I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche

Domani
Vol. 99, N. 1, Gennaio 2008
Pagg. 10-18
I farmaci biologici nella terapia
delle malattie infiammatorie croniche intestinali
Raffaello Sostegni, Angelo Pera, Marco Daperno, Rodolfo Rocca
Riassunto. La terapia dei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali ha subito numerosi cambiamenti dopo l’avvento dei farmaci biologici. In questa revisione critica verranno valutati i risultati pubblicati in letteratura relativamente a questi farmaci. Oggi l’unico farmaco biologico disponibile in commercio è l’infliximab, anticorpo monoclonale chimerico anti-TNFα. La sua efficacia nella terapia della colite ulcerosa
moderata-severa e della malattia di Crohn rappresenta uno dei più concreti passi in
avanti nel trattamento di queste malattie.
Parole chiave. Anti-TNFα, colite ulcerosa, farmaci biologici, infliximab, malattia di Crohn.
Summary. Advances in biologic therapy for inflammatory bowel disease.
The medical management of inflammatory bowel disease has considerably changed
thanks to the biologic agents coming. In this review a critical evaluation of controlled
studies with biologic agents for the management of both Crohn’s disease and ulcerative
colitis is presented. The efficacy of these agents in moderate to severe ulcerative colitis
and Crohn’s disease has been one of the most important advances in the past decades.
Key words. Anti-TNFα, biological agents, Crohn’s disease, infliximab, ulcerative colitis.
Introduzione
Negli ultimi anni, la terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), rettocolite ulcerosa (RCU) e malattia di Crohn (MC) è cambiata
radicalmente. Il progresso nelle biotecnologie ha infatti reso disponibili nuove conoscenze, che hanno
trovato la loro traduzione in nuove molecole biologiche disponibili per lo studio e l’applicazione nella terapia delle IBD. Molte di queste molecole hanno dimostrato un’efficacia nel trattamento di induzione e
mantenimento della remissione clinica. Una sfida
per i prossimi anni sarà rappresentata dal corretto
utilizzo delle diverse molecole, adeguando il trattamento al miglior profilo rischio-beneficio ed al fenotipo specifico di malattia.
Terapie biologiche per la rettocolite ulcerosa
ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-TNF
L’infliximab (Remicade™, Centocor, Malvern,
USA) è in uso da circa un decennio nella MC, ma
più recentemente la sua efficacia è stata dimostrata anche nella RCU.
Uno studio multicentrico svedese-danese recentemente pubblicato da Järnerot e colleghi1 ha valutato la sua efficacia in 45 pazienti ricoverati per
un episodio di RCU grave (38%) o fulminante
(62%), con refrattarietà alla terapia con steroidi. I
pazienti sono stati sottoposti a un’infusione di infliximab (4-5 mg/kg) o di placebo, e il principale
end-point è stato il tasso di colectomia e la mortalità a 90 giorni. Nessun paziente è deceduto in nessuno dei bracci di trattamento. L’evento colectomia
si è verificato entro il termine prefissato in 7/24
(29%) pazienti tratti con infliximab ed in 14/21
(67%) pazienti trattati con placebo (p=0,017;
OR=4,9, IC95% 1,4-17). Il guadagno terapeutico
dell’infliximab rispetto al placebo è risultato essere
del 38%, che corrisponde a un ‘number needed to
treat’ (NNT) di 2,6. L’infliximab è stato poi valutato anche in due studi randomizzati e controllati
verso placebo in pazienti affetti da RCU in fase di
attività moderato-grave e con refrattarietà alla terapia con altri agenti convenzionali. I due studi
ACT-1 e ACT-2 sono stati recentemente pubblicati
insieme2, ed hanno coinvolto un totale di 728 pazienti (364 in ciascuno degli studi). Obiettivo principale di questi studi è stato valutare il profilo di sicurezza e l’efficacia dell’infliximab nell’induzione e
nel mantenimento della remissione.
Unità Operativa Autonoma Gastroenterologia, Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano, Torino.
Pervenuto il 28 novembre 2007.
R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali
Il trattamento prevedeva la randomizzazione a
3 infusioni (alle settimane 0, 2 e 6) di placebo, infliximab 5 mg/kg o 10 mg/kg, seguite da analoghe
infusioni di mantenimento ogni otto settimane.
