Domani Vol. 99, N. 1, Gennaio 2008 Pagg. 10-18 I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali Raffaello Sostegni, Angelo Pera, Marco Daperno, Rodolfo Rocca Riassunto. La terapia dei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali ha subito numerosi cambiamenti dopo l’avvento dei farmaci biologici. In questa revisione critica verranno valutati i risultati pubblicati in letteratura relativamente a questi farmaci. Oggi l’unico farmaco biologico disponibile in commercio è l’infliximab, anticorpo monoclonale chimerico anti-TNFα. La sua efficacia nella terapia della colite ulcerosa moderata-severa e della malattia di Crohn rappresenta uno dei più concreti passi in avanti nel trattamento di queste malattie. Parole chiave. Anti-TNFα, colite ulcerosa, farmaci biologici, infliximab, malattia di Crohn. Summary. Advances in biologic therapy for inflammatory bowel disease. The medical management of inflammatory bowel disease has considerably changed thanks to the biologic agents coming. In this review a critical evaluation of controlled studies with biologic agents for the management of both Crohn’s disease and ulcerative colitis is presented. The efficacy of these agents in moderate to severe ulcerative colitis and Crohn’s disease has been one of the most important advances in the past decades. Key words. Anti-TNFα, biological agents, Crohn’s disease, infliximab, ulcerative colitis. Introduzione Negli ultimi anni, la terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), rettocolite ulcerosa (RCU) e malattia di Crohn (MC) è cambiata radicalmente. Il progresso nelle biotecnologie ha infatti reso disponibili nuove conoscenze, che hanno trovato la loro traduzione in nuove molecole biologiche disponibili per lo studio e l’applicazione nella terapia delle IBD. Molte di queste molecole hanno dimostrato un’efficacia nel trattamento di induzione e mantenimento della remissione clinica. Una sfida per i prossimi anni sarà rappresentata dal corretto utilizzo delle diverse molecole, adeguando il trattamento al miglior profilo rischio-beneficio ed al fenotipo specifico di malattia. Terapie biologiche per la rettocolite ulcerosa ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-TNF L’infliximab (Remicade™, Centocor, Malvern, USA) è in uso da circa un decennio nella MC, ma più recentemente la sua efficacia è stata dimostrata anche nella RCU. Uno studio multicentrico svedese-danese recentemente pubblicato da Järnerot e colleghi1 ha valutato la sua efficacia in 45 pazienti ricoverati per un episodio di RCU grave (38%) o fulminante (62%), con refrattarietà alla terapia con steroidi. I pazienti sono stati sottoposti a un’infusione di infliximab (4-5 mg/kg) o di placebo, e il principale end-point è stato il tasso di colectomia e la mortalità a 90 giorni. Nessun paziente è deceduto in nessuno dei bracci di trattamento. L’evento colectomia si è verificato entro il termine prefissato in 7/24 (29%) pazienti tratti con infliximab ed in 14/21 (67%) pazienti trattati con placebo (p=0,017; OR=4,9, IC95% 1,4-17). Il guadagno terapeutico dell’infliximab rispetto al placebo è risultato essere del 38%, che corrisponde a un ‘number needed to treat’ (NNT) di 2,6. L’infliximab è stato poi valutato anche in due studi randomizzati e controllati verso placebo in pazienti affetti da RCU in fase di attività moderato-grave e con refrattarietà alla terapia con altri agenti convenzionali. I due studi ACT-1 e ACT-2 sono stati recentemente pubblicati insieme2, ed hanno coinvolto un totale di 728 pazienti (364 in ciascuno degli studi). Obiettivo principale di questi studi è stato valutare il profilo di sicurezza e l’efficacia dell’infliximab nell’induzione e nel mantenimento della remissione. Unità Operativa Autonoma Gastroenterologia, Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano, Torino. Pervenuto il 28 novembre 2007. R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali Il trattamento prevedeva la randomizzazione a 3 infusioni (alle settimane 0, 2 e 6) di placebo, infliximab 5 mg/kg o 10 mg/kg, seguite da analoghe infusioni di mantenimento ogni otto settimane. I risultati dei due studi considerati insieme hanno rilevato risposta clinica alla settimana 8 in 320/484 (66%) pazienti trattati con infliximab (5 o 10 mg/kg) ed in 81/244 (33%) pazienti trattati con placebo (p <0,0001; OR=3,93, IC95% 2,83-5,44); tale differenza corrisponde a un NNT di 3,04 per l’infliximab rispetto al placebo. Alla