La concentrazione di Imatinib nel plasma: un nuovo

Dott.ssa Paola Coco Struttura Semplice Trattamento Medico Sarcomi Adulto,
Dott. Daniele Morelli, Responsabile Medicina di Laboratorio
Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Sintesi della relazione e del dibattito col pubblico al 2° Incontro Nazionale A.I.G.
“I GIST: parlandone con i pazienti.”
Milano, 21 febbraio 2009
La concentrazione di Imatinib nel plasma:
un nuovo parametro nella terapia farmacologia?
Anche se il ruolo della concentrazione di Imatinib nel plasma non è ancora completamente definito,
si stanno sviluppando sempre più parametri - principalmente di tipo molecolare - che permettano di
individualizzare il trattamento.
Tra le pubblicazioni finora disponibili sulla concentrazione di Imatinib nel sangue, lo studio con
maggior numero di pazienti è stato condotto da un gruppo europeo ed americano su 351 pazienti
affetti dada leucemia mieloide cronica in trattamento con Imatinib. Nella figura 1 viene evidenziato
come in questi pazienti a livelli di dose più alta corrisponda un maggior numero di risposte
associato, però, ad una maggior incidenza di effetti collaterali.
(figura 1)
• 351 Pz affetti da
LMC
•Correlazione tra
livelli plasmatici e
risposta
•Maggiore incidenza
di effetti collaterali
in Pz con
concentrazioni più
elevate di Imatinib
Larson R. et Al, Blood 2008 111: 40224022-4028
Riguardo al monitoraggio dei valori plasmatici di Imatinib nei pazienti affetti da GIST, ad oggi,
sono disponibili due lavori; il primo è un poster presentato dal gruppo di Boston del dottor Demetri
in cui, suddividendo i pazienti in base al livello di dose di Imatinib circolante e assumendo come cut
off il valore di 1100 ng (nanogrammi)/ ml (millilitro), è stato evidenziato che a valori superiori a
1100 corrispondeva una maggiore percentuale di risposte, mentre a livelli inferiori, vi era una
maggiore percentuale di pazienti in progressione. Sembrerebbe, quindi, che il monitoraggio delle
concentrazioni plasmatiche consentirebbe un’ottimizzazione della dose, e di conseguenza una
migliore risposta clinica.
(figura 2)
73 Pz
Q1 (n=18) n(%)
Q2Q2-Q3 (n=36) n(%) Q4 (n=19) n(%)
CR+PR+SD
12 (67)
29 (81)
16 (84)
PD
6 (33)
7 (19)
3 (16)
Il secondo articolo, su uno studio condotto su pazienti affetti sia da leucemia mieloide cronica sia da
GIST, è stato pubblicato da un gruppo europeo, ed è stata evidenziata una correlazione tra i livelli
ematici di Imatinib e le risposte; in particolare ad un maggior numero di risposte sembrerebbero
corrispondere dei valori mediamente più alti rispetto ai pazienti in progressione e, parallelamente,
ad una maggiore concentrazione di Imatinib, trova riscontro anche un maggior numero e una
maggior incidenza di effetti collaterali. Il monitoraggio della concentrazione di Imatinib, potrebbe,
quindi, essere utile sia per la valutazione della risposta sia per il controllo della tossicità.
Queste evidenze sembrerebbero, quindi, giustificare l’introduzione più sistematica del dosaggio
plasmatico di Imatinib; d’altro canto se viene preso in considerazione lo studio condotto dal gruppo
francese in cui tutti i pazienti randomizzati ad interrompere il trattamento dopo un anno hanno
sviluppato una progressione di malattia, successivamente recuperata dall’introduzione di Imatinib,
risulterebbe evidente che la prognosi a lungo termine non è influenzata dalla dose, praticamente
nulla, nel periodo di interruzione del trattamento.
