTO FRA ESWL CON PIEZOLITH 3000 E MODULITH SLK. E’ L’UOMO CHE RENDE
EFFICACE LA MACCHINA
Giuseppe Albino, Ettore Cirillo Marucco.
UOC di Urologia, Ospedale “L.Bonomo”, Andria, ASL BAT.
Introduzione
La scelta di un litotritore extracorporeo per il trattamento ESWL della litiasi urinaria deve essere effettuata
mediante criteri di efficacia, che si possano tradurre in efficienza per l’azienda. E’ facile dimostrare i
vantaggi dei litotritori di terza generazione in confronto ai litotritori delle generazioni precedenti. Questo
lavoro ha lo scopo di verificare se è possibile stabilire se ci sono differenze di efficacia fra due litotritori di
terza generazione prendendo in considerazione le rispettive casistiche dei calcoli sottoposti ad ESWL.
Materiali e metodi
Sono stati presi in considerazione gli ultimi 100 trattamenti ESWL effettuati con Wolf Piezolith 3000 e gli
ultimi 100 con Storz Modulith SLK. Tutti i trattamenti sono stati condotti dallo stesso unico operatore. I
calcoli trattati sono stati stratificati per sede e dimensione e sono stati confrontati il numero di sessioni e lo
stone free rate. L’analisi statistica dei risultati è stata effettuata mediante il test del “chi quadro”(χ2).
Risultati
I risultati riportati sulle tabelle non hanno mostrato differenze statisticamente significative (sia per strati che
globalmente). Infatti lo stone free rate di tutti i trattamenti è stato 93% per il Wolf Piezolith e 91% per lo
Storz Modulith.
Conclusioni
Le differenze tecniche fra i litotritori sono ben documentate e riguardano l’energia erogata, la forma del
fuoco acustico, la profondità del fuoco, la superficie di accoppiamento, la mobilità della testata, le modalità
di allineamento ed utilizzo contemporaneo del puntamento ecografico e radiologico. Ma tali differenze non
sono desumibili dalle casistiche dello stesso operatore il quale, in base alla propria esperienza, erogherà le
stesse energie nel fuoco acustico che ritiene sicure, anche se le macchine dispongono di range energetici di
diversa ampiezza. Invece, non risulteranno all’interno della casistica i pazienti ed i calcoli che non sono stati
trattati per le difficoltà di puntamento dovute alla profondità del fuoco acustico (elevato BMI),
all’inclinazione della testata o per intolleranza alle onde d’urto. Perciò i risultati ottenuti dallo stesso
operatore sono paragonabili anche se ottenuti con macchine diverse (della stessa generazione). Le differenze
potrebbero emergere se si prendessero in considerazione i pazienti esclusi perché, a parità di generazione di
litotritori, i risultati dipendono dall’operatore, mentre l’eleggibilità del paziente dipende dalle caratteristiche
della macchina.
55 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 VIRTUAL HDR CYBERKNIFE IN THE TREATMENT OF LOW-INTERMEDIATE RISK
PROSTATE CANCER.
Anastasi G., Arena S., Mucciardi G., Inferrera A., Gali A., Lembo F., Pontoriero A.*, De Renzis C.*,
Magno C.
Unità Operativa Complessa di Urologia; * Unità Operativa Complessa di Radioterapia – Università degli
Studi di Messina
INTRODUCTION The CyberKnife is a radiosurgical imaging-guided device that results ideal for
accurately delivering hypofractionated radiation doses to a precisely defined three dimentional target
volume. It has recently emerged as an appealing option in the management of early low-intermediate risk
prostate cancer in stage cT1/T2a-b N0 M0 with a Gleason score ≤ 6 and a prostate-specific antigen (PSA)
level ≤10 ng/ ml (low risk) or, in selected patients, with a Gleason score of 7 and PSA 10.1–20 ng/ml
(intermediate risk). Role of ultrasound is considered crucial for enrolling of the patients and for fiducials
placement. Stereotactic body radiotherapy offers the radiobiological benefit of a large fraction size and is
well-tolerated by men affected by prostate cancer. We present our experience in the treatment of patients
with low-intermediate risk prostate cancer.
MATERIALS AND METHODS Over a period of 48 months, 12 patients (8 with low-risk and 4 with
intermediate-risk prostate cancer) were enrolled for the treatment with Virtual HDR Cyberknife. Mean age
was 78.5 years (73-86 years), mean Gleason Score was 6 (ranging from 5 to 7), mean PSA was 8.8 ng/mL
(ranging from 4.5 to 14.3 ng/mL). Mean prostatic volume, measured using transrectal ultrasound, was 49±28
ml. The Fiducials Tracking System follows the fiducials that were placed transperineally one week before
the procedure using a TRUS guide technique. The planning target volume, defined with MRI or CT imaging,
included the prostate and seminal vesicles, plus 2 mm of expansion for favourable prognosis or 5 mm for
intermediate prognosis in all directions, except posteriorly. The dose was 38 Gy in four fractions. A toxicity
analyses were performed using the American Urological Association prostate symptom score (AUA), a
rectal assessment score (RAS), and the Sexual Health Inventory for Men (SHIM), that were carried out
before the treatment and during the follow-up
RESULTS Median follow-up was 20 months (ranging from 3 to 48 months). The mean PAS was 0,16
(ranging from 0.032 to 1.12 ng/mL). AUA scores increased over the first month of treatment but returned to
baseline by three months. No patients experience an acute urinary retention or developed urethral stricture
requiring instrumentation. RAS score increased in the first two weeks but by 4 months post-treatment had
returned to baseline levels in most patients. A rectal bleeding was recorded. The mean SHIM score prior to
treatment was 14.1 (SD=10.2), consistent with normal to slightly decreased sexual function. SHIM scores
decreased during treatment but they were not significantly different to baseline within one month. After one
month, prostatic volume was 45±33ml (p= 0.19), while it was significantly reduced (31±23ml) after six
month (p<0.001). One patients died during follow-up for other reason.
DISCUSSION Our preliminary experience for localized prostate cancer treatment shows an encouraging
efficacy and safety of Virtual HDR Cyberknife. Moreover, the lower urinary tracts symptoms are transitory,
probably linked to the irritative action of irradiation. In some months, we documented an improvement of
symptoms and it could be related to the significant reduction of prostatic volume, measured using transrectal
ultrasound.
CONCLUSION Virtual HDR Cyberknife technique might be considered a promising treatment option for
men with low- and intermediate-risk prostate cancer. However, a longer follow-up needs to evaluate possible
late complications and an effective durable disease control.
BIBLIOGRAPHY
King C. Stereotactic body radiotherapy for prostate cancer: current results of a phase II trial. Front Radiat
Ther Oncol. 2011;43:428-37
McBride SM, Wong DS, Dombrowski JJ, Harkins B, Tapella P, Hanscom HN, Collins SP, Kaplan ID.
Hypofractionated stereotactic body radiotherapy in low-risk prostate adenocarcinoma: Preliminary results of
a multi-institutional phase 1 feasibility trial. Cancer. 2011 Dec 13. doi: 10.1002/cncr.26699
King CR, Brooks JD, Gill H, Presti JC Jr. Long-term outcomes from a prospective trial of stereotactic body
radiotherapy for low-risk prostate cancer. Int J Radiat Oncol Biol Phys. 2012 Feb 1;82(2):877-82.
Corresponding author: Dr. Anastasi Giuseppina – tel 0902213513; email: [email protected]
56 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 VALUTAZIONE DI UN NUOVO SCHEMA DI BIOPSIA PROSTATICA TRANSRETTALE
ECOGUIDATA: STUDIO PROSPETTICO IN 1620 PAZIENTI AL PRIMO SET BIOPTICO
P. Consonni, G. Toia, C. Mazzieri, P. Premoselli, G.C. Comeri
U.O. di Urologia Casa di Cura Multimedica, Presidio Ospedaliero di Castellanza (VA)
Introduzione
Il cancro della prostata è, ad oggi, il tumore maligno più frequente nel sesso maschile e la seconda causa di
morte nel maschio. La diagnosi di cancro della prostata, a dispetto della scoperta di nuovi marcatori tumorali
e dello sviluppo delle tecniche di imaging, rimane una diagnosi istologica. Da quando sono state introdotte,
nel 1989, le biopsie prostatiche “random”, numerosissimi sono stati gli schemi bioptici proposti con l’intento
di migliorare la detection rate del tumore prostatico. Scopo del nostro studio è valutare in maniera prospettica
l’efficienza dello schema bioptico adottato presso il nostro Centro.
Materiale e metodi
Dal 2003 ad oggi sono stati sottoposti a biopsia prostatica transrettale 1620 pazienti; sono stati esclusi dallo
studio i pazienti che erano già stati sottoposti in precedenza a biopsia prostatica; l’indicazione alla biopsia è
stata data per elevati valori di PSA (>3ng/ml), indici di PSA patologici, esplorazione rettale patologica o una
combinazione dei precedenti. E’ stata utilizzata una sonda “end fire” da 9MHz ad ampio angolo di vista
(260°) dotata di collimatore. Abbiamo progettato uno schema bioptico personale che fornisca un ottimo
campionamento della zona periferica, dell’apice nelle sue porzione mediali e laterali e del corno anteriore; in
totale vengono prelevati 14 frustoli per prostate fino a 50gr. e 20 frustoli per prostate di maggior volume; in
questi casi è sempre stata campionata la zona transizionale (6 prelievi). E’ sempre stata eseguita anestesia
locale mediante infiltrazione all’angolo retto-prostato-vescicolare di 5ml per lato di meivacaina al 2%.
Risultati
L’età media dei pazienti è di 66aa., range (39-88), il PSA medio è di 8,54ng/ml (range 0,56-70,3ng/ml),
mentre il PSA mediano è stato di 4,5ng/ml.; 415 pazienti (25,6%) avevano un’esplorazione rettale positiva.
La detection rate globale è stata pari al 44,2% (716 pazienti); mentre la percentuale di biopsie prostatiche
“NON” negative, e cioè la sooma di pazienti con adenocarcinoma, ASAP ed HGPIN multifocale è stata pari
al 54% (875 pazienti). Le complicanze sono state modeste; per quanto riguarda in particolare ematuria severa
(che ha richiesto lavaggio vescicale), ritenzione acuta d’urina, sanguinamento rettale (che ha richiesto
intervento medico) ed urosepsi le percentuali sono state rispettivamente di 2,9%, 1,58%, 2,1%, 0,4% per un
totale di 10,03%; 3 pazienti hanno avuto necessità di un ricovero ospedaliero.
Discussione
Si tratta di uno studio preliminare il cui scopo è unicamente quello di valutare in maniera prospettica la
capacità di questo schema bioptico di diagnosticare il tumore prostatico; sono pertanto stati volutamente
omessi i dati relativi alla” performance” degli indici di PSA e l’analisi dei vari sottogruppi (Gleason Score,
volume prostatico, età ecc.); ugualmente sono state omesse volutamente le considerazioni riguardo la
possibilità di diagnosticare tumori clinicamente non significativi secondo i criteri di Epstein.
Conclusioni
Gli Autori ritengono che lo schema bioptico proposto sia estremamente efficace e che la detection rate sia
quanto meno paragonabili a schemi descritti in letteratura che prevedono un numero di prelievi anche
superiore; in particolare in caso di prostate </= 50gr, per quanto non siano stati analizzati in questo lavoro i
dati, la detection rate sale a circa il 54%; ciò si spiega con il fatto che lo schema pone attenzione a
campionare unicamente la zona periferica evitando accuratamente di campionare la zona di transizione ove,
come è noto, la densità tumorale è trascurabile. Le complicanze, in particolare quelle significative, sono state
modeste e comunque paragonabili a quelle descritte in letteratura.
57 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ANESTESIA E BIOPSIA
RANDOMIZZATO
PROSTATICA
TRANS
RETTALE:
STUDIO
PROSPETTICO
P. Consonni, P. Premoselli, C. Mazzieri, G. Toia, G.P. In carbone*, G.C. Comeri
U.O. di Urologia Casa di Cura Multimedica, Presidio Ospedaliero di Castellanza (VA); *U.O. di Urologia,
Ospedale Sacco, Milano
Nel panorama della diagnostica urologica in tema di carcinoma prostatico si è sempre più imposta la
necessità di eseguire un numero crescente di prelievi bioptici non dimenticando le percentuali di rebiopsie
che, di necessità, sottopongono il paziente ad un discomfort crescente. Si parla nello specifico di un primo
set bioptico con almeno 12 prelievi ed un eventuale secondo set con 18-24 prelievi. Non è molto che
l’anestesia locale è diventata routinaria nella biopsia prostatica transrettale, e, ancora oggi, in molti centri,
non viene praticata. Sulla scorta di queste considerazioni e stante la cospicua messe di articoli in letteratura
circa la necessità di eseguire l’anestesia locale prima di una biopsia prostatica transrettale, abbiamo
progettato uno studio prospettico randomizzato con lo scopo di supportare con dati incontrovertibili
l’impiego dell’anestesia locale.
Materiali e metodi
In un periodo di 6 mesi abbiamo arruolato 90 pazienti randomizzandoli in due bracci, A e B con
rispettivamente 51 e 39 pazienti; nel braccio A è stata somministrata l’anestesia locale, mentre nel braccio B
non è stata somministrata anestesia locale. Previa preparazione domiciliare che consiste in: sospensione di
eventuale terapia antiaggregante e anticoagulante, profilassi antiobitica ed un microclisma qualche ora prima
dell’esame, il paziente viene posizionato in decubito laterale sinistro con le ginocchia flesse sull’addome. E’
sta impiegata una sonda endorettale “end fire” da 9MHz strumentata con guida per biopsia. Per eseguire
l’anestesia locale è stato utilizzato un ago 22G, 20cm.; vengono iniettati 5ml di mepivacaina 2% all’angolo
retto-prostato vescicolare bilateralmente; nei pazienti randomizzati per non eseguire l’anestesia è stata
iniettata una pari quantità di soluzione fisiologica. La biopsia prostatica è stata eseguita eseguita utilizzando
una pistola automatica Bard Magnum® ed ago tranciante tipo tru-cut 18G 25cm. In entrambi i gruppi il
numero di prelievi eseguiti è stato sovrapponibile (Braccio A media 13,5 con range 12-20; Braccio B media
12,6 range 12-20). Il dolore è stato misurato utilizzando una VAS (Visual Analogic Scale) a 10 punti ove 10
rappresenta dolore severo; 0 nessun dolore. Si è scelto di non valutare il dolore relativo all’introduzione della
sonda nel retto.
Risultati
L’età media del braccio A è di 63.9 anni (range 47-78) mentre nel gruppo B è di 66.5 anni (range 47-77). Ad
ogni singolo paziente è stato chiesto, prima di eseguire la biopsia, di concentrarsi sull’intensità del dolore ed
al termine, è stata somministrata la VAS e chiesto di correlare l’intensità del dolore provato. La maggioranza
dei pazienti che non ha ricevuto anestesia ha riportato un punteggio da moderato (43.6%) a severo (38.5%)
rispettivamente 17 e 15 pazienti mentre, solo 8 di 51 pazienti sottoposti ad anestesia (15.6%) riportava dolore
moderato; nessun riscontro di dolore severo nel gruppo A (p<0.001). Non si sono riscontrate differenze
sostanziali in età media tra gli otto pazienti del gruppo A che riferivano dolore moderato ed i 17 del gruppo
B con rispettivamente 61anni (range 53-67) e 64.6 anni (range 51-77) mentre, i pazienti del gruppo B che
riferivano dolore severo hanno una media di 70.2 anni (range 56-79). Le complicanze non sono state
statisticamente differenti nei due bracci e comunque modeste e sovrapponibili a quelle riportate dalla
letteratura. Sovrapponibili sono stati i tempi di esecuzione della biopsia nei due gruppi. Le criticità di questo
studio sono sicuramente rappresentate dalla bassa numerosità del campione e dal non aver considerato il
volume prostatico fra le variabili.
