Numero Ottobre '06 EDITORIALE Benvenuti a tutti in questo nuovo numero del nostro inserto dedicato a quanto avviene in ambito “emergente, autoprodotto, esordiente, sotterraneo, di culto” in Italia. Come da abitudine oramai consolidata, ottobre è il mese in cui vengono annunciate le nomination per il premio “Fuori dal Mucchio”, che come ogni anno dal 1998 a questa parte verrà assegnato al migliore disco di esordio di un artista o gruppo italiano. A decretare il vincitore sarà una giuria composta dai membri del nostro staff (Fabio Massimo Arati, Alessandro Besselva Averame, Giuseppe Bottero, Gianni Della Cioppa, Loris Furlan, Federico Guglielmi, Damir Ivic, Francesca Ognibene, Aurelio Pasini, Gabriele Pescatore, Giorgio Sala, Hamilton Santià, Gianluca Veltri, John Vignola, Fabrizio Zampighi, Enzo Zappia) e da alcuni ospiti, ovvero Emiliano Colasanti (Losing Today), Fausto Murizzi (Rockit), Gianluca Polverari (Radio Città Aperta) ed Eliseno Sposato (Radio Libera Bisignano). Qui sotto l’elenco dei trenta “nominati”, scelti tra la moltitudine di album di debutto – quindi niente CD-R, demo o EP – pubblicati nel periodo compreso tra il settembre del 2005 e l’agosto di quest’anno. LELE BATTISTA – Le ombre (Mescal/Sony) BEAUCOUP FISH – Come l’acqua (Bagana/Edel) BLACK EYED SUSAN – And Silence Will Begin Soon (Mizar/Audioglobe) BLOWN PAPER BAGS – Arm Your Cameras (Suiteside/Goodfellas) BLUME – In tedesco vuol dire fiore (Pippola/Audioglobe) BY POPULAR DEMAND – You Are Nervous (Fosbury/Audioglobe) CACTUS – Cactus (Hate) ELETTRONOIR – Dal fronte dei colpevoli (autoprodotto) MARCO FABI – La scelta (Wing/Edel) FELDMANN – Watering Trees (Stoutmusic/Audioglobe) ETTORE GIURADEI & MALACOMPAGINE – Panciastorie (Mizar/Audioglobe) ALESSANDRO GRAZIAN – Caduto (Trovarobato/Macaco/Audioglobe) Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 GUIGNOL – Guignol (Lilium/Venus) HOT GOSSIP – Angles (Ghost/Audioglobe) LUBJAN – 1 [OneUno] (Faier/Venus) VALENTINA LUPI – Non voglio restare Cappuccetto Rosso (Altipiani/Edel) MASOKO – Bubu’7te (Snowdonia/Audioglobe) MORKOBOT – MoRkObOt (Lizard/Airbag/Audioglobe) MY DEAR KILLER – Clinical Shyness (Madcap Collective/Under My Bed/Eaten By Squirrels) MARCO NOTARI – Oltre lo specchio (Artes/Sony) POLVERE – Polvere (Wallace/Audioglobe) POST CONTEMPORARY CORPORATION – Gerarchia ordine disciplina (MDL/Misty Circles/Old Europa Café) NICOLA RATTI – Prontuario per giovani foglie (Megaplomb/Wide) SCARAMOUCHE – Scaramouche (EMI) ANGELICA SAUPREL SCUTTI – Pomeriggi similabissali (Point Of View/CNI) TELLARO – Setback On The Right Track (2nd Rec./Wide) TOTÒZINGARO CONTROMUNGO – La grande discesa (L’Amico Immaginario/Audioglobe) TUMA – Uncolored (Swing’n’Pop Around Rose) (L’Amico Immaginario/Audioglobe) TYING TIFFANY – Undercover (Jato Music/Wide) VIOLA –Don’t Be Shy (N3/Self) Il vincitore, che sarà annunciato nell’editoriale del mese prossimo e verrà premiato in occasione del decimo Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza (25 e 26 novembre), vedrà il suo nome iscritto in un albo d’oro che fino a questo momento comprende “Ogni città avrà il tuo nome” dei Santa Sangre, “Tempo di vento” di Lalli , “Sussidiario illustrato della giovinezza” dei Baustelle, “Rise And Fall Of Academic Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Drifting” dei Giardini di Mirò, “Capellirame” dei Valentina Dorme, “The Mistercervello LP” degli es, “Pai Nai” dei Methel & Lord e “Socialismo tascabile” degli Offlaga Disco Pax. In bocca al lupo a tutti quanti, e buon lavoro ai giurati; e, naturalmente, buona lettura e buoni ascolti. Federico Guglielmi – Aurelio Pasini Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Aa.Vv. Cadaveri a passeggio Cadaveri a passeggio Una provocazione, ma neanche troppo. Come dice la presentazione dell’iniziativa: per combattere una situazione musicale indipendente per troppi versi asfittica sette gruppi che da tempo ruotano intorno allo stesso studio di registrazione, il milanese Bips Studio, un tempo quartier generale della benemerita Vox Pop, hanno deciso di riunire le proprie forze. Questa compilation, disponibile al prezzo simbolico di un euro ai concerti del collettivo, raccoglie un brano per ogni formazione, e la linea che sembra accomunare le varie canzoni è un rock sonico con ambizioni d’autore, partendo dalle atmosfere noir degli Stardog, sporcate dal contributo di Amaury Cambuzat degli Ulan Bator in una convincente “Cadaveri”, arrivando a ZIDima, sulle orme dei Massimo Volume senza troppo seguirle (“Ocra”), La Stasi (“Il Morto Allegro”, credibile ballata post-Afterhours) e Vintage Violence, questi ultimi con una efficace “Quanto fa male pugnalarsi in gola”, buon intreccio di spigoli e melodie. Chiudono il programma i Jerrinez, mossi da impeto crossover (“Glamour”), gli assai meno ispirati Noise From Underground (“Cosa mi fa male”) e gli Hangover di “Nuova insonnia”, cupa, malmostosa e perfetta per la conclusione. Al di là delle inevitabili differenze qualitative tra i partecipanti, “Cadaveri a passeggio” va oltre la semplice contingenza illustrata dal sottotitolo (“Compilation indie-gnata”) e mette in fila un gruppo di musicisti sì determinati e indignati, ma con qualcosa da dire ( www.cadaveriapasseggio.com). Alessandro Besselva Averame Black Hole Land Of Mystery Andromeda Relix Un tempo lo chiamavano semplicemente “dark sound”, nessuna definizione specialistica di sottogenere (il termine doom-metal era ancora lungi dall’essere coniato). Succede sempre così quando si è un po’ pionieri, degli apripista come furono i veronesi Black Hole. Certo, la lezione dei primi Black Sabbath era assai nota, ma riconducendoci ai fervori proto-metal italiani dei primi anni ottanta, di rimbalzo alla fresca energia della “new wave of British heavy metal”, solo i seminali Death SS potevano vantare un suono analogamente criptico e oscuro. Il trio scaligero si distingueva peraltro dalla macabra teatralità del gruppo di Paul Chain e Steve Sylvester per le proprie trame composite e le tensioni sinistre, lunghe progressioni sincopate tra riff decelerati e cupe, sacrali atmosfere d’organo e Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 tastiere. Suoni non usuali in quegli anni di massoneria metal nazionale dai mezzi di registrazione più limitati, fissati tuttavia con buona resa nel disco “Land Of Mystery” datato 1985 e divenuto oggetto da collezionismo, che oltre vent’anni dopo trova meritevole ristampa su CD, con la consueta aggiunta di alcune bonus-track live. Un documento dunque imprescindibile nel rappresentare quella stagione italiana, a suo modo ricca di grandi slanci, apprezzabile freschezza e qualche imprescindibile ingenuità. “Demoniac City”, “Bells Of Death”, “Blind Men And Occult Forces”, “Spectral World”, “Obscurity In The Eternal House”, assieme al brano che dà il nome all’album, sono titoli emblematici, giustificati appieno dall’esteso ed elaborato sovrapporsi di riff notturni e densi afflati claustrofobici, con la voce riverberata da cerimoniere di Robert Measles a raccontare di incubi e occultismo, interprete di un’attitudine filosofico-esoterica che sapeva spingere il rituale rock dei Black Hole oltre al tratteggio più fumettistico di tanto metal a venire (www.andromedarelix.com). Loris Furlan Burnin’ Dolls Courage And Fear 2L Music Il batterista Camillo Collecuori e il chitarrista Alessandro Serravalle, accantonato momentaneamente il timone della loro band madre, ovvero i grandi Garden Wall, si sono concentrati intorno a questo progetto, che già da alcuni anni cercava uno sfogo discografico dopo aver incendiato tutta la sua carica in concerto. A far loro compagnia il fondamentale apporto del chitarrista Raffaello Indri (che “costringe” Alessandro ad esibirsi al basso) e l’ultimo arrivato, l’ottimo cantante Rudy Berginc. Lo stile che i quattro sciorinano è un thrash metal d’avanguardia, con passaggi strumentali imprevedibili, sfiorando il death metal; termine, questo, la cui traduzione letterale non deve confondere i non adepti, perché si tratta di un filone del metal estremamente complesso, fatto di perizia strumentale e di vedute compositive allargate: è infatti possibile trovare al suo interno elementi di jazz, funky, elettronica e molto altro. Ed è esattamente quello che ascoltiamo tra i solchi di questi otto brani, dispiegati in quarantacinque intensi minuti. Oltre a un suono sacrificale e torrido, per cogliere appieno lo spirito dell’album, è necessario sviscerare anche i testi, sempre sofferti, inquieti, frutto di un travaglio e di un reale disagio interiore, lontano dai tic masturbatori adolescenziali e maturi segnali di un futuro che appare torbido da ogni latitudine. Geograficamente posizionati nelle zone di Udine, i Burnin’ Dolls, così come i Garden Wall, raccolgono maggiori consensi in Austria, Germania e paesi dell’Est. Forse da quelle parti ci sono ascoltatori più maturi di noi? ( www.burnindolls.it) Gianni Della Cioppa Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Dufresne Atlantic V2/Edel Il relativo successo internazionale di band quali Atreyu e My Chemical Romance non poteva non avere “conseguenze” anche da queste parti. Una delle più interessanti è sicuramente vedere il marchio V2 su “Atlantic” dei veneti Dufresne. Un disco che, pur guardando inequivocabilmente verso i modelli già citati, a cui aggiungerei anche i romani Gaia Corporation, rappresenta un'interessante evoluzione del concetto di metal-core nostrano. Evoluzione innanzitutto per il cantato in italiano, molto convincente nell'interpretazione e un po' meno nelle liriche; e poi, più banalmente, per la musica. Una musica potente eppure molto articolata, con un