Le principali variabili che possono influenzare la concentrazione di Imatinib sono:
1. fattori anatomici e fisiologici: la maggior parte dei pazienti che assume Glivec è stata
sottoposta a chirurgia sull’ apparato gastroenterico e pertanto l’assorbimento di Imatinib può
essere alterato di base;
2. l’assunzione di farmaci concomitanti o l’insorgenza di meccanismi di resistenza che portano
ad un aumento dell’eliminazione intracellulare del farmaco oppure ad una induzione di
enzimi che possono aumentare l’eliminazione di Imatinib o diminuirne l’assorbimento;
3. la compliance del paziente: cioè quanto i pazienti si attengono alla posologia di trattamento
indicata dal medico oncologo. Questo problema sembrerebbe essere tutt‘altro che
trascurabile. In uno studio condotto su pazienti con Leucemia Mieloide Cronica in
remissione completa senza, quindi, alcun segno di malattia visibile, è stato evidenziato che
una buona percentuale di pazienti, soprattutto dopo molti anni di trattamento, smettevano di
assumere la terapia, senza riferirlo al loro oncologo, perché sostenevano che l’unico
momento in cui ricordavano di essere malati era proprio nel momento in cui assumevano il
trattamento.
Pertanto, se il dosaggio di Imatinib, in una situazione in cui non ci sono particolari
problematiche, potrebbe avere un significato piuttosto relativo e non avere una ricaduta pratica
successiva, esistono probabilmente condizioni in cui il monitoraggio di Imatinib potrebbe
costituire un arma in più per fronteggiare alcuni problemi.
Le condizioni in cui potrebbe essere giustificato il dosaggio di Imatinib sono:
1. mancata risposta o progressione di malattia;
2. tossicità severa o inaspettata: durante il trattamento con Imatinib alcuni effetti collaterali
sono contemplati. Talvolta possono verificarsi effetti collaterali che esulano dalla routine
clinica e che spesso richiedono riduzione di dose o sospensione temporanea del trattamento.
La disponibilità di livelli di farmaco da monitorare nel tempo potrebbe fornire parametri più
oggettivi al fine di programmare eventuali riduzioni o interruzioni di terapia.
3. interazione tra farmaci: qualora si rendessero necessarie terapie che possono in qualche
modo interferire con il metabolismo di Imatinib, un monitoraggio puntuale della
concentrazione potrebbe, in qualche modo, aiutarci ad avere le armi farmacologiche in più
da utilizzare in diverse situazioni, senza dover rinunciare alla terapia con Imatinib.
Da un punto di vista pratico, il centro che attualmente dosa Imatinib in Europa, in
collaborazione con Novartis, si trova in Francia, a Bordeaux. Il risultato del dosaggio viene
inviato direttamente al medico oncologo che ne faccia richiesta.
Dal 2010 sarà probabilmente attivo anche in Europa il programma “GIST Alliance”, supportato
da Novartis, che prevede, previa una richiesta dell’oncologo curante, il dosaggio dei livelli
plasmatici dei pazienti.
In Istituto sta per essere attivato un progetto, in collaborazione con la Rete Nazionale Tumori
Rari, in cui si prevede, previa richiesta dell’oncologo dell’ Istituto o dell’oncologo della Rete, il
dosaggio di Imatinib, sotto la supervisione del dr. Morelli. La richiesta di dosaggio dovrà essere
accompagnata da una breve storia clinica del paziente e i risultati ottenuti saranno inviati
all’oncologo richiedente. Il dosaggio potrà eventualmente essere ripetuto. Non è prevista
comunque una variazione dell’atteggiamento terapeutico a priori.
Diamo di seguito una sintesi di alcuni argomenti dibattuti tra i pazienti ed i relatori a fine
presentazione, nello spazio riservato alle domande.
Nel rispondere ad alcune domande formulate dai pazienti presenti in sala la dott.ssa Coco ha
precisato che la richiesta di esecuzione del test deve essere fatta da un oncologo dell’INT o da un
oncologo della Rete Tumori Rari. Non si tratta di richiesta formulata mediante impegnativa del SSN
o con ricetta bianca del medico curante, ma di una “ segnalazione” da parte di un membro della
Rete Tumori Rari, in base alla quale il paziente verrà inserito in uno studio osservazionale.
Anche un paziente in cura presso altra istituzione può accedere a questo protocollo di studio, su
richiesta, però, di un oncologo dell’INT o della Rete Tumori Rari.
