Il comunismo in Russia
La Russia e la rivoluzione del 1905
Fra le grandi potenze europee, la Russia era la sola che, alla fine dell''800, si reggesse ancora su un sistema
autocratico (autocrazia = sistema di governo dello Stato assoluto, in cui il sovrano o autocrate ricava la propria
autorità da sé stesso). Sotto lo zar Nicola II (incoronato nel 1896), la Russia compì il suo primo tentativo di decollo
industriale, stimolando l'industria pesante necessaria soprattutto per le grandi costruzioni ferroviarie. Il sostegno
dello Stato alla produzione industriale e gli investimenti pubblici furono possibili grazie all'afflusso di capitali
stranieri (soprattutto francesi). L'industrializzazione era concentrata solo in poche zone (Pietroburgo e Mosca).
Nonostante questi tentativi, la Russia rimaneva un paese arretrato, con un alto tasso di analfabetismo e di mortalità
infantile e un basso reddito pro-capite. In questa situazione si moltiplicavano le manifestazioni di malcontento.
Mentre la classe operaia subiva l'influenza del Partito socialdemocratico, fra i contadini riscuoteva successo il
Partito socialista rivoluzionario.
A far precipitare gli eventi contribuì lo scoppio nel 1904 della guerra col Giappone che provocò tra l'altro un brusco
aumento dei prezzi. Il 22 gennaio del 1905 (domenica di sangue) a Pietroburgo un corteo di 150.000 persone che si
dirigeva verso il Palazzo d'Inverno, residenza dello zar, per presentare al sovrano una petizione fu accolto a fucilate
dall'esercito: i morti furono più di cento e oltre duemila i feriti. Ciò scatenò un'ondata di agitazioni e anche
ammutinamenti. Sorsero spontaneamente nuovi organismi rivoluzionari, i soviet (consigli), cioè rappresentanze
popolari elette sui luoghi di lavoro, secondo un principio di democrazia diretta, il più importante dei quali era quello
di Pietroburgo. In ottobre lo zar parve disposto a cedere e promise libertà politiche e istituzioni rappresentative;
tuttavia, dopo la fine della guerra col Giappone e il ritorno delle truppe dal fronte, lo zar passò alla controffensiva e
fece arrestare quasi tutti i membri del soviet di Pietroburgo e schiacciare le rivolte nella capitale e a Mosca. Lo zar
mantenne comunque l'impegno di convocare un'assemblea rappresentativa (Duma). Le prime due Duma (1906 e
1907) furono subito sciolte e alla fine fu modificata la legge elettorale in modo tale che a prevalere fossero gli
aristocratici, così da ottenere un'assemblea più docile.
Nel 1906 il ministro Stolypin promosse una riforma agraria con l'obiettivo di dissolvere la struttura comunitaria del
mir (Mir era l'organo decisionale di origine medievale delle comunità rurali russe - obscina - che fu abolito nel 1905
in cui i contadini erano usufruttuari in comune della terra che lavoravano) e creare un ceto di piccola borghesia
rurale, come fattore di modernizzazione e stabilità politica. Dei nuovi piccoli proprietari creati dalla riforma, una
parte andò a ingrossare il numero dei contadini ricchi (kulaki), mentre per i più i piccoli appezzamenti acquistati non
permettevano condizioni di vita accettabili.
La rivoluzione del febbraio 1917
A seguito delle numerose sconfitte (e diserzioni) subite durante il conflitto mondiale, la fragile economia russa
crollò definitivamente. La popolazione era ridotta alla fame e soffrire il freddo, per mancanza dei più elementari
generi di prima necessità. A Pietrogrado, il 23 febbraio 1917 (8 marzo secondo il calendario russo), vi furono le
prime manifestazioni di protesta. L’iniziativa partì dalle operaie tessili, a cui si unirono 30000 lavoratori delle grandi
officine metallurgiche Putilov. Il 24 e 25 febbraio tutta la città fu bloccata da un gigantesco sciopero generale, e gli
stessi soldati mandati dalle autorità per reprimerlo, finirono per unirsi alla folla e solidarizzare con gli operai. Lo zar
Nicola II Romanov tentò di far affluire sulla capitale truppe fedeli. Il progetto tuttavia fallì a causa della non
collaborazione dei ferrovieri, così il 14 marzo nacque a Pietrogrado un governo provvisorio, che ottenne, il giorno
seguente, l’abdicazione dello zar.