gran lavoro in fase di arrangiamento e con una produzione, appannaggio perlopiù di Darian Rundall e David Lenci, molto attenta al dettaglio. E tra i dettagli spicca l'elettronica che emerge tra il muro di chitarre: non sempre incontra il mio gusto ma serve ottimamente a spezzare il ritmo e creare atmosfera. Molti i brani perfetti per un airplay alternativo, tra tutti “Root Is A Flower That Disdain Fame” e “Un fuoco dentro”, e una band che dimostra di avere, almeno in studio, un grande potenziale tecnico e musicale, soprattutto per una sezione ritmica assassina. La scommessa è lanciata, e non mi stupirei se tra cinque anni si parlerà dei Dufresne come del gruppo più rappresentativo di questa musica in Italia. Non ci resta che augurare loro buona fortuna, e consigliarvi l'ascolto di questo disco (www.dufresne.it ). Giorgio Sala East Cargo Travel Of Mind Hapax Legomenon Buone nuove dal Nord-Est. Niente prove d’indipendenza, né record per il guinness dell’iperproduzione, ma d’altra parte estremo Nord-Est significa anche, non trascurabilmente, crocevia di culture e tradizioni, che pare abbiano avuto buon influsso sul progetto East Cargo e sulla nuova label friulana Hapax Legomenon. Storie di confine dunque, con le registrazioni in quel di Trieste e la masterizzazione poco più in là, in Slovenia. Tuttavia c’è un titolo, “Travel Of Mind”, che già di suo lascia intendere un superamento della consueta ricetta musicale radicata nel territorio e nel suo folclore, preferendo senza indugi orizzonti sonori aperti a Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 contaminazioni modernamente universali. Allora non sorprenderà se “Ninna o’” in apertura, pur introdotta da un malioso violino, non sembra una dolce ninna nanna acustica, bensì l’inizio di un viaggio tra i Balcani e lo spazio, tra umori etnici, cenni di reggae lunare e aperture electro-space. Ecco la chiave di accesso per delineare le coordinate di questo pregevole debutto, che si sviluppa lungo il funky torrido e speziato di “Funk(k)astic”, gli arrembanti tempi dispari space progressive di “The Sorcerer” e “Back To Bucarest”, il danzante zigzagare gitano del violino accompagnato da una vorticosa fisarmonica de “La danza del Banato”, le incursioni tecno-metal di “Azako (Dark & Stormy Night)”, il dolce defluire astrale lounge-disco-dance di “44 Groove (Dancing On The Waves)”. Tante connotazioni stilistiche con un deciso e versatile comune denominatore etno-electro, una sensazione di modernità e tecnologia con un’anima che spira forte e leggiadra col vento dell’est (www.hapaxlegomenon.it). Loris Furlan Esa Tu sei bravo LaSerra/Carosello Adesso che c’è la grande ondata dell’hip hop italiano (non solo Mondo Marcio e Fabri Fibra; ora, visto che i due hanno funzionato, preparatevi a un’invasione di rapper italici con una major alle spalle, ché l’andamento a gregge dei discografici nostrani non si smentisce mai), ci farebbe piacere che un po’ di gloria e denaro andasse anche a chi ha portato avanti la fiamma nei momenti bui. Uno di questi è sicuramente Esa: dagli OTR alla successiva mutazione in Gente Guasta, Francesco Cellamaro è sempre stato uno dalla passione vera al 100 percento, anche e soprattutto quando le faccende hip hop sembravano dalle nostre parti la roba meno attraente dell’universo, sia nei circuiti mainstream che in quelli underground. Questo “Tu sei bravo” però ci spiazza. Un lavoro fatto di pregi e difetti, e trovi sia gli uni che gli altri lì dove non pensavi di trovarli. Ed è così che ci tocca dire che Esa come MC è in involuzione costante, non c’è quasi più traccia del felice ed articolato narratore dei tempi degli OTR ma al tempo stesso la linea attuale, quella più come dire “impressionista”, che si basa più sul suono delle parole e su certi ganci verbali, non va (molto migliore in questo campo è Medda di Microspasmi, tanto per fare un nome). Sorprendente invece Esa come produttore delle basi del disco: a parte alcune cadute di tono (“Trappole&regole”, inascoltabile, a dire il vero non solo nella parte strumentale), ci sono molte idee bizzarre, interessanti e comunque di valido impatto, così come c’è la rara capacità di gestire l’amalgama tra campionamenti e strumenti suonati (ottime “Throw Ya Hands Up” e “Ci son le ragazze”). Lavoro controverso e discontinuo, quindi. Ma interessante (www.funkprez.com). Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Damir Ivic Garretti Prima che si spenga la luce NoReason In un panorama mutevole com'è quello della musica indipendente italiana ecco due nuove realtà che, ci auguriamo, faranno molta strada. Stiamo parlando dei Garretti e della loro casa discografica, ovvero la NoReason Records. Alla label va il merito di aver pubblicato questo primo vero album, dopo un mini-CD, della band veneta; ai Garretti invece aver messo in "Prima che si spenga la luce" quanto di meglio si possa sentire da queste parti in tema di indie-rock. Forte la vena melodica, ed emozionale, che li accomuna ai toscani Seed’n’Feed e che troviamo ben espressa sia nell'artwork che in brani come "Senza identità", merito anche di una voce bella e carismatica come quella di Adriano e di testi che non si fermano a banalità e luoghi comuni: a tal proposito leggetevi “Il velo di Maya” per rendervene conto. Molto interessante anche il duetto con Pablo dei Moravagine su “La Realtà dei fatti”, anche se, vista la qualità media, ci si trova in difficoltà a scegliere un episodio più rappresentativo di altri. Buona è anche la registrazione, ad opera di Marino De Angelis ai Majestic Studio, e viene difficile muovere qualche critica; l'unica è che forse il gruppo avrebbe potuto osare di più in quanto ad arrangiamenti e costruzione dei brani, ma non dimentichiamo che pur sempre di esordio si tratta. Fossimo negli States se li contenderebbero le major, ma siccome siamo dall'altra parte dell'oceano possiamo solo augurarci che “Prima che si spenga la luce” non passi inosservato. Sarebbe un vero peccato (www.garretti.com). Giorgio Sala Irony Of Faith Irony Of Faith autoprodotto Gli Irony Of Faith sono una band di nuova generazione, in grado cioè di curare autonomamente non solo il normale processo compositivo, ma anche i successivi passi di registrazione, di grafica e di gestione degli spazi promozionali. Il loro mini CD di esordio è il frutto perfetto di un lavoro coordinato con cura e intelligenza, testimonianza lucida che in questo nuovo decennio (millennio?), per guadagnare spazio e visibilità nei reticolati dell’underground musicale, più che aspettare occorre Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 muoversi. Confezionato in un cartoncino, ma con tutte le informazioni e contatti necessari, questo debutto mostra una band sufficientemente originale, capace di veicolare accelerazioni metal con visioni cupe, sulla scia di certi Tool prima maniera, trascinata da una ritmica dall’incedere schizofrenico, con echi di funky, con una tastiera anomala, che rende il tutto originale. Solo quattro i brani (ma che senso avrebbe pubblicare un album intero, se lo scopo di questo mini CD è trovare un contratto?), ma sufficienti ad infondere la sensazione, oserei dire certezza, che gli Irony Of Faith abbiano buone carte da giocare, con quel loro girovagare tra rimandi di tutto e niente. L’apertura di “A Night Without” ha un refrain accattivante, con un passaggio tenebroso che si chiude con una tastiera sghignazzante che è un piacere. “Almost Morning” potrebbe essere una versione cibernetica dei Goblin, con un basso pulsante a trascinare il ritmo. Meno convincente “More Than Anyone”, tratteggiata da un cantato ancora insicuro, ma il riscatto arriva con la conclusiva “To Believe Is To Die”, sorta di connubio alieno tra funky ed elettronica. Di tanto in tanto affiora qualche incertezza, ma questa è una band da seguire con attenzione ( www.ironyoffaith.com). Gianni Della Cioppa Jennifer Gentle Sacramento Session/5 Of 3 A Silent Place/Audioglobe Non un album nuovo per i Jennifer Gentle – la cui seconda prova per la Sub Pop è prevista per il prossimo anno – ma una uscita parallela. Piccola, se vogliamo, così come lo è l’etichetta che la pubblica: la A Silent Place, sottomarchio della Small Voices. Oltretutto soltanto in vinile, e per di più colorato: in breve, un oggetto per collezionisti e appassionati veri. E, del resto, neppure i suoi contenuti sono per tutti i palati. Entrambe le due lunghe composizioni strumentali che vi trovano posto sono infatti frutto dell’improvvisazione, anche se le diverse modalità di realizzazione hanno portato a risultati parecchio dissimili tra loro. A occupare l’intero lato A c’è “Sacramento Session”, ovvero oltre venti minuti registrati dal vivo per la stazione radio californiana KDVS e caratterizzati da un lungo ed evocativo crescendo in cui i vuoti vengono lentamente riempiti da un drumming via via più impetuoso e da una chitarra prima liquida e poi abrasiva, fino all’inevitabile rallentamento finale in cui emerge anche il lavoro delle tastiere in sottofondo. Una psichedelia d’atmosfera e molto anni ’70 che contrasta in maniera decisa con i contenuti della facciata B: “5 Of 3” vede infatti protagonista il solo Marco Fasolo che, per l’occasione, ha lasciato la chitarra e il microfono in favore di un inquietante e minaccioso tappeto di effetti e rumori vari. Due lati della stessa (vinilica) medaglia, insomma, per due delle tante sfaccettature – quelle più sperimentali, verrebbe da dire – di una band multiforme e multicolore, Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 per molti versi unica (www.jennifergentle.it). Aurelio Pasini Kokoro Mayikibo Kokoro Mayikibo Mila Records L’attitudine schietta