I risultati dei due studi considerati insieme hanno rilevato risposta clinica alla settimana 8 in
320/484 (66%) pazienti trattati con infliximab (5 o
10 mg/kg) ed in 81/244 (33%) pazienti trattati con
placebo (p <0,0001; OR=3,93, IC95% 2,83-5,44); tale differenza corrisponde a un NNT di 3,04 per l’infliximab rispetto al placebo. Alla settimana 30 era
stata mantenuta la remissione con completa cessazione degli steroidi (che rappresenta un obiettivo
più impegnativo rispetto alla semplice risposta clinica) in 60/269 (22%) pazienti trattati con infliximab (5 o 10 mg/kg) e solo in 10/139 (7%) pazienti
trattati con placebo (p=0,0002; OR=3,70, 95%CI
1,83 to 7,49). Ad un anno veniva mantenuta una remissione prolungata senza steroidi in 30/143 (20%)
casi trattati con infliximab ed in 7/79 (9%) casi trattati con placebo (p=0,03; OR=2,73, IC 95% 1,146,55). La guarigione endoscopica della mucosa è risultata superiore in tutte le valutazioni per il trattamento con infliximab rispetto al placebo.
INIBIZIONE DELLE MOLECOLE DI ADESIONE
Il blocco dell’afflusso dei leucociti al compartimento intestinale rappresenta un altro interessante
bersaglio terapeutico nelle IBD. Il razionale terapeutico è basato sull’evidenza che l’adesione leucocitaria
all’endotelio del distretto intestinale rappresenta un
evento chiave per il reclutamento leucocitario nell’area infiammata e il blocco selettivo di questa interazione rappresenta di conseguenza un buon bersaglio.
A questo scopo sono state state studiate nella RCU
due diverse strategie: il blocco del recettore-integrina
α4β7 sul versante leucocitario con anticorpi monoclonali (MLN02) o il blocco della sua controparte endoteliale ICAM-1 con mRNA antisenso.
Il farmaco MLN02 (Millennium Pharmaceuticals), un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il recettore-integrina α4 è stato sviluppato e studiato nella RCU.
Il recettore-integrina α4β7 è essenziale per il reclutamento dei linfociti T da parte dell’endotelio e
presenta una specificità per il distretto intestinale.
Uno studio clinico ha randomizzato 181 pazienti affetti da RCU moderatamente attiva a ricevere
un’infusione di MLN02 alla dose di 0,5 o 2 mg/kg o
di placebo3. Il farmaco attivo (MLN02) si è dimostrato significativamente superiore al placebo in
entrambi i dosaggi; la remissione è stata ottenuta
a 6 settimane in 38/118 (33%) pazienti trattati con
MLN02 (0,5 o 2 mg/kg) e solo in 9/63 (14%) pazienti trattati con placebo (p=0,02). tuttavia un dato
che salta agli occhi è che ben il 44% dei pazienti
trattati con MLN02 ha sviluppato anticorpi antifarmaco a titolo elevato, e i pazienti con titolo anti-
11
corpale più elevato presentavano una risposta non
dissimile dal gruppo placebo (12% vs 14%).
Un’altra modalità con cui si è tentato di inibire l’afflusso di globuli bianchi nell’area dell’infiammazione intestinale è stato attraverso il blocco dell’espressione della molecola di adesione endoteliale
ICAM-1 con un oligonucleotide antisenso specifico,
chiamato alicaforsen (precedentemente noto come
ISIS2302, Isis Pharmaceutical Inc., USA).
Dopo che la molecola è stata studiata con modesto successo nella MC, una formulazione per clismi
è stata valutata per il trattamento delle forme di
RCU sinistra, all’interno di 3 studi randomizzati e
controllati4-6, che hanno coinvolto complessivamente 311 pazienti. Nonostante gli obiettivi terapeutici
differissero nei diversi studi, è emersa una tendenza verso una maggiore efficacia (misurata come più
rilevante riduzione del punteggio DAI = Disease Activity Index) rispetto al placebo per i dosaggi più
elevati del farmaco attivo (240 mg/60 ml). Tuttavia
non si sono osservate differenze clinicamente rilevanti in termini di remissione clinica, anche se i clismi di alicaforsen sembrerebbero indurre una remissione più duratura rispetto alla mesalazina topica. Al momento attuale si può solo concludere che
occorrano ulteriori studi su questa molecola.
ANTICORPI ANTI-CD3
Il visilizumab (Nuvion™, PDL, Fremont, CA,
USA) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il recettore di membrana CD3 (Cluster of Differentiation-3), e quindi specifico per il
riconoscimento dei linfociti T attivati, essenziali
nei meccanismi dell’infiammazione nella RCU.
L’utilità della deplezione dei linfociti T, d’altro
canto, è stata suggerita già in passato come potenziale arma terapeutica. Al momento, l’evidenza a
supporto dell’efficacia del visilizumab è preliminare, in buona parte basata su uno studio clinico di fase 1, condotto in 32 pazienti affetti da RCU steroidorefrattaria7. Questi soggetti sono stati trattati
con una dose di 15 mcg/kg in 8 casi e con 10 mcg/kg
in 24 casi. Al giorno 30, 84% dei pazienti mostrava
una risposta clinica (punteggio di Truelove e Witts
<10 con una riduzione minima di 3 punti), il 41%
aveva raggiunto la remissione clinica e il 44% la remissione endoscopica. La maggior parte dei pazienti (82% nel gruppo 10 mcg/kg, 100% nel gruppo 15 mcg/kg, rispettivamente) aveva mostrato nel
corso dello studio una sindrome da rilascio citochinico. Tutti i pazienti mostravano un rapido decremento dei linfociti T CD4+ circolanti che tuttavia
ritornavano a valori analoghi a quelli basali al giorno 30 nell’86% dei soggetti. Nessuna infezione severa si è manifestata nel corso dello studio.