settimana 30 era stata mantenuta la remissione con completa cessazione degli steroidi (che rappresenta un obiettivo più impegnativo rispetto alla semplice risposta clinica) in 60/269 (22%) pazienti trattati con infliximab (5 o 10 mg/kg) e solo in 10/139 (7%) pazienti trattati con placebo (p=0,0002; OR=3,70, 95%CI 1,83 to 7,49). Ad un anno veniva mantenuta una remissione prolungata senza steroidi in 30/143 (20%) casi trattati con infliximab ed in 7/79 (9%) casi trattati con placebo (p=0,03; OR=2,73, IC 95% 1,146,55). La guarigione endoscopica della mucosa è risultata superiore in tutte le valutazioni per il trattamento con infliximab rispetto al placebo. INIBIZIONE DELLE MOLECOLE DI ADESIONE Il blocco dell’afflusso dei leucociti al compartimento intestinale rappresenta un altro interessante bersaglio terapeutico nelle IBD. Il razionale terapeutico è basato sull’evidenza che l’adesione leucocitaria all’endotelio del distretto intestinale rappresenta un evento chiave per il reclutamento leucocitario nell’area infiammata e il blocco selettivo di questa interazione rappresenta di conseguenza un buon bersaglio. A questo scopo sono state state studiate nella RCU due diverse strategie: il blocco del recettore-integrina α4β7 sul versante leucocitario con anticorpi monoclonali (MLN02) o il blocco della sua controparte endoteliale ICAM-1 con mRNA antisenso. Il farmaco MLN02 (Millennium Pharmaceuticals), un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il recettore-integrina α4 è stato sviluppato e studiato nella RCU. Il recettore-integrina α4β7 è essenziale per il reclutamento dei linfociti T da parte dell’endotelio e presenta una specificità per il distretto intestinale. Uno studio clinico ha randomizzato 181 pazienti affetti da RCU moderatamente attiva a ricevere un’infusione di MLN02 alla dose di 0,5 o 2 mg/kg o di placebo3. Il farmaco attivo (MLN02) si è dimostrato significativamente superiore al placebo in entrambi i dosaggi; la remissione è stata ottenuta a 6 settimane in 38/118 (33%) pazienti trattati con MLN02 (0,5 o 2 mg/kg) e solo in 9/63 (14%) pazienti trattati con placebo (p=0,02). tuttavia un dato che salta agli occhi è che ben il 44% dei pazienti trattati con MLN02 ha sviluppato anticorpi antifarmaco a titolo elevato, e i pazienti con titolo anti- 11 corpale più elevato presentavano una risposta non dissimile dal gruppo placebo (12% vs 14%). Un’altra modalità con cui si è tentato di inibire l’afflusso di globuli bianchi nell’area dell’infiammazione intestinale è stato attraverso il blocco dell’espressione della molecola di adesione endoteliale ICAM-1 con un oligonucleotide antisenso specifico, chiamato alicaforsen (precedentemente noto come ISIS2302, Isis Pharmaceutical Inc., USA). Dopo che la molecola è stata studiata con modesto successo nella MC, una formulazione per clismi è stata valutata per il trattamento delle forme di RCU sinistra, all’interno di 3 studi randomizzati e controllati4-6, che hanno coinvolto complessivamente 311 pazienti. Nonostante gli obiettivi terapeutici differissero nei diversi studi, è emersa una tendenza verso una maggiore efficacia (misurata come più rilevante riduzione del punteggio DAI = Disease Activity Index) rispetto al placebo per i dosaggi più elevati del farmaco attivo (240 mg/60 ml). Tuttavia non si sono osservate differenze clinicamente rilevanti in termini di remissione clinica, anche se i clismi di alicaforsen sembrerebbero indurre una remissione più duratura rispetto alla mesalazina topica. Al momento attuale si può solo concludere che occorrano ulteriori studi su questa molecola. ANTICORPI ANTI-CD3 Il visilizumab (Nuvion™, PDL, Fremont, CA, USA) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il recettore di membrana CD3 (Cluster of Differentiation-3), e quindi specifico per il riconoscimento dei linfociti T attivati, essenziali nei meccanismi dell’infiammazione nella RCU. L’utilità della deplezione dei linfociti T, d’altro canto, è stata suggerita già in passato come potenziale arma terapeutica. Al momento, l’evidenza a supporto dell’efficacia del visilizumab è preliminare, in buona parte basata su uno studio clinico di fase 1, condotto in 32 pazienti affetti da RCU steroidorefrattaria7. Questi soggetti sono stati trattati con una dose di 15 mcg/kg in 8 casi e con 10 mcg/kg in 24 casi. Al giorno 30, 84% dei pazienti mostrava una risposta clinica (punteggio di Truelove e Witts <10 con una riduzione minima di 3 punti), il 41% aveva raggiunto la remissione clinica e il 44% la remissione endoscopica. La maggior parte dei pazienti (82% nel gruppo 10 mcg/kg, 100% nel gruppo 15 mcg/kg, rispettivamente) aveva mostrato nel corso dello studio una sindrome da rilascio citochinico. Tutti i pazienti mostravano un rapido decremento dei linfociti T CD4+ circolanti che tuttavia ritornavano a valori analoghi a quelli basali al giorno 30 nell’86% dei soggetti. Nessuna infezione severa si è manifestata nel corso dello studio. 