e minimale dei Kokoro Mayikibo appare assai chiara sin dalla copertina che hanno scelto per il loro CD d’esordio: a parte il nome, i titoli delle canzoni e i crediti di rito vi compare solo il profilo di una spina elettrica. I più attenti noteranno la presenza dell’elettrodo centrale per la messa a terra: trent’anni fa cablaggi di questo tipo non erano affatto comuni. Il particolare tradisce allora la giovane età dei quattro musicisti milanesi, che invece si ispirano a certa new wave contorta e sofisticata assai in voga alla fine dei ’70. Aggregatisi nella primavera del 2000 dalle ceneri di altri gruppi amatoriali attivi nell’area meneghina (tuttora il cantante Andrea Reali è anche membro degli sperimentali I/O), i Kokoro Mayikibo hanno perfezionato un sound sporco e selvaggio, che parimenti ricalca gli incalzanti ritmi deviati del funk bianco, allucinate distorsioni di matrice noise e assalti elettrici tipicamente punk. La loro aggressività è concentrata in nove fulminanti episodi, tutti con testi in inglese, che non raggiungono neppure un minutaggio complessivo di mezz’ora. È evidente allora che il quartetto punti più alla sostanza che non alla forma; forse ancor più di quanto Pere Ubu, Devo e Talking Heads non facessero ai tempi loro. Co-prodotto dalla band stessa e dalla Mila Records, l’album è distribuito con licenza Creative Commons, il che significa niente diritti d’autore e libera condivisione dei contenuti; pertanto può anche essere scaricato integralmente dal sito http://www.misskokoro.com/. Fabio Massimo Arati Laghetto Pocapocalisse Donnabavosa/Shove/Smartz/Horrorvacui Teathre Dopo l’esordio di due anni fa, “Sonate in Bu minore per 400 scimmiette”, arriva più consapevole e attualizzato “Pocapocalisse”, secondo disco per i Laghetto gruppo, post-hardcore di Bologna. Un album che prende spunto dagli ultimi traumi emotivi Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 provati, a differenza del primo che raccoglieva canzoni sparse in diversi anni di rodaggio. Qui invece i nostri tre amici hanno trovato loro stessi, perché “Pocapocalisse” arriva dritto come una pistolettata in fronte. Sbalzi d’umore: un poco di post e un poco di hardcore che sfilano impavidi di fronte alla piattezza della linearità. Testi ironici e intelligenti – “Ora accarezza il fondo / Inspira questo vuoto / Avverti la nota stonare” – aumentano la loro efficacia, la cui portata è poi possibile approfondire ulteriormente, visto che nel libretto del CD ne arricchiscono le sfumature con spiegazioni ulteriori. In “Per un estinzione umana ecosostenibile” si toccano note tranquille per farle crescere poi più ossute e rock, e quando arrivano le parole esplode tutto e si arriva a convincersi che bisogna autocannibalizzarsi per – parafrasandoli – “chi si sfinisce ogni giorno in pasto a se stesso”. Il fiore all’occhiello del gruppo è diventato da qualche tempo tale Tuono Pettinato, quarto elemento e insieme guest star dei Laghetto, che con una chitarrina giocattolo e un parruccone enorme li accompagna sempre in tour, diventandone praticamente il leader simbolico grazie alle proprie doti di “musa” e alla presenza esplosiva, in un live dove il pogo diventa divertente (www.donnabavosa.com). Francesca Ognibene Mersenne Stolen Dresses Urtovox/Audioglobe I bolognesi Mersenne sono attivi da quattro anni e lungo la consueta strada fatta di concorsi, demo ed EP hanno costruito una loro credibile versione dell’indie rock d’oltreoceano: citano tra i numi tutelari Pixies, Weezer e Death Cab For Cutie, e in effetti molta di quella attitudine si riversa su queste canzoni vivaci, ricche di cambi di tempo e sfumature, che svelano subito la loro energia in un incipit di sicuro impatto come “Clerks”. Già dal titolo un omaggio all’omonimo film e, implicitamente, a tutta una generazione che ci si è riconosciuta. Ma il tentativo di ammiccare a un target ben preciso, quello dei trentenni cresciuti a cinema e musica indipendente, che potrebbe portare ad un eccessivo autocompiacimento, non va mai a discapito della sostanza: canzoni come “There’s A Place”, tutta accordi discendenti, malinconia e rabbia trattenuta, oppure l’apocrifo di marca Strokes di “I Can’t Stop”, molto più divertente di quanto non possa apparire dalle parole di chi scrive, i coretti contagiosi di “A New Brand”, e ancora le pigre divagazioni bucoliche della svagata “Changing My Plans” svelano un talento che, se non si è ancora dispiegato del tutto, già lascia sprazzi convincenti. Forse è un talento ancora un po’ troppo vincolato ai modelli di riferimento, ma il disco è fresco, scritto e suonato con cura. Per fare il definitivo salto verso l’eccellenza c’è ancora tempo, e lo spazio per la rincorsa, in ogni caso, non manca (www.mersenne.it). Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Alessandro Besselva Averame Misero Spettacolo Tutto è un’opinione Zeta Promotion/Venus Nati per descrivere la parabola di una generazione, squallidamente, i Misero spettacolo fanno mostra di sé in maniera tutt’altro che povera e sconsolata. È un songwriting di buona fattura, quello del leader e compositore Giuseppe Tranquillino Minerva, anche se risente di una vena espressiva ingenua, a tratti adolescenziale. Ma è un piacevole ascolto. Ingegnosamente (o cervelloticamente) il quartetto suggerisce nelle note di copertina una scaletta che segua un “ordine concettuale” (aiuto!) in alternativa all’ordine con cui i brani sono messi in fila. All’ascoltatore l’ardua scelta. Stravaganze a parte, restano tredici canzoni, frizzanti e vitali, alla ricerca dell’“odore dello stupore”. “La più bella cosa che sia capitata” è una ballatona acustica di contagioso utopismo, “Dentro di noi” un rock alla Ligabue sul mondo interiore dei segreti, tema ripreso anche in “Confessione”, in cui la melodia principale viene osteggiata egregiamente da una chitarra sofferente. Il tango & roll di “R…esistere” è dedicato alla quotidiana prodezza del galleggiare, con ironia sorridente, mentre il terzinato bohémienne e giacobino di “Sur le sky di Parigi” è anche il singolo estratto dal disco, insieme a “Il fuoco di Paride”, una sorta di elogio dell’eroe troiano (“io come Paride tra potere e intelligenza/ preferisco Afrodite che mi offre amore”). Dei due brani sono presenti nel CD anche le tracce video (www.miserospettacolo.it). Gianluca Veltri Nuccini! Matters Of Love And Death 2nd Rec./Wide Ci sono dischi che sulla carta sono belli e affascinanti; nei fatti, un po’ annoiano. Ci spiace dirlo, ma questa è la definizione migliore con cui accompagnare questo “Matters Of Love And Death”. Corrado Nuccini, qui in momentanea libera uscita dai Giardini di Mirò, con le migliori intenzioni si è avventurato in un territorio troppo vasto e probabilmente troppo distante. Tutti gli elementi sono disposti e scelti in modo apparentemente ricco e appropriato: c’è la fascinazione per l’hip hop (ma come per chiunque provenga dal mondo dell’indie rock, si va poi a finire nei territori Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 posticci della Anticon), c’è la volontà di combinare campionamenti e strumenti suonati, c’è la volontà di nobilitare certe languidezze indie arricchendole di arrangiamenti ricchi. Ambizioso progetto, non salvato dalla bella calligrafia. Nel senso che gli arrangiamenti sono ricchi, sì, gli strumenti suonano tutti col giusto timbro, i rapper si danno da fare più che possono, ok. Ma succede che l’affidarsi ad una struttura hip hop per i pezzi è un modo (involontario?) per nascondere la mancanza di particolari idee melodiche; succede che i rapper sembrano interessanti, ma sono petulanti; succede che le atmosfere sono malinconiche e curate, ma non coinvolgono davvero a livello emotivo. Si cerca di prendere tutto (l’essenzialità dell’hip hop, il fascino languido dell’indie rock, l’ambizione di fare un disco che vada al di là degli stilemi indie rock), ci si ferma invece a qualche metro dall’obiettivo (perché l’hip hop usato in maniera spuria perde qua di impatto e si fa maniera, mentre il fascino languido e l’ambizione di arricchirlo di profondità si elidono a vicenda, quasi come fosse una reazione chimica dove due ingredienti buoni si trasformano in uno leggermente insapore). Non è un cattivo lavoro: semplicemente, è al di sotto delle sue ambizioni (www.nuccinimusic.com). Damir Ivic Radiolondra Radiolondra Sana In tutto e per tutto classica la proposta dei Radiolondra da Foggia. Strutturalmente, visto che l’ambito prescelto è quello della forma-canzone tradizionale, e all’apparenza anche musicalmente, muovendosi la band lungo le strade di un rock elettroacustico non troppo aggressivo e dalla forte componente melodica. Registrate alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani, le canzoni di questo esordio omonimo mettono in mostra una buona personalità, specie quando i tempi rallentano e si fanno notare meglio gli intrecci tra gli strumenti. Pur non mancando i momenti grintosi e rockeggianti, infatti, è quando prevalgono le mezzetinte che il sestetto dà il meglio. Nell’iniziale “Pioggia sarà”, per esempio, oppure ne “Il silenzio e la virtù”, ghost-track dal gradevole retrogusto jazzato con ospite Rocco Tanica, e soprattutto in “Quello che non pago più”, probabilmente l’episodio più maturo e personale dell’intera scaletta. Meno bene vanno le cose quando emerge un po’ troppo evidente l’influenza dei Subsonica (“L’io egemone”) ma, trattandosi di un debutto, è inevitabile che talvolta affiorino riferimenti espliciti e ben identificabili. Insomma, pur con qualche ingenuità il disco mette in mostra spunti interessanti. Più che a sorprendere l’ascoltatore – pur non mancando occasionali contaminazioni elettroniche ed etniche – i Radiolondra puntano a conquistare l’ascoltatore con la solidità delle composizioni e degli arrangiamenti. E, nei momenti migliori, ci riescono discretamente bene (www.radiolondramusic.com). Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Aurelio Pasini Reflue A Collective Dream Shyrec Psichedelico e leggero al tempo stesso, etereo quanto strutturalmente elaborato, “A Collective Dream” è il secondo episodio a marca Reflue, band che qualche anno fa aveva positivamente impressionato gli addetti ai lavori con l'esordio “Slo-mo” e che nel 2005 si è guadagnata una partecipazione all'Heineken Jammin' Festival prima e a Frequenze Disturbate poi. Un ritorno atteso che non delude, dall'alto dei suoi dodici sussurri sospesi tra pop evanescente, licenze jazz, elettronica dai modi cortesi e chitarre elettriche al guinzaglio. Morbidezze di un celeste svagato, che trovano una ragion d'essere nei toni acustici e negli inseguimenti vocali di “Brilliant Beauty”, si attorcigliano alle progressioni di basso e gli arpeggi dilatati di “Evil Twin”, dichiarano le proprie infatuazioni in “(She's) Singing The Blues” e “Zimmer” - Yo La Tengo e Yuppie Flu, ma la lista potrebbe allungarsi a dismisura -, si perdono nei fiati e nelle atmosfere oniriche della title-track e di “Black Comedy”. Il tutto col fine di “formare un quadro melodico e stimolante” - come dichiarato anche dalle note stampa - in cui ricercatezza e orecchiabilità, estetica pop e tendenza alla stratificazione vadano di pari passo. Al piatto già ricco delle riflessioni sottratteci da disco in questione vorremmo aggiungerne soltanto un’ultima, in forma di giudizio numerico e, se volete, piuttosto sommario: un nove al titolo e allo svolgimento del tema e un sette e mezzo alle conclusioni finali, a patto che si intenda per conclusioni la capacità dell’opera di catturare l’ascoltatore e di mantenerne viva, nel tempo, l’attenzione (www.reflue.it). Fabrizio Zampighi Rodolfo Montuoro A_Vision Auditorium Bel tipo, Montuoro. Fosse ancora tra noi, forse Nick Drake farebbe canzoni così. Con la facondia degli archi, le chitarre, ma suggestionate da una modernità che ronza attorno come un tarlo, che si fa strada in un universo dall’umanità scheggiata. Con quella voce da Zenobi – sarà quella erre arrotolata – Montuoro mette in fila undici favole su “ex-ragazze semplici, avvocatucci e bambole”, lontano da aperitivi e Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 vezzeggiativi. Un album governato dalla luna, “A_Vision”. Al quale la presenza di Massimo Giuntini (anche nella veste di produttore artistico), coi suoi whistles e le sue uilleann pipes, dà un sapore decisamente irish, ma per niente canonico e rassicurante. È il lato verde-scuro dell’Irlanda. Un album al quale non giovano le incursioni (per fortuna rare, come “Le città del Polo Nord”, bello il titolo però) nei movimentati ritmi swing, che rischiano di sfocare un impianto complessivo onirico e seducente. Un utilizzo inquieto, funzionalissimo delle possibilità tecnologiche e gli apporti melodici della tromba e del sax arricchiscono il lavoro, che ha molte carte da giocare. Con le sue canzoni piene di suspence e sovrapposizioni. Con liriche impressioniste e raffinate, Montuoro dà corpo alla moltitudine di un attimo, a un suono elettrodruido a tratti davvero sorprendente. Il sole si è spento e cieli si allontanano, tra conchiglie abbandonate, pioggia esausta di nuvole, respiri, trappole, brividi. Vivamente da scoprire (www.auditoriumedizioni.it). Gianluca Veltri Spiritual Front Armageddon Gigolò Trisol A cinque anni di distanza da quel "Nihilist Cocktail For Calypso Inferno" che delineò eloquentemente lo stile e le tematiche di un ambizioso progetto artistico, gli Spiritual Front pubblicano il loro terzo album in studio, forti di un'esperienza e di una maturità espressiva acquisita sui palchi e negli studi di registrazione di mezza Europa. Nell'ultimo lustro, infatti, la formazione romana si è data parecchio da fare, licenziando numerosi EP e intavolando proficue collaborazioni con gruppi esteri di culto quali Ordo Rosarius Equilibrio e Naevus. Per molti versi, "Armageddon Gigolò" si dimostra il capitolo più brillante nella discografia di Simone Salvatori e compagni. L’elegante musicalità delle loro canzoni, impreziosita da sobri arrangiamenti d’archi e da gustosi riverberi elettrici, tradisce influenze assai più vaste di quelle cui sovente s’ispirano i gruppi del giro post industriale. Oscuri e dannati come solo Nick Cave sa esserlo, schietti e genuini come sarebbe stato Johnny Cash, epici e malinconici come i migliori Calexico, gli Spiritual Front peccano forse di scarsa personalità, di esasperato assoggettamento a canoni stilistici altrui. Pur tuttavia la loro musica è intrigante e coinvolgente come al giorno d’oggi è raro riscontrare. Lo dimostrano anche gli unanimi riscontri che la band sta ottenendo anche (e soprattutto) al di fuori dei patri confini, che certo non possono essere attribuiti esclusivamente alla scelta perentoria di cantare in inglese o al supporto promozionale del produttore tedesco (www.spiritualfront.com). Fabio Massimo Arati Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Ten Thousand Bees Polar Days Knifeville Iniziativa degna della patria del Great Complotto: un’etichetta che produce solo gruppi di Maniago, in provincia di Pordenone, e che ricorre ai contributi di un Comune che ha la lungimiranza di appoggiare l’idea. Idea che si rivela ottima, almeno a giudicare la qualità di questa nuova uscita a nome Knifeville (questo il nome della piccola label, evidente omaggio alle coltellerie che hanno fatto conoscere Maniago al mondo): in appena sei brani, meno di mezz’ora, i Ten Thousand Bees si districano tra carezze (una “Dead Of Night” moderatamente indietronica, che sarebbe piaciuta ai Lali Puna e che cresce ad ogni ascolto) e robuste iniezioni di energia (“June”, basso pulsante e chitarre spigolose, canzone che sarebbe assai credibile anche al di fuori dei confini), manifestando una personalità di spicco. Completano il promettente quadro ballate eleganti tenute in sospeso dai fili di un vibrafono (“Water Circles”, dove l’intreccio di voci, maschile e femminile, funziona alla grande), un intrigante medley dal retrogusto folk (“Sun King/Sandrine”), e un finale che dal free form di “Spoon-Bending Party”, tutta detriti elettronici e coloriture ambient, scivola nell’impressionante fantasia ritmica alla Can di “Sette”. Sono esordienti, hanno una notevole padronanza dei propri mezzi e l’unico rischio in cui si possono imbattere è il non sapere quale strada scegliere. Ma noi preferiamo interpretare “Polar Days” come l’assaggio di un eclettismo destinato a portare ottimi frutti (www.knifeville.it). Alessandro Besselva Averame The Manges The Manges Go Down Wynona-Ammonia/Edel Si fa presto a liquidare i Manges come “figli italiani dei Ramones”; peccato però che negli oltre dieci anni di carriera il combo spezzino sia riuscito a creare un proprio sound, che parte sempre da “Rockaway Beach” ma è capace di andare anche molto lontano dalle spiagge newyorkesi. Come spiegare altrimenti questo “The Manges Go Down”? Un disco uscito dopo ben quattro anni dal precedente e che, tra citazioni cinematografiche – “My Rifle” – e i racconti di vita vissuta “In The Van”, mostra come i Manges siano tra i migliori gruppi in Italia, e in Europa, a portare avanti il punk rock nel 2006. Anche i testi sono migliorati, e basta ascoltare l'iniziale “Secret Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Agent In East Berlin” per accorgersene; se poi ai brani originali si aggiungono anche la solita manciata di cover, “Emergency” di Dee Dee Ramone come omaggio ai propri eroi, “Revenge Of The Nerds” per il titolo e “When Heroes Go Down” di Suzanne Vega perché è uno splendido pezzo, allora diventa difficile trovare dei punti deboli a questi quattordici brani. E anche se ci sarà sempre qualcuno pronto a rimarcare il pregiudizio di cui si accennava all'inizio, da queste parti non si riesce comunque a togliere il CD dal lettore, e non si può che consigliarvi di fare altrettanto (www.manges.it). Giorgio Sala The Shipwreck Bag Show The Shipwreck Bag Show Wallace/Audioglobe Su queste pagine abbiamo più volte avuto occasione di parlare del collana “Mail Series” prodotta dalla Wallace e delle innumerevoli avventure intraprese da Xabier Iriondo - artefice all’occorrenza di gruppi estemporanei dai nomi più improbabili nell’ambito di quest’anomalo piano discografico. Senza dunque soffermarci sugli aspetti formali e sostanziali comuni a tutte le produzioni del progetto, andiamo allora ad esaminarne il capitolo più recente, che vede protagonisti - con la ragione sociale di The Shipwreck Bag Show - il già citato chitarrista milanese e il batterista Roberto Bertacchini. Come si evince dal titolo e dal bel galeone che affonda raffigurato in copertina, il tema è quello del naufragio; ma, a differenza di quanto accaduto per il Titanic, la storia qui è tutt’altro che melensa e romanzata: bisogna trovare un modo per scappare e infilare tutti gli effetti personali in una borsa, dopodiché non rimane che sognare di trovarsi su suolo asciutto. Tensione, ansia, e malinconia convivono nei tre movimenti strumentali orchestrati dal duo con il solo impiego di batteria, chitarre e campionamenti. Ovviamente l’approccio rumorista e sperimentale non permette una fruizione disimpegnata del CD, i cui pregi debbono essere colti nelle inusuali soluzioni armoniche che rifiniscono la matrice portante di un intricato complesso percussivo (www.wallacerecords.com). Fabio Massimo