12
Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008
A discapito di questi incoraggianti risultati, recentemente uno studio internazionale multicentrico di fase II è stato prematuramente interrotto per
un insufficiente rapporto tra rischi e benefici legati all’uso del farmaco.
Terapie biologiche
per la malattia di Crohn
ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-TNF
Al momento attuale esistono tre diversi anticorpi monoclonali contro il TNF-α studiati e/o utilizzati per la malattia di Crohn: uno chimerico
(infliximab), uno umanizzato e peghilato (certolizumab pegol) ed uno totalmente umano (adalimumab). Al contrario, sono stati valutati recettori del TNF ricombinanti (etanercept and onercept) che si sono dimostrati inefficaci per il
trattamento della MC attiva8,9.
Complessivamente si può dire che il profilo di sicurezza degli anticorpi anti TNF-α sia accettabile,
anche se vi è una serie di problematiche che richiedono specifica attenzione da parte di medici e pazienti. Innanzitutto occorre escludere un precedente
contatto con la tubercolosi mediante l’anamnesi dettagliata, una radiografia del torace e/o un’intradermoreazione secondo Mantoux, anche se sono state
mosse critiche alla sua sensibilità e specificità, soprattutto in caso di pazienti in terapia immunosoppressiva. Se una delle modalità di screening risulta
positiva (o in caso di tubercolosi attiva), la terapia con
molecole anti-TNF deve essere preceduta da 3-6 mesi di terapia antitubercolare. Ciononostante, sono
stati osservati casi di riacutizzazione di TBC praticamente in tutti gli studi con farmaci anti-TNF-α,
anche in pazienti con test di screening negativi; d’altra parte, grazie al livello di attenzione dedicato al
problema, si è pressoché azzerata la mortalità da
TBC. Altri patogeni intracellulari possono causare
problemi nei pazienti trattati con questi farmaci e
vanno tenuti in adeguata considerazione. Inoltre le
infezioni di tutti i tipi, e soprattutto quelle del tratto
respiratorio superiore (ma anche le polmoniti batteriche), rappresentano il più comune evento avverso
della terapia anti-TNF-α. Un’altra controindicazione
all’uso di anti-TNF-α è rappresentata dallo scompenso cardiaco avanzato, perché la terapia con questi agenti lo può peggiorare. Il profilo di sicurezza di
queste molecole durante gravidanza ed allattamento
è ancora poco conosciuto: pertanto si suggerisce di
non esporre a queste terapie durante gravidanza o allattamento, anche se i dati post-marketing dell’infliximab sono sostanzialmente rassicuranti. Al momento non esistono dati che permettano un confronto dei 3 farmaci anti-TNF-α; tutte e tre le molecole
studiate o approvate per la terapia della MC si sono
dimostrate significativamente superiori al placebo
negli studi clinici ed anche il loro profilo di sicurezza
sembra essere (grossolanamente) sovrapponibile.
Infliximab
L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico di tipo IgG-1 diretto contro il TNF-α; è stato il
primo agente biologico approvato e commercializzato per il trattamento della MC attiva, a seguito della dimostrazione della sua efficacia nell’induzione e
nel mantenimento della remissione sia per la malattia luminale, sia per la malattia fistolizzante. I
due trial ACCENT hanno dimostrato che l’infliximab induce la guarigione endoscopica e riduce la
necessità di interventi chirurgici e ricoveri10,11. Il
profilo di sicurezza dell’infliximab è stato valutato
sia negli studi registrativi, sia in ambito postmarketing in due vasti registri prospettici (il
TREAT in Nord-America e l’ENCORE in Europa). Il
registro TREAT ha rilevato un incremento del rischio di infezioni e mortalità legato all’uso di steroidi e non a quello di infliximab e non ha rilevato incremento delle neoplasie12. Tuttavia, alcune pubblicazioni recenti suggeriscono che possa esistere un
incremento del rischio neoplastico (in particolare di
linfomi) nei pazienti esposti a terapia combinata
con infliximab ed azatioprina13. Inoltre, dato che
l’infliximab è un anticorpo chimerico, presenta il
problema dell’immunogenicità, anche se è un dato
oramai accettato che la formazione di anticorpi anti-infliximab possa essere prevenuta con infusioni
periodiche programmate (rispetto al trattamento ‘al
bisogno’), con il pre-trattamneto con steroidi e/o con
la co-somministrazione di immunosoppressori. Recentemente si è anche cercato di stabilire quanto a
lungo sia necessario proseguire il trattamento con
immunosoppressori, confrontando gli effetti della
loro sospensione dopo i primi 6 mesi di infliximab rispetto alla continuazione e gli sperimentatori non
hanno trovato differenze in termini di frequenza di
reazioni allergiche o di perdita della risposta14.