Conclusioni: i nostri risultati suggeriscono che l’anestesia locale trans-rettale migliori sensibilmente la
compliance dei soggetti sottoposti a biopsia prostatica non evidenziando peraltro, un incremento delle
complicanze associate, del tempo di esecuzione e dei costi
Bibliografia:
1. Issa MM, Bux S, Chun T et al.: A randomized prospective trial of intrarectal lidocaine for pain
control durin trans rectal prostate biopsy ; the Emroy University experiece. J Urol 164; 397-9, 2000
2. Wu CL, Carter HB, Naquibuddin M, et al: Effectof local anesthetics on patient recovery after
transrectal biopsy. Urology 57: 925-29, 2001
3. Stephen JJ: office- Based prostate Biopsy: Local anesthesia & strategies to improve cancer
detection. 98th annual meeting AUA, April 26-May 1, 2003
4. Obek C, onal B, Ozkan B, Onder AU, Yalcin V, Solok V: Is periprostatic local anesthesia for
transrectal ultrasound guided prostate biopsy associated with increased infectious or hemorrhagic
complications? A prospective randomized trial. J Urol. 168(2); 558-61, 2002
58 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 POSIZIONAMENTO DI DISTANZIATORE (BIOPROTECT PRO-SPACE) FRA PROSTATA E
RETTO IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA PROSTATICO IN ATTESA DI
RADIOTERAPIA ESTERNA
M.Cussotto, E. Barbero, G.Biamino, F. Bardari, F. Morabito, E. Graziano
U.O.A. Urologia ASL ASTI
Introduzione
La radioterapia esterna (RT) ricopre un ruolo fondamentale nella terapia del carcinoma prostatico (CP)
clinicamente localizzato o localmente avanzato. Per migliorare la tollerabilità e l’efficacia del trattamento
radioterapico sono stati recentemente introdotti dei dispositivi biodegradabili con lo scopo di aumentare la
distanza fra prostata e gli organi/strutture contigue in particolare il retto ed i nervi responsabili dell’erezione.
Vi riportiamo la nostra preliminare esperienza con il Bioprotect PRO-SPACE (BPS)
Note di tecnica
Paziente in analgo sedazione/anestesia spinale; sotto controllo ecografico si procede a idrodissezione dello
spazio prostato-rettale: quindi si posiziona l’introduttore contente già il palloncino sgonfio sino alla base
della prostata in prossimità delle vescicole seminali e si gonfia con soluzione fisiologica il dispositivo sotto
controllo ecografico per appurare il corretto posizionamento del palloncino,
Materiali e metodi
6 pazienti: 76 AA Ca. prostata gleason score 7 (4+3 bilateralmente su tutti i prelievi) PSA tot 13 ng/ml con in
anamnesi diverticolosi intestinale e portatore di ernia inguinoscrotale monolaterale, 78 AA Ca prostata
gleason score 7 (3+4 bilateralmente su tutti i prelievi) PSA tot 12.3 ng/ml già sottoposto 3 aa prima ad
adenomectomia transvescicale preceduta da biopsia negativa 67 AA Ca prostata gleason score 6 (3+3
bilateralmente) PSA tot 14 ng/ml rifiuto intervento chirurgico 67
AA Ca prostata gleason score 7 (3+4
bilateralmente) PSA tot 7.4 ng/ml forte rifiuto intervento chirurgico per forte volontà a tentativo
mantenimento potenza sessuale, 70 AA ca prostata gleason score 6 (3+3 bilateralmente) PSA tot 10 ng/ml
forte rifiuto intervento chirurgico comorbidità intestinale, 78 AA Ca prostata gleason score 7 (3+4
bilateralmentei) PSA tot 12.8 ng/ml
Conclusioni
La manovra è a nostro avviso fattibile dal punto di vista tecnico da tutti gli urologi con una discreta
esperienza in biopsie prostatiche; il ha permesso in tutti i casi l’attuazione di un piano di cura maggiore a
quello programmato precedentemente (a detta dei fisici sanitari e dei radioterapisti) e quindi oltre una
migliore tollerabilità del trattamento radioterapico si è avuto un aumento delle dosi somministrate con
conseguente potenziale maggiore efficacia da valutare nel lungo termine. Nella nostra esperienza tutti i
pazienti hanno completato senza alcun evento avverso la radioterapia. Aggiungeremmo soltanto che lo
spazio prodotto dal palloncino è stato in media di 1.8 cm e che nei primi due casi eseguiti quasi un anno fa il
dispositivo è completamente riassorbito senza reliquati.
59 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 CRIOTERAPIA DELLA PROSTATA NEL CARCINOMA PROSTATICO (RECIDIVO E/O
PRIMITIVO) ESPERIENZA PRELIMINARE 17 CASI
M.Cussotto, E. Barbero, G.Biamino, F. Bardari, A. Rocca, M. Paradiso
INTRODUZIONE Da diversi anni è riconosciuto il ruolo della crioterapia nella cura del carcinoma
prostatico (CP) sia primitivo che secondario a radioterapia (RT) e/o ormoneterapia (OT) (1,2,3,4).
Dal 2008 nel nostro centro abbiamo cominciato, inizialmente nelle recidive post RT successivamente
ampliando le indicazioni, ad eseguire questa metodica.
MATERIALI E METODI Dal luglio 2008 diciassette pazienti affetti da CP (13 post RT, 2 con ripresa di
malattia post RT e OT documentata a PET ed 2 di prima diagnosi con età superiore a 75 aa) sono stati
sottoposti a crioterapia prostatica; l’età media è risultata di 74 aa (range 69-79) ed il PSA medio di 7.8 ng/ml
(range 3,2-25); il follow up (f.u.) medio è di 21 mesi (range 6-21)
RISULTATI Tutte le procedure sono state portate a termine senza eventi avversi intra e perioperatori, i
pazienti sono stati dimessi in 2-4 giornata con catetere a dimora rimosso ambulatorialmente dopo 7 giorni.
Le complicanze a breve termine sono state alla rimozione del catetere 6 pazienti hanno manifestato una
pollachiuria intensa risoltasi in breve tempo, 2 incontinenza di cui una di lieve entità mentre l’altra
ingravescente. A tre mesi ripresa di 13 pazienti su 17 di minzioni soddisfacenti senza residuo post
minzionale significativo mentre 4 pazienti hanno manifestato 1 stenosi uretrale pre bulbare (non certa
correlazione con la manovra), 1 incontinenza quasi completa in attesa di intervento per posizionamento
sfintere artificiale, 1 ritenzione completa a 20 gg dalla rimozione del catetere probabilmente per prostatite in
diabetico scompensato, 1 incontinenza da sforzo di media entità, 1 fistola retto vescicale sottoposta a
colonstomia protettiva evidenziato dopo 4 mesi dal trattamento al momento in netto miglioramento.
La risposta è stata valutata con il PSA totale che a 4 mesi è risultato al di sotto di 0.5 nei pazienti trattati post
RT e nel trattamento primario, eccetto due casi in cui nel I° una ripresa lenta del PSA sino a 5 ng/ml da allora
in terapia con bicalutamide 150 in attesa di controllo post terapia ed il II perso al f.u.(pz in ritenzione); negli
altri due casi si è visto nel primo una stabilità del PSA per circa 6 mesi quindi un innalzamento continuo con
malattia in progressione documentata a PET (linfoadenopatie loco regionali) che succesivamente è tornato
responsivo alla ormonoterapia da oltre 6 mesi, alla quale era risultato precedentemente refrattario, nel
secondo una stabilità a 8 mesi.
Nel gruppo post RT si è verificato l’unico decesso per ripresa di malattia con PSA mai salito oltre 0.5 ng/ml
CONCLUSIONI Nella nostra preliminare esperienza in particolare nel gruppo dopo radioterapia abbiamo
riscontrato un ottima tollerabilità al trattamento ed una valida risposta biochimica con azzeramento del PSA;
da valutare l’indicazione nei pazienti in prima diagnosi e molto cautamente nelle riprese post RT con la sola
PET positiva, nei nostri due casi è stata eseguita anche su richiesta dei colleghi oncologi, come ultima chance
prima di avviare i pazienti a chemioterapia.
1 Aus G, Abbou CC, Bolla M, Heidenreich A, Schmid HP, van Poppel H et al. EAU guidelines on prostate
cancer. Eur Urol 2005; 48: 546.
2 American Urological Association. Best policy statement on the treatment of cryosurgery for the treatment
of localized prostate cancer. AUA Annual Meeting, Maryland, 17–22 May 2008.
3 National Institute of Clinical Excellence. Cryotherapy as a primary treatment for prostate cancer. 2005
4 National Institute of Clinical Excellence. Cryotherapy for recurrent prostate cancer. 2005.
www.nice.org.uk.o
60 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 PROSTATE BIOPSY STRATEGY IN PATIENTS WITH ATYPICAL SMALL ACINAR
PROLIFERATION OR HIGH GRADE PROSTATIC INTRAEPITHELIAL NEOPLASIA.
Lucio Dell’ Atti, Gianni Ughi, Giovanni Pietro Daniele, Gian Rosario Russo
U.O. Urologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Arcispedale “S. Anna”, Ferrara
Mail primo autore: [email protected]
Tel: 0532236078
Introduction:
Isolated high grade prostatic intraepithelial (HGPIN) and/or atypical small acinar proliferation (ASAP) on
prostate biopsy increases the risk of identifying cancer on repeat biopsy.
The aim of this study was to assess the incidence of diagnosis of HGPIN and ASAP at urology reference
center. We report the results of repeat prostate biopsy for HGPIN and/or ASAP, and propose an optimal
evaluation of the indexes and findings on repeat biopsies.
Materials and Methods:
We reviewed the reports from 1018 prostate biopsies that had been analyzed between July 1, 2007 December 31, 2010 and findings were categorized into carcinoma (PCa), benign, PIN and ASAP. The mean
age of patients was 66 years and mean number of biopsied fragments was 12. We investigated repeat prostate
biopsies in patients who had been diagnosed with PIN and ASAP.
The second biopsy was carried out about 4 months after diagnosis of ASAP and 6 months after diagnosis
of high grade PIN. All patients diagnosed with HGPIN or ASAP on second biopsy were subjected to a
third transrectal biopsy.
Results:
Of 1018 prostate biopsies, ASAP was diagnosed in 38 (3,7%) patients [Group A], HGPIN in 56 (18%)
[Group B] and HGPIN + ASAP in 17 (1,7%) [Group C].
All three
groups of patients (n: 111) underwent a
second transrectal prostate
biopsy.
The histopathological findings of the second biopsy in the three groups of patients:
Group A: PCa 23,6%(9/38), HGPIN 18,4%(7/38), ASAP 5,2%(2/38); Group B: PCa 17,8%(10/56), HGPIN
25%(14/56), ASAP 5,3%(3/56); Group C: PCa 64,7%(11/17), HGPIN 11,7%(2/17), ASAP 23,5%(4/17).
Patients who still had a second biopsy with the diagnosis of HGPIN or ASAP were subjected after about 6
months to a third transrectal biopsy with a mean number of 16 biopsies.
In Group A: 40% (4/10), in Group B: 17,6%(3/17) and in Group C: % 16,6 (1/6) of the patients had a
diagnosis of prostate cancer at the third biopsy.
The positivity rates of the second and third biopsy are 27% (30/111) and 25% (8 / 32)respectively.
21% (8 of 38) of cancers are diagnosed at the third biopsy.
The incidence of HGPIN was 18%, ASAP 3,7% and HGPIN plus ASAP was identified in 1,7% of 1018
biopsies analyzed.
There was no difference between groups where cancer was or was not diagnosed on repeat biopsy in relation
to age and serum PSA levels.
Discussion:
Data presented in this abstract are important because they derive from a reference urology department which
conducts a large number of biopsy analyses every year, and can be seen as an indicator of management
adopted by the urologist when facing a diagnosis of PIN and ASAP. The numbers we found are also
important since they are based on extended biopsies rather than restricted to sextants where the mean number
of fragments was 12, including biopsies that can be regarded as presenting saturation with 24 fragments.
Although in literature there are conflicting experiences about the manner and frequency of re-biopsy after a
diagnosis of HGPIN or ASAP, in our experience the diagnosis that most frequently led to repeat biopsy was
HGPIN + ASAP. Prostate cancer was most often diagnosed after the initial diagnosis of ASAP.
Conclusion:
Our results suggest that patients with a diagnosis of HGPIN or ASAP in two consecutive biopsy should be
subjected to a third biopsy.
REFERENCES:
1. Pascual Mateo C, Lujan Galan M et al.: Clinical significance of prostatic intraepithelial neoplasm and atypical small
acinar proliferation: relationship with prostate cancer. Actas Urol Rsp. 2008; 32(7):680-5.
2. Leite K, Cristina A et al.: Repeat prostate biopsies following diagnoses of prostate intraepithelial neoplasia and atypical
small gland proliferation. Int Braz J Urol. 2005; Vol.31(2): 131-136.
3. Borboroglu PG, Sur RL et al.: Repeat biopsy strategy in patients with atypical small acinar proliferation or high grade
prostatic intraepithelial neoplasia on initial prostate needle biopsy. J Urol. 2001; 166(3):866-70.
61 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LIDOCAYNE SPRAY ADMINISTRATION TRANSRECTAL ULTRASOUND GUIDED
PROSTATE BIOPSY: RESULTS AFTER FOUR YEARS OF EXPERIENCE
Lucio Dell’ Atti, Gian Rosario Russo
U.O. Urologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Arcispedale “S. Anna”, Ferrara
Mail primo autore: [email protected]
Tel: 0532236078
Introduction:
Transrectal ultrasound guided prostate biopsy is now a routine, outpatient, easy to learn, quick and simple
execution, but still surrounded by a number of side effects including pain and discomfort are the most
frequent. In our view, an important component of the state of discomfort during the procedure is
characterized by the tone of the anal sphincter and obstruction intrarectal ultrasound probe that causes
pressure and stretching of muscle fibers and sensory nerve fibers. The aim of our study was to evaluate
patients tolerance to transrectal ultrasound guided prostate biopsy using anesthesia with Lidocaine
Spray(LS).
Materials and Method:
Between September '07 and August '11: 975 consecutive male patients with elevate PSA and (or) abnormal
digital rectal and (or) suspect TRUS scheduled for prostate biopsy (PB) were randomized. For this
examination was used “end-fire” multi-frequency convex probe and needle 18 Gauge. Biopsy examinations
were performed alternately by two operators with experience. Each exam was performed to empty the
bladder, because in our opinion the bladder repletion is an important element of discomfort during the
execution of PB. All patients treated with LS(10gr/100ml) applied 2 minutes before the PB. The first
intention was to obtain 14 core in all patients underwent. A verbal numerical pain score (VNS) from =0 no
discomfort to 10 = severe pain was given to the biopsied patients and was asked separately evaluate the
degree of pain associated with the procedure, through two scales VNS, one for the insertion of the probe and
the manoeuvres associated with it, the other only on biopsy.