Arati Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Unicamista Unicamista Lilium/Venus Un esordio, quello dei milanesi Unicamista, le cui radici risalgono al 1999, quando si è formato il primo nucleo della formazione. In questi sette anni la band ha avuto modo di stabilizzare la propria – numerosa: ne fanno parte nove elementi – formazione, forgiare il proprio suono e arricchirlo di sfumature e contaminazioni. E il risultato sono tredici brani torridi e multiculturali, nel linguaggio – con testi che alternano e affiancano italiano, spagnolo, inglese e altri idiomi ancora – e nelle sonorità, all’insegna di uno ska-reggae magari canonico nelle strutture ma ricco di spunti di rilievo. Se infatti talvolta, specie nella prima parte del CD, il gruppo sembra adagiarsi un po’ troppo sui codificatissimi stilemi del genere, con lo scorrere delle tracce emerge una voglia prorompente non soltanto di sfruttare tutte le potenzialità della battuta in levare, ma anche di mescolare le carte in tavola aggiungendovi elementi rock, orientaleggianti, latino-americani ed elettronici. In tutto questo, è davvero notevole il lavoro fatto dagli Unicamista in fase di produzione, vista la grande cura messa negli arrangiamenti, curati fin nel più piccolo dettaglio ma, allo stesso tempo, trascinanti come si conviene all’ambito musicale in questione, con menzione particolare per “Guerriglia cultivar” e “Teponaztle”. Il tutto a supporto di liriche impegnate ma non eccessivamente enfatiche, pur con qualche inevitabile – ma non troppo fastidiosa – caduta nel retorico. Magari i rocker di stretta osservanza non apprezzeranno, ma gli amanti delle sonorità più solari e festaiole non dovrebbero astenersi dal prendere contatto (www.unicamista.org). Aurelio Pasini X-Mary A tavola con il principe LMC Secondo album vero e proprio dei lodigiani X-Mary, dopo una lunga storia sotterranea a base di CD-R e cassette, “A tavola con il principe” racchiude oltre venti canzoni in poco più di mezz’ora: piccoli quadretti di assurdo quotidiano che si manifestano attraverso un eclettismo lo-fi che tocca di volta in volta punk, funk, folk, bossa e cantautorato sbilenco. Lasciate da parti le definizioni, una raccolta di momenti divertenti e trovate geniali, lettere da un mondo parallelo dove Stephen Malkmus e Freak Antoni convivono alla grande (“Ospedale Maggiore”), gli Os Mutantes inneggiano a Giambattista Vico dalle pagine di un libro delle superiori (“Giambattista Vico”) e dove i Ramones ricevono in regalo uno splendido omaggio, appropriatamente idiota e in perfetto stile “gabba gabba hey”, “Tamara Punk Rock” Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 (“Ha il giubbotto dei Ramones / e indossa le espadrillas / lei è Tamara / e non capisce un cazzo”). E ci sono pure ipotesi inquietanti di rock parrocchiale (“Papa Voitila”), improbabili vicende di cambio di sesso (“Cristiano Cristiana”), parate medievali trasfigurate in metafore deliranti sull’Unione Europea (“Donnez-moi une cigarette”). Una follia organizzata ma non troppo, fissata su supporto da un divertito – immaginiamo – Fabio Magistrali, senza forzature e aggiustamenti in corso. Difficile dire se faranno proseliti, gli X-Mary, quel che è certo è che ci siamo innamorati del loro cabaret anarchico fin dalla prima nota (www.xmary.net). Alessandro Besselva Averame Zauber Draghi e vampiri Eedc/BTF Guidati tenacemente da Massimo Cavagliato, i torinesi Zauber sono tra i rari gruppi sopravvissuti dell’ondata pop progressivo degli anni settanta. Sicuramente gli unici o quasi, esclusi i soliti giganti (Orme, PFM, BMS, New Trolls), che non hanno avuto bisogno di un posticcia reunion per farsi rivedere attivi, anche se qualche naturale anno di silenzio l’hanno passato anche loro. Considerando che l’omonimo esordio risale al 1978, sono quasi tre decenni che gli Zauber portano avanti la loro naturale propensione alla melodia, con un suono che sa essere leggiadro ma anche incisivo. Nonostante una formazione ballerina, più volta scomposta e ricomposta quasi come un gioco a incastro, gli Zauber vantano una decina di lavori, comprese alcune fondamentali collaborazioni teatrali e benefiche. E dispiace che una storia così lunga ed appassionante non sia supportata da un sito Internet, quasi a testimoniare che l’energia dei protagonisti è concentrata solo sulla musica. Questo nuovo lavoro, a cui collaborano numerosi ospiti, è un bel puzzle, che incastona sette brani originali – tra cui le ottime “Draghi e vampiri”, “Scoop” con il suo testo così attuale, “Nemesi” e “Sogni” – con tre riletture indovinate: “Can Anybody Hear Me?” dei Gravy Train, “75.000 anni fa” del Banco e “Il vento” di Lucio Battisti, con tanto di richiamo iniziale ai Black Sabbath. Buona la voce di Leo Fiore e fondamentale l’apporto, anche in fase compositiva, del tastierista Oscar Giordanino. Musicalmente per nostalgici, ma funziona (www.btf.it). Gianni Della Cioppa Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Ettore Giuradei & Malacompagine Ettore Giuradei, sembra essere arrivato da dietro l’angolo con la sua chitarra e il suo sapore jazz per raccontarci storie di emozioni vissuti sulla propria pelle. Storie di un poeta che convive ogni giorno con la sua sensibilità, l’insicurezza, gli occhi della maledetta razionalità. Il suo esordio, “Panciastorie”, esce per la neonata Mizar (con distribuzione Audioglobe), fondata da Davide Danesi e dallo stesso Ettore. Cominci bene intitolando il tuo CD “Panciastorie”. Ci racconti cosa si prova ad essere Ettore Giuradei narratore appunto di “panciastorie”? Come descriveresti insomma il tuo approccio comunicativo? “Panciastorie” è fondamentalmente il tentativo di creare una mia canzone d’autore: spontanea, ingenua, violenta e insieme romantica, giocando con parole e musica mentre dal vivo con il corpo. L’obbiettivo della mia ricerca è riuscire ad individuare e unire l’essenziale massimo dei vari aspetti della mia personalità, spesso con un’unica parola, con un movimento, con uno sguardo, su un unico accordo, buttando tutto quello che è superfluo insistendo sulla vera urgenza, sulla continua ricerca della massima coscienza dell’impulso, unica primordiale vera “microverità”, veramente pura, potente e sorprendente. Tutti aspetti che se espressi al massimo della loro potenzialità non possono che creare una “bomba comunicativa”, risultato difficile da ottenere soprattutto per quanto riguarda il significato. Con “Panciastorie” abbiamo provato a lavorare sugli opposti. Prendi, per esempio, una canzone come “Porterò con me”: suonata solo con la chitarra continuava a darmi fastidio, perché arrivava solo una sensazione di malinconica dolcezza, fin troppo sdolcinata che non rappresentava il vero sentimento ispiratore della canzone, se dici certe cose così, prendendoti tranquillamente sul serio, non sei assolutamente vero. Mancava il nervoso, il pensiero che non ti fa dormire, e allora dentro con distorsioni fastidiose, basso che implora, batteria pestata e piano a creare “cerchi ansiosi”. Non mi interessa far conoscere il mio dolore, il mio piacere, la mia tristezza ma creare una situazione o un sentimento che non riconducano per forza a me ma che rimangano lì sospesi e per tutti. Qual'è stata la tua prima vera canzone? La tua iniziazione alla musica... Penso di non avere una prima vera canzone. Forse, nella sua banalità ed ingenuità la prima, ma la cosa che mi ha iniziato, indipendentemente da quello che scrivevo e cantavo, era il piacere che provavo nel comporre canzoni. Hai iniziato subito cantando i tuoi testi o avevi semplicemente iniziato a scrivere? Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Ho iniziato subito cantando i miei testi perché, fondamentalmente, canticchiavo canzoni di De Gregori, Guccini, eccetera… e mi piaceva l’idea di cantare qualcosa di mio, per lo meno provarci, così, per gioco. Com' è nato questo disco? Il percorso seguito o le difficoltà eventuali. Questo disco è lo specchio di un aspetto del suo titolo che è la pancia, l’urgenza. Da parecchio tempo cercavo musicisti adatti al progetto “Panciastorie” e nell’ottobre del 2004 ho provato con il chitarrista Gabriele Zamboni e mio fratello Marco alla batteria e pianoforte ad arrangiare qualche pezzo. Il rumorismo distorto della chitarra di Gabri abbinato alla batteria nevrotica e adolescenziale di mio fratello, davano alle canzoni dinamiche assolutamente violente, quasi fastidiose: l’embrione del nostro sound. Poco dopo, si è unito Gigi col suo basso gustosamente ipnotico e a fine primavera si è aggiunto anche Marco A. alla batteria, in modo da lasciare a Marco G. la possibilità di entrare col suo piano in tutti i pezzi. Dopo meno di un anno eravamo in studio a registrare. In seguito con Davide Danesi abbiamo anche risolto il problema della promozione del CD fondando l’etichetta Mizar Records. Ci racconti come hai conosciuto Davide per fondare la Mizar, ma in seguito per produrre anche altri gruppi? Partiamo dal fatto che Davide è un artista, sognatore e anche poeta e in più lui sa tutto, ma proprio tutto. Lui è amico di Gabri, il “mio” chitarrista e ha iniziato a seguirci quando ancora eravamo in tre. Ma è stato a Gargnano nella primavera del 2005, che abbiamo scambiato le prime chiacchiere su musica, arte, stelle e sogni. Lui faceva il programmatore e così gli ho chiesto se mi dava una mano ad impostare il sito del gruppo; lui ha accettato ed abbiamo iniziato a frequentarci. Più ci frequentavamo e più capivo che sapeva tutto. E allora gli ho chiesto un parere sul come promuovere il disco. Abbiamo avuto diverse idee tra cui quella di fondare un’etichetta che sarebbe dovuta diventare una sorta di collettivo artistico, un punto d’appoggio