12 Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008 A discapito di questi incoraggianti risultati, recentemente uno studio internazionale multicentrico di fase II è stato prematuramente interrotto per un insufficiente rapporto tra rischi e benefici legati all’uso del farmaco. Terapie biologiche per la malattia di Crohn ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-TNF Al momento attuale esistono tre diversi anticorpi monoclonali contro il TNF-α studiati e/o utilizzati per la malattia di Crohn: uno chimerico (infliximab), uno umanizzato e peghilato (certolizumab pegol) ed uno totalmente umano (adalimumab). Al contrario, sono stati valutati recettori del TNF ricombinanti (etanercept and onercept) che si sono dimostrati inefficaci per il trattamento della MC attiva8,9. Complessivamente si può dire che il profilo di sicurezza degli anticorpi anti TNF-α sia accettabile, anche se vi è una serie di problematiche che richiedono specifica attenzione da parte di medici e pazienti. Innanzitutto occorre escludere un precedente contatto con la tubercolosi mediante l’anamnesi dettagliata, una radiografia del torace e/o un’intradermoreazione secondo Mantoux, anche se sono state mosse critiche alla sua sensibilità e specificità, soprattutto in caso di pazienti in terapia immunosoppressiva. Se una delle modalità di screening risulta positiva (o in caso di tubercolosi attiva), la terapia con molecole anti-TNF deve essere preceduta da 3-6 mesi di terapia antitubercolare. Ciononostante, sono stati osservati casi di riacutizzazione di TBC praticamente in tutti gli studi con farmaci anti-TNF-α, anche in pazienti con test di screening negativi; d’altra parte, grazie al livello di attenzione dedicato al problema, si è pressoché azzerata la mortalità da TBC. Altri patogeni intracellulari possono causare problemi nei pazienti trattati con questi farmaci e vanno tenuti in adeguata considerazione. Inoltre le infezioni di tutti i tipi, e soprattutto quelle del tratto respiratorio superiore (ma anche le polmoniti batteriche), rappresentano il più comune evento avverso della terapia anti-TNF-α. Un’altra controindicazione all’uso di anti-TNF-α è rappresentata dallo scompenso cardiaco avanzato, perché la terapia con questi agenti lo può peggiorare. Il profilo di sicurezza di queste molecole durante gravidanza ed allattamento è ancora poco conosciuto: pertanto si suggerisce di non esporre a queste terapie durante gravidanza o allattamento, anche se i dati post-marketing dell’infliximab sono sostanzialmente rassicuranti. Al momento non esistono dati che permettano un confronto dei 3 farmaci anti-TNF-α; tutte e tre le molecole studiate o approvate per la terapia della MC si sono dimostrate significativamente superiori al placebo negli studi clinici ed anche il loro profilo di sicurezza sembra essere (grossolanamente) sovrapponibile. Infliximab L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico di tipo IgG-1 diretto contro il TNF-α; è stato il primo agente biologico approvato e commercializzato per il trattamento della MC attiva, a seguito della dimostrazione della sua efficacia nell’induzione e nel mantenimento della remissione sia per la malattia luminale, sia per la malattia fistolizzante. I due trial ACCENT hanno dimostrato che l’infliximab induce la guarigione endoscopica e riduce la necessità di interventi chirurgici e ricoveri10,11. Il profilo di sicurezza dell’infliximab è stato valutato sia negli studi registrativi, sia in ambito postmarketing in due vasti registri prospettici (il TREAT in Nord-America e l’ENCORE in Europa). Il registro TREAT ha rilevato un incremento del rischio di infezioni e mortalità legato all’uso di steroidi e non a quello di infliximab e non ha rilevato incremento delle neoplasie12. Tuttavia, alcune pubblicazioni recenti suggeriscono che possa esistere un incremento del rischio neoplastico (in particolare di linfomi) nei pazienti esposti a terapia combinata con