Results:
Only 6 patients were we unable to insert TRUS probe in 4 for the presence of fibrous anal and 2 for severe
haemorrhoidal prolapse. The mean age of patients was 68 years(48–78), the value of the PSA was 8.2 (2.5–
17.8), total prostate volume 57 ml(36-135).The number of biopsies performed in each patient was 14 (621).The mean pain in the visual numerical scales in patients was 3.3(2-8) in the first questionnaire, 2.1(1-7)
in the second questionnaire. The 8% of case (79/969) referred severe or unbearable pain (score ≥ 7), 716
patients (74%) referred no pain to all. Only 21 patients would not ever repeat the same biopsy or would
request a different type of anesthesia and 786(81%) of them would repeat it in the same way. Analyzing the
two questionnaires you may notice a difference in the tolerability of the procedure in the first questionnaire,
not in the second questionnaire (p <0.001). The patients were homogeneous in terms of pain with regard to
the values of PSA and prostate gland volume. Also show that subjects aged >65 years of patients tolerate the
procedure better in the two questionnaires (average pain VNS was respectively 2.4 and 1.7). In the elderly
there is a change in the perception of pain, in reducing pain perception may contribute several factors such as
the decrease in the number of nociceptors and nociceptive afferents responsible for the elevation of the
threshold and tolerance of pain
Discussion and conclusion:
In our experience, transrectal PB is generally well tolerated with LS as the only anesthesia. Since our study
suggests that the main element of discomfort by the patient during the procedure resulting from the
introduction of ultrasound probe and the various movements induced by it for this examination than by
biopsy itself. This new technique it makes an excellent alternative to those currently practiced by most
urologists, causing a sharp reduction of anal sphincter tone with better patient compliance and tolerability to
the ultrasound probe in the performance of biopsies.
References:
1. Hergan L, Kashefi C, Parsons JK. Local anesthetic reduces pain associated with transrectal
ultrasound-guided prostate biopsy: a meta-analysis. Urology 69 (3):520-5, 2007
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local anesthetics: results of a randomized clinical trial. J Endourol. 19 (6):738-43, 2005
62 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 PRO2PSA, PHI INDEX AND PROSTATIC BIOPSY
A. Fandella, E. Guidoni, L. Pasini (Monastier)
Introduction
tPSA and the presence of prostate cancer in patients undergoing prostate biopsy.
The main limitation of the use of PSA in diagnosing prostate cancer is the relative low specificity.
The PSA can be elevated in benign conditions. The Free PSA comprises several subforms of inactive PSA,
the proenzymes (proPSA). We evaluated the correlation between serum levels of Phi [(p2PSA/fPSA) x
Materials and methods
tPSA in each patient and was correlated with the histological diagnosis. 120 patients with PSA between
2.5 and 10 ng / ml underwent transrectal prostate biopsy. The assay of total PSA, free PSA and 2ProPSA, was performed on serum samples collected before prostate biopsy. And 'The Phi was calculated
[(p2PSA/fPSA) x PSA
Results
The histologic
findings
of biopsy
are: BPH (49 patients), prostaticadenocarcinoma (38
patients), PIN / ASAP (33 patients). The median levels of Phi is significantly higher in patients with cancer
compared to those with BPH or PIN / ASA (p0.005 and 0,034,respectively).
Conclusions
The Prostate health index seems to correlate with the histological diagnosis of prostate cancer
63 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 HGPIN A INNOCENTFINDING IN EXTENDED BIOPSY?
A. Fandella, E. Guidoni, F. Di Toma (Monastier)
Objectives Repeat biopsy (re-biopsy) has been advocated following the diagnosis of High-grade prostatic
intraepithelial neoplasia (HGPIN) found in prostate biopsy specimens. Previous studies of repeat prostate
biopsy for HGPIN that report cancer detection rates of 40-70%, are based on the sextant biopsy scheme.
Currently, extended prostate biopsy schemes that incorporate lateral/anterior peripheral zone are routinely
utilized at most centres because of the associated increased cancer detection rate when compared to sextant
biopsy. Our objective was to determine the prognostic value of HGPIN in men who underwent eighteen
specimen prostate biopsy.
Methods We retrospectively evaluated 540 transrectal ultrasound guided prostate biopsies between January
2010 and December 2011 in our Urologic departments. All patients who had the initial pathological finding
of High Grade PIN were selected and cancer detection rate was determined in follow-up biopsies. We also
compare the pathological stage of the cancer detected with or without the diagnosis of HGPIN.
Results The overall detection rate of isolated High Grade PIN lesions was 2,5% (14 patients). Of 14
patients with isolated High Grade PIN on initial biopsy 13 (98.9%) underwent re-biopsy up to three times.
The total incidence of cancer detection rate was 45.4% (6 patients). There were no differences at the
pathological stage after radical prostatectomy between the group of patients who had cancer after detection
of HGPIN or at the first biopsy.
Conclusions Our results suggest that for patients with a PSA between 4 and 20 ng/ml, whose initial biopsy
by 18 cores contains HGPIN but not cancer, the presence of PIN alone is an indication to re-biopsy. Up to
the
3rd
re-biopsy prostate
cancer
could
be
detected.
Timing for re-biopsy, how many sample taken on re-biopsy, and how many times re-biopsy are still
problems to solve. However the cancer found was pathological significance and did not differ from the
prostatic carcinoma found after the first biopsy.
64 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 IMAGING E BIOPSIA PROSTATICA DOPO TRATTAMENTO HIFU PER TUMORE
PROSTATICO CLINICAMENTE LOCALIZZATO: ANALISI DELLA LETTERATURA
G.C. Comeri, P. Consonni, C. Mazzieri, P. Premoselli, G. Toia
U.O. Urologia, Casa di Cura Multimedica, Presidio Ospedaliero di Castellana (VA)
Il cancro alla prostata è il tumore più comune nell'Unione Europea, la sua incidenza è stimata in 110,5 per
100.000 e il tasso di mortalità è di 21,1 per 100.000 nel 2008 (1). Il tasso di mortalità basso riflette sia
l'attuazione delle misure di screening, che l'elevata incidenza della malattia localizzata, con una prognosi
favorevole. La scelta di una terapia adeguata è dunque fondamentale, tenendo in considerazione sia
l'efficacia che l'invasività della terapia scelta. Le linee guida EAU consigliano la sorveglianza attiva e la
prostatectomia radicale, come opzioni standard per i pazienti con malattia localizzata. Un'altra opzione è la
radioterapia in particolare per i pazienti non idonei per un intervento chirurgico o che non vogliono
sottoporsi ad intervento chirurgico (2). Gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU) sono un trattamento
minimamente invasivo per il cancro alla prostata. Le raccomandazioni riguardanti l’HIFU nelle linee guida
internazionali sono ancora contrastanti (2, 3). Lo scopo di questo lavoro è quello di verificare i dati che
emergono dalla letteratura circa la biopsia prostatica e l’imaging dopo il trattamento HIFU per cancro
prostatico.
Biopsia della prostata
Consigli degli Autori è quello di fare riferimento a un recente e molto meticoloso meta-analisi pubblicata in
European Urology 58 (2010) 803-815, le cui conclusioni sono che "... le prove disponibili sull'efficacia e la
sicurezza di HIFU nel carcinoma della prostata è molto bassa qualità, soprattutto per studiare disegni che
mancano di gruppi di controllo. .... "(4).
Imaging
Abbiamo condotto una ricerca bibliografica nella banca dati Medline combinando i termini MeSH neoplasie
prostatiche / diagnosi e ablazione a ultrasuoni focalizzati ad alta intensità. La ricerca in letteratura ha incluso
tutti gli studi condotti sugli esseri umani negli ultimi dieci anni e ha prodotto 115 riferimenti bibliografici.
Tutti gli abstracts sono stati recuperati e valutati; tra questi sono stati selezionati ed ampiamente analizzati
dieci lavori in full-text. In quattro di essi l’ecografia transrettale, convenzionale o colordoppler; nei restanti
sei lavori è stata impiegata la risonanza magnetica (MRI) con o senza per valutare gli effetti del trattamento
HIFU il tessuto prostatico, dall'altro e sei valutate RM, con o senza. spettroscopia, DCE e DW, per valutare
l'entità della distruzione dei tessuto prostatico dopo HIFU; la biopsia prostatica è sempre stata utilizzata
come controllo. La qualità complessiva di questi lavori è generalmente bassa a causa di piccole serie, assenza
di valutazione pre-HIFU, tempistica diversa nella linea valutazione post-trattamento (1, 3 o 6 mesi), studi
generalmente retrospettivi, inoltre, quando viene usato MRI come indicatore di tessuto vitale residuo, è
molto difficile far coincidere con precisione zone sospette alla MRI con LA biopsia sotto guida ecografica.
In conclusione l’ecografia transrettale (TRUS) è inutile nell’identificare zone sospette per recidiva locale;
anche l’elastografia non è in grado di correlare precisamente con i risultati della biopsia; il colordoppler
(CD), con o senza mezzo di contrasto ha dimostrato scarsa sensibilità, le aree positive al colordoppler hanno
una probabilità quattrovolte maggiore di contenere tessuto neoplastico vitale, ma i falsi positivi sono per lo
più dovuti a residui di tessuto benigno (5, 6, 7, 8). DCE-MRI è generalmente più sensibile e specifica della
RM pesata in T2 per identificare il cancro residuo, ma DW-MRI ha prestazioni superiori DCE-MRI.
Bibliografia
1. Cancer Facts fogli, European Cancer Osservatorio Web site. http://eu-cancer.iarc.fr/2-cancer-factsheets.html,
en.
Estratto
19
Luglio
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2. Heidenreich A, Bolla M, Joniau S et al. Orientamenti in materia di cancro alla prostata. Associazione
Europea di Urologia sito web. http://www.uroweb.org/gls/pdf/prostate% 20Cancer% 202010% 20June
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Estratto
19
Luglio
2010.
3. Linee guida per la gestione del tumore della prostata clinicamente localizzato: aggiornamento 2007.
American Urological Association Web site. http://www.auanet.org/content/guidelines-and-qualitycare/clinical-guidelines.cfm?sub=pc.
Richiamato
10
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2010.
4. Warmuth M, T Johansson, Mad P revisione sistematica dell'efficacia e della sicurezza di High-Intensity
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5. Rouvière O, Mege-Lechevallier F, Chapelon JY et al. Valutazione del colore doppler nel guidare la
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65 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ultrasuoni per misurare il volume del tessuto colpito dopo il trattamento HIFU per il cancro prostatico
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13. Cirillo S, M Petracchini, D'Urso L et al. Endorettale risonanza magnetica e spettroscopia a risonanza
magnetica per controllare la prostata per la malattia residua o di recidiva di cancro locale dopo ecografia
transrettale focalizzati ad alta intensità. BJUI (2008), 102: 452-58.
66 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 DOES THE TRANSRECTAL ULTRASOUND PROBE INFLUENCE PROSTATE CANCER
DETECTION IN PATIENTS UNDERGOING AN EXTENDED PROSTATE BIOPSY SCHEME?
RESULTS OF A LARGE RETROSPECTIVE STUDY
Raber M, Scattoni V, Gallina A, Freschi M, Maccagnano C, Montorsi F, Rigatti P.
Dipartimento di Urologia, I.R.C.C.S. San Raffaele, Mila, Italy
INTRODUCTION
To compare the prostate cancer detection rate and tolerance profile between a transrectal biopsy made with a
'side fire' (SF) and an 'end fire' (EF) ultrasound probe.
PATIENTS AND METHODS:
We selected patients undergoing first biopsy and re-biopsy of the prostate with a 14- and 18-core template
using EF and SF transrectal probes, respectively. • We compared the cancer detection rate between the two
probes on first biopsy and re-biopsy and gauged patient tolerance using a visual analogue scale (VAS).
RESULTS:
A total of 1705 patients were included in the first biopsy group, while 487 were in the re-biopsy group. • The
overall detection rate of first biopsy was 37.2%; the overall detection rate of re-biopsy was 10.1%. • No
significant difference was found between the two probes in the first biopsy and re-biopsy sets (38% vs
36.5%, P= 0.55; 10.8% vs 9.3%, P= 0.7). • The lack of any significant association between the type of probe
used and prostate cancer detection was confirmed by univariable and multivariable analyses in both the first
biopsy and re-biopsy sets after accounting for prostate-specific antigen values, per cent free prostate-specific
antigen, digital rectal examination, and prostate and transition zone volumes. • The patient tolerance profile
of the SF group was significantly better than that of the EF group (mean VAS 1.78 ± 2.01 vs 1.45 ± 2.21; P=
0.02).
CONCLUSION:
The prostate cancer detection rate does not depend on the type of probe used. However, the SF transrectal
probe is associated with a better patient tolerance profile.
67 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 DIAGNOSIS OF ISOLATED HIGH-GRADE PROSTATIC INTRAEPITHELIAL NEOPLASIA:
PROPOSAL OF A NOMOGRAM FOR THE PREDICTION OF CANCER DETECTION AT
SATURATION RE-BIOPSY
Marco Roscigno*, Vincenzo Scattoni**, Massimo Freschi**, Firas Abdollah**, Carmen Maccagnano**,
Andrea Galosi***, Vito Lacetera***, Rodolfo Montironi***, Giovanni Muzzonigro***, Federico Deho*,
Gianfranco Deiana, Francesca Ceresoli*, Daniela Chinaglia*, Francesco Montorsi**, Luigi Filippo Da
Pozzo*
* Dept. of Urology and Pathology- Ospedali Riuniti di Bergamo
** Dept. of Urology and Pathology. Vita-Salute San Raffaele University, Milan
*** Dept. of Urology and Pathology, Polytechnic University of the Marche region, Ancona
Objectives: To evaluate factors that may predict prostate cancer (PCa) detection after initial diagnosis of
high-grade prostatic intraepithelial neoplasia (HGPIN) on 6-24 cores prostatic biopsy.
Materials and Methods: We retrospectively evaluated 262 patients submitted from 1998 to 2007 to prostate
re-biopsy (rPBX) after initial HGPIN diagnosis in tertiary academic centres. HGPIN diagnosis was obtained
on initial systematic prostate biopsy with 6 to 24 random cores. All patients were re-biopsied with a
“saturation” rPBx with 20-26 cores with a median time to rPBx of 12 months. All slides were reviewed by
expert uro-pathologists.
Results: Plurifocal HGPIN (pHGPIN) was found in 115 pts and monofocal HGPIN (mHGPIN) in 147 pts.
One hundred and eight and 154 patients were submitted to >12-core initial PBx and 12-core, respectively.
Overall PCa detection at rPBx was 31.7%. PSA (7.7 vs 6.6 ng/ml;p=0.031) and age (68 vs 64 years;p=0.001)
were significantly higher in patients with PCa at rPBx. PCa detection was significantly higher in pts with a
12-core initial biopsy than in those with >12-core (37.6% vs 23.1%;p=0.01), and in pts with pHGPIN than
in those with mHGPIN (40% vs 25.1%;p=0.013). At multivariable analysis, PSA value (p=0.041; HR:1.08),
age (p<0.001; HR:1.09), pHGPIN (p=0.031; HR:1.97) and 12-core initial biopsy (p=0.012; HR:1.95) were
independent predictors of PCa detection. A nomogram including these 4 variables achieved 72% accuracy in
predicting PCa detection after an initial HGPIN diagnosis.