burocratico-promozionale per tutti quegli artisti spinti da una grande e rabbiosa voglia di emergere. Dopo tanti e diversi incontri abbiamo capito che in circolazione non ci sono poi così tanti artisti spinti da una grande e rabbiosa voglia di emergere e allora abbiamo pensato di avviare l’etichetta come una normale etichetta indipendente con sempre una porta aperta all’artista spinto e portando avanti una politica di appoggio e di sostegno, per quanto c’è possibile totale, nei confronti dei gruppi che abbiamo deciso di produrre. Tu reciti da tempo, ma ora che hai fatto questo disco sembri aver deciso di metterti a nudo e non inventare un altro, ma raccontare te stesso per la Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 profondità di questi testi. Come mai questa scelta? Ti devo confessare che non sono un attore classico ma un attore comico (Chaplin, Keaton…), gioco sull’ingenuità, sullo stupore, sulla pazzia, sul silenzio, sullo sguardo. E, i personaggi che creo sono la faccia estrema di un aspetto della mia personalità. In modo diverso racconto me stesso sia in uno spettacolo che in una canzone. Diciamo che l’approccio alla canzone è spesso più intimo, nasce da un bisogno irrefrenabile di vedere scritto un pensiero impazzito che non si vuol far decifrare. Però il piacere è lì, chiuso in un attimo, dopo aggiusti, correggi, provi. Invece una cosa particolare è il concerto, in cui, in una forma un po’ strana canzone e teatro si mescolano. Che cosa ascolti quando sei felice? E quando sei disperato? Quando sono felice ascolto un po’ di tutto. Quando sono disperato canticchio una canzone, che non so di chi sia, che fa così: ” Era / che così / tra la pioggia e Nick Cave / mi veniva di invitarvi / a un banchetto / di vino e carne / di violenza e silenzi...”. Invece una canzone che canto sia quando sono felice che quando sono disperato è “Hotel Supramonte”. Contatti: www.ettoregiuradei.it Francesca Ognibene Angelica Sauprel Scutti Leggi la sua biografia - una successione senza tirare il fiato di confidenze - e che quindi biografia non è, e ti rendi conto, ancora prima di aver ascoltato la sua musica, che Angelica Sauprel Scutti; anni spesi a cercare idee e a suonare, fino al suo splendido debutto “Pomeriggi similabissali” (Point Of View/CNI); può essere tutto, tranne banale. Primo ascolto del CD: curiosità. Dal secondo, la certezza di non trovarmi davanti all’ennesima rappresentante della generazione X. “Pomeriggi similabissali” emana un fascino che non conoscevo. Inquietudine e velluto. Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Malinconia e dolcezza. Insomma un modo diverso per farti i complimenti. Adesso però, la domanda retorica. Raccontaci come sei arrivata a questo esordio. Ti sono riconoscente per le tue impressioni, davvero. Rispondendo alla domanda, pensavo di essere stata abbastanza chiara nel rigettare la biografia come biglietto da visita, la didascalia necessaria ad illustrare le scelte di qualcuno. Soprattutto se quei fatti non possono venire confrontati con le reazioni che ne hai ricavato, nel mio caso di generale disagio. Le aspirazioni sono in un altro lato del cranio, sicuramente in un luogo senza cornice. Retorica che circola a palate ogni volta che parli di musica con chiunque, siano musicisti stessi o appassionati. Una scalinata per Wanda Osiris, una parata di pietose bugie. Nelle mie intenzioni è un accesso all’astratto ed all’immateriale, a suggestioni molto intense ed uniche. È critica feroce verso i vezzi e la decadenza del mondo, è bozzetto caricaturale dei suoi generi musicali e compassione verso le anime sofferenti degli uomini, me inclusa. Non mi interessa un bel niente di essere fraintesa, perché il concetto di musica è per me equivalente a quello di libertà di parola, come solo so concepirla. La musica è l’unica mia libertà inalienabile. Ho come l’impressione che tu sia alla ricerca dell’indipendenza artistica. Quasi a dire che hai una tua personalità e pretendi che non venga confusa con esempi e rimandi inopportuni. Ognuno tenta la propria eversione. Prendendo la domanda da un altro fronte, penso che reagire ai paragoni, spesso accostati in buona fede, sia da paranoici ed altrettanto lo sia continuare ad utilizzare delle categorie dove incasellare la creazione degli altri sfuggendo accuratamente l’impasse di renderne l’idea con il proprio mestiere. Poi c’è un’altra questione che mi infastidisce, ed è quella di avere, come massima prospettiva futura, l’incredibile soddisfazione di riuscire a guadagnarmi, un giorno, il nome di donna speciale come un uomo normale, potendomi esibire fiera nei miei nuovi “attributi”. Nessuno che parli di noi come esseri umani, mentre la prima categoria che si pensa indispensabile ed innocua utilizzare è quella che distingue tra uomini e donne. Questa è, tra tutte, quella che percepisco come più restrittiva. Si accosti pure quello che scriviamo all’opera di altri musicisti, ma si valuti bene se è necessario affermare, su tutto, la nostra femminilità. Avrei obiezioni in proposito. C’è un preciso momento dove ritieni che una tua canzone sia finita o è un processo che vive nell’attimo? E cosa ne pensi di una delle mode di questi tempi, ovvero i remix. Saresti disposta a farti rimodellare le tue canzoni da qualcun altro? Mi è molto caro il processo di sovrapposizione e di destrutturalizzazione della musica attraverso la componente digitale. Sono molto aperta in proposito e ritengo Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 che il patrimonio creativo sia da far circolare anche nella fucina di altri alchimisti.. Il mio processo è lineare e si basa in massimo grado sull’ispirazione e sulla meditazione, non intesa in senso religioso, bensì di espressione, di chiarificazione delle azioni già compiute. Sono convinta dell’importanza della messa a fuoco mentale delle reali motivazioni, dell’urgenza espressiva di un’opera. Nel caso di “Pomeriggi similabissali”, queste mie considerazioni su ciò che era stata la mia vita fino a quel giorno hanno trovato fulminea voce in soli due pomeriggi. È bastato prendere in braccio la chitarra ed accendere il registratore. È stato uno dei momenti più intensi della mia vita. Trovo i testi delle tue canzoni – volutamente confusi nel booklet – originali come parole e metrica. In un certo senso paiono figli dell’inquietudine di oggi, sia personale che universale. Hai anche altri obiettivi in futuro? Ho sempre creduto che la poesia rincorra l'intelligenza solo all'inizio, poi la fugga per il resto della vita. Considero le parole che utilizzo un mezzo e mai un fine. Come dicevo, credo in una libertà d’espressione che non vuole avere scopi, come il gioco e come l’amore. Comunico al tempo stesso per due essenze diverse dell'uomo, il suo istinto e la sua ragione, facendone emergere le contraddizioni con un uso sfumato, poco riconoscibile del sarcasmo. Se voglio mettere in luce un particolare che ritengo deprecabile non ti dico: questo è brutto, utilizzando molti aggettivi qualificativi, bensì lo calo allo stesso piano in cui potresti incontrarlo intorno a te in un contesto quotidiano. Le tue reazioni nasceranno come già ti sono affini e difficilmente riterrai che ciò sia stato volontario da parte mia. Per questo i miei testi spesso non sono compresi. Questo è il fulcro della mia ricerca musicale. La verità è che amo la vulnerabilità dell’uomo e delle cose in mutazione. Il passaggio da una forma ad un'altra e gli stati intermedi. Il massimo della mia attenzione è rivolto a creare paesaggi mentali privi di punti di riferimento, predisporre le cose al vostro ingresso affinché, una volta iniziato il viaggio, vi ritroviate soli in un mondo non programmato per godere con sorpresa delle visioni che ho preparato per voi. Non esistono idee troppo pazze per l’arte! Dove ti ritroveremo nella breve e media distanza? Ho abbastanza problemi, al momento, a restare sulle mie posizioni. Il fronte è mutato molto in fretta e ingoio le mie gavette di ghiaccio. Senza scherzi, mentre già mi immaginavo impegnata nei primi live con le canzoni del disco, sono stata colpita alle gambe dalla sclerosi multipla ed ho difficoltà a fare cose come reggere il palco, trasportare strumenti, mimare “Jump!”