Il dott. Paolo Casali ha evidenziato, inoltre, che lo scopo dello studio è quello di generare dati. Lo
studio, infatti, è uno studio osservazionale e non prevede modifiche della condotta terapeutica,
anche se queste possono essere effettuate dall’oncologo che ha in cura il paziente ed,
eventualmente, essere registrate.
In futuro, a fronte dei risultati degli studi clinici in corso e in base ai risultati dei dati dei test della
concentrazione di Imatinib nel plasma, potrebbe essere modificato anche il comportamento
terapeutico. L’ideale sarebbe avere uno studio prospettico in cui vengano confrontate diverse
condotte terapeutiche. In situazioni di progressione di malattia, di tossicità eccessiva o inattesa
bisogna tener conto dei livelli plasmatici. Si sa che nella metà dei casi di progressione durante il
trattamento con Glivec sono in gioco delle mutazioni secondarie, ma si sa, anche, che ci sono alcuni
casi in cui è in gioco un’alterazione farmacogenetica, che potrebbe spiegare una riduzione dei livelli
di Imatinib, quantificabile con il dosaggio plasmatico; inoltre, potrebbe essere utile monitorare il
livello plasmatico di Imatinib nel caso in cui un paziente dovesse assumere un farmaco con una
forte interazione con Glivec, in modo da poter somministrare quel farmaco con più tranquillità.
Un intervento dalla sala ha sottolineato che le associazioni dei pazienti GIST, come già denunciato
a Baveno nel giugno 2008 in occasione del 6° incontro internazionale di tutte le associazioni dei
pazienti affetti da GIST e LMC, sono preoccupate dal fatto che alcuni pazienti possano andare
incontro a progressione di malattia per insufficienza di Imatinib nel loro plasma. A Baveno le
associazioni avevano chiesto alla comunità medica internazionale di attivarsi per studiare la
concentrazione di Imatinib nel plasma dei pazienti affetti da GIST, per capire se è utile monitorare
il livello plasmatico senza aspettare che il paziente abbia progressione di malattia e, al contempo,
dare la giusta dose di farmaco prima che il paziente sviluppi progressione, se questi ha un livello
basso di Imatinib.
Nel rispondere il dott. Casali ha detto che ci sono nel mondo dei gruppi di pazienti che sono
decisamente orientati a cambiare il dosaggio in relazione al livello plasmatico, al momento, però,
secondo lui è più utile generare dei dati; in parte già ci sono dei dati retrospettivi, ma sarebbe utile
averne di più ed in questa direzione va lo studio dei ricercatori dell’INT che cercheranno di
registrare tutti i dati per ricavare delle informazioni, imparando così dall’esperienza. Del resto –
dice Casali - nel caso di un paziente che sta rispondendo bene alla terapia, con una evidenza
radiologica di risposta, anche se si trovassero dei livelli bassi di Imatinib, perché cambiare la dose?
E’ pur vero che c’è il fenomeno della resistenza secondaria e non è detto che un paziente risponderà
sempre così bene alla terapia, però è anche vero che se un paziente sta rispondendo bene con
evidenza radiologica, si è di fronte ad un effetto clinico accertato, per cui pragmaticamente sembra
più utile in questo studio osservazionale inserire tre tipologie di pazienti:
- quelli con progressione di malattia,
- con tossicità inattese,
- con problemi di interazione tra farmaci,
generando così dati che potrebbero andare a beneficio anche degli altri pazienti.
La correlazione tra genotipo e livello di dose è un altro aspetto interessante da esaminare; ci sono
alcune tipologie di pazienti più sensibili a livello di dose in relazione al genotipo, ci si riferisce
all’esone 9 e Wild Type. Questa potrebbe essere la quarta tipologia di pazienti nei quali monitorare
i livelli plasmatici di Imatinib.
Il Dott. A. Gronchi aggiunge che non c’è alcuna evidenza che livelli diversi di terapia che
funzionino abbiano una qualità diversa nel controllare più a lungo il trattamento; quindi, se pur si
hanno dei livelli bassi, ma la terapia funziona, nessuno può sostenere che aumentando la dose si
produrrà una maggiore risposta oppure una maggiore durata della risposta. Il comportamento
clinico di modificare il trattamento in funzione dell’andamento della malattia, senza bisogno di
guardare il livello plasmatico, non danneggia il paziente; il sapere prima che il livello sta
scendendo, a fronte di un controllo di malattia, non serve a modificare le condizioni.