infliximab ed azatioprina13. Inoltre, dato che l’infliximab è un anticorpo chimerico, presenta il problema dell’immunogenicità, anche se è un dato oramai accettato che la formazione di anticorpi anti-infliximab possa essere prevenuta con infusioni periodiche programmate (rispetto al trattamento ‘al bisogno’), con il pre-trattamneto con steroidi e/o con la co-somministrazione di immunosoppressori. Recentemente si è anche cercato di stabilire quanto a lungo sia necessario proseguire il trattamento con immunosoppressori, confrontando gli effetti della loro sospensione dopo i primi 6 mesi di infliximab rispetto alla continuazione e gli sperimentatori non hanno trovato differenze in termini di frequenza di reazioni allergiche o di perdita della risposta14. Data la rapidità di induzione della remissione e la significativa guarigione endoscopica che si era notata con l’infliximab, ci si è posti la domanda se gli agenti biologici non dovessero essere anticipati nell’algoritmo terapeutico della malattia di Crohn15. Questa ipotesi è stata valutata da uno studio randomizzato prospettico effettuato in Benelux. 130 pazienti con diagnosi recente di MC, mai trattati con steroidi, sono stati randomizzati a ricevere un trattamento di induzione con 3 infusioni di infliximab e contemporaneo trattamento con azatioprina, ovvero un più classico approccio ‘a salire’, con un primo ciclo di steroidi, e solo successivamente introduzione di immunosoppressori o eventualmente infliximab in caso di loro fallimento. La prima strategia è risultata superiore per ottenere remissione senza utilizzo di steroidi rispetto alla seconda sia a 6, sia a 12 mesi (a 6 mesi: 60% rispetto a 36%, p <0,01; a 12 mesi: 62% rispetto a 42%, p <0,05). La superiorità del trattamento ‘top-down’ non si è mantenuta durante il secondo anno di studio a causa dell’estrema frequenza dell’uso di immunosoppressori nel braccio ‘step-up’ (al termine dei 2 anni l’uso di immunosoppressori era presente nel 94% dei pazienti nel braccio top-down e nel 77% del braccio step-up). R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali Ciononostante, il mantenimento della guarigione endoscopica era soverchiante nel primo braccio di studio (con percentuali rispettivamente di 73% e 30%, p=0,003)16. Ad oggi rimane da chiarire quali pazienti ad esordio più aggressivo meritino di ricevere un trattamento ‘top-down’ e quali, che avranno un decorso meno aggressivo, possano essere trattati con un approccio più classico17. Adalimumab L’adalimumab (Humira™, Abbott Laboratories, Parsippany, New Jersey, USA) è un anticorpo monoclonale anti-TNF (di tipo IgG1) totalmente umanizzato, che può essere somministrato per via sottocutanea. In uno studio clinico di dose-finding (CLASSIC-1) si è riscontrato che lo schema di induzione ottimale è rappresentato dalla somministrazione di 160 mg (pari a 4 iniezioni di siringhe predosate) alla settimana 0 seguite da 80 mg s.c. (o 2 siringhe predosate) alla settimana 2; tale schema di trattamento consente un tasso di risposta del 59% e di remissione del 36% alla settimana 4, significativamente superiore alla risposta osservata con il placebo, del 12% (p <0,05; OR=2,53, IC95% 1,31-4,88; NNT=4,35)18. 276 pazienti che avevano partecipato allo studio Classic I sono stati arruolati nello studio di mantenimento denominato Classic II19. 55 pazienti in remissione alle settimane 0 e 4 sono stati ri-randomizzati a ricevere 40 mg a settimane alterne, 40 mg/settimana o placebo per 56 settimane. I pazienti non in remissione alle settimane 0 e 4 sono stati arruolati in uno studio in aperto a ricevere 40 mg a settimane alterne. Il 79% dei pazienti randomizzati a ricevere 40 mg a settimane alterne e l’83% dei pazienti randomizzati a 40 mg/settimana erano in remissione alla settimana 56, contro il 44% dei pazienti nel gruppo placebo (p <0,05). 