. Suonare dal vivo, è uno sforzo che al momento non posso permettermi, credo farò carte false per entrare in studio il prima possibile per registrare il nuovo disco, che è già tutto nella mia testa. Parallelamente inciderò il cuore delle altre canzoni che ho scritto fino ad oggi partendo dalle tracce Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 di voce. Sarà un attività che mi prenderà del tempo, tutto il tempo necessario. Del resto non mi importa granché. Quando scrivo o suono, “I’m in the kitchen with the tombstone blues”. Contatti: www.pointofviewrecords.com Gianni Della Cioppa Hogwash Quarta fatica per i bergamaschi Hogwash, punto d’arrivo di un progressivo avvicinamento alla scrittura pop senza perdere il gusto per il vintage e per l’attitudine psichedelica: “Half Untruths” (Urtovox/Audioglobe) assesta gli spunti di “AtomBombProofHeart”, bilanciando riferimenti al passato e una vena essenziale, con la produzione dell’amico Alberto Ferrari (Verdena) a supervisionare il tutto. Ne parliamo con Roberto ed Enrico, rispettivamente batterista e chitarrista. Su “Half Untruths” salta subito all'occhio la presenza di Alberto Ferrari dei Verdena nel ruolo di produttore. In realtà vi conoscete da sempre e i Verdena hanno già preso parte a “Tailoring”, il vostro secondo album. Perché avete scelto di affidargli un disco che vi vede sempre più distanti dal loro mondo sonoro? Roberto: Ci sono diverse ragioni che ci hanno spinto ad affidare tutti gli aspetti tecnici di registrazione e produzione ad Alberto, prima tra tutte la grande soddisfazione di essere in uno studio dotato di strumentazione analogica, cosa sempre più rara. In secondo luogo, l’amicizia di lunga data. Infine ci interessava vedere come sarebbe riuscito ad interpretare le nostre sonorità. Mi ha molto colpito la costanza e la profonda attenzione che ci ha messo, senza mai cedere all’impazienza nonostante i lunghi tempi di gestazione. Enrico: Nei dischi precedenti mi sono sempre occupato io delle registrazioni, e dopo aver prodotto tre dischi come Hogwash e uno come Colt38 è stato più che naturale voler provare altre strade. Inizialmente ero piuttosto diffidente, perché ho sempre avuto il controllo su tutto e quindi volevo capire quanto Alberto fosse in grado di interpretare il nostro sound, poi gradualmente ho sciolto le mie riserve e mi sono limitato a dare qualche indicazione. Abbiamo sound distanti ma forse è meglio Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 così, mi piace il “bel suono” ma odio gli esercizi di stile. “Half Untruths”, se si parte dai vostri esordi sonici e quasi stoner, è il punto più lontano che avete raggiunto: l'anima pop viene fuori con ancora maggiore forza rispetto al lavoro precedente. Una scelta in qualche modo legata ad un periodo particolarmente sereno, privo di pressioni, le sfumature della maturità che subentrano ai chiaroscuri degli esordi? R.: Sicuramente questo disco è frutto e segnale di cambiamento. Sono cambiate le dinamiche personali in cui ci muoviamo. E’ cambiato addirittura il modo di suonare, per quel che mi riguarda. E’ diventato molto più importante comporre i pezzi evitando qualsiasi forzatura. Ogni pezzo è frutto di lunghe gestazioni compositive, ma tutto questo nostro grande sforzo non deve apparire all’ascolto. Alcune canzoni hanno cambiato stesura, arrangiamento e atmosfera più volte, prima di raggiungere la forma finale. Tra le poche cose certe della vita, una è il cambiamento. Riuscire a inserire questo concetto nei nostri dischi mi da grande soddisfazione. E.: Sono trascorsi tre anni molto densi di avvenimenti strettamente legati alla sfera personale, è inevitabile che si riflettano nella nostra musica. Il tempo stesso che ci dedichi può cambiare il modo di comporre, io ad esempio mi sono trovato spessissimo a comporre di notte, sfiorando la chitarra accompagnato da una bottiglia di vino. Non so se per questo si possa definire un disco notturno, anzi, dopo “AtomBombProofHeart” in qualche canzone abbiamo risfoderato la voglia di fare un po' casino. È comunque evidente la presenza di chiaroscuri, canzoni come “Goodbye Letters” e “Holes In My Maps” hanno atmosfere molto diverse fra loro e riflettono situazioni umorali contrastanti. Stiamo parlando di un disco che non nasconde le proprie ambizioni pop, legandosi però ad un certo immaginario, ad un periodo ben preciso (gli anni 70) e ad una scena ben precisa (un certo rock americano impegnato a rileggere la propria tradizione). Una sintonia che però non sfocia mai nella maniera. Tuttavia mi chiedo se durante la scrittura dei brani non vi siate rimessi a riscoprire alcuni dischi e artisti in particolare. Nel caso di una risposta affermativa, quali? R.: Non amo elencare quali e quanti gruppi musicali mi piacciono o mi hanno influenzato. Essendo tutti e quattro grandi ascoltatori di musica di tutti i generi, è chiaro che le influenze sono numerose. Sicuramente il nostro amore per alcuni ascolti si manifesta in modo evidente alle orecchie più esperte, ma non ci sono citazioni espressamente volute nel disco. E.: Nei miei ascolti ci sono presenze costanti tipo Red House Painters o Mojave 3 Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 che, come hai detto tu, rileggono certa musica tradizionale, e c'è stata una riscoperta, che però non credo abbia influito tantissimo, di cose tipo Allman Brothers, Neil Young, Crooked Fingers. Gli anni 70 sono da sempre una mia grande passione, in particolare il prog e gruppi tipo Yes, Van der Graaf Generator, King Crimson, Caravan e Gentle Giant hanno sempre suscitato un forte fascino su di me. Purtroppo non sono un virtuoso della chitarra quindi mi devo arrabattare suonando la musica più sfigata, vale a dire l'indierock. Inoltre, in gran segreto, mi sparo a palla Dillinger Escape Plan, Coalesce, i vecchi Agnostic Front, Fred Buscaglione e Slayer. Pur allontanandovi dal suono degli esordi, avete sempre mantenuto un rapporto costante con la psichedelia. Al di là dell'immaginario facilmente accostabile al termine, questa attitudine è presente anche in “Half Untruths”, siete d'accordo? R.: Psichedelia significa “psyche-delein”, ovvero “mostrare l’anima”, e in questo senso, ancora oggi, la nostra musica è di per sé psichedelica, forse ancora di più di un tempo. Teniamo molto a lasciare affacciare le nostre emozioni quando suoniamo. Ci piace anche far percepire un mood diverso in ogni canzone. Credo che ogni pezzo musicale possa essere definito psichedelico quando mette a nudo le emozioni dell’artista. E.: Si è facilmente portati ad accostare la psichedelia a lunghe jam farcite di delay e fuzz, capelli lunghi, e tutto l'immaginario fatto di disegni optical e donnine discinte. Da tempo ci siamo rotti le palle di suonare canzoni lunghe, preferiamo complicarci la vita con linee di chitarra intricate e ricerca di dinamiche all'interno delle canzoni. Del resto anche i Grateful Dead non è che facessero musica particolarmente lineare, quindi accostare, dalla giusta angolazione, questo disco alla psichedelia mi sembra tutto sommato corretto. Contatti: www.hogwash.it Alesssandro Besselva Averame Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Iver & the drIver “Samples And Oranges” (Ghost/Audioglobe), il debutto degli Iver & the drIver, è un ottimo catalizzatore di emozioni folk-pop e intimismi della laptop generation. Ne parliamo con i due artefici del progetto, Paolo Marini e Giustino Di Gregorio. Gente che non ama stare con le mani in mano. Cominciamo con le presentazioni. Chi e cos'è Iver & the drIver? Il progetto nasce nell’estate 2003. Entrambi siamo stati attivi negli anni ‘90 per poi entrare in una fase di apparente inattività, nel senso che non pubblicavamo roba nuova anche se andavamo accumulando e registrando idee. Ci siamo incontrati casualmente ad un concerto e, tra una chiacchiera e l'altra, abbiamo scoperto che da due mezze svogliatezze poteva uscire fuori qualcosa di interessante. Io avevo diverse canzoni per voce e chitarra registrate in cameretta. Riascoltandole con Giustino capimmo che da questo materiale si poteva partire per creare un progetto che unisse elettronica e sonorità acustiche senza per forza di cose copiare roba tipo i Notwist o, in seguito, i Postal Service. Dopo continue sedute notturne abbiamo iniziato a ingranare e, lentamente, le canzoni iniziarono a prendere forma e con esse la denominazione Iver & the drIver. Intanto cercavamo un'espressione che contenesse due elementi da accostare. Partendo dal presupposto che “Iver” è un termine che ricorda Allen Iverson e “drIver” il Robert De Niro di “Taxi Driver”, l'idea di base è comunque quella di figurare la commistione di parti inorganiche, come potrebbero essere i driver di un software, e parti organiche (Iver è un nome proprio di persona). Come siete approdati alla Ghost? Abbiamo realizzato e inviato un demo con quattro pezzi a diverse etichette in Italia e in Europa nella speranza di suscitare qualche interesse in persone che producevamo roba simile alla nostra. La prima a risponderci è stata la Ghost, che si è mostrata subito interessata e disponibile a collaborare. Dopo varie e-mail, telefonate e un fugace incontro a Varese in occasione di una “divertente” partita di basket, abbiamo concretizzato la collaborazione. Nell'estate del 2005, completati dieci pezzi, siamo “saliti al nord” per registrare l'album con i tecnici della Sauna, Marco Sessa e Andrea Cajelli. Ascoltando “Samples And Oranges” possono venire in mente svariate influenze musicali, dal folk inglese all'indietronica e all’indie rock. Da che punti siete partiti per comporre il disco? Sinceramente non abbiamo fatto troppi calcoli all'inizio. Non abbiamo deciso a tavolino il da farsi ma ci siamo messi a cercare una via, chitarra o mouse a portata di mano, utilizzando tutti i riferimenti musicali accumulati negli anni. La lista sarebbe difficile da condensare in poche righe. Comporre musica è in fondo un processo istintivo, e solo in una seconda fase ragionato. Poi ognuno ci vede quello che vuole, nelle canzoni, ma per noi si è trattato di cercare una formula melodica dando il giusto peso all'elettronica, senza relegarla a semplice accompagnamento come spesso accade. Nella composizione dei pezzi, ad esempio, non siamo mai partiti da Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 un brano voce e chitarra sul quale inserire dei suoni ma abbiamo sempre montato parti acustiche e parti elettroniche nel tentativo di trovare in maniera semplice e diretta il giusto equilibrio. Poi c'è una volontà di riaggiornare concetti musicali legati al passato facendo percepire l'utilizzo di sonorità legate al presente. E dove volete arrivare? La ricerca continua è un discorso di maturazione. Con l'evoluzione del progetto ci siamo resi conto che era possibile staccarsi sempre più dal concetto “tedesco” di elettronica e trovare una via “mediterranea” a quella musica che oggi si definisce folktronica, senza passare obbligatoriamente dal “mandolino”. Basta prendere “Words On A Med Balloon” per capire che un pezzo del genere è comunque composto in Italia pur avendo tanti