Conclusion: PCa detection on saturation rPBx after initial diagnosis of HGPIN is significantly higher in pts
with 12-core than those with >12-core initial PBx and in patients with pHGPIN than in those with
mHGPIN. We developed a sim ple prognostic tool for the prediction of PCa detection in patients with initial
HGPIN diagnosis, undergoing saturation prostate re-biopsy
INTRODUCTION
High-grade prostatic intraepithelial neoplasia (HGPIN) has been traditionally considered as a precursor of
prostate cancer (PCa)1-3. Transrectal Ultrasound (TRUS)-guided needle biopsies, performed following
elevated PSA values or an abnormal digital rectal examination (DRE), detected HGPIN in 4-25% of
patients4-6. Past studies showed a 22% to 100% cancer detection rate on prostate re-biopsy (rPBx) in patients
with an initial HGPIN diagnosis7-8.
Several clinical variables, such as abnormal DRE, anomalies on TRUS, patient age, PSA and HGPIN
focality have been investigated as markers to predict the presence of PCa on rPBx, but no consensus has yet
been reached9-12.
Moreover, the prognostic value of HGPIN in prostate biopsy cores has been recently questioned because
several studies have shown a lower cancer yield on rPBx, especially when the first sampling is performed
using an extended biopsy technique12-15.
The aim of our study was to evaluate the impact of the number of cores taken at initial prostate biopsy on
subsequent PCa diagnosis, in patients with initial diagnosis of isolated HGPIN. Furthermore, we investigated
which factors may predict the risk of PCa detection at rPBx in these subgroup of patients.
MATERIALS AND METHODS
We retrospectively evaluated 270 patients who underwent a prostate rPBx after initial HGPIN diagnosis in
three tertiary academic centres between 1998 and 2007. HGPIN diagnosis was obtained on initial systematic
TRUS-guided prostate biopsy with 6 to 24 random cores (median: 12 cores). All men were re-biopsied with
a saturation scheme consisting of 20-26 cores (mean: 22 cores; median: 20 cores) with a median time to
rPBx of 12 months (range: 3-30 months), according to the urologist’s preference. All patients undergoing
third or fourth biopsy received a 20-26-core biopsy.
All slides were reviewed by expert uro-pathologists. A total of eight patients were excluded, six due to a
concomitant atypical small acinar proliferation (ASAP) and two due to a concomitant PCa micro-focus.
68 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Combined data-bases from the three centers were analyzed to retrospectively retrieve PSA and PSA density
(PSAD) values at biopsy time, patient age, DRE or TRUS results, number of cores with HGPIN, time
interval between initial and rPBx.
The HGPIN was classified as pluri-focal when neoplastic foci were present in 2 cores.
When patients with initial HGPIN diagnosis underwent rPBx, 4 diagnoses were made: benign prostate tissue,
HGPIN, ASAP or PCa. We combined the first three findings in a “no-cancer” group, in order to perform
univariable and multivariable analyses comparing the cancer and no-cancer groups. Clinical data were
analysed using χ2 and t-student analyses. A multivariable logistic regression analysis was performed in order
to address the impact of the above-mentioned variables on PCa detection in patients submitted to saturation
rPBx. Multivariable logistic regression coefficients were used to generate a predictive nomogram. Each
variable was assigned a scale of points according to prognostic effect that ranged from 0 to 100. The point
values determined for each individual case were added to give a total sum. The total sum thus calculated was
correlated to the probability of PCa detection. The accuracy of this nomogram was quantified with receiver
AUC. Internal validation was performed using 200 bootstrap resamples.
Statistical analyses were performed with S-Plus® Professional software. Statistical significance was defined
as a P value < 0.05.
RESULTS:
Patient’s characteristics are reported in Table 1. Plurifocal HGPIN (pHGPIN) was found in 115 pts (43.9%)
and monofocal HGPIN (mHGPIN) in 147 pts (56.1%). One-hundred and fifty four patients and 108 patients
underwent 12-core and >12-core initial PBx, respectively.
Mean age was 65.30.7 yrs (range 47-83); mean PSA 7.14.5 ng/mL (range: 1.5-26.4 ng/mL); mean prostate
volume: 55.527.3 mL (range:17-160).
The overall PCa detection at rPBx was 31.7% (83 pts). Eight patients had ASAP diagnosis at repeat biopsy,
while 11 presented HGPIN. T-test analysis showed significant differences in initial PSA values (6.6 vs 7.7
ng/ml;p=0.031), age at PBx (64 vs 68 years; p=0.001) between “no-cancer” group and PCa patients at rPBx.
No differences were found with respect to prostate volume and time to rPBx.
Univariable logistic regression analysis showed that a higher number of cores taken at initial biopsy
(continuous variable) was associated with lower PCa detection at saturation re-biopsy (p = 0.03).
Furthermore, a cut-off of ≤12-core vs >12 cores was chosen according to the most informative cut-off, using
ANOVA test for every possible cut-off and choosing the lowest p value.
χ2analysis showed that PCa detection was significantly higher in patients who executed a 12-core initial
PBx than in those with >12-core (37.6% vs 23.1%; p=0.01), and in patients with pHGPIN than in those with
mHGPIN (40% vs 25.1%; p=0,013).
No significant difference was found between patients with 12-core and those with >12-core at first PBx,
between patients with pHGPIN or mHGPIN and patients re-biopsied after or before 12-months, and also also
respect to PSA value, age, prostate volume and DRE-findings.
At multivariable analysis, PSA value (p=0.041; HR:1.08), age (p<0.001; HR:1.09), pHGPIN (p=0.031;
HR:1.97) and 12-core initial biopsy (p=0.012; HR:1.95) were independent predictors of PCa detection. On
the contrary, DRE findings, prostate volume and time to rPBx did not achieve the independent predictor
status of PCa detection. (Table 2).
A nomogram including the 4 predictive variables achieved 72% accuracy in predicting PCa detection after an
initial HGPIN diagnosis (Fig. 1).
The bootstrap corrected accuracy of the nomogram including these 4 variables was 72% (Fig.1). According
to this nomogram a patients with monofocal HGPIN, 65-years old, with PSA of 5 ng/mL and >12-core initial
biopsy received a total of 60 points, corresponding to a less than 20% risk of PCa detection at saturation
rPBx. A patients with plurifocal HGPIN, 70-years old, with PSA of 10 ng/mL and ≤12-core initial biopsy
received a total of 110 points, with a 60% risk of PCa detection at saturation rPBx.
The calibration plot showed that the performance characteristics of the developed nomogram were close to
perfect prediction in virtually all patients with a nomogram predicted probability of 50% or less (Fig. 2).
Conversely, in patients with a PCa predicted probability of more than 50%, the nomogram tend to
underestimate the real risk of tumor.
Furthermore, among the 179 men with no cancer on rPBx, 85 were followed-up and received a third biopsy,
during a mean 14.5-month time (range: 3-29 months). Eleven patients had PCa diagnosis at third PBx
(12.7%). Among those men, eight have had initial diagnosis of HGPIN with 12-core initial PBx.
Eleven patients received a fourth biopsy. In one patient, who received 12-core initial PBx, PCa was found
(9%).
69 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 DISCUSSION
The clinical importance of HGPIN is related to its predictive value as a marker for PCa. The HGPIN
incidence and its correlation with PCa have been very variable in the literature ranging from 0.7 to 24%16-18.
Many trials reported a PCa yield on rPBx (due to a previous HGPIN diagnosis) ranging from 22% to
100%7,8,18-20. Thus, the PCa detection rate after an initial HGPIN diagnosis has decreased from 40% to 50%
in the early 1990s to 10% to 30% in recent studies9-12. The change in prostate sampling from sextant to
extended or double sextant protocol is considered largely responsible for this decrease15.
Our results are similar to those reported in contemporary series, with a mean of 31% PCa detection rate after
an initial HGPIN diagnosis. The relatively higher percentage, compared with the studies of Gallo9 et al and
De Nunzio11 et al, might be explained by the higher number of cores taken at rPBx (18-26 cores) as well as
the longer time to rPBx (range 3-30 months; median 12 months).
Furthermore, our data clearly demonstrate the impact of the number of cores taken at the initial PBx in the
subsequent risk of PCa detection in pts with initial diagnosis of HGPIN. PCa detection at rPBx was
significantly higher in men who executed a 12-core initial PBx than in those with >12-core. Moreover, a
number of cores 12 taken at the initial PBx achieved the independent predictor status of PCa detection.
Patients with isolated HGPIN diagnosis after an initial biopsy set with ≤ 12 cores taken had twice higher risk
of PCa detection at saturation rPBx than those submitted to > 12-core initial biopsy.
In the era of extended biopsy protocol, these findings support the hypothesis that HGPIN diagnosis is
associated with a risk of PCa which is lower than the risk described in previous studies, with a similar
detection rate reported during the follow-up of initially negative biopsy (19% in our experience).
We may conclude that >12-core initial biopsy seems to permit an extensive sampling in order to
provide a high negative predictive value. Then, in case of isolated HGPIN diagnosis, we can reasonably
presume that the risk of missing concurrent PCa at rPBx is low and requires no aggressive rPBx
protocol. Moore et al21 advocated that patients could be monitored with yearly PSA and DRE.
Nonetheless, DRE was not predictive of PCa detection in our study. However, there is a lack of good long
term data on the risk of subsequent cancer. Until those studies are completed, it may be reasonable to
perform a repeat biopsy within 3 years after the initial diagnosis of HGPIN14.
Conversely, in case of isolated HGPIN diagnosed with 12-core initial PBx, the PCa detection rate at
subsequent biopsy is significantly higher (37%) than in pts with initially negative biopsy (23%). This result
agrees with the guidelines of the National Comprehensive Cancer Network, which recommends extended
rPBx, including transition zone, if HGPIN has been found in TRUS-guided PBx with less than 10 cores23.
The need of close follow-up and rPBx protocol in men with an initial isolated HGPIN diagnosis obtained
with a lower number of cores is further supported by the finding that the majority of PCa detected at the third
or fourth rPBx have been diagnosed with 12-core initial scheme.
Moreover, several authors analysed the prognostic value of PSA, PSAD, patient age, prostate volume,
abnormal DRE and/or TRUS findings, and time to rPBx in pts with initial HGPIN diagnosis.
In our study, both older age and higher PSA values were independently associated with a higher risk of PCa
detection at saturation rPBx. On the contrary, DRE findings, prostate volume and time to rPBx did not
achieve the independent predictor status of PCa detection.
The re-biopsy follow-up interval is one of the main concerns in the case of initial, isolated HGPIN
diagnosis. The most aggressive re-biopsy protocol reported in the literature is follow-up biopsies at 3
to 6 monthly intervals for 2 years, followed by 12 monthly intervals for life25. Lefkowitz et al.14
confirmed that HGPIN is a risk factor in the development of CaP and recommended a 3-year followup interval biopsy. In our previous mono-institutional experience24, in case of 12-core initial PBx, a
12-month follow-up rebiopsy seemed to provide higher detection of a pathologically organ-confined
cancer, avoiding unnecessary negative biopsies (due to biopsying too soon) and reducing the risk of
missing curable CaP (due to biopsying too late).
In the present study no impact on PCa detection was found according to the interval between first and
repeat biopsy. Probably, the increased number of cores taken at initial biopsy provides a high negative
predictive value and longer follow-up time to re-biopsy is needed, in order to increase PCa detection,
in case the initial biopsy had missed a very low volume cancer.
The role of HGPIN plurifocality is still controversial: Recently, Merrimen et al. found a greater likelihood of
PCa when multiple prostatic sites (≥2 cores) were involved10,22. Furthermore, De Nunzio et al11 suggested
that a 6-months PBx is recommended in patients with HGPIN when 4 or more cores with HGPIN are
detected in the initial PBx sample, regardless of PSA values. Conversely, HGPIN focality did not seem to
influence the subsequent diagnosis of PCa, according to Gallo et al. findings9. However, the first two studies
analyzed more than 500 patients, while those of Gallo et al only 65 patients.
We previously reported a statistically significant difference of PCa detection rate in men with monoor pluri-focal HGPIN in a population of pts with initial 10-12-core PBx.
70 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Our data support the predictive role of HGPIN plurifocality: patients with ≥ 2 cores with HGPIN had
nearly two times higher risk of PCa detection at rPBx, compared to patients with monofocal HGPIN.
According to these results, we developed a simple tool for the prediction of Pca detection in patients
undergoing saturation rPBx after an initial diagnosis of isolated HGPIN, with an accuracy of 72%.
This prognostic tool may help in better selecting patients who would need repeat biopsy after an initial
diagnosis of isolated HGPIN and could be useful in patient counseling. It is noteworthy that the performance
characteristics of the developed nomogram were close to perfect prediction in virtually all patients with a
nomogram predicted probability of 50% or less. Conversely, in patients with a PCa predicted probability of
more than 50%, the nomogram tend to underestimate the real risk of tumor. However, this observation does
not limit the use of our nomogram. In clinical practice, all patients with a PCa predicted risk of >50% will
receive a biopsy, regardless of their exact predicted value. Conversely, the nomogram predictions were
virtually perfect in patients with a predicted value of 50% or less. As a consequence, a biopsy can be safely
omitted in patients with a low PCa predicted probability, without significantly increasing the risk of missing
positive diagnosis.
In addition to accuracy, simplicity and use of readily available clinico-pathological criteria, the use of a
multi-institutional cohort allows for the applicability of the current predictive tool to the general patient
population.
Our study is not devoid of limitations. The power of our conclusions may be somewhat limited by the
relative small study population and the retrospective nature of the study. The number of cores taken at initial
biopsy is determined by the treating urologist and may be affected by several parameters such as PSA value,
prostate volume, or DRE findings. Furthermore, our patients underwent a second set of PBx based on their
urologist’s opinion. Even if these biases may affect the results of the study, no significant differences in
abnormal DRE findings, prostate volume and PSA values were detected between the group of pts with 12core initial PBx or > 12-core initial biopsy and between patients re-biopsied more or less than 12 months
after the first biopsy set.
CONCLUSIONS
PCa detection on saturation rPBx after initial diagnosis of HGPIN is significantly higher in patients
with 12-core than those with >12-core initial PBx. Moreover, patients with ≥ 2 cores with HGPIN had
more than 3 times higher risk of PCa detection at rPBx, compared to patients with monofocal HGPIN.
Older age and higher PSA values are also associated to a higher risk of PCa detection on subsequent
rPBx.
We developed a simple and accurate nomogram based on the 4 available clinico-pathological variables of
age, PSA value, mono or plurifocality of HGPIN, the number of cores taken oat the initial biopsy. This
simple prediction model can be used for patient counselling and guiding the urologist to perform rPBx after
an initial diagnosis of isolated HGPIN.
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72 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 TRATTAMENTO SCLEROSANTE DELLE CISTI RENALI SEMPLICI CON ALCOOL ETILICO
ASSOLUTO: NOSTRA ESPERIENZA DAL 1995 AL 2011
M. Tedeschi, S. Palazzo, S. Impedovo, V. Di Lorenzo, V. Ricapito,
F.P. Selvaggi, M. Battaglia e P.Martino
Dipartimento dell’emergenza e dei trapianti d’organo
Sezione di Urologia, Andrologia e Trapianto di reni
Università degli Studi di Bari
INTRODUZIONE
Le cisti semplici rappresentano le neoformazioni renali di sicuro più frequenti nel soggetto adulto. Il loro
riscontro avviene nella maggior parte dei casi in maniera del tutto occasionale, in corso di un ecografia
dell’addome eseguita per altri motivi, e in genere non necessitano di alcun trattamento. La rara
sintomatologia legata ad un effetto massa, l’ipertensione arteriosa, la seppur poco frequente compressione
della via escretrice, la necessità, a volte, di un indagine citologica e le dimensioni (soprattutto se > 9 cm)
rappresentano le principali indicazioni al trattamento delle stesse.