I Soviet
Il governo provvisorio era stato espresso dalla Duma, nella quale il gruppo politico prevalente era rappresentato
dai liberali moderati (il partito “cadetto”). Fuori dalla Duma, operai e soldati erano tornati a riunirsi nei soviet. Per
ogni fabbrica e ogni reggimento, veniva eletto un certo numero di delegati; essi poi concorrevano a formare il
soviet cittadino, cioè un consiglio che poteva essere considerato come l’effettiva espressione della volontà popolare
ed era dotato di poteri decisionali. Si era pertanto venuta a creare una situazione di dualismo di poteri: all’autorità
ufficiale del governo provvisorio, si contrapponeva quella, non meno reale, dei soviet.
Menscevichi e bolscevichi
Il Partito socialdemocratico russo, di ispirazione marxista e membro della Seconda Internazionale, era diviso in due
correnti: quella minoritaria, detta menscevica, e quella maggioritaria, detta bolscevica. I menscevichi
propendevano per un partito ramificato, di massa, ed erano fedeli alla concezione ortodossa del marxismo secondo
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cui non si può passare direttamente dall’assolutismo e dal feudalesimo al socialismo, pertanto essi appoggiavano il
governo provvisorio con lo scopo di stabilizzare la fase borghese, rimandando ad un tempo futuro l’instaurazione
del socialismo. I Bolscevichi, invece, erano favorevoli a un partito elitario, gestito da pochi dirigenti, rivoluzionari di
professione, e ritenevano maturi i tempi per una rivoluzione socialista (ma il popolo non era in grado da solo di
maturare una consapevolezza rivoluzionaria, che invece doveva essere indotta dall'esterno, da una avanguardia).
Lenin e le tesi di aprile
A capo della corrente bolscevica c’era dal 1902 Lenin (pseudonimo di Vladimir Il’ic Ul’janov). Al momento della
rivoluzione di febbraio, Lenin, che si trovava in esilio a Zurigo, si accordò con le autorità tedesche, che gli
permisero di attraversare in treno il proprio territorio, per raggiungere la Russia (la sua presenza in Russia ne
avrebbe accresciuto il disordine e diminuito l’efficienza bellica). Lenin arrivò a Pietrogrado il 3 aprile 1917; il giorno
seguente scandalizzò tutti i marxisti proclamando la sua intenzione di forzare i tempi e dare inizio alla rivoluzione
proletaria. Le sue convinzioni politiche vennero condensate in un breve documento, noto come tesi di aprile. 1)
Lenin sosteneva che occorresse una pace separata della Russia con la Germania (al contrario, il governo provvisorio
si era impegnato con le potenze dell’Intesa a non uscire dal conflitto. Nello scritto L’imperialismo fase suprema del
capitalismo, egli sosteneva che la guerra mondiale altro non fosse che lo sforzo disperato, una volta compiuta la
ripartizione dell’intera Terra tra le grandi potenze capitalistiche, di strappare con la forza ai rivali nuove regioni da
trasformare in campi d’investimento per i capitali in eccesso. L’imperialismo quindi per Lenin è la fase suprema del
capitalismo. Pertanto egli riteneva che le condizioni per la realizzazione del socialismo si fossero ormai verificate.
Certo, la Russia era ancora arretrata; la guerra mondiale imperialista però avrebbe permesso la realizzazione della
rivoluzione in tutti i paesi dell’Europa industrializzata. Una rivoluzione socialista in Russia, dunque, non sarebbe
affatto stata prematura, bensì perfettamente in sintonia con i grandi eventi che stavano scuotendo la scena
europea e mondiale. 2) Inoltre, occorreva risolvere il dualismo di poteri in modo che tutta l’autorità passasse nelle
mani del proletariato. Alla linea dei menscevichi che, in nome del marxismo ortodosso, proponevano il sostegno al
governo affinché la fase borghese della storia russa potesse consolidarsi, Lenin opponeva le due parole d’ordine:
“pace immediata” e “tutto il potere ai soviet”.
La rivoluzione di ottobre
Nell’agosto 1917, i bolscevichi diedero un contributo decisivo alla sconfitta di un tentativo di colpo di stato,
organizzato dal generale Kornilov e questo aumentò molto la loro popolarità, tanto che in settembre ebbero la
maggioranza all’interno dei soviet di Pietrogrado e Mosca e riuscirono a controllare il Congresso Panrusso dei
soviet.