Data la rapidità di induzione della remissione e
la significativa guarigione endoscopica che si era
notata con l’infliximab, ci si è posti la domanda se
gli agenti biologici non dovessero essere anticipati
nell’algoritmo terapeutico della malattia di Crohn15.
Questa ipotesi è stata valutata da uno studio randomizzato prospettico effettuato in Benelux. 130 pazienti con diagnosi recente di MC, mai trattati con
steroidi, sono stati randomizzati a ricevere un trattamento di induzione con 3 infusioni di infliximab e
contemporaneo trattamento con azatioprina, ovvero un più classico approccio ‘a salire’, con un primo
ciclo di steroidi, e solo successivamente introduzione di immunosoppressori o eventualmente infliximab in caso di loro fallimento. La prima strategia è
risultata superiore per ottenere remissione senza
utilizzo di steroidi rispetto alla seconda sia a 6, sia
a 12 mesi (a 6 mesi: 60% rispetto a 36%, p <0,01; a
12 mesi: 62% rispetto a 42%, p <0,05). La superiorità del trattamento ‘top-down’ non si è mantenuta
durante il secondo anno di studio a causa dell’estrema frequenza dell’uso di immunosoppressori
nel braccio ‘step-up’ (al termine dei 2 anni l’uso di
immunosoppressori era presente nel 94% dei pazienti nel braccio top-down e nel 77% del braccio
step-up).
R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali
Ciononostante, il mantenimento della guarigione endoscopica era soverchiante nel primo braccio
di studio (con percentuali rispettivamente di 73% e
30%, p=0,003)16. Ad oggi rimane da chiarire quali
pazienti ad esordio più aggressivo meritino di ricevere un trattamento ‘top-down’ e quali, che avranno
un decorso meno aggressivo, possano essere trattati con un approccio più classico17.
Adalimumab
L’adalimumab (Humira™, Abbott Laboratories,
Parsippany, New Jersey, USA) è un anticorpo
monoclonale anti-TNF (di tipo IgG1) totalmente umanizzato, che può essere somministrato
per via sottocutanea.
In uno studio clinico di dose-finding (CLASSIC-1)
si è riscontrato che lo schema di induzione ottimale è
rappresentato dalla somministrazione di 160 mg (pari a 4 iniezioni di siringhe predosate) alla settimana
0 seguite da 80 mg s.c. (o 2 siringhe predosate) alla
settimana 2; tale schema di trattamento consente un
tasso di risposta del 59% e di remissione del 36% alla settimana 4, significativamente superiore alla risposta osservata con il placebo, del 12% (p <0,05;
OR=2,53, IC95% 1,31-4,88; NNT=4,35)18. 276 pazienti che avevano partecipato allo studio Classic I
sono stati arruolati nello studio di mantenimento denominato Classic II19. 55 pazienti in remissione alle
settimane 0 e 4 sono stati ri-randomizzati a ricevere
40 mg a settimane alterne, 40 mg/settimana o placebo per 56 settimane. I pazienti non in remissione alle settimane 0 e 4 sono stati arruolati in uno studio
in aperto a ricevere 40 mg a settimane alterne. Il
79% dei pazienti randomizzati a ricevere 40 mg a
settimane alterne e l’83% dei pazienti randomizzati
a 40 mg/settimana erano in remissione alla settimana 56, contro il 44% dei pazienti nel gruppo placebo
(p <0,05). 204 pazienti sono entrati nello studio in
aperto; di questi il 46% era in remissione alla settimana 56. In questo studio l’adalimumab è stato ben
tollerato. Uno studio di maggiori dimensioni numeriche (denominato CHARM) ha valutato gli effetti
del trattamento di mantenimento con adalimumab
al dosaggio di 40 mg s.c. ogni settimana o ogni 2 settimane, rispetto al placebo, a seguito di un trattamento di induzione con 80 mg al tempo 0 seguiti da
40 mg dopo 2 settimane20. Lo studio CHARM ha dimostrato che circa il 60% dei pazienti (di una coorte
di oltre 800 casi) ha ottenuto una risposta clinica al
regime di induzione ed è stato possibile arruolarli
per lo studio sul mantenimento della remissione. Dopo 26 e 56 settimane dalla prima somministrazione
di adalimumab, con un mantenimento a settimane
alterne, rispettivamente il 40% e il 36% dei pazienti
erano in remissione, mentre con il trattamento ogni
settimana le medesime percentuali erano del 47% e
del 41% rispettivamente, e con placebo erano 17% e
12% [p <0,001 per entrambi i regimi di trattamento;
OR per i 2 gruppi attivi combinati vs placebo pari a
3,65 (IC95% 2,3-5,7) e a 4,72 (IC95% 2,8-7,9), rispet-
13
tivamente a 26 e 56 settimane]. Circa un terzo dei pazienti ha potuto abbandonare totalmente il trattamento steroideo nel corso dello studio. Inoltre, un terzo di pazienti con fistole attivamente drenanti al momento dell’inclusione nello studio è andato incontro
a completa guarigione, anche se deve essere sottolineato che la guarigione delle fistole rappresentava
solo un obiettivo secondario dello studio CHARM.