MATERIALI E METODI
Dal 1995 sino al 2010 abbiamo eseguito presso il nostro centro 353 trattamenti eco-guidati di cisti renali
semplici con dimensioni da 84 mm a 191 mm. In 61 casi si è trattato di aspirazioni semplici; in 69 casi è
stato posizionato un drenaggio continuo per 24 ore; 223 lesioni sono state sclerotizzate dopo aver avuto
conferma, in diversi casi con una TAC, della esatta topografia della formazione cistica e dei suoi rapporti con
la via escretrice. In questo ultimo caso, dopo aver aspirato completamente la cisti attraverso un catetere
nefrostomico n. 6 ch, si fissa lo stesso alla cute e si riempie la cavità cistica con 60 ml di sol. fisiologica che
viene poi aspirata dopo alcuni minuti (in questo modo si ha la certezza che la formazione cistica non
comunica con la via escretrice) . A questo punto la cavità cistica viene riempita con alcool etilico assoluto in
quantità pari al 30% del liquido drenato, ma mai superiore a 60 ml. Si invita, quindi, il paziente a variare
frequentemente il decubito e dopo 45 minuti si procede all’aspirazione completa dell’alcool, e alla rimozione
del catetere nefrostomico.
RISULTATI
I risultati da noi ottenuti dimostrano che il drenaggio percutaneo associato a sclerotizzazione rappresenta la
metodica migliore con una percentuale di successo prossima al 100% dei casi utilizzando alcol etilico al
99%. Tale metodica, però, non è del tutto scevra da complicanze tra le quali il dolore urente (29%), la
sindrome vagale (11%) e l’emorragia intracistica (0,5%).
Nei pazienti trattati con sola aspirazione o con posizionamento di drenaggio percutaneo senza
sclerotizzazione abbiamo osservato una percentuale di recidiva completa dell’85% e 39% rispettivamente.
DISCUSSIONE
Il trattamento percutaneo eco-guidato è oggi una metodica sicura ed una valida alternativa all’intervento di
chirurgia a cielo aperto o laparoscopica. La tecnica, eseguita in anestesia locale, può consistere nella puntura
semplice, nella puntura con drenaggio o nella puntura con sclerotizzazione, con percentuali di successo
variabili. Dai dati presenti in letteratura risulta evidente come, nel tempo, diverse tecniche di sclerotizzazione
siano state proposte, con l’uso di differenti sostanze. A nostro parere la singola somministrazione di alcool
etilico al 99% si è dimostra sicura ed efficace come dimostra, nella quasi totalità dei casi, l’assenza di
recidiva in pazienti trattati con tale metodica.
CONCLUSIONI
I buoni risultati a lungo termine, la mininvasività, il singolo trattamento e la possibilità di poter essere
eseguita senza ospedalizzazione, rappresentano i punti di forza della procedura descritta. Esistono tuttavia
ancora pareri discordanti sulle modalità di esecuzione della procedura, soprattutto in merito al tipo di
sostanza sclerosante da utilizzare e al tempo di contatto tra questa e la parete cistica.
Breve bibliografia:
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4-hr retention techniques. AJR Am J Roentgenol. 2005 Oct;185(4):860-6.
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oil. Diagn Interv Radiol. 2009 Jun;15(2):148-52.
73 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Venerdì,18 maggio Relazioni
74 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LA DIAGNOSTICA ECOGRAFICA DELLA NEFROPATIA ACUTA
M. Mereghetti (Magenta)
Definizione della patologia in questione.
Seguono le classificazioni eziologiche secondo il tipo di patologia, con riferimento alla descrizione che ne
viene fatta secondo le metodiche di indagine.
Si passa poi alla valutazione degli aspetti ecografici di ogni definizione, con le caratteristiche specifiche, se
ci sono.
Esempio clinico unico con valutazione delle varie possibilità diagnostiche, in riferimento all’aspetto
ecografico.
Valutazione della vascolarizzazione intrarenale nel rene normale, con i principali parametri quantitativi
(velocità di picco e tele diastolica) e semiquantitativi, con particolare riferimento all’Indice di Resistenza
(I.R.).
Studio delle variazioni dell’I.R. nelle varie tipologie di nefropatia acuta corrispondenti.
Valutazione dell’attendibilità del parametro, soprattutto in caso di nefropatia preesistente o di evoluzione del
quadro nel tempo (da IRA prerenale a NTA, ad esempio).
LA DIAGNOSTICA ECOGRAFICA DELLA NEFROPATIA CRONICA
F. Marrocco (Civitavecchia)
La presentazione esporrà i diversi rilievi ecografici caratteristici della nefropatia cronica, suddividendoli per
temi e tecnologie di analisi.
Dopo una analisi approfondita delle caratteristiche ecografiche acquisibili in B-mode, nei più comuni quadri
di nefropatia cronica, si passerà ad una disamina delle caratteristiche qualitative e quantitative dell’analisi
Doppler eseguita con tecniche colour-flow, power-flow e con l’utilizzo del Doppler pulsato.
Si approfondirà quindi la potenziale utilità clinica dello studio e del monitoraggio dell’indice di resistenza e
dell’analisi del flusso diastolico campionato sulle arterie interlobari.
La lezione si concluderà quindi con l’analisi delle ultime acquisizioni tecnologiche in materia ecografica ed
una rapida disamina della loro potenziale utilità in materia di nefropatia cronica.
Ad ogni capitolo verrà associata una ricca sezione iconografica.
1. Un indice di resistenza >0.70:
 è sempre un dato patologico;
 può essere un dato patologico, ma va contestualizzato al quadro clinico ed alle caratteristiche
anagrafiche del paziente;
 è sempre un dato normale;
 depone per una diagnosi sospetta di stenosi dell’arteria renale.
2.




Il pattern B-mode caratteristico della nefropatia diabetica cronica è:
dimensioni dell’organo aumentate, spessori parenchimali elevati, margini regolari;
dimensioni dell’organo ridotte, spessori parenchimali elevati, margini regolari;
dimensioni dell’organo aumentate, spessori parenchimali ridotti, margini regolari;
dimensioni dell’organo ridotte, spessori parenchimali ridotti, margini irregolari.
75 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LA DIAGNOSTICA ECOGRAFICA DELLA NEFROPATIA ISCHEMICA
M. Meola (Pisa)
La patologia steno-ostruttiva dell’arteria renale principale prende il nome di malattia renovascolare. Una
stenosi critica o emodinamicamente significativa monolaterale dell’arteria renale può sostenere un quadro di
ipertensione secondaria detta “renovascolare”. La stenosi aterosclerotica monolaterale o bilaterale può
determinare l’insorgenza di una compromissione morfo-funzionale ischemica del rene che prende il nome di
“malattia ischemica renale” o come propongono altri autori “malattia renovascolare cronica”.
Sperimentalmente, un caduta della pressione di perfusione pari al 40% si realizza con stenosi arteriose di 7590% In letteratura. Nella diagnosi angiografica e CD la maggior parte dei lavori definisce “critica” una
stenosi con riduzione percentuale del lume >50% o >60%. Da un punto di vista fisiopatologico, una
riduzione graduale di circa il 40% della pressione di perfusione renale non altera significativamente la
frazione di filtrazione glomerulare (GFR) ed il flusso ematico renale (RBF) per i meccanismi emodinamici di
autoregolazione. Una riduzione maggiore della pressione di perfusione determina una rapida caduta del GFR
e una minore caduta della RBF.
Il color-Doppler rappresenta con una scala colorimetrica tutte le velocità medie che si registrano in ciascun
punto delle singole linee di vista che compongono il campo sonoro nel box colore. Pertanto, non può fornire
informazioni quantitative sulla stenosi dell’arteria renale. L’enorme vantaggio del color-power-Doppler è
rappresentato dalla risoluzione spaziale della struttura vascolare. Il vaso viene disegnato come una
“autostrada” su cui diventa molto più facile eseguire il campionamento spettrale indispensabile per ottenere i
dati velocitometrici per porre la diagnosi di stenosi.L’analisi quantitativa della curva V/t non discrimina le
stenosi del 30%,40%, 50% in quanto i valori assoluti di velocità di picco sistolico (VPS) variano
notevolmente in rapporto a modeste variazioni dell’angolo di incidenza. Per identificare i veri positivi,
migliorare il valore predittivo positivo e negativo, ridurre il ricorso alle indagini di secondo livello nei casi
dubbi, è opportuno considerare significative VPS >180-200 cm/sec. Rispondono a questi presupposti i criteri
adottati da Strandness che lega la diagnosi di stenosi sull’incremento delle VPS, velocità telediastolica (VD)
e sulla comparsa di dispersione spettrale. In base ai valori di VPS, Strandness definisce normale una VPS
<180 cm/sec. Questa corrisponde ad una VPS normale (100 ±20 cm/sec) ± due o tre deviazioni standard. Lo
stesso autore considera indicativa di stenosi emodinamicamente significativa una VPS >180 cm/sec. La
stenosi viene considerata < 60% o >60% se la VPS >180 cm/sec si associa ad un valore di rapporto renoaortico (RAR) > 3.5. Se il rapporto è <3.5 la stenosi viene considerata <60%
76 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Sabato, 19 maggio Comunicazioni Nefrologiche
77 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 SINDROME NEFROSICA IN “VARIANTE ATIPICA CARDIACA” DI MALATTIA DI FABRY:
UN CASO CLINICO
E. Giglio1,3, L. Traversi1, G. D’Ambrosio2, M. Nebuloni4, A. Tosoni4, Silvio Volmer Bertoli1
1
UO Nefrologia e Dialisi, 2Anatomia Patologica, IRCCS Multimedica Sesto S. Giovanni, Milano
Scuola di Specializzazione in Nefrologia, Università degli Studi di Milano
4
Anatomia Patologica, Osp L. Sacco, Milano
3
Corrispondenza Autore: Elisa Giglio [email protected]
cell. 3331967905
Abstract
La malattia di Anderson-Fabry è una patologia X-linked causata dalla carenza di α-galattosidasi A
lisosomiale e dal conseguente accumulo di sfingolipidi in tutti i tessuti corporei. Ne risulta un quadro clinico
eterogeneo e, nelle forme “classiche”, un coinvolgimento sistemico ad esordio giovanile. Accanto a queste
ultime, sono descritte le cosiddette “varianti atipiche” cardiaca o renale, caratterizzate da attività enzimatica
residua, dalla mancanza del completo spettro sintomatologico classico e da esordio spesso tardivo. Il
coinvolgimento renale si manifesta con difetti di concentrazione urinaria e proteinuria ed è progressivo e
irreversibile, a testimonianza del danno da accumulo cronico [1,2].
Il quadro ecografico renale è
caratterizzato da reni di dimensioni normali o aumentate, assottigliamento corticale, iperecogenicità del
parenchima e presenza di cisti corticali o parapelviche di piccole dimensioni [3]. Alcuni pazienti
progrediscono fino all’ insufficienza renale terminale senza mai arrivare a livelli di proteinuria in range
nefrosico e, anche in chi li raggiunge, la manifestazione completa di sindrome nefrosica non è comune.
Riportiamo un caso di malattia di Fabry diagnosticato in un uomo caucasico di 67 anni dopo comparsa di
sindrome nefrosica massiva ed insufficienza renale acuta condizionante necessità dialitica. Accanto agli
aspetti caratteristici della malattia nella sua “variante atipica cardiaca”, il paziente ha manifestato un decorso
clinico anomalo che ci ha indotto ad iniziare il trattamento steroideo nell’ipotesi di danno acuto (ad esempio
da glomerulonefrite a lesioni minime) sovrapposto al danno cronico della malattia di Fabry. Il successo della
terapia steroidea ha determinato un netto miglioramento della funzione renale che ha permesso la
sospensione della terapia emodialitica.
Bibliografia
F. Zarate YA, Hopkin RJ. Fabry's disease. Lancet 2008; Oct 18;372(9647):1427-35.
G. Ko YH, Kim HJ, Roh YS, Park CK, Kwon CK, Park MH. Atypical Fabry's disease. An
oligosymptomatic variant. Arch Pathol Lab Med 1996; Jan;120(1):86-9.
H. O. Lidove, I. Klein, JD. Lelièvre et al. Imaging Features of Fabry Disease. AJR April 2006 186:11841191
78 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 RENE “A FOCACCIA” POLICISTICO E ANOMALA VASCOLARIZZAZIONE: CASE REPORT
M. Heidempergher; N. Landriani; C. Airaghi; M. Buskermolen; MT Barone; D. Scorza; P. Cuoccio; F.
Genderini, L. Scandiani, A. Genderini.
Nefrologia –Dialisi Ospedale “L. Sacco” tel 02.39042466 mail: [email protected]
INTRODUZIONE:
Il rene a focaccia è una anomalia di fusione molto rara nella quale una massa renale in sede pelvica è servita
da due sistemi di drenaggio e da due ureteri. Il caso da noi riportato esprime una condizione di rene a
focaccia policistico con anomala vascolarizzazione renale.
CASE REPORT:
Paziente maschio di 56 anni, fumatore, ha sempre goduto di buona salute.
Ipertensione arteriosa nota da sette anni. Da circa sei mesi ipertensione mal controllata per cui eseguiva
approfondimenti diagnostici presso Centro Ipertensione del nostro Ospedale. Normali gli esami
ematochimici in particolare normofunzione renale, all’esame urine non proteinuria ma microematuria. Una
ecografia renale eseguita in un ambulatorio esterno documentava rene destro grinzo e rene sinistro non
visualizzabile. Veniva ricoverato presso il nostro reparto.
Durante il ricovero veniva eseguita ecografia renale, eco-color-doppler renale, angio risonanza magnetica
addome, TC addome completo con mezzo di contrasto.
All’ecografia renale: formazione in sede pelvica suggestiva per parenchima renale senza sicura definizione
dei profili. Assenza di differenziazione cortico midollare e del seno pielico.
Non segni di dilatazione delle vie escretrici.
Presenza di numerosi formazioni ipoecogene di dimensioni variabili riferibili a cisti semplici con
sovvertimento completo dell’ecostruttura. Il reperto ricordava quadro di malattia policistica renale su rene
pelvico (a focaccia).
All’Eco-color-doppler: Vascolarizzazione proveniente anteriormente dai vasi iliaci a sinistra e
posteriormente dai vasi iliaci a destra.
Alla RMN addominale: alterazione malformativa di entrambi i reni reciprocamente fusi, a disposizione
orientalizzata.
Alla TC addominale ectopia pelvica. Si conferma la presenza di numerose cisti di dimensioni variabili,
parenchima disomogeneo. Arterie renali che emergono dal versante inferiore dell’origine dell’iliaca comune
di sinistra e dalla biforcazione dell’iliaca comune di destra. Presenza di alcune cisti epatiche di piccole
dimensioni.
DISCUSSIONE:
Tra le anomalie di fusione renali il rene a ferro di cavallo è la più comune (0.25%) nella popolazione
generale. Il parenchima renale su ogni lato della colonna vertebrale è unito al controlaterale in
corrispondenza dei poli (di solito inferiori) attraverso un istmo di tessuto renale localizzato sulla linea
mediana.