204 pazienti sono entrati nello studio in aperto; di questi il 46% era in remissione alla settimana 56. In questo studio l’adalimumab è stato ben tollerato. Uno studio di maggiori dimensioni numeriche (denominato CHARM) ha valutato gli effetti del trattamento di mantenimento con adalimumab al dosaggio di 40 mg s.c. ogni settimana o ogni 2 settimane, rispetto al placebo, a seguito di un trattamento di induzione con 80 mg al tempo 0 seguiti da 40 mg dopo 2 settimane20. Lo studio CHARM ha dimostrato che circa il 60% dei pazienti (di una coorte di oltre 800 casi) ha ottenuto una risposta clinica al regime di induzione ed è stato possibile arruolarli per lo studio sul mantenimento della remissione. Dopo 26 e 56 settimane dalla prima somministrazione di adalimumab, con un mantenimento a settimane alterne, rispettivamente il 40% e il 36% dei pazienti erano in remissione, mentre con il trattamento ogni settimana le medesime percentuali erano del 47% e del 41% rispettivamente, e con placebo erano 17% e 12% [p <0,001 per entrambi i regimi di trattamento; OR per i 2 gruppi attivi combinati vs placebo pari a 3,65 (IC95% 2,3-5,7) e a 4,72 (IC95% 2,8-7,9), rispet- 13 tivamente a 26 e 56 settimane]. Circa un terzo dei pazienti ha potuto abbandonare totalmente il trattamento steroideo nel corso dello studio. Inoltre, un terzo di pazienti con fistole attivamente drenanti al momento dell’inclusione nello studio è andato incontro a completa guarigione, anche se deve essere sottolineato che la guarigione delle fistole rappresentava solo un obiettivo secondario dello studio CHARM. Inoltre, recentemente, sono stati pubblicati i risultati di uno studio (GAIN) multicentrico internazionale randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo21, in cui sono stati arruolati 325 pazienti con malattia di Crohn moderata-severa e refrattari o intolleranti ad infliximab. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere 160 mg e 80 mg alle settimane 0 e 2 rispettivamente, o placebo con il medesimo schema. 301 pazienti hanno completato lo studio; il 21% del gruppo trattato contro il 7% del gruppo placebo ha raggiunto la remissione alla settimana 4 (p <0,001). Nessun paziente incluso nello studio ha avuto infezioni severe. Gli autori hanno concluso che l’adalimumab è in grado di indurre la remissione nei pazienti con malattia di Crohn moderata-severa refrattari/intolleranti ad infliximab più frequentemente del placebo. Grazie a questi studi positivi, l’impiego dell’adalimumab è stato approvato dall’FDA, dall’EMEA e recentemente anche dall’AIFA. Certolizumab pegol Il certolizumab pegol (Cimzia™, prima conosciuto come CDP870, UCB, Bruxelles, Belgio) è una molecola monoclonale umanizzata antiTNF di porzione Fc di immunoglobuline, legata a 2 molecole di polietilen-glicole (PEG), che può essere somministrata per via sottocutanea. Uno studio di fase 2 ha coinvolto 292 pazienti affetti da malattia di Crohn moderata-grave, che sono stati randomizzati a ricevere placebo, 100, 200 o 400 mg di farmaco attivo al tempo 0, ed alle settimane 4 ed 8. Si è osservata risposta clinica significativamente migliore ad ogni osservazione dalla settimana 2 alla 10, ma non alla settimana 12 (obiettivo principale), con le migliori risposte osservate, per la dose di 400 mg, alla settimana 10 (53% rispetto a 30% del gruppo placebo, p=0,006). Tuttavia, un’analisi post-hoc dei dati ha consentito di rilevare che i pazienti con livelli basali più elevati di proteina C-reattiva (PCR) e quelli sottoposti a terapia con immunosoppressori avevano una maggiore e significativa differenza in termini di risposta al farmaco attivo rispetto al placebo22. Successivamente, è stato effettuato uno studio di fase 3 (PRECISE 2), in cui i pazienti che andavano incontro ad una risposta clinica in aperto all’iniezione di certolizumab 400 mg al tempo 0 ed alle settimane 2 e 4, risposta basata su una riduzione di 100 punti del punteggio CDAI, venivano randomizzati a ricevere un trattamento di mantenimento con placebo o certolizumab alla stessa dose, mensilmente, fino alla settimana 2423. 14 Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008 I risultati hanno evidenziato che il 64% dei pazienti ha risposto al regime di induzione non controllato, a 6 mesi (settimana 26) il 48% dei pazienti trattati con certolizumab ed il 29% di quelli trattati con placebo era in remissione (p <0,001). La differenza si manteneva significativa anche nel sottogruppo dei pazienti con PCR basale elevata (42% verso 28%, p <0,01). Anche i dati riguardanti sicurezza e tollerabilità sono stati buoni, solo il mal di testa è stato riportato con una frequenza elevata, 13% dei casi durante il regime di induzione. Un altro studio, il PRECISE 1, che al momento rappresenta lo studio di un trattamento di induzione per il Crohn che ha coinvolto più pazienti tra quelli effettuati finora, ha valutato l’efficacia di certolizumab 400 mg al tempo 0, dopo 2 e 4 settimane e successivamente mensilmente fino a 6 mesi rispetto al placebo24. La risposta clinica alle settimane 6 e 26 (ancora una