suoni elettronici che lo esterofilizzano. Giustino, nel tuo curriculum c'è anche un disco uscito per la Tzadik di John Zorn. Com'è nata la collaborazione? Come lavora la Tzadik? Mi contattò John Zorn dopo aver ascoltato un pezzo del mio primo lavoro autoprodotto uscito nel 1995. A quel punto diedi forma a del nuovo materiale per permettere all'etichetta di ristampare quella composizione aggiungendo altri lavori. Dopo tre anni mandai il progetto a Zorn che lo fece uscire per la Tzadik nel 1999. A distanza di anni continuo a pensare che la cosa che mi ha fatto più piacere in questa vicenda è stata la completa libertà sui tempi di lavorazione lasciatami dall'etichetta che una volta deciso di produrre il mio disco ha semplicemente aspettato che terminassi a modo mio il lavoro. Paolo, tu invece hai suonato con gli Orange Indie Crowd. Che fine hanno fatto? Torneranno? Come mai hai deciso di rimetterti in gioco? Gli Orange Indie Crowd nacquero una decina d'anni fa e all'inizio c'era un'energia incredibile attorno a noi. Nel 1998 registrammo anche un disco per la Vurt, che due anni prima aveva prodotto una compilation allora molto originale con noi – che a quei tempi ci chiamavamo ancora Protein –, Yuppie Flu, Northpole e Lo-Fi Sucks!. Abbiamo smesso di suonare cinque anni fa con un concerto di spalla agli Aluminum Group ma mi vedo con i ragazzi tuttora e non si può escludere nulla in futuro. Fra l'altro abbiamo diverso materiale nuovo mai pubblicato. Che progetti avete per il futuro? A breve vorremmo riprendere a lavorare su del nuovo materiale per il secondo album di Iver & the drIver. Sia io che Giustino abbiamo ancora tanta materia sonora da plasmare e poi l'intenzione è quella di integrare sempre più un batterista e un altro chitarrista per evolvere ulteriormente il progetto. Come vi siete affacciati sulla scena italiana di questo 2006? Come vi sembra? Che impressione vi ha fatto? Paradossalmente si suona poco, si vendono pochissimi dischi ma gruppi indie italiani si vedono produrre album o espatriano all'estero con molta più facilità rispetto a dieci anni fa. Se devo fare un nome per me nuovo in questo 2006 direi gli Amari ma, al di là di un discorso di genere, sono convinto di un fatto. Sarà Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 un'ovvietà, ma finché ci sarà gente talentuosa che nascerà in un noioso posto di provincia, che sia di 5000 o 50000 abitanti, che si chiami Teramo o Varese, che abbia più pizzerie che librerie, la musica ne trarrà comunque beneficio. Contatti: www.ghostrecords.it Hamilton Santià Miss Violetta Beauregarde Un disco – il suo secondo – come “Odi profanum vulgus et arceo” appena uscito per la Temporary Residence (con distribuzione Wide), etichetta di un certo qual prestigio; la voglia e la capacità di costruirsi già da anni, piaccia o non piaccia, una identità originale, precisa e riconoscibile (tra l’altro autentica e non posticcia). Ce n’è abbastanza per dare spazio a una lunga e succosa intervista con Miss Violetta Beauregarde. Non spendiamo altre parole: cediamole direttamente a lei, che le usa a modo. Cominciamo con una sana domanda da nerd: cos’è cambiato nella tua strumentazione rispetto al primo disco, così come nel processo di mixaggio? Dubito che questo possa costituire oggetto di reale interesse per i lettori del Mucchio, li credo più inclini al farsi domande di livello indienazionalpopolari tipo ad esempio se io e Tying Tiffany siamo amiche o ci odiamo cagnescamente (mi dispiace deludervi: non ci odiamo cagnescamente) et similia; ma ti lascio requiescere nel confortevole filmino del “Sì, ai lettori del Mucchio gliene fotte qualcosa di tutto questo”. Nel primo disco e nel periodo esattamente successivo prevaleva la voglia di far macello costruendomi gaiamente aggeggi rustici e poco maneggevoli, giusto per il gusto di. Pian piano l’attitudine “che sia piccolo, maneggevole, leggero e che non si rompa di continuo perché nei tuoi aggeggi autocostruiti i fili son collegati di merda” ha lasciato spazio a un magnificente campionatore della Boss, SP 303, che contiene tutte le meraviglie del mondo, smanettabili in pochi centimetri di spazio con un numero inusitato di effetti: loopatore, sequencerino, e divertenti pad gommosi da schiacciare, che si illuminano pure! Chi se ne incula dei meccanici del suono che si trainano venti metri cubici di flightcase ripieni di scarti tecnologici assemblati alla cazzo per provocare lo stesso rumore che si potrebbe ottenere schiacciando UN solo bottone e ruotando di 15° verso destra UNA manopola del mio sampler. Ah già, il fascino del nerdeggiare con l’immondizia, tre fili e un saldatore… Io dico: provate a viaggiare in Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 treno e portarveli tutti in spalla, i vostri ammennicoli preistorici del cazzo, vedrete come magicamente correrete a sostituirli con apparecchi più acconci. Il fatto è che prima miravo unicamente a dare fastidio; ora miro a dare fastidio a certa gente, e a certi altri voglio regalare tappeto sonoro propedeutico allo svalvolo e al degrado. Fino a quando resterà in qualche modo sconvolgente che una donna sappia smanettare con strumenti elettronici in prima persona, invece di appoggiarsi a fidanzati e amanti? Abbastanza lapalissiano: rimarrà sconvolgente finché le donne non la smetteranno di appoggiarsi a produttori, fidanzati e amanti. Io non ho mai dato la colpa agli uomini del fatto che una donna che fa musica è vista con curiosità e scetticismo: è assolutamente colpa delle donne. E quindi nel momento in cui qualcuna di noi viene a proporsi musicalmente, viene vista come un alieno. Il mondo è maschilista! È difficile fare musica se sei donna! Stronzate. Una donna in quanto tale ha artisticamente un bagaglio di munizioni attitudinali da schiacciare un plotone di gruppi maschili come una cacata di gallina. Ma le femmine non sono inclini ad usarle e a far sì che ogni situazione volga a proprio favore, e sfruttare le varie potenzialità. Molto meglio lagnarsi che il sistema musicale è un inscatolamento fallocentrico, ma non fare nulla per contrastare, tentacolarmente e con metodo, questo status. Ovviamente pochissime lo fanno, sicché esse vengono scrutate con curiosità e vagonate di scetticismo. Che impressione hai avuto a lavorare con una etichetta americana? È davvero così un altro meraviglioso mondo, rispetto alle etichette di casa nostra? Ci sono differenze pratiche e/o di attitudine? Al boss della Temporary Residence, Jeremy Devine, dovrebbero erigere una statua lignea, e apporla al posto di quella della madonna che campeggia a Medjugorje. È un mondo meraviglioso perché non ho dovuto fare un cazzo a parte rompere i coglioni a Rico degli Uochi Toki perché secondo me l’equalizzazione della cassa era una merda e poi volevo che mi ponesse rilievo su quei sample fastidiosi mentre egli premeva per affossarmeli; poi, sbriciolare lo scroto a Baronciani e Toffolo perché la mucca della copertina aveva le corna troppo lunghe, e scroccargli da mangiare. Per il resto, hanno curato tutto quelli della Temporary Residence, stampa, distribuzione, pierraggio, pubblicità – anche qui in Italia. Jeremy è tranquillissimo, ha pazientemente sopportato le mie note e temute procrastinazioni, è un uomo di spirito e dalla grande ironia, preciso e puntiglioso ma non spaccacazzo, insomma uno che fa le cose seriamente e non un pippotto. Certo, uno può chiedersi “Se Jeremy conduce tutto cosi professionalmente, come è che ha fatto uscire ‘sto disco di Violetta?”. Cazzi suoi, direi. Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Disegna una mappa di persone che senti simili a te, o che comunque stimi particolarmente: ok, musicisti, ma se vuoi puoi anche andare a pescare in altri campi. ‘Sto gran cazzo, io non divido la mia Mappa Delle Persone Fighe con nessuno. Cosa c’è di vero in questo crescente entusiasmo che dichiari sul tuo blog (e confermato dal tuo account su MySpace) nei confronti della scena hip hop italiana? L’hip hop se preso a giuste dosi e frequentando le giuste persone è qualcosa di estremamente divertente, di ricolmo di gag, e nello spirito del quale mi ci riconosco per molti tratti. Purtroppo l’hip hop non lo puoi prendere a giuste dosi, perché tende a fagocitarti, come è giusto che sia, e non esistono persone giuste da frequentare, bensì una divertente massa di erotomani delinquenti in egotrip costante, che se affrontata in un determinato modo ti regala sorrisi, serate in cui ritorni a casa strascinandoti sui gomiti con gli occhi ribaltati e un filo di vomito da un angolo della bocca, e delle scintillanti perle di iperrealismo da vantartene coi nipoti nei lustri a venire (oddio dipende come vuoi tirarli su, ‘sti nipoti). L’hip hop ho cominciato ad ascoltarlo nel lontano 1993, quando vigeva la commistione alternative-metal-punk-rappusi, è scemato l’interesse a fine anni 90 ed è recentemente rinato con ascolti massivi di hip hop italico e non. È insidioso il rap, inizi a muovere la testa singalongando “baggy jeans bene calati sotto il culo / vivo per strada non pensando al futuro” dei CdB, e finisci a litigare in freestyle con il tuo coinquilino per stabilire i turni del cesso al mattino. Io stessa sto (con molta lentezza e circospezione) portando avanti un side project rappuso mio, in italiano ovviamente, che verrà curato da Lou Chano, producer del disco “I più corrotti” di Gel e Metal Carter del Truceklan e curatore delle prossime uscite del Truceklan stesso, nonché uomo della Tekno Mobile Squad nonché il migliore equalizzatore di casse in Italia, secondo la mia modesta opinione. Inoltre Lou Chano curerà pure la registrazione dei pezzi nuovi di Violetta e