Il rene a ferro di cavallo policistico è raro, sono descritti 20 casi in letteratura, la cui incidenza è stimata in
un range da 1 su 134.000 a 1 su 8.000.000 nuovi nati.
Il rene “a focaccia” (“pancake”) è una condizione ancor più rara la cui reale incidenza non è definita in
letteratura. Il parenchima renale è rappresentato da una massa in sede pelvica è servita da due sistemi di
drenaggio e da due ureteri.
Non risultano segnalazioni in letteratura di rene “a focaccia policistico”.
Il caso da noi riportato esprime una condizione di verosimile rene ”a focaccia policistico” con associata
inoltre anomalia della vascolarizzazione renale.
La sede pelvica e la morfologia della massa ci hanno orientato verso il rene a focaccia rispetto al rene a ferro
di cavallo. La tipologia e la disposizioni delle cisti sono compatibili con rene policistico. La duplicità del
sistema escretore ci ha fatto escludere il rene unico pelvico.
L’ulteriore anomalia del quadro morfologico è determinata dalla vascolarizzazione: le arterie renali
originano dagli assi iliaci, in particolare a sinistra l’arteria renale emerge dall’iliaca comune anteriormente
mentre a destra origina dalla biforcazione dell’iliaca comune posteriormente, con una consensuale rotazione
del sistema escretore renale.
79 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 CONCLUSIONI:
L’ecografia renale eseguita dal Nefrologo ha permesso di evidenziare un’anomalia congenita malformativa.
Tale anomalia non è catalogabile come altre malformazioni renali note, in quanto presenta le caratteristiche
assimilabili al rene a focaccia a sua volta associato a rene policistico con vascolarizzazione renale altamente
anomala.
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
3.
Luis Alberto Batista Peres et al. Polycistic horseshoe kidney. Nephrol Dial Transplant 2007; 22:
652-653.
Dong Ping Chen et al. Ectopic (pelvic) autosomal dominant polycystic kidney disease. Intern Med
49; 2525-2526, 2010.
Alper Dilli et al. Pancake kidney in a geriatric patient: radiologic and scintigraphic findings. Journal
of Ankara University Faculty of Medicine 2010, 64 (4).
80 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 THE VALUE OF RESISTIVE INDEX ON PATIENT AND GRAFT SURVIVAL AFTER KIDNEY
TRANSPLANT
S.V. Impedovo, P. Martino, S. Palazzo, M. Tedeschi, F. Giangrande, C. Miacola,
F.P. Selvaggi, M. Battaglia
Dipartimento dell’emergenza e dei trapianti d’organo
Sezione di Urologia, Andrologia e Trapianto di reni
Università degli Studi di Bari
INTRODUCTION:
Resistive index (RI) performed by doppler sonography is an hemodynamic index commonly used to measure
flow resistance within an organ to assess if there is a vascular disease associated with that organ and it is a
well-known predictor of kidney transplant outcome. The purpose of this study was to analyze the impact of
RI values on patient and graft survival, as well as kidney graft function during a 5-year follow-up
MATERIAL AND METHODS:
We retrospectively investigated 761 kidney transplant recipients from cadaveric donors performed between
1998 to 2011. RI was measured at the hospital discharge after kidney transplant. All the patients were
divided into tertiles, according to baseline RI value (Group 1: RI < 0.70, Group 2: RI between 0.70 and 0.79
and Group 3: RI > 0.80)
RESULTS:
Patients with a low RI (<0.60) showed the lowest incidence of delayed graft function (DGF) compared to the
others two groups (20.2% vs 32.2% vs 33%). Recipients with low RI values displayed significantly better
creatinine clearance (70 vs 55 vs 35ml/min respectively) than those with medium or high RI values at 5 year
of follow up; Kaplan-Meier estimates of cumulative graft survival were significantly worse in patients who
had an RI of 0.70 or more than they were in patients who had an RI of less than 0.70 (p = 0.009). Cumulative
patient survival showed the same behavior (0.01)
DISCUSSION:
We found that a resistance index of 80 or higher in an allograft was a strong (or significant) predictor of
both allograft failure and death with a functioning graft.
Previous studies have reported a correlation between age, vascular compliance, and intragraft RI (1). We also
observed that RIs mainly depend on recipient’s vascular compliance. Both age and a history of
cardiovascular disease correlated with RI. The predictive value of RI for subsequent graft loss is
controversial. Some authors found elevated RI to be predictive of graft loss (2). In another study was found
that changes in RI, are predictive of graft loss (3).
CONCLUSION:
Low RI values measured in segmental arteries in the very early post-transplant period predict better kidney
graft function and reduce risk of all-cause graft loss, including patient death in the 5-year follow-up period.
1.Radermacher J, Mengel M, Ellis S, Stuht S, Hiss M, Schwarz A, Eisenberger U, Burg M, Luft FC,
Gwinner W,
Haller H: The renal arterial resistance index and renal allograft survival. N Engl J Med 349: 115–124, 2003
2. Saracino A, Santarsia G, Latorraca A, Gaudiano V: Early assessment of renal resistance index after kidney
transplant
can help predict long-term renal function. Nephrol Dial Transplant 21: 2916–2920, 2006
3.Me´lanie TerebusLoock,* Jamal Bamoulid,†‡ Ce´cileCourivaud,†‡ Philippe Manzoni,* Dominique
Simula-Faivre,§ Jean-Marc Chalopin,†‡§ Bruno Kastler,*_ and Didier Ducloux†‡§ *Department of
Radiology, CHU Saint Jacques, Besanc¸on, France; †Department of Nephrology, Dialysis, and Renal
Transplantation, CHU Saint Jacques, Besanc¸on, France; ‡INSERM, UMR645, Universite´ de FrancheComte´, Etablissement Franc¸ais du Sang, IFR133, Besanc¸on, France; §CIC Biothe´rapies 506, CHU Saint
Jacques, Besanc¸on, France; and _I4S, Laboratory of Intervention, Innovation, Imagerie, Inge´nierie en
Sante´,
niversite´ de Franche-Comte´,Besanc¸on, France: SignificantIncreasein 1-Year
PosttransplantRenalArterial Index PredictsGraftLoss.
Clin J Am SocNephrol5: 1867–1872, 2010.
81 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 INDICE DI RESISTENZA INTRARENALE ED INDICAZIONE ALLA BIOPSIA NELLA
SINDROME NEFROSICA DEL DIABETICO TIPO 2
M. Insalaco¹, F. Floccari², L. Di Lullo³, A. D’Amelio4, F. Logias5, F. Fiorini6, A. Granata¹.
¹UOC Nefrologia e Dialisi, Ospedale “San Giovanni di Dio”, Agrigento; ²Ospedale S. Paolo,
Civitavecchia; ³Ospedale S. Giovanni, Tivoli; 4Ospedale “V. Fazzi”, Lecce; 5Sorgono, (NU); 6Ospedale S.
Maria della Misericordia, Rovigo, per conto del Gds di Ecografia Renale/SIN.
Dott.ssa Monica Insalaco,MD
Tel.+39 320 5651063, +39 346 3609336
e-mail: [email protected]
INTRODUZIONE: Nei pazienti diabetici, la proteinuria è solitamente intesa come indicatore di
glomerulosclerosi diabetica (GDS). La letteratura ha tuttavia evidenziato che il 30-50% dei pazienti diabetici
proteinurici mostra altra nefropatia, isolata o sovrapposta alla GSD. La determinazione degli indici di
resistenza (IR) a livello dell’arteria renale interlobare è stata proposta nella diagnosi differenziale di
numerose nefropatie acute e/o croniche. Scopo del presente studio è stato valutare se l’IR può essere utile nel
discernere, tra i pazienti con DM2 proteinurici, coloro che presentano una nefropatia diversa dalla GSD, al
fine di meglio definire l’indicazione alla biopsia renale.
MATERIALI E METODI: 62 pazienti (37 uomini e 25 donne; età 55±9.3 anni, cl.cr. 37±7.6 ml/min) affetti
da DM2 con proteinuria >1 gr/die (5.1±4.3) ed ipertensione arteriosa (>140/90 mmHg o già in terapia antiipertensiva) sono stati sottoposti ad ECD con determinazione degli IR (arteria interlobare in sede superiore,
media ed inferiore) e successivamente a biopsia renale. Erano esclusi i soggetti affetti da DM1, LES o
Mieloma Multiplo.
RISULTATI: Dei 62 pazienti biopsiati, 25 (40%) presentavano unicamente GSD, 13 (21%), nefropatie
sovrapposte a GSD (9 nefroangiosclerosi, 3 IgAN, 1 GNM) e 24 (39%) non-GSD (8 IgAN, 6 GNM, 5 GSFS
primaria, 3 vasculite ANCA-correlata, 2 NIA).
Gli IR risultavano significativamente più alti nei pazienti con GSD rispetto ai non-GSD (0.82±0.06 e
0.62±0.08 rispettivamente, p<0.01). Non veniva riscontrata alcuna differenza significativa negli IR tra i
pazienti con sola GSD e quelli con forme miste (0.82±0.06 e 0.77±0.08 rispettivamente, p>0.05), mentre
significatività veniva riscontrata tra le forme miste rispetto ai non-GSD (0.77±0.08 e 0.62±0.08 p<0.01).
Nessuna differenza tra i gruppi veniva riscontrata nell’età anagrafica, nell’età diabetica e nella terapia antiipertensiva.
DISCUSSIONE: Il nostro lavoro, conformemente alla letteratura, contribuisce dunque a confermare come gli
IR, misurati a livello delle arterie renali interlobari nei pazienti con nefropatia diabetica, siano
significativamente più alti rispetto a quelli misurati in pazienti con altro tipo di nefropatia, e riflettano il
danno vascolare sistemico causato dal diabete.
CONCLUSIONI: Nei soggetti affetti da DM2, il riscontro di valori di IR<0.75 può supportare l’indicazione
alla biopsia renale, nel sospetto di una nefropatia non-GSD.
BREVE BIBLIOGRAFIA:
1- E.J.J. Valk, J.A. Bruijn and I.M. Bajema. Diabetic nephropathy in humans: patologic diversity. Curr Opin
Nephrol Hypertens 2011; 20: 285
2- D.G. Haider, S. Peric, A. Friedl, et al. Kidney biopsy in patients with diabetes mellitus. Clin Nephrology
2011; 76: 180
3- M. Hausberg, D. Lang, M. Barenbrock, et al. What do Doppler indices of renal perfusion tell us for the
evaluation of renal disease? J Hypertens 2005; 23: 1795
82 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ADPKD E RISCHIO DI TUMORE RENALE
A. Liccardo*, L.A. Rocca-Rey*, S.V. Bertoli*, B. Gidaro**, M. Mereghetti***
*
U:O. Nefrologia e Dialisi Casa di Cura Multimedica Presidio di Castellana
**
U.O. Nefrologia e Dialisi AOSP Legnano
***
U.O.S. Diagnostica per Ultrasuoni AOSP Legnano
Introduzione: La Malattia Cistica Renale Autosomica Dominamte (ADPKD) è la malattia geneticamente
trasmessa più diffusa, con un gran numero di portatori sani e una vasta eterogeneità dell’espressività genica.
E’ noto che la ADPKD è un fattore di rischio per lo sviluppo di carcinoma renale, e un recente studio
retrospettivo ha mostrato la prevalenza di carcinoma renale in 11 casi su 89 nefrectomie effettuate in pazienti
policistici per altri motivi (sanguinamenti, ascessi); il rischio è addirittura superiore di 2-3 volte nei pazienti
dializzati o trapiantati. Tuttavia la diagnosi di neoplasia renale in rene policistico è tutt’altro che semplice in
quanto le cisti spesso mascherano la presenza di masse neoplastiche, sia all’ecografia renale, sia alla TAC
che alla RMN.
Caso Clinico: B.G., paziente di sesso maschile di 57 aa, con anamnesi positiva per ipertensione arteriosa e
nota insufficienza renale cronica in stadio IV sec.K-DOQI per ADPKD, giungeva in PS per lombalgia dx;
eseguiva quindi TAC addome senza mezzo di contrasto che evidenziava presenza di diverse cisti con
materiale ematico e formazione ovalare al polo inferiore del rene sn di circa 7 cm con calcificazioni
periferiche. Il paziente veniva allora sottoposto a RMN senza mezzo di contrasto che mostrava
bilateralmente plurime formazioni cistiche renali con segnale iperintenso da riferirsi a cisti emorragiche,
alcune delle quali, a sinistra, con immagine di livello intracistico da sanguinamento recente; la cisti
emorragica più voluminosa è localizzata al 3° inferiore del rene sinistro (6,3x6cm) e lungo la parete laterale
della cisti si documentva alterazione focale dotata di intenso segnale nelle sequenze DWI (come da gettone
solido o coagulo), da monitorare nel tempo; un’ulteriore cisti emorragica al 3° medio del rene sinistro
presentava piccola formazione intracistica con caratteristiche più compatibili con coagulo. Persistendo il
forte sospetto di malignità, si eseguiva indagine ecografica con metodica Doppler con e senza mezzo di
contrasto, mirata allo studio delle due aree iperecogene evidenziabili all’interno della voluminosa cisti polare
inferiore del rene sinistro; in condizioni di base si apprezzava un flusso arterioso a carico della lesione
superficiale, mentre dopo mezzo di contrasto si riconosceva captazione elettiva e successivo wash-out a
carico di entrambe le lesioni, la più profonda delle quali appariva sdoppiata.
Per l’elevato rischio di complicanze e per l’elevata possibilità di campionare materiale non diagnostico, la
lesione non veniva biopsiata ma il paziente veniva sottoposto a nefrectomia sinistra e il reperto istologico
confermava la presenza di Carcinoma a cellule renali.
Conclusioni: Il caso illustrato, oltre a evidenziare l’utilità della diagnostica ecografica, eventualmente
supportata dall’utilizzo del mezzo di contrasto, intende anche sensibilizzare sull’aumentato rischio di
sviluppo di neoplasie renali nei pazienti affetti da ADPKD, spesso sottovalutate, soprattutto in caso di
pazienti emodializzati.
83 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 VANTAGGI DEL MEZZO DI CONTRASTO ECOGRAFICO NEI PAZIENTI CON
INSUFFICIENZA RENALE
M. Mereghetti***, B. Gidaro**, A. Liccardo*, L.A. Rocca-Rey*, S.V. Bertoli*,
*
U:O. Nefrologia e Dialisi Casa di Cura Multimedica Presidio di Castellana
**
U.O. Nefrologia e Dialisi AOSP Legnano
***
U.O.S. Diagnostica per Ultrasuoni AOSP Legnano
Introduzione: Nell’ultimo ventennio la diagnostica per immagini ha fatto passi da gigante, e ormai ovunque
sono largamente (forse eccessivamente) utilizzate metodiche TAC, RMN, di Medicina Nucleare molto più
costose e non esenti da rischio per il paziente, considerando il mezzo di contrasto utilizzato e il quantitativo
di radiazioni a cui viene esposto il paziente. In questo contesto che valore mantiene la diagnostica
ecografica?