A Pietrogrado, la notte del 25 ottobre 1917 (7 novembre), reparti armati bolscevichi assaltarono il Palazzo
d’Inverno, sede del governo, e arrestarono numerosi ministri. Il giorno dopo il Congresso Panrusso dei soviet
ratificò il colpo di stato, assunse il potere ed emanò i primi decreti rivoluzionari. Fu creato il Consiglio dei
commissari del popolo, con a capo Lenin, con funzioni di governo sino alla convocazione di un’Assemblea
Costituente.
Lenin rivolse un appello ai governi di tutte le nazioni belligeranti per porre fine alle ostilità e per iniziare trattative
per una pace “giusta e democratica”.
Lenin, preoccupato di avere l’appoggio dei contadini (che erano la maggioranza della popolazione) sottopose al
Congresso dei soviet il decreto sulla terra: “Ogni proprietà privata è abolita immediatamente e senza compenso”.
Tutti i terreni diventavano proprietà nazionale ed erano messi a disposizione di tutti i contadini che desiderassero
coltivarli. Erano vietati l’acquisto, la vendita e l’affitto dei terreni, nonché l’utilizzo di manodopera salariata.
Nei mesi successivi furono nazionalizzate le banche e decretato il controllo operaio su tutte le imprese commerciali
e industriali.
In tal modo, venivano gettate le basi per la costruzione del socialismo.
La dittatura del proletariato
Il 26 ottobre il Congresso Panrusso dei soviet designò a guida dello stato un Consiglio dei Commissari del popolo,
dotato di pieni poteri, presieduto da Lenin e composto dai principali esponenti del partito bolscevico.
Lenin, nello scritto Stato e rivoluzione del 1917, ispirandosi al concetto di dittatura del proletariato di Marx ed
Engels, riteneva che il proletariato dovesse conquistare lo stato, solo così sarebbe stato possibile respingere gli
assalti della borghesia. Solo una volta che il proletariato avesse conquistato il potere si sarebbe potuto attuare il
socialismo (abolizione della proprietà privata) e finalmente passare alla società senza classi, in cui lo stesso stato si
sarebbe dissolto.
La concezione politica di Lenin
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Società borghese
Proprietà privata e divisione in
classi sociali
Rivoluzione e dittatura del
proletariato
Società comunista
Abolizione della proprietà privata
Uguaglianza assoluta di tutti gli
uomini e loro spontanea adesione
alle norme morali
Lo stato è uno strumento
repressivo al servizio della
borghesia
Lo stato proletario impedisce alla
borghesia di riprendere il potere
Estinzione dello stato
La dittatura del partito
Il 7 dicembre 1917 venne istituita la CEKA (Commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione e il
sabotaggio), incaricata di schiacciare tutti i nemici del proletariato e del socialismo. Nel 1918 fu attuato il cosiddetto
Terrore rosso: vennero uccisi gli esponenti del vecchio regime politico e i capitalisti che erano già stati incarcerati in
precedenza.
La dittatura del proletariato, di fatto, era la dittatura del partito. Il 12 novembre 1917 si tennero le prime elezioni
a suffragio universale della storia russa. Le votazioni furono un insuccesso per il bolscevichi: essendo gran parte
della popolazione formata da contadini, la maggioranza dei suffragi non andò ai bolscevichi (appoggiati soprattutto
dai soldati e dagli operai delle grandi industrie urbane), bensì al partito dei social-rivoluzionari, che, a dispetto del
nome, erano schierati su posizioni moderate, difendevano la piccola proprietà e avevano condannato il colpo di
stato del 25 ottobre 1917 (7 novembre). Lenin decise di lasciar riunire l’assemblea, ma dopo la prima seduta
inaugurale la fece disperdere, con la giustificazione che il proletariato non aveva votato liberamente, perché
ancora condizionato dall’ideologia che la classe dominante gli aveva trasmesso per tenerlo soggiogato. Solo la linea
politica dei bolscevichi poteva essere considerata rispondente agli interessi del proletariato.
Fasi della dittatura del partito comunista
8 novembre 1917
Nascita del Consiglio dei Commissari del popolo
7 dicembre 1917
Istituzione della CEKA
19 gennaio 1918
Scioglimento dell’Assemblea Costituente
5 settembre 1918
Istituzione del Terrore rosso
17 febbraio 1918
Decreto secondo cui gli elementi estranei alla classe operaia possono essere rinchiusi
in campo di concentramento
15 aprile 1919
Decreto secondo cui gli elementi nemici della classe operaia possono essere rinchiusi
in campi di lavoro coatto
La guerra civile
Uno dei motivi per cui il partito di Lenin aumentò i suoi consensi fu la decisione di giungere al più presto possibile
ad una pace separata con la Germania. Il 3 marzo 1918, infatti, fu stipulato il trattato di Brest-Litovsk (città
attualmente chiamata semplicemente Brest città, situata nell’odierna Bielorussia, vicino al confine con la Polonia):
esso era quanto mai oneroso per la Russia, che perdeva molti importanti territori (fra i quali l’Ucraina), ma Lenin lo
accettò ugualmente per poter avere quella tranquillità senza la quale sarebbe stato impossibile consolidare il nuovo
regime.