volta intesa come riduzione del punteggio CDAI di almeno 100 punti) è stata del 23% per il farmaco attivo rispetto al 16% del placebo (p <0,05), e la remissione ad entrambi i tempi è stata ottenuta rispettivamente nel 14% e nel 10% dei casi nei due gruppi di trattamento (differenza non significativa). Per quanto riguarda la sicurezza, non sono emersi dati inaspettati o segnalazioni di nuovi eventi avversi rispetto al profilo di sicurezza delle altre molecole anti-TNF. In conclusione il certolizumab pegol sembra essere un ulteriore agente anti-TNF efficace nel trattamento della malattia di Crohn attiva. Rimane ancora da definire il suo ruolo rispetto ad altri obiettivi terapeutici, quali la guarigione delle fistole, la guarigione delle lesioni endoscopiche e l’efficacia nei pazienti refrattari all’infliximab. ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-IL12 In uno studio preliminare condotto su 79 pazienti affetti da MC attiva sono stati esplorati sicurezza ed effetto di un anticorpo monoclonale totalmente umano diretto contro l’interleuchina 12 (IL12) (ABT874, Abbott Laboratories, Parsippany, New Jersey, USA), con somministrazione sottocutanea25. chiaro il migliore schema terapeutico per questo farmaco, che tuttavia potrebbe presentare potenziali benefici e che nello studio citato ha dimostrato un profilo di sicurezza accettabile, dato che il principale effetto avverso riportato era limitato a modeste reazioni cutanee nell’area dell’iniezione del farmaco. ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-IFNγ Il fontolizumab (HuZAF™, PDL, Fremont, CA, USA) è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro l’IFNγ, una molecola essenziale nell’interazione pro-infiammatoria tra cellule presentanti l’antigene e linfociti. Il fontolizumab è stato indagato inizialmente con uno studio multicentrico di dosi crescenti26 (singola somministrazione), in cui alcuni dei pazienti sono stati sottoposti a 3 dosi aggiuntive mensili dopo i primi 29 giorni dello studio. È stata osservata esclusivamente una tendenza per una migliore efficacia della dose più alta del farmaco (4 mg/kg), ed il trattamento è risultato generalmente abbastanza ben tollerato, anche se brividi, sindrome similinfluenzale, astenia, nausea e vomito si sono verificati più frequentemente nel gruppo trattato con fontolizumab. Uno studio successivo ha coinvolto 133 pazienti affetti da MC attiva, pazienti che sono stati randomizzati a ricevere placebo, 4 o 10 mg/kg di fontolizumab27; 41 hanno ricevuto una sola somministrazione e 91 hanno ricevuto due somministrazioni al giorno 0 e +28. Nonostante non si sia osservata una differenza significativa per l’obiettivo primario dello studio (prefissato rispetto alla risposta clinica al giorno 28), i pazienti sottoposti a 2 dosi di fontolizumab presentavano una risposta superiore a quelli trattati con placebo a 56 giorni dalla prima somministrazione (67-69% rispetto a 32%). Di conseguenza, sembrerebbe che il trattamento della MC attiva con 2 dosi di fontolizumab possa comportare un beneficio clinico. ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-CD3 La IL12 è stata scelta come bersaglio terapeutico in quanto è una citochina proinfiammatoria che determina una polarizzazione del pattern della risposta immune in verso ‘T-helper 1’. Nell’ambito dello studio i pazienti sono stati sottoposti a diversi schemi e dosi di trattamento: 7 iniezioni sottocutanee di placebo o di farmaco attivo alla dose di 1 o 3 mg/kg, con (prima coorte) o senza (seconda coorte) un intervallo di 4 settimane tra la prima e la seconda infusione. Dopo 7 settimane di trattamento ininterrotto, la risposta clinica è stata rilevata in 75% dei casi trattati con anti-IL12 e in 25% dei controlli trattati con placebo (p=0,03). Nonostante le diverse dosi ed i diversi schemi terapeutici valutati in questo studio, non è ancora Il visilizumab (Nuvion™, PDL, Fremont, CA, USA) è un farmaco biologico che è stato studiato in fase 1 nella malattia di Crohn28. Finora solo 12 pazienti hanno completato lo studio. Si è osservata risposta clinica in 9/12 pazienti (75%), e remissione a lungo termine in 3/8 casi (38%). Sulla base di questi risultati del tutto preliminari, si può supporre un ruolo potenziale del visilizumab, anche se occorrono studi randomizzati controllati su un maggior numero di pazienti che confermino queste aspettative prima di poter trarre conclusioni. 