Caso Clinico: M.B., paziente di sesso maschile di 73 aa, con anamnesi positiva per diabete di tipo II,
ipertensione arteriosa e nota insufficienza renale cronica in stadio III sec.K-DOQI (sCr 2 mg/dl), giungeva in
PS per dissenteria e vomito. Agli esami di funzione renale si evidenziava un peggioramento dei valori di
creatininemia e azotemia (sCr 7 mg/dl ed sUrea 230 mg/dl), da disidratazione e acidosi metabolica
secondaria (HCO3 14 mmol/l), prontamente migliorata con terapia idratante e somministrazione di
bicarbonati ev. All’ecografia renale, effettuata per escludere forma ostruttiva, veniva evidenziata quadro di
displasia cistica bilaterale, e, a carico del rene destro, una lesione ovalare , apparentemente capsulata di circa
4 cm, ad ecostruttura disomogenea con piccole aree fluide.
In considerazione del recente episodio di insufficienza renale acuta, si è deciso di non effettuare TAC con
mezzo di contrasto, ma il paziente è stato sottoposto a nuova indagine ecografica con supporto del mezzo di
contrasto; la lesione presentava una captazione precoce del mezzo di contrasto e, soprattutto un wash-out
apprezzabile e suggestivo per patologia proliferativa. Veniva pertanto eseguita biopsia renale ecoguidata
della lesione, che deponeva per carcinoma a cellule renali; successivamente il paziente veniva sottoposto a
nefrectomia destra, con stabilizzazione dell’insufficienza renale (sCr 2.8 mg/dl, stadio IV sec.K-DOQI). Il
paziente è in followup oncologico ed attualmente NED.
Conclusioni: Il caso illustrato mette in luce l’utilità della diagnostica ecografica, soprattutto se supportata
dall’utilizzo del mezzo di contrasto, che spesso può sostituirsi alla diagnostica radiologica con macchine
pesanti, con vantaggio per il sistema sanitario ed indubbi benefici per il paziente; l’innocuità e la ripetibilità
dell’esecuzione dell’esame sono i punti di forza della metodica ecografica, soprattutto nel contesto attuale in
cui l’insufficienza renale cronica si sta sempre maggiormente diffondendo e ciò impedisce l’utilizzo dei
mezzi di contrasto iodati e del gadolinio.
84 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 QUATTRO ANNI DI ATTIVITÀ ECOGRAFICA IN UNA STRUTTURA COMPLESSA DI
NEFROLOGIA E DIALISI. QUALE UTILITÀ?
A. Mancini; C. Cuzzola; F. Petrarulo
S.C. DI NEFROLOGIA E DIALISI OSPEDALE DI VENERE – BARI –
Al fine di valutare l’utilità di dedicare risorse umane e tecnologiche all’attività ecografica in una struttura
complessa di nefrologia e dialisi, abbiamo voluto analizzare quanto svolto in ambito ecografico presso la
nostra S.C. negli ultimi quattro anni nel corso dei quali è stato adottato un data base per la refertazione e per
l'archiviazione.
L'Unità Operativa consta di 20 posti letto di degenza; 24 posti rene per il trattamento sostitutivo . La media
annua di ricoveri è di 800; mentre la media di trattamenti sostitutivi annui è pari a 15.500. Dei 7 Dirigenti
Medici di I° livello della struttura tre si occupano, tra le altre attività, di ecografia renale.
Nel periodo considerato sono stati condotti 7967 esami, con i seguenti quesiti diagnostici: valutazione in
paziente con insufficienza renale cronica (35,6 %); valutazione in paziente con insufficienza renale acuta
(3,9%); valutazione in paziente con infezione delle vie urinarie (11,5%); valutazione post biopsia renale (1,3
%); valutazione in paziente con sospetta idronefrosi (4,4%); sospetta nefrolitiasi (31,8 %); controllo di cisti
renali (4,4 %); valutazione in paziente con macroematuria (3,1 %); valutazione in paziente con proteinuria
(3,9 %). Il 38 % delle richieste di ecografia renale proveniva dalla nostra unità operativa, mentre un altro 40
% è stato condotto nell'ambito di consulenze effettuate per il pronto soccorso; il restante 22 % degli esami
ecografici sono stati eseguiti nell'ambito dell'attività ambulatoriale e di day hosptal della nostra unità
operativa.
Nel 6,1 % l'esame è risultato nella norma; nella tabella 1 sono riportate le patologie riscontrate:
TABELLA 1
CISTI
ASSOTI
RENALI
GL.
CORTI
CALE
546
1730
(6,9%)
(21,7%)
NEOPL
ASIE
DOPPIO
DISTRE
TTO
IDRO
NEFRO
SI
RENE
UNICO
CALCO
LOSI
MICRO
LITIASI
52
(0,7%)
14
(0,2%)
1800
(22,6%)
26
(0,3%)
1540
(19,3%)
1237
(15,5%)
IPEREC
OGEN.
CORTI
CALE
1620
(20,3%)
Il 97% delle indagini condotte sono risultate diagnostiche, mentre hanno richiesto un approfondimento il
restante 3%.
Una media annua di 2000 esami significa:
1. netta riduzione dei tempi di attesa previsti dal servizio di radiologia con riduzione del periodo di
ospedalizzazione;
2. possibilità di fare diagnosi in tempi brevissimi in condizioni di emergenza;
3. esecuzione dell'esame a letto del paziente in caso di inamovibilità dello stesso;
4. follow-up clinico ed ecografico condotto dagli stessi operatori.
Tutto ciò ci fa ritenere utile e giustificato l'utilizzo di un apparecchio dedicato ad una struttura di nefrologia e
dialisi e come prospettiva futura ci proponiamo il coinvolgimento di altri colleghi nella pratica ecografica e
l'ampliamento delle indagini ultrasonografiche ad altri organi ed apparati (1).
BIBLIOGRAFIA
1. Prencipe M, Angelini P, D’Amelio A, Mancini A, Schiavone P. Report conoscitivo sull’esecuzione
dell’indagine ecografia del Gruppo di Studio di ecografia renale della sezione Apulo-Lucana della
SIN. G Ital Nefrol 2006; 23: 502-7.
ANDREA MANCINI [email protected] cell: 3474402862
85 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LE STENOSI URETERALI DOPO TRAPIANTO DI RENE: FATTORI DI RISCHIO
P. Martino, S.V. Impedovo, S. Palazzo. M. Tedeschi, P. Ditonno, G.A. Saracino, C. Bettocchi,
G.Lucarelli, M. Battaglia
Dipartimento dell’emergenza e dei trapianti d’organo
Sezione di Urologia, Andrologia e Trapianto di reni
Università degli Studi di Bari
Introduzione: La presenza di una dilatazione a carico del rene trapiantato rappresenta un reperto ecografico
frequente dopo trapianto renale ma non sempre di significato patologico. Spesso è il risultato della
denervazione dell’organo con riduzione del tono della pelvi renale e non impone alcun trattamento. In alcuni
casi tuttavia, può essere secondaria ad una ostruzione ureterale solitamente sostenuta da una stenosi
dell’anastomosi ureterovescicale. In un rene nativo, l’idronefrosi si accompagna a dolore di tipo colico, nel
rene trapiantato invece, è spesso asintomatica, e si manifesta con riduzione della diuresi ed incremento degli
indici di funzionalità renale, di qui il ruolo preminente dell’ecografia. L’obiettivo di questo studio è stato
quello di identificare i principali fattori di rischio delle stenosi ureterali dopo il trapianto di rene da donatore
cadavere e di valutarne l'impatto sia sulla sopravvivenza dell’organo che del paziente.
Pazienti e metodi: Sono stati inclusi nello studio retrospettivo 761 trapianti di rene da donatore cadavere
eseguiti presso il nostro Centro dal febbraio 1998 al febbraio 2011. In tutti i pazienti è stata confezionata un’
anastomosi ureterovescicale antireflusso intubata con doppio J stent 4.7Fr mantenuto in sede per un tempo
medio post-operatorio di 4-6 settimane. In 54 pazienti (7.1%) è stato eseguito un doppio trapianto. In tutti i
casi di dilatazione dell’alta via escretrice valutata in prima istanza con l’ecografia, è stata eseguita
successivamente una scintigrafia renale sequenziale con MAG3 con stimolo diuretico oltre ad un
monitoraggio dei parametri sierici di funzionalità renale. I fattori di rischio per lo sviluppo di una stenosi
ureterale considerati sono stati: l’età del donatore, la tipologia del trapianto (singolo vs doppio mono o
bilaterale), la comparsa di delayed graft function (DGF) post trapianto.
Risultati: Sono state riscontrate stenosi ureterali severe in 21 soggetti (2.75%) con interessamento esclusivo
a carico della giunzione vescico-ureterale. Tra i fattori analizzati, si è evidenziata una correlazione
statisticamente significativa tra trapianto doppio monolaterale e stenosi, al contrario di quel che accade per
l’età del donatore e l’incidenza della delayed graft function (P>0.05). In tutti i soggetti è stata effettuata una
correzione chirurgica endoscopica o a cielo aperto dell’ostruzione. Questi pazienti hanno presentato una
degenza media più lunga rispetto al gruppo controllo (P=0.04), ma non si è notata una influenza sulla
sopravvivenza d’organo o del paziente.
Discussione: La stenosi ureterale rappresenta ancor oggi una importante complicanza urologica del
trapianto renale. Le cause sono svariate e spesso misconosciute. La maggior incidenza nei trapianti doppi
monolaterali è verosimilmente spiegabile con una causa di natura meccanica, mentre in altri casi l’infezione
locale da Polyoma virus (BKV) sembra essere la causa principale (1). Alcuni studi più recenti hanno
avanzato l’ipotesi di una componente ischemica legata all’età avanzata dei donatori, la maggiore incidenza di
DGF e rivascolarizzazione anomala dell’organo al declamp (2) sebbene nel nostro studio questa correlazione
non venga confermata, probabilmente per l’effetto protettivo dello stent ureterale.
Conclusioni: La paucisintomaticità del quadro clinico secondario alla denervazione dell’organo trapiantato
rende spesso asintomatiche e tardive le ostruzioni ureterali. Appare quindi fondamentale il monitoraggio
ecografico precoce ed, in presenza di una dilatazione delle cavità calico-pieliche, una conferma scintigrafica
dell’ostruzione. La risoluzione precoce della stenosi infatti sembra garantire una sopravvivenza d’organo e
del paziente ottimale.
1 Rajpoot DK, Gomez A, Tsang W, Shanberg A. Ureteric and urethral stenosis: a complication of BK virus
infection in a pediatric renal transplant patient. Pediatr Transplant. 2007 Jun;11(4):433-5.
2. Pereira H, Buchler M, Brichart N, Haillot O, d'Arcier BF, Braguet R, Boutin JM, Bruyère F. [Ureteral
stenosis after renal transplantation: Risk factors and impact on survival]. Prog Urol. 2011 Jun;21(6):389-96.
doi: 10.1016/j.purol.2010.11.002. Epub 2011 Feb 5
86 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 AZIONE DEL FENOLDOPAM SULLE RESISTENZE INTRAPARENCHIMALI RENALI NEI
PAZIENTI IPERTESI AFFETTI DA INSUFFICIENZA RENALE CRONICA.
A. Noce1, M. Ferrannini 2, R. Palumbo2 ,O Durante2, MP Canale2, F. Fiorini3, N. Di Daniele1 .
1
Dipartimento di Medicina Interna, Servizio di Nefrologia ed Ipertensione, Università degli studi di Roma
“Tor Vergata”
2
U.O.C. Nefrologia e Dialisi, Ospedale “S.Eugenio”; Roma
3
SOC Nefrologia e Dialis, Ospedale “S. Maria Della Misericordia”, ULLS 18, Rovigo
Primo Autore: Annalisa Noce Tel.0620902185
e-mail:[email protected]
INTRODUZIONE
Il Fenoldopam mesilato è un derivato benzoazepinico, a breve durata d’azione, agonista selettivo del
recettore dopaminergico postsinaptico DA1 del sistema arterioso periferico. Tale recettore presenta una
elevata densità a livello del parenchima renale.
La somministrazione e.v. del Fenoldopam al dosaggio superiore a 0,1 μg/kg/min svolge un’azione
antipertensiva, riducendo le resistenze vascolari sistemiche .
Recenti studi clinici in ambito intensivistico e cardiochirurgico hanno inoltre dimostrato un’azione
renoprotettiva del Fenoldopam con dosaggi inferiori a 0,1 μg/kg/min senza che venisse rilevata un’azione
ipotensivante. Il meccanismo d’azione potrebbe essere legato alla diminuzione delle resistenze vascolari
renali e all’incremento del flusso ematico, come dimostrato in animali da esperimento. Tuttavia ad oggi tale
effetto non è stato documentato nell’uomo.
Scopo di questo studio è valutare l’effetto del Fenoldopam alla dose di 0,1 μg/kg/min sulle resistenze
intraparenchimali renali e sulla pressione arteriosa, in pazienti ipertesi affetti da insufficienza renale cronica
(IRC) (classe I-IV K-DOQI).
MATERIALI E METODI
Previa adesione al protocollo di studio, è stata arruolata una popolazione di pazienti ipertesi con IRC (I-IV
stadio) sottoposta a screening laboratoristico per la stadiazione dell’IRC (Tabella 1 e 2).
Sono stati esclusi i pazienti affetti da patologie neoplastiche, stenosi delle arterie renali, eventi ischemici
cardiaci e cerebrali recenti, scompenso cardiaco (IV classe NHYA), glaucoma, gravidanza e stenosi
carotidee emodinamicamente significative. Dopo wash-out farmacologico da ACE-inibitori e Sartanici, i
pazienti sono stati sottoposti a studio eco(color)doppler delle arterie renali, con valutazione, in particolare,
dell’Indice di Resistenza (IR) renale intraparenchimale e della velocità di flusso ematico sistolica e
diastolica a livello dell’ilo, del tratto intermedio e dell’origine di entrambe le arterie renali.
Lo studio Doppler è stato eseguito in condizioni basali e dopo un’ora dall’inizio dell’infusione del
fenoldopam mesilato alla dose di 0,1 μg/kg/min. E’ stata inoltre registrata la pressione arteriosa prima e
durante l’infusione.
RISULTATI
Ad oggi sono stati arruolati 60 pazienti.
Durante l’infusione di fenoldopam, la velocità del flusso ematico nei punti monitorizzati delle arterie renali
è risultata significativamente più elevata rispetto al valore basale (velocità di flusso sistolico a livello
dell’ilo 44,2 ± 9,9cm/sec vs 49,4± 10,9, p=0,0193; velocità di flusso diastolico a livello dell’ilo 13,63±2,28
cm/sec vs25,03 ± 5,53,p=0,0001), mentre gli indici di resistenza risultano significativamente ridotti (0,73±
0,05 vs 0,65 ± 0,06, p<0,0001).
La pressione arteriosa non ha mostrato variazioni significative tra l’inizio e la fine dell’infusione (PAS 135
± 15mmHg vs129 ± 14 mmHg, p=n.s. e PAD 76 ± 12mmHg vs74 ± 9mmHg, p=n.s.) (Tabella 3).
CONCLUSIONI
I nostri dati preliminari relativi ai pazienti ipertesi affetti da IRC dimostrano che l’infusione di fenoldopam
alla dose di 0,1 μg/kg/min incrementa la velocità di flusso ematico renale e riduce le resistenze
intraparenchimali.
Inoltre, non è stato rilevato alcun effetto ipotensivo nei pazienti trattati con il fenoldopam alla dose “renale”
di 0,1μg/kg/min.