Inoltre, recentemente, sono stati pubblicati i risultati di uno studio (GAIN) multicentrico internazionale
randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo21, in cui sono stati arruolati 325 pazienti con malattia di Crohn moderata-severa e refrattari o intolleranti ad infliximab. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere 160 mg e 80 mg alle settimane 0 e 2
rispettivamente, o placebo con il medesimo schema.
301 pazienti hanno completato lo studio; il 21% del
gruppo trattato contro il 7% del gruppo placebo ha
raggiunto la remissione alla settimana 4 (p <0,001).
Nessun paziente incluso nello studio ha avuto infezioni severe. Gli autori hanno concluso che l’adalimumab è in grado di indurre la remissione nei pazienti con malattia di Crohn moderata-severa refrattari/intolleranti ad infliximab più frequentemente
del placebo. Grazie a questi studi positivi, l’impiego
dell’adalimumab è stato approvato dall’FDA, dall’EMEA e recentemente anche dall’AIFA.
Certolizumab pegol
Il certolizumab pegol (Cimzia™, prima conosciuto come CDP870, UCB, Bruxelles, Belgio) è
una molecola monoclonale umanizzata antiTNF di porzione Fc di immunoglobuline, legata
a 2 molecole di polietilen-glicole (PEG), che può
essere somministrata per via sottocutanea.
Uno studio di fase 2 ha coinvolto 292 pazienti
affetti da malattia di Crohn moderata-grave, che
sono stati randomizzati a ricevere placebo, 100,
200 o 400 mg di farmaco attivo al tempo 0, ed alle
settimane 4 ed 8. Si è osservata risposta clinica significativamente migliore ad ogni osservazione
dalla settimana 2 alla 10, ma non alla settimana
12 (obiettivo principale), con le migliori risposte
osservate, per la dose di 400 mg, alla settimana 10
(53% rispetto a 30% del gruppo placebo, p=0,006).
Tuttavia, un’analisi post-hoc dei dati ha consentito di rilevare che i pazienti con livelli basali più
elevati di proteina C-reattiva (PCR) e quelli sottoposti a terapia con immunosoppressori avevano
una maggiore e significativa differenza in termini
di risposta al farmaco attivo rispetto al placebo22.
Successivamente, è stato effettuato uno studio di
fase 3 (PRECISE 2), in cui i pazienti che andavano incontro ad una risposta clinica in aperto all’iniezione di certolizumab 400 mg al tempo 0 ed alle settimane 2 e 4, risposta basata su una riduzione di 100 punti del punteggio CDAI, venivano
randomizzati a ricevere un trattamento di mantenimento con placebo o certolizumab alla stessa dose, mensilmente, fino alla settimana 2423.
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Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008
I risultati hanno evidenziato che il 64% dei pazienti ha risposto al regime di induzione non controllato, a 6 mesi (settimana 26) il 48% dei pazienti trattati con certolizumab ed il 29% di quelli trattati con placebo era in remissione (p <0,001). La
differenza si manteneva significativa anche nel
sottogruppo dei pazienti con PCR basale elevata
(42% verso 28%, p <0,01). Anche i dati riguardanti sicurezza e tollerabilità sono stati buoni, solo il
mal di testa è stato riportato con una frequenza
elevata, 13% dei casi durante il regime di induzione. Un altro studio, il PRECISE 1, che al momento rappresenta lo studio di un trattamento di induzione per il Crohn che ha coinvolto più pazienti
tra quelli effettuati finora, ha valutato l’efficacia di
certolizumab 400 mg al tempo 0, dopo 2 e 4 settimane e successivamente mensilmente fino a 6 mesi rispetto al placebo24. La risposta clinica alle settimane 6 e 26 (ancora una volta intesa come riduzione del punteggio CDAI di almeno 100 punti) è
stata del 23% per il farmaco attivo rispetto al 16%
del placebo (p <0,05), e la remissione ad entrambi
i tempi è stata ottenuta rispettivamente nel 14% e
nel 10% dei casi nei due gruppi di trattamento (differenza non significativa). Per quanto riguarda la
sicurezza, non sono emersi dati inaspettati o segnalazioni di nuovi eventi avversi rispetto al profilo di sicurezza delle altre molecole anti-TNF.