Tuttavia, Lenin dovette affrontare subito un’altra guerra, questa volta civile. Reparti legati allo zar non riconobbero
il governo bolscevico ed iniziarono a lottare contro di esso. Alla fine del 1919 l’esercito comunista – la cosiddetta
Armata rossa, completamente riorganizzata dal leader bolscevico Lev Trockij – riuscì a sconfiggere gli eserciti
controrivoluzionari (sostenuti economicamente e militarmente anche da Francia e Inghilterra).
Uno dei tratti più tragici che caratterizzò questa guerra civile, fu il feroce antisemitismo, adottato dai nemici dei
comunisti, i quali sulla base di un falso documento (creato dalla polizia dello zar alla fine del XIX secolo) intitolato
Protocolli dei Savi Anziani di Sion, pensavano che gli ebrei avessero messo in atto un piano per conquistare il
mondo. Nell’Ottocento l’Impero russo ospitava la più grande colonia ebraica del mondo e tra il 1917 e il 1919 le
truppe bianche (controrivoluzionari), compirono numerosi pogrom (massacri) di ebrei (solo in Ucraina si contarono
75000 vittime).
Il comunismo di guerra
Il problema principale negli anni 1917-1921 fu quello dell’approvvigionamento delle città, in cui si moriva di fame e
di freddo. Il governo attuò il cosiddetto comunismo di guerra, cioè organizzò su vasta scala la requisizione dei
raccolti. Ciò provocò rivolte tra i contadini a cui le autorità risposero con il sistematico uso del campo di
concentramento nei confronti delle famiglie dei contadini ribelli.
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Nell’aprile 1920, pensando di poter approfittare della debolezza del neonato stato sovietico, la Polonia ne invase le
regioni occidentali, ma l’Armata Rossa riuscì a contrattaccare, fino a giungere alle porte di Varsavia. A questo punto
Lenin sperava che i lavoratori polacchi vedessero nella Russia il loro liberatore dal giogo capitalistico e ne
sostenessero l’esercito. Invece, non fu così: gli operai polacchi furono più sensibili al sentimento nazionale, con il
risultato che i sovietici dovettero ritirarsi. Ciò convinse Lenin della impossibilità di scatenare nell’immediato una
generale rivoluzione europea e che, invece, fosse necessario dedicarsi al rafforzamento interno del regime. Ciò
implicava però una svolta nella politica tenuta fino ad ora nei confronti dei contadini, ridotti alla fame a causa delle
requisizioni.
La Nuova Politica Economica
Nel marzo 1921, mentre le campagne russe soffrivano una micidiale carestia (che provocò la morte di 5 milioni di
contadini), venne varata la cosiddetta NEP (Nuova Politica Economica), che lo stesso Lenin definì come una “ritirata”
nel cammino verso il socialismo. In pratica, si introduceva di nuovo nelle campagne un’economia di mercato: i
contadini dovevano versare una percentuale fissa della loro produzione allo stato, però il resto del raccolto restava
nelle loro mani e potevano commercializzarlo. In tal modo venne finalmente garantito il regolare afflusso di
alimenti nelle città e nei centri industriali. Di contro, la produzione dovette orientarsi soprattutto verso i beni di
consumo, che gli agricoltori acquistavano con il denaro ricavato dalla vendita dei loro prodotti (soprattutto cereali).
La NEP favorì soprattutto i contadini che avevano a propria disposizione poderi sufficientemente ampi da poter
immettere una parte del raccolto sul mercato. Questi agricoltori si trasformarono di fatto in imprenditori e, in
deroga al decreto sulla terra del 1917, impiegarono molti lavoratori salariati.
Dal 1922 la Russia e i territori ad essa sottomessi si federarono in un’unica compagine statale che prese il nome di
URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche).
Lo stalinismo
Lenin morì il 24 gennaio 1924, all’età di 54 anni. Nel 1927 risultò padrone assoluto del governo della Russia Stalin
(Iosif Vissarionovic Dzugasvili), che già dal 1922 ricopriva la carica di segretario del partito.