15 R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali INIBITORI DELLE MOLECOLE DI ADESIONE Il traffico e il reclutamento dei leucociti nell’area infiammata della parete intestinale rappresenta un interessante meccanismo su cui intervenire per poter agire sull’infiammazione intestinale. Il natalizumab (Antegren™, Elan-Biogen, Dublino, Irlanda) è un anticorpo monoclonale umanizzato di tipo IgG4, diretto alla subunità α4 dell’integrina, una molecola che media specificamente l’adesione dei linfociti alle molecole di adesione endoteliali. In particolare, l’integrina α4 è espressa pressoché da tutti i linfociti, pertanto la sua neutralizzazione mediante anticorpi monoclonali ne impedisce l’interazione con il ligando sulla superficie endoteliale (VCAM-1) o con l’addressina della mucosa MadCAM1, determinando una riduzione del richiamo dei linfociti nelle aree infiammate. Il trattamento con natalizumab si è dimostrato efficace per indurre la remissione clinica in pazienti con MC attiva, soprattutto in quelli con PCR più elevata e/o se sottoposti a contemporaneo trattamento immunosoppressivo. Lo studio ENACT-2 ha valutato l’efficacia di un trattamento di un anno con natalizumab 300 mg endovena a scadenza mensile nel mantenere la risposta clinica indotta nello studio di fase 3 denominato ENACT129. Complessivamente, i 2 studi hanno coinvolto 905 pazienti; nella fase di induzione si è osservata risposta clinica in 56% dei pazienti trattati con natalizumab e in 48% di quelli trattati con placebo (p=0,069), anche se successive analisi statistiche hanno evidenziato differenze significative nei sottogruppi con PCR elevata e uso di immunosoppressori. Ad un anno, i pazienti che hanno proseguito il trattamento periodico hanno tuttavia riportato tassi di risposta e remissione prolungate significativamente superiori rispetto ai controlli: per i due obiettivi terapeutici i dati osservati sono stati rispettivamente: risposta 61% rispetto a 28% (p <0,001) e remissione 44% rispetto a 26% (p=0,003), per i gruppi natalizumab e placebo. Il profilo di sicurezza all’epoca risultava accettabile, con solo un eccesso di infezioni del tratto respiratorio superiore riportato nei pazienti sottoposti al trattamento attivo. Nello studio ENCORE sono poi stati randomizzati 509 pazienti con MC attiva a ricevere 3 infusioni mensili di natalizumab (300 mg) o placebo30. L’efficacia nell’induzione della remissione è stata significativamente superiore per il natalizumab rispetto al placebo, con percentuali di pazienti di remissione a 4, 8 e 12 settimane pari a 24%, 32% e 38% per i casi trattati con natalizumab e a 16%, 21% e 25% per quelli trattati con placebo (p=0,009, 0,002 e 0,001). Tuttavia, nonostante questi buoni risultati terapeutici, la scoperta di 3 casi di leucoencefalopatia progressiva multifocale (PML) (due dei 3 casi sono stati mortali) tra i 3.819 pazienti trattati con natalizumab per Crohn, sclerosi multipla o artrite reumatoide31-34, ha condotto a un temporaneo stop nello sviluppo e nell’approvazione del farmaco. La PML è una rara malattia degenerative del sistema nervoso centrale provocata da un poliomavirus chiamato JC-virus (JCV). Uno dei 3 casi riportati si è verificato in un paziente trattato per malattia di Crohn ed era stato considerato inizialmente come astrocitoma maligno. Dopo queste segnalazioni è stata condotta una scrupolosa campagna di rivalutazione di tutti i pazienti esposti al farmaco, e non sono stati riscontrati nuovi casi di PML. Al momento, però, non esiste una strategia di screening affidabile che possa prevenire o anticipare l’infezione da JCV35, ed il farmaco è al momento bloccato nel suo iter di approvazione. FATTORI DI CRESCITA Il filgrastim (G-CSF ricombinante umano) e il sargramostim (GM-CSF ricombinante umano) sono stati valutati in 2 studi pilota; entrambi sembrerebbero esercitare un effetto benefico sia sulle forme attive luminali di malattia di Crohn, sia su quelle fistolizzanti36,37. Un successivo studio ha randomizzato 124 pazienti a ricevere 6 µg di sargramostim/kg/giorno o placebo per 56 giorni38. Tabella 1. Efficacia clinica di diversi farmaci biologici per la rettocolite ulcerosa rispetto a vari obiettivi specificati nei diversi studi. Farmaco attivo Placebo Endpoint, farmaco OR (IC95%) NNT [1] 17/24 (61%) 7/21 (33%) Evitare la colectomia in RCU grave, infliximab 5 mg/kg 4,9 (1,4-17) 2,6 [2] 320/484 (66%) 81/244 (33%) Induzione di risposta clinica alla settimana 8 nella 3,93 (2,8-5,4) RCU attiva, infliximab 