87 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 Caratteristiche dei pazienti
Sesso
Uomini
Donne
Età, anni
Superficie di massa corporea, m2
BMI
Diabete
Stadio di IRC (K-DOQI)
Stadio I
Stadio II
Stadio III
Stadio IV
46 (76,7%)
14 (23,3%)
65,20 ± 14,54
1,86 ± 0,22
27,19 ± 3,46
20 (33,3%)
8 (13,3%)
10 (16,7%)
20 (33,3%)
22 (36,7%)
Tabella 1: Caratteristiche antropometriche dei pazienti. I dati relativi
all’età, alla superficie di massa corporea ed al Body Mass Index (BMI)
sono espressi come media ± deviazione standard.
Parametri laboratoristici dei pazienti
188,10 ± 45,49
Colesterolo totale, mg/dl
46,69 ± 11,92
HDL Colesterolo, mg/dl
160,28±34,25
Trigliceridi, mg/dl
2,04 ± 0,99
Creatinina, mg/dl
77,48 ± 39,26
Azotemia, mg/dl
50,56 ± 32,72
GFR (MDRD formula), ml/min
1119 ± 1471
Proteinuria 24h, mg/24h
1,55 ± 5,71
Indice PINI
0,22 ± 0,17
Proteina C reattiva ad alta sensibilità, mg/dl
19,11 ± 8,50
Omocisteina, μmol/l
Tabella 2. Parametri laboratoristici basali dei pazienti arruolati. I dati
sono espressi come media ± deviazione standard.
88 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 135 ± 15
76 ± 12
Valori durante
infusione fenoldopam
129 ± 14
74 ± 9
n.s.
n.s.
46,2 ± 9,0
51,0 ± 10,1
0,0089
52,8 ± 9,4
55,2 ± 12,4
0,0001
53,2 ± 9,4
57,7 ± 10,5
0,0218
48,9 ± 11,3
55,9 ± 15,27
0,0135
55,5 ± 15,0
61,31 ± 20,33
0,0066
13,63±2,28
25,03 ± 5,53
0,0001
14,00 ± 0,62
26,93 ± 1,58
<0,0001
14,37 ± 2,67
27,39 ± 1,53
<0,0001
14,58 ± 0,67
27,43 ± 1,39
<0,0001
13,84 ± 1,96
27,69 ± 1,10
<0,0001
14,49 ± 2,30
27,74 ± 1,06
<0,0001
0,73 ± 0,05
0,74 ± 0,05
0,65 ± 0,06
0,66 ± 0,08
<0,0001
<0,0001
Valori basali
Pressione Arteriosa Sistolica, mmHg
Pressione Arteriosa Diastolica, mmHg
Velocità di flusso sistolico (a. renale dx)
Ilo, cm/s
Velocità di flusso sistolico (a. renale sx)
Ilo, cm/s
Velocità di flusso sistolico (a. renale dx)
Tratto Intermedio, cm/s
Velocità di flusso sistolico (a. renale sx)
Tratto Intermedio, cm/s
Velocità di flusso sistolico (a. renale dx)
Origine, cm/s
Velocità di flusso sistolico (a. renale sx)
Origine, cm/s
Velocità di flusso diastolico (a. renale
dx) Ilo, cm/s
Velocità di flusso diastolico (a. renale
sx) Ilo, cm/s
Velocità di flusso diastolico (a. renale
dx) Tratto Intermedio, cm/s
Velocità di flusso diastolico (a. renale
sx) Tratto Intermedio, cm/s
Velocità di flusso diastolico (a. renale
dx) Origine, cm/s
Velocità di flusso diastolico (a. renale
sx) Origine, cm/s
IR intraparenchimale rene dx
IR intraparenchimale rene sx
P
Tabella 3. Parametri valutati a livello basale e dopo 1 h dall’inizio dell’infusione di fenoldopam con la
rispettiva significatività statistica. I dati sono espressi come media ± deviazione standard. p<0,05 è
considerata statisticamente significativa.
Per la pressione arteriosa diastolica e per la velocità di flusso diastolica a livello dell’ilo dell’arteria renale dx
è stato utilizzato il test di Wilcoxon, mentre per tutti gli altri parametri analizzati è stata utilizzato il T-test
per dati appaiati.
89 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 LO STUDIO ECOCOLORDOPPLER DEL “JET” URETERALE: METODICA AFFIDABILE ED
ECONOMICA NELLO STUDIO DELL’OSTRUZIONE URETERALE IN ASSENZA DI
IDRONEFROSI
A. Liccardo*, L.A. Rocca-Rey*, M.E. Procaccio**, A. Stucchi**, P. Consonni***, G.C. Comeri***, S.V.
Bertoli**
*
U.O. Nefrologia e Dialisi Casa di Cura Multimedica –Presidio di Castellanza-, ** U.O. Nefrologia e
Dialisi Casa di Cura Multimedica –Presidio di Sesto S. Giovanni-, ***U.O. Urologia Casa di Cura
Multimedica –Presidio di CastellanzaIntroduzione: Complicanza frequente della calcolosi renale è la patologia ostruttiva renale, che,
ecograficamente, si mostra con un quadro di idronefrosi di vario grado; meno frequentemente peraltro pur in
presenza di un quadro ostruttivo, l’ecografia non evidenzia alcuna idronefrosi. La sensibilità dell’ecografia
nell’evidenziare un calcolo incuneato nell’uretere è discreta in presenza di idronefrosi ma scende
significativamente se non è presente idronefrosi soprattutto se esso si trova nel tratto iliaco o pelvico
dell’uretere, oppure in presenza di abbondante meteorismo interposto o ancora in pazienti obesi; in questo
caso l’esame diagnostico d’elezione è l’uroTC, che però presenta costi elevati ed espone il paziente a mezzo
di contrasto e ad una significativa dose di radiazioni. Un primo screening, in questi casi, può essere fatto
mediante lo studio colordoppler del “jet” ureterale.
Materiali e metodi: da gennaio 2011 a marzo 2012, 400 pazienti affetti da calcolosi renale sono stati
sottoposti a trattamento ESWL presso il nostro Centro. Di questi, 15 presentavano, al controllo a 48 ore, una
sintomatologia colica severa senza che l’ecografia convenzionale fosse in grado di dimostrare una
dilatazione dell’asse escretore e tantomeno un calcolo ureterale; è stato quindi eseguito studio
ecocolordoppler del “jet” urinario; impegando una sonda convex da 5MHz, box colore adattato onde
comprendere entrambi gli sbocchi ureterali in vescica con scansione trasversa, e PRF pari a 1,5KHz.
Risultati: 15 pazienti, 10 maschi e 5 femmine, di età compresa tra i 37 ai 58 anni, tutti con pregressa storia
di nefrolitiasi, e sottoposti precedentemente a trattamento ESWL 48 ore prima. 9 pazienti presentavano una
calcolosi renale sinistra, mentre 6 una calcolosi renale destra. Il diametro dei calcoli prima del trattamento
era compreso fra 11 e 23mm, la maggior parte dei calcoli erano di pertinenza dei calici del gruppo inferiore e
in nessun caso era stato posizionato uno stent ureterale. In 13 pazienti lo studio ecocolordoppler ha
dimostrato asimmetria (riduzione) o assenza (in 2 casi) del “jet” ureterale dal lato trattato; in 2 pazienti
invece non è stata osservata alcuna asimmetria del “jet” nonostante la presenza di sintomatologia. In tutti i
pazienti è stato eseguito uroTC a distanza di 48-60 ore: in tutti i casi veniva dimostrata la presenza di
calcolosi ostruente dell’uretere; precisamente venivano diagnosticati 3 calcoli dell’uretere lombare, 7
dell’uretere iliaco e 5 dell’uretere pelvico; nei 2 pazienti negativi allo studio ecocolordoppler del “jet”,
l’uroTC ha dimostrato piccoli frammenti litiasici indovati nell’uretere pelvico con modesto grado di
ostruzione, mentre nei restanti casi il diametro dei calcoli era maggiore come anche il grado di ostruzione
alla canalizzazione ureterale. Si sottolinea che nessuno dei pazienti presentava un significativo
peggioramento dei valori di funzione renale, ovvero un aumento del 50% dei valori basali di creatininemia.
Conclusioni: lo studio ecocolordoppler del “jet” ureterale rappresenta un metodo rapido, economico, scevro
di rischi per il paziente ed affidabile nel diagnosticare la presenza di ostruzione ureterale pur in assenza di
dilatazione delle vie escretrici.
90 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 ONCOCITOSI RENALE BILATERALE: CASE REPORT E REVISIONE DELLA LETTERATURA
Ronga C.R., Curioni S., Cusi D.M.
Università degli Studi di Milano, U.O. Nefrologia e Dialisi- Azienda Ospedaliera San Paolo- Milano
INTRODUZIONE: descritto per la prima volta nel 1942 da Zippel, l’oncocitoma renale è un tumore
epiteliale che deriva dalle cellule del dotto collettore e che costituisce il 5-7% delle neoplasie renali
primitive. È considerato un tumore benigno, sebbene nel 10-32% dei casi possa essere associato ad un
carcinoma a cellule renali.
L’oncocitosi renale, invece, identifica una rara condizione patologica in cui il parenchima renale è
interessato, bilateralmente, da numerosi noduli oncocitici.
MATERIALI: uomo 70 anni, noto per ipertensione arteriosa, BPCO in forte tabagista attivo, gastrite cronica
iperemica, insufficienza renale cronica da circa 10 anni, in verosimile abuso di analgesici e
nefroangiosclerosi. Dall’aprile 2009, per il progressivo depauperamento della funzione renale (FG=15
ml/min KD-EPI), veniva avviato ad un percorso di predialisi, con regolari controlli nefrologici mensili.
All’ecografia renale del maggio 2009 i reni apparivano in sede, di dimensioni ridotte, con aumento
dell’ecogenicità parenchimale. Netta riduzione dello spessore corticale. Degenerazione cistica bilaterale. Non
idronefrosi, né calcoli.
Nel giugno 2011 si presentava in Pronto Soccorso per malessere generale e decadimento delle condizioni
generali. Agli esami si riscontrava peggioramento della fz renale (Creatininemia plasmatica da 5 a 8 mg/dL;
urea: 230 mg/dL) e anemia severa (Hb: 7 g/dL). Durante la degenza venivano evidenziate: candidosi
esofagea, sanguinamento a nappo a carico di lesione angectasica in sede duodenale distale. L’ecografia
renale mostrava un quadro morfologico nettamente differente rispetto ai controlli precedenti: “reni di
dimensioni aumentate con diametro longitudinale di circa 16 cm, plurime formazioni cistiche bilaterali”;
dato confermato dall’indagine TAC che evidenziava incremento dimensionale di entrambi i reni, sede di
numerose formazioni cistiche, prevalenti sul versante corticale. Fra le diverse formazioni cistiche si
segnalavano plurime alterazioni focali ovalari bilaterali del diametro massimo di 4 cm, dotate di dismogeneo
e precoce enhncement.
RISULTATI: sulla scorta dei dati clinici e strumentali, veniva eseguita biopsia renale che evidenziava un
quadro di oncocitosi renale bilaterale. Visto il grado di insufficienza renale cronica ed il rischio di neoplasia
maligna misconosciuta, veniva posta indicazione alla nefrectomia renale bilaterale, che però il paziente
rifiutava. A dicembre 2011 veniva iniziata terapia emodialitica sostitutiva (FG: 6 ml/min CKD-EPI).
Attualmente il paziente è monitorato ecograficamente con evidenza di lesioni renali stabili ed è libero da
secondarismi.
DISCUSSIONE: l’oncocitoma renale è un tumore benigno generalmente unilaterale; meno frequente è la
sua presentazione bilaterale, ancor più rara quella multifocale bilaterale, come nel caso da noi presentato. A
volte il riscontro di questa lesione tumorale è da ascriversi ad un quadro clinico più complesso caratterizzato
dalla sindrome di Von Hippel Lindau o dalla sindrome di Birt-Hogg-Dubb.
La sua identificazione è spesso fortuita ed accidentale. L’ecografia costituisce l’indagine strumentale di
primo livello e mostra uno e più noduli ipo-isoecogeni, ben delimitati e, solitamente, omogenei. Nel caso di
interessamento diffuso bilaterale è osservabile un incremento morfo-volumetrico renale. È possibile che vi
sia anche un’eterogeneità parenchimale, a carico della zona centrale specie nelle lesioni voluminose, per
presenza di fibrosi. La TAC con mezzo di contrasto è senza dubbio il gold standard dal punto di vista
diagnostico-strumentale, per quanto riguarda la determinazione dei rapporti anatomici contigui, la
numerosità e le caratteristiche di ciascuna lesione. La biopsia renale eco-guidata, al fine di escludere una
neoplasia maligna, è indicata specie nei casi di lesioni multiple e/o bilaterali ed in tutte quelle condizioni ove
la diagnostica strumentale è sospetta o poco dirimente.
Il tipo di trattamento chirurgico, parziale o radicale, è ancora oggetto di discussione e deve essere definito in
base all’esito istologico e delle indagini pre-operatorie, mentre nei casi accertati di oncocitoma l’approccio
conservativo tramite un’attenta sorveglianza ecografica può rivelarsi un utile e ragionevole approccio, dal
momento che l’evolutività di questo tipo di lesione è assai rara.
In letteratura sono stati descritti diversi casi sporadici di oncocitosi renale e di forme bilaterali. In un recente
articolo statunitense di Adamy et al. vengono analizzati il trattamento e la prognosi di 20 pazienti affetti da
oncocitosi renale, arruolati tra il 1995 ed il 2009; dall’esame istologico si evince che solo il 13% dei pazienti
presentava forme isolate di oncocitoma, mentre i restanti pazienti presentavano forme maligne miste ad
oncocitosi (57% tumore misto tra oncocitoma e cellule cromofobe; 26% carcinoma a cellule renali
cromofobe; 4% carcinoma renale a cellule chiare). Sono state eseguite in tutto 23 operazioni di cui 13
91 Volume abstract – 18° Congresso Nazionale SIEUN ‐ Stresa, 17‐19 maggio 2012 nefrectomie parziali e 10 radicali In dieci pazienti (50%) era preesistente malattia renale cronica al momento
della diagnosi, mentre il 25% aveva sviluppato un’insufficienza renale dopo l’intervento. Dopo un follow-up
mediano di 35 mesi, nessun paziente aveva avuto malattia metastatica.
CONCLUSIONI:
l’oncocitosi renale bilaterale è una condizione rara.
L’ecografia renale rimane l’indagine di primo livello, nonché l'indagine di scelta per il monitoraggio delle
lesioni. La TAC con mezzo di contrasto rappresenta il gold standard per quanto riguarda la diagnostica
strumentale, mentre la biopsia renale eco-guidata è consigliabile.
Attualmente, in assenza di maggiori evidenze scientifiche, il management e gli outcomes di tale condizione
vanno valutati caso per caso, in base all’esito delle indagini clinico-strumentali.
BIBLIOGRAFIA:
Adamy A, Lowrance WT, Yee DS, Chong KT, Bernstein M, Tickoo SK, Coleman JA, Russo P. Renal
oncocytosis: management and clinical outcomes. J Urol. 2011 Mar;185(3):795-801. Epub 2011 Jan 15.
Villanueva Peña A, Roca Edreira A, De Diego Rodríguez E, Hernández Rodríguez R, Gutiérrez Baños JL,
Aguilera Tubet C.Bilateral multiple renal oncocytoma. Case report and review of the literature.Prog Urol.
2007 Sep;17(5):997-9.
92