Stalin, in nome della lotta contro il frazionismo (già iniziata da Lenin), proibì ogni discussione interna al partito e
arrivò fino a mettere sotto accusa, processare e condannare a morte, alcuni fra i maggiori dirigenti bolscevichi e
fautori della rivoluzione, come Trockij1, Zinov’ev, Kamenev, Bucharin. In tutti questi processi ci fu un elemento di
spettacolarità: l’imputato era costretto ad autoaccusarsi pubblicamente dei peggiori crimini. La repressione, oltre
all’ambito politico, coinvolse anche altri settori, come la burocrazia statale e la cultura. Si stima che tra il 1936 e
1939, da 4 a 5 milioni di persone subirono la repressione: quattrocento o cinquecentomila furono fucilati, gli altri
spediti nei campi di concentramento per molti anni.
L’industrializzazione della Russia
L’obiettivo principale di Stalin era quello di giungere in tempi brevi ad un livello di industrializzazione pari a quello
degli altri paesi europei. Bisognava però passare da una produzione di beni di consumo all’industria pesante. Per
far ciò nel 1929 fu varato il primo piano quinquennale, che prevedeva una rigida pianificazione statale
dell’economia e della politica industriale. Era l’antitesi del liberismo economico, che ricordava quanto accadde in
Germania durante la prima guerra mondiale, quando sotto la guida del ministro Rathenau la produzione industriale
necessaria allo sforzo bellico venne minuziosamente organizzata dall’alto (anche se in realtà in Germania il libero
scambio non fu mai del tutto abolito, al contrario di quanto avvenne in URSS). Tale politica economica statalista
ottenne in effetti eccezionali risultati (dal 1929 al 1940 la produzione industriale sovietica triplicò).
La collettivizzazione delle campagne
Nel giro di dieci anni l’URSS divenne la seconda potenza industriale del mondo. I costi umani di tale impresa però
vennero pagati soprattutto dai contadini. A partire dai primi mesi del 1928 si fece di nuovo ricorso alle requisizioni
forzate, come al tempo del comunismo di guerra. Nel gennaio 1930 Stalin decise di procedere alla liquidazione dei
kulaki (contadini benestanti, che si erano arricchiti soprattutto ai tempi della NEP) come classe ed alla
collettivizzazione delle campagne. Nel 1931, vennero deportati circa 1 800 000 individui (bollati come sfruttatori
agricoli) in zone periferiche e semidesertiche, ove la maggior parte morì per stenti. Nel contempo, tutti gli altri
contadini vennero obbligati a riunirsi in grandi aziende agricole collettive (kolchoz), unità produttive di vaste
dimensioni, completamente controllate dallo stato. Migliaia furono i contadini che si rifiutarono, ma vennero
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Trockij sosteneva le idee della rivoluzione permanente e della internazionalizzazione del socialismo; invece Stalin
affermava che l'Unione Sovietica dovesse puntare sulla mobilitazione di tutte le proprie risorse al fine di salvaguardare la propria
rivoluzione (teoria del "socialismo in un Paese solo").
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arrestati e finirono in campo di concentramento. Oltre a ciò molti morirono per una seconda disastrosa carestia
nel 1932-33.
In definitiva, a costo di far partire la fame ai contadini, le città e i grandi centri industriali poterono essere
regolarmente riforniti (solo nel 1933 vennero venduti all’estero 18 milioni di quintali di grando).
I campi di lavoro
Negli anni Trenta, giunse a piena maturazione anche il sistema dei campi di lavoro sovietici, ovvero strumenti di
repressione e di reclusione degli avversari politici. Nel 1929, tutti i campi di concentramento sovietici furono
raccolti sotto la sigla GULag (Glavnoe upravlenie ispravitelno-trudovykh lagerej = Direzione principale dei campi di
lavoro correttivi) e da luoghi deputati al terrore passano a centri finalizzati allo sfruttamento dei prigionieri (ad es.
per la costruzione di grandi canali, come quello tra il Mar Baltico e il Mar Bianco, dove lavorarono 120 000 detenuti;
o nelle miniere d’oro della Siberia orientale, dove ne lavoravano 138 000).
Per la maggior parte, non si trattava di detenuti politici, ma di individui normali che per qualche ragione, anche
banale, si erano posti contro il regime: ad es. per essersi spostati dalle campagne alle città senza permesso, o per
aver tenuto per sé una porzione di troppo di raccolto, o per non essere abbastanza zelanti in fabbrica.
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