5 o 10 mg/kg 3 [2] 60/269 (22%) 10/139 (7%) Mantenimento remissione senza steroidi a 30 setti- 3,70 (1,8-7,5) mane (RCU), infliximab 5 o 10 mg/kg 6,6 [3] 38/118 (33%) 9/63 (14%) Induzione di remissione alla settimana 6 nella RCU 2,85 (1,3-6,4) attiva, MLN02 0,5 o 2 mg/kg 5,6 Nota OR= Odds ratio; IC95% = Intervalli di confidenza del 95%; NNT = Number Needed to Treat; RCU = Rettocolite ulcerosa 16 Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008 Tabella 2. Efficacia clinica di diversi farmaci biologici per la malattia di Crohn rispetto a vari obiettivi specificati nei diversi studi. Farmaco attivo Placebo [10] 386/656 (59%) 4/25 (16%) Induzione risposta clinica a 2 settimane nella MC 7,51 (2,5-22,1) luminale attiva, infliximab 5, 10 o 20 mg/kg 2,3 [10] 95/262 (36%) 22/146 (15%) Mantenimento della remissione clinica (CDAI<150) a 44 o 52 settimane, infliximab 5 o 10 mg/kg 4,7 (2,6-8,5) 4,7 [11] 273/369 (74%) 8/31 (26%) Induzione risposta clinica a 4 settimane nella MC fistolizzante attiva, infliximab 5 o 10 mg/kg 8,18 (3,5-18,9) 2,1 [11] 33/91 (36%) 19/98 (19%) Mantenimento della chiusura di tutte le fistole a 54 2,37 (1,2-4,6) settimane, infliximab 5 o 10 mg/kg 5,9 [18] 638/1.079 (59%) 27/74 (36%) Induzione della risposta clinica a 4 sett., adalimumab 80-40 mg o 160-80 mg 2,52 (1,5-4,1) 4,4 [19] 248/605 (41%) 28/188 (15%) Mantenimento della remissione (CDAI<150) a 56 3,97 (2,6-6,1) settimane, adalimumab 40 mg ogni 2 settimane 3,8 [23-24] 545/1.001 (54%) 89/328 (27%) Induzione della risposta a 6 settimane (DC- 3,22 (2,5-4,2) DAI≥100), certolizumab 400 mg ogni 2 settimane 7,0 [23-24] 128/463 (28%) 82/474 (17%) Mantenimento della remissione alla settimana 6 e 26, certolizumab 400 mg mensilmente 1,83 (1,3-2,5) 9,7 [25] 19/32 (59%) 4/16 (25%) Induzione della risposta clinica alla settimana 18, 4,38 (1,2-16,6) ABT874 3 mg/kg 2,9 [29] 405/724 (56%) 87/181 (48%) Induzione della risposta clinica alla settimana 12, 1,37 (0,99-1,9) natalizumab 300 mg mensilmente 12,7 [29] 99/168 (59%) 41/170 (24%) Mantenimento della risposta clinica a 60 settimane, 4.51 (2.8-7.2) natalizumab 300 mg mensilmente 2.9 Bibl. Endpoint, farmaco OR (IC95%) NNT OR= Odds ratio; IC95% = Intervalli di confidenza del 95%; NNT = Number Needed to Treat; MC = Malattia di Crohn Anche se l’obiettivo principale (predefinito come riduzione di almeno 70 punti di CDAI al giorno 57) non è stato raggiunto, si è registrato un numero significativamente superiore di pazienti in remissione nel gruppo trattato con il farmaco attivo: 40% rispetto a 19% (p=0,01). Al momento attuale occorrono comunque maggiori dati a supporto dell’efficacia e della sicurezza dei fattori di crescita, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza rispetto al rischio di indurre o promuovere tumori latenti. Conclusioni e prospettive ■ Le terapie biologiche disponibili hanno cambiato e cambieranno ulteriormente in futuro la gestione delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Il problema e la sfida maggiore saranno legate alla possibilità di scoprire indicatori di risposta e marcatori di malattia affidabili al punto da poter individualizzare la terapia a livello del singolo paziente, in modo da poter somministrare il farmaco o la combinazione di farmaci che abbia la massima probabilità di risultare efficace per la specifica fase e lo specifico tipo di malattia. ■ Per il momento non è possibile ottenere questo risultato. Nelle tabelle 1 e 2 sono però riassunti i dati di efficacia esposti in precedenza, riassunti laddove erano presenti diversi studi con disegno simile per la stessa molecola: sommando i casi trattati nei diversi studi rispetto al medesimo obiettivo terapeutico, in modo da poter maggiormente apprezzare le prove finora disponibili dell’efficacia dei diversi farmaci. ■ Per la malattia di Crohn i dati relativi all’efficacia dell’infliximab derivano oltre che dagli studi ACCENT 1 e 210,11, anche dagli studi iniziali di Targan e colleghi e di Present e colleghi; per l’adalimumab oltre che dagli studi CLASSIC 1 e CHARM18,19, anche dai risultati dello studio CLASSIC 2; per il certolizumab pegol sui dati degli studi PRECISE 1 e 223,24; per le restanti molecole gli studi valutati non sono stati sommati e sono identificabili dalle note bibliografiche indicate. R. Sostegni et al.: I farmaci biologici nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali Bibliografia 1. 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