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Geriatria
Rallentare l’Alzheimer
con una proteina
É il risultato di alcuni esperimenti sui topi.
L’effetto va ora confermato anche sull’uomo, se si
riscontreranno gli stessi risultati si potrà realizzare un
nuovo farmaco per aiutare il malati di Alzheimer.
a cura di Angela Romano
Una proteina prodotta naturalmente dai neuroni potrebbe avere un ruolo importante
sull’Alzheimer, sembra infatti
possa rallentare la progressione
della malattia. Il legame della
proteina Nogo con l’Alzheimer
è stato individuato grazie a
uno studio coordinato dal ricercatore Stephen Strittmatter
della Yale School of Medicine
di New Haven, i dati ottenuti
sono stati riportati in un articolo pubblicato sul Journal
of Neuroscience.
Il ruolo della proteina è stato
scoperto in seguito ad alcuni esperimenti su dei topi. La
proteina Nogo viene prodotta
naturalmente dai neuroni, i
ricercatori hanno però notato
che inducendo un aumento
a livello celebrale negli animali si riduceva la presenza
di placche di proteina betaamiloide, responsabili della
morte di cellule nervose tipica
della malattia.
I ricercatori, in seguito ai risultati
ottenuti, ipotizzano quindi che
grazie a delle cure farmaco-
logiche si potrebbe aumentare la concentrazione della
proteina Nogo che, pur non
curando l’Alzheimer, potrebbero aiutare a contrastare il
decorso della malattia.
L’Alzheimer, una fra le più
comuni forme di demenza
senile, fa parte delle malattie
neurodegenerativa che con
il progredire sono altamente invalidanti per i pazienti in
quanto con il tempo vengono
distrutti i neuroni fondamentali per l’apprendimento e la
Prevenire l’Alzheimer con l’attività fisica
Praticare un’attività fisica diminuisce notevolmente le probabilità che insorga l’Alzheimer negli over 65. Durante uno studio
si è riscontrato che anche chi non va in
palestra e svolgendo attività moderate
come passeggiate al mare sulla spiaggia,
escursioni in montagna, ecc. può ridurre
il rischio di malattie legate alla demenza
senile dal 30 al 40%.
I dati, pubblicati sul Annals of Internal Medicine, sono emersi da una ricerca condotta
in collaborazione fra uno staff del Group
Health Cooperative di Seattle e della University of Washington.
Il responsabile dello studio, Eric Larson, evidenzia che l’attività fisica non ha solo un
compito di prevenzione ma ha degli effetti
benefici anche in quelle situazioni in cui il
processo di demenza senile è già iniziato,
ritardandone la progressione. Quando non
ci sono altre complicazioni fisiche, è possibile avere dei benefici già con 15 minuti di
camminata a passo sostenuto per tre volte
a settimana.
Per un periodo di sei anni i ricercatori hanno
esaminato un gruppo di 1740 volontari, che
non presentavano nessuna malattia all’inizio
della ricerca, con un’età che andava dai 65
anni in su. Durante il periodo di controllo 158
evidenziarono l’insorgere di demenza senile
dei quali 107 si sono ammalati di Alzheimer,
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la forma più diffusa di demenza senile.
Nell’arco del periodo di controllo i ricercatori
hanno esaminato diversi aspetti dalla vita
degli individui sotto controllo ed eseguito
numerosi test. La conclusione è stata che
l’attività fisica svolgeva un ruolo fondamentale nel ridurre il rischio di ammalarsi di Alzheimer, inoltre anche in quei pazienti che
si erano ammalati, l’inizio di un’attività fisica
rallentava la degenerazione della malattia.
Anche se non si è ancora compreso il legame che c’è fra l’attività fisica e l’Alzheimer,
si presume che il beneficio derivi dal fatto
che la ginnastica migliora e protegge le
funzioni nervose stimolando il flusso di sangue
in aree del cervello importanti addette alla
memoria e alle funzioni cognitive, le aree
che vengono colpite dalla demenza.
memoria. La malattia, dal
punto di vista anatomopatologico, è caratterizzata da
un accumulo di placche della
proteina beta-amiloide, è ad
essa che vengono attribuiti gli
effetti negativi che innescano il danneggiamento delle
cellule nervose. Al contrario
la proteina Nogo è ritenuta
importante in quanto ha un
ruolo fondamentale nella riparazione di fibre nervose in
caso di lesioni spinali e malattie
come la sclerosi multipla.
I ricercatori hanno deciso di
approfondire lo studio della
proteina Nogo in seguito ad
alcune constatazioni fatte precedentemente. Analizzando
le autopsie di alcuni pazienti,
si era riscontrato che la concentrazione nel cervello era
anomala e in genere l’anomalia era legata alla proteina
beta-amiloide.
Una volta confermato il legame della proteina con le
placche di beta-amiloide,
attraverso alcuni animali da
laboratorio si è dimostrato che
un aumento della proteina
Nogo, rallentava la malattia
riducendo le placche di betaamiloide.
Lo studio sembra quindi dare
una nuova “proprietà” alla
proteina Nogo che va ad
aggiungersi a quelle già
note relative al legame che
la vedono interessata nelle
lesioni spinali e nella sclerosi multipla. L’effetto va ora
confermato anche sull’uomo,
se si riscontreranno gli stessi
risultati si potrà realizzare un
nuovo farmaco per aiutare
il malati di Alzheimer.
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