Viene ancora chiesto dalla sala se, poiché è provato che i malati di LMC devono mantenere un certo
livello di concentrazione di imatinib nel plasma per averne efficacia, la stessa cosa non possa valere
per i pazienti affetti da GIST, in mancanza di studi clinici mirati.
Nella risposta viene ribadito dal dott. Casali che l’ideale sarebbe fare uno studio clinico, che però
potrebbe essere di difficile accettabilità anche da parte della comunità dei pazienti. Al momento è
importante iniziare a dosare Imatinib al fine di generare informazioni per fare poi delle ipotesi; se si
devono dare delle priorità, è ragionevole darle a quel sottogruppo di pazienti (le tre tipologie di
pazienti di cui si è parlato prima) che certamente possono trarre un beneficio maggiore. Ci vorranno
almeno 1 o 2 anni per avere dei dati, come richiesto dalla implementazione del progetto.
“Se una cosa può essere utile, perché non farla per cercare di migliorare le cose?” Partendo da
questo presupposto, su cui tutti concordano, il dott. M. D’Incalci osserva che come spesso succede
in farmacologia clinica, non si ha un’idea precisa del livello che bisogna raggiungere per avere un
effetto, perché la complessità dei problemi biologici fa si che per alcuni pazienti sia sufficiente un
livello molto basso, per altri un livello più alto. Può darsi che a seconda delle alterazioni genetiche
che si stanno determinando si possa stabilire che in un determinato caso, come per esempio per
l’esone 9, si debba raggiungere un certo livello plasmatico. Invece di dose allora si potrebbe parlare
di livello plasmatico che è molto più preciso. Bisogna mettere a punto delle ricerche per arrivare a
determinare la soglia per ogni tipo di alterazione genetica.
Il problema vero è come studiare ciò – dice Casali – aggiungendo che dal punto di vista del
paziente resta comunque importante la valutazione della risposta tumorale; è dunque consigliabile
privilegiare questa, sulla quale si è sicuri, piuttosto che dosare i livelli plasmatici, senza sapere bene
poi cosa fare con l’informazione. La valutazione continuativa della risposta tumorale durante il
trattamento con Glivec è la cosa oggi fondamentale; sarà problema dei clinici correlare una risposta
tumorale, valutata al meglio, con i livelli plasmatici, cercando di capire le relazioni di causa-effetto,
al di fuori di uno studio ideale.
Viene anche chiesto se il test dei livelli di Imatinib nel plasma può dare indicazioni, oltre che per
determinare un aumento della dose di glivec, (in caso di evidenza di basso livello plasmatico e di
progressione di malattia) anche per ridurre, eventualmente, la dose di farmaco (per esempio da
600mg a 400 mg), nel caso in cui il livello fosse sufficientemente alto, oltre la soglia dei 1100
ng/ml, per evitare effetti collaterali indesiderati, pur continuando a mantenere l’efficacia del
trattamento. Il dott. Casali intravede un pericolo nel principio teorico di abbassare una dose
terapeutica (per esempio 400 mg, come la maggior parte dei pazienti assume) quando si ha una
risposta tumorale che indica che il trattamento sta funzionando, in presenza di un livello plasmatico
di un certo tipo, in mancanza di dati certi e suffragati da studi specifici.
L’atteggiamento del dott. Casali nei confronti dei livelli plasmatici è di prudenza, a differenza di
quello dei pazienti americani o tedeschi che danno per scontate delle certezze che ancora non ci
sono. C’è difficoltà da parte del clinico a far capire come determinate decisioni terapeutiche
richiedano evidenza che, nel caso specifico, è difficile generare, perché ci sono una infinità di
variabili di cui tenere conto. Se però si identificano le tipologie di pazienti in cui il dosaggio può
essere più utile, si potranno registrare i dati e come le situazioni evolveranno, facendo qualcosa di
utile a quei sottogruppi di pazienti.
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