In conclusione il certolizumab pegol sembra essere un ulteriore agente anti-TNF efficace nel trattamento della malattia di Crohn attiva. Rimane
ancora da definire il suo ruolo rispetto ad altri
obiettivi terapeutici, quali la guarigione delle fistole, la guarigione delle lesioni endoscopiche e
l’efficacia nei pazienti refrattari all’infliximab.
ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-IL12
In uno studio preliminare condotto su 79 pazienti affetti da MC attiva sono stati esplorati
sicurezza ed effetto di un anticorpo monoclonale totalmente umano diretto contro l’interleuchina 12 (IL12) (ABT874, Abbott Laboratories,
Parsippany, New Jersey, USA), con somministrazione sottocutanea25.
chiaro il migliore schema terapeutico per questo
farmaco, che tuttavia potrebbe presentare potenziali benefici e che nello studio citato ha dimostrato un profilo di sicurezza accettabile, dato che il
principale effetto avverso riportato era limitato a
modeste reazioni cutanee nell’area dell’iniezione
del farmaco.
ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-IFNγ
Il fontolizumab (HuZAF™, PDL, Fremont, CA,
USA) è un anticorpo monoclonale umanizzato
diretto contro l’IFNγ, una molecola essenziale
nell’interazione pro-infiammatoria tra cellule
presentanti l’antigene e linfociti.
Il fontolizumab è stato indagato inizialmente
con uno studio multicentrico di dosi crescenti26 (singola somministrazione), in cui alcuni dei pazienti
sono stati sottoposti a 3 dosi aggiuntive mensili dopo i primi 29 giorni dello studio. È stata osservata
esclusivamente una tendenza per una migliore efficacia della dose più alta del farmaco (4 mg/kg), ed
il trattamento è risultato generalmente abbastanza ben tollerato, anche se brividi, sindrome similinfluenzale, astenia, nausea e vomito si sono verificati più frequentemente nel gruppo trattato con
fontolizumab. Uno studio successivo ha coinvolto
133 pazienti affetti da MC attiva, pazienti che sono
stati randomizzati a ricevere placebo, 4 o 10 mg/kg
di fontolizumab27; 41 hanno ricevuto una sola somministrazione e 91 hanno ricevuto due somministrazioni al giorno 0 e +28. Nonostante non si sia
osservata una differenza significativa per l’obiettivo primario dello studio (prefissato rispetto alla risposta clinica al giorno 28), i pazienti sottoposti a 2
dosi di fontolizumab presentavano una risposta superiore a quelli trattati con placebo a 56 giorni dalla prima somministrazione (67-69% rispetto a
32%). Di conseguenza, sembrerebbe che il trattamento della MC attiva con 2 dosi di fontolizumab
possa comportare un beneficio clinico.
ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-CD3
La IL12 è stata scelta come bersaglio terapeutico in quanto è una citochina proinfiammatoria
che determina una polarizzazione del pattern della risposta immune in verso ‘T-helper 1’. Nell’ambito dello studio i pazienti sono stati sottoposti a
diversi schemi e dosi di trattamento: 7 iniezioni
sottocutanee di placebo o di farmaco attivo alla dose di 1 o 3 mg/kg, con (prima coorte) o senza (seconda coorte) un intervallo di 4 settimane tra la
prima e la seconda infusione. Dopo 7 settimane di
trattamento ininterrotto, la risposta clinica è stata rilevata in 75% dei casi trattati con anti-IL12 e
in 25% dei controlli trattati con placebo (p=0,03).
Nonostante le diverse dosi ed i diversi schemi terapeutici valutati in questo studio, non è ancora
Il visilizumab (Nuvion™, PDL, Fremont, CA,
USA) è un farmaco biologico che è stato studiato in fase 1 nella malattia di Crohn28.
Finora solo 12 pazienti hanno completato lo
studio. Si è osservata risposta clinica in 9/12 pazienti (75%), e remissione a lungo termine in 3/8
casi (38%). Sulla base di questi risultati del tutto
preliminari, si può supporre un ruolo potenziale
del visilizumab, anche se occorrono studi randomizzati controllati su un maggior numero di pazienti che confermino queste aspettative prima di
poter trarre conclusioni.
15
R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali
INIBITORI DELLE MOLECOLE DI ADESIONE
Il traffico e il reclutamento dei leucociti nell’area infiammata della parete intestinale rappresenta un interessante meccanismo su cui intervenire
per poter agire sull’infiammazione intestinale.
Il natalizumab (Antegren™, Elan-Biogen, Dublino, Irlanda) è un anticorpo monoclonale umanizzato di tipo IgG4, diretto alla subunità α4
dell’integrina, una molecola che media specificamente l’adesione dei linfociti alle molecole di
adesione endoteliali.
In particolare, l’integrina α4 è espressa pressoché
da tutti i linfociti, pertanto la sua neutralizzazione
mediante anticorpi monoclonali ne impedisce l’interazione con il ligando sulla superficie endoteliale
(VCAM-1) o con l’addressina della mucosa MadCAM1, determinando una riduzione del richiamo dei linfociti nelle aree infiammate. Il trattamento con natalizumab si è dimostrato efficace per indurre la remissione clinica in pazienti con MC attiva, soprattutto in
quelli con PCR più elevata e/o se sottoposti a contemporaneo trattamento immunosoppressivo. Lo
studio ENACT-2 ha valutato l’efficacia di un trattamento di un anno con natalizumab 300 mg endovena
a scadenza mensile nel mantenere la risposta clinica
indotta nello studio di fase 3 denominato ENACT129. Complessivamente, i 2 studi hanno coinvolto 905
pazienti; nella fase di induzione si è osservata risposta clinica in 56% dei pazienti trattati con natalizumab e in 48% di quelli trattati con placebo (p=0,069),
anche se successive analisi statistiche hanno evidenziato differenze significative nei sottogruppi con PCR
elevata e uso di immunosoppressori. Ad un anno, i
pazienti che hanno proseguito il trattamento periodico hanno tuttavia riportato tassi di risposta e remissione prolungate significativamente superiori rispetto ai controlli: per i due obiettivi terapeutici i dati osservati sono stati rispettivamente: risposta 61%
rispetto a 28% (p <0,001) e remissione 44% rispetto a
26% (p=0,003), per i gruppi natalizumab e placebo. Il
profilo di sicurezza all’epoca risultava accettabile, con
solo un eccesso di infezioni del tratto respiratorio superiore riportato nei pazienti sottoposti al trattamento attivo. Nello studio ENCORE sono poi stati
randomizzati 509 pazienti con MC attiva a ricevere 3
infusioni mensili di natalizumab (300 mg) o placebo30. L’efficacia nell’induzione della remissione è stata significativamente superiore per il natalizumab
rispetto al placebo, con percentuali di pazienti di remissione a 4, 8 e 12 settimane pari a 24%, 32% e 38%
per i casi trattati con natalizumab e a 16%, 21% e
25% per quelli trattati con placebo (p=0,009, 0,002 e
0,001). Tuttavia, nonostante questi buoni risultati terapeutici, la scoperta di 3 casi di leucoencefalopatia
progressiva multifocale (PML) (due dei 3 casi sono
stati mortali) tra i 3.819 pazienti trattati con natalizumab per Crohn, sclerosi multipla o artrite reumatoide31-34, ha condotto a un temporaneo stop nello sviluppo e nell’approvazione del farmaco. La PML è una
rara malattia degenerative del sistema nervoso centrale provocata da un poliomavirus chiamato JC-virus (JCV). Uno dei 3 casi riportati si è verificato in un
paziente trattato per malattia di Crohn ed era stato
considerato inizialmente come astrocitoma maligno.
Dopo queste segnalazioni è stata condotta una scrupolosa campagna di rivalutazione di tutti i pazienti
esposti al farmaco, e non sono stati riscontrati nuovi
casi di PML. Al momento, però, non esiste una strategia di screening affidabile che possa prevenire o anticipare l’infezione da JCV35, ed il farmaco è al momento bloccato nel suo iter di approvazione.
FATTORI DI CRESCITA
Il filgrastim (G-CSF ricombinante umano) e il
sargramostim (GM-CSF ricombinante umano)
sono stati valutati in 2 studi pilota; entrambi
sembrerebbero esercitare un effetto benefico sia
sulle forme attive luminali di malattia di Crohn,
sia su quelle fistolizzanti36,37.
Un successivo studio ha randomizzato 124 pazienti a ricevere 6 µg di sargramostim/kg/giorno o
placebo per 56 giorni38.
Tabella 1. Efficacia clinica di diversi farmaci biologici per la rettocolite ulcerosa rispetto a vari obiettivi specificati
nei diversi studi.
Farmaco
attivo
Placebo
Endpoint, farmaco
OR (IC95%)
NNT
[1]
17/24
(61%)
7/21
(33%)
Evitare la colectomia in RCU grave, infliximab 5
mg/kg
4,9 (1,4-17)
2,6
[2]
320/484
(66%)
81/244
(33%)
Induzione di risposta clinica alla settimana 8 nella 3,93 (2,8-5,4)
RCU attiva, infliximab 5 o 10 mg/kg
3
[2]
60/269
(22%)
10/139
(7%)
Mantenimento remissione senza steroidi a 30 setti- 3,70 (1,8-7,5)
mane (RCU), infliximab 5 o 10 mg/kg
6,6
[3]
38/118
(33%)
9/63 (14%)
Induzione di remissione alla settimana 6 nella RCU 2,85 (1,3-6,4)
attiva, MLN02 0,5 o 2 mg/kg
5,6
Nota
OR= Odds ratio; IC95% = Intervalli di confidenza del 95%; NNT = Number Needed to Treat; RCU = Rettocolite ulcerosa
16
Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008
Tabella 2. Efficacia clinica di diversi farmaci biologici per la malattia di Crohn rispetto a vari obiettivi specificati
nei diversi studi.
Farmaco
attivo
Placebo
[10]
386/656
(59%)
4/25
(16%)
Induzione risposta clinica a 2 settimane nella MC 7,51 (2,5-22,1)
luminale attiva, infliximab 5, 10 o 20 mg/kg
2,3
[10]
95/262 (36%)
22/146
(15%)
Mantenimento della remissione clinica (CDAI<150)
a 44 o 52 settimane, infliximab 5 o 10 mg/kg
4,7 (2,6-8,5)
4,7
[11]
273/369
(74%)
8/31
(26%)
Induzione risposta clinica a 4 settimane nella MC
fistolizzante attiva, infliximab 5 o 10 mg/kg
8,18 (3,5-18,9)
2,1
[11]
33/91
(36%)
19/98
(19%)
Mantenimento della chiusura di tutte le fistole a 54 2,37 (1,2-4,6)
settimane, infliximab 5 o 10 mg/kg
5,9
[18]
638/1.079
(59%)
27/74
(36%)
Induzione della risposta clinica a 4 sett.,
adalimumab 80-40 mg o 160-80 mg
2,52 (1,5-4,1)
4,4
[19]
248/605
(41%)
28/188
(15%)
Mantenimento della remissione (CDAI<150) a 56 3,97 (2,6-6,1)
settimane, adalimumab 40 mg ogni 2 settimane
3,8
[23-24]
545/1.001
(54%)
89/328
(27%)
Induzione della risposta a 6 settimane (DC- 3,22 (2,5-4,2)
DAI≥100), certolizumab 400 mg ogni 2 settimane
7,0
[23-24]
128/463
(28%)
82/474
(17%)
Mantenimento della remissione alla settimana 6
e 26, certolizumab 400 mg mensilmente
1,83 (1,3-2,5)
9,7
[25]
19/32
(59%)
4/16
(25%)
Induzione della risposta clinica alla settimana 18, 4,38 (1,2-16,6)
ABT874 3 mg/kg
2,9
[29]
405/724
(56%)
87/181
(48%)
Induzione della risposta clinica alla settimana 12, 1,37 (0,99-1,9)
natalizumab 300 mg mensilmente
12,7
[29]
99/168
(59%)
41/170
(24%)
Mantenimento della risposta clinica a 60 settimane, 4.51 (2.8-7.2)
natalizumab 300 mg mensilmente
2.9
Bibl.
Endpoint, farmaco
OR (IC95%)
NNT
OR= Odds ratio; IC95% = Intervalli di confidenza del 95%; NNT = Number Needed to Treat; MC = Malattia di Crohn
Anche se l’obiettivo principale (predefinito come riduzione di almeno 70 punti di CDAI al giorno 57) non è stato raggiunto, si è registrato un numero significativamente superiore di pazienti in
remissione nel gruppo trattato con il farmaco attivo: 40% rispetto a 19% (p=0,01).
Al momento attuale occorrono comunque maggiori dati a supporto dell’efficacia e della sicurezza
dei fattori di crescita, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza rispetto al rischio di indurre o
promuovere tumori latenti.
Conclusioni e prospettive
■ Le terapie biologiche disponibili hanno cambiato e cambieranno ulteriormente in futuro la gestione delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Il problema e la sfida maggiore saranno legate alla possibilità di scoprire indicatori di risposta e marcatori di malattia affidabili al punto da poter individualizzare la terapia a livello del singolo paziente, in modo da poter somministrare il farmaco o la combinazione di farmaci che abbia la massima probabilità di risultare efficace per la
specifica fase e lo specifico tipo di malattia.
■ Per il momento non è possibile ottenere questo risultato. Nelle tabelle 1 e 2 sono però riassunti i dati di efficacia esposti in precedenza, riassunti laddove erano presenti diversi studi con disegno simile per la stessa molecola: sommando i casi trattati nei diversi studi rispetto al medesimo obiettivo terapeutico, in modo da poter maggiormente apprezzare le prove finora disponibili dell’efficacia
dei diversi farmaci.
■ Per la malattia di Crohn i dati relativi all’efficacia dell’infliximab derivano oltre che dagli studi ACCENT 1 e 210,11, anche dagli studi iniziali di Targan e colleghi e di Present e colleghi; per l’adalimumab oltre che dagli studi CLASSIC 1 e CHARM18,19, anche dai risultati dello studio CLASSIC 2; per
il certolizumab pegol sui dati degli studi PRECISE 1 e 223,24; per le restanti molecole gli studi valutati non sono stati sommati e sono identificabili dalle note bibliografiche indicate.
R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Raffaello Sostegni
Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano
Unità Operativa Autonoma Gastroenterologia
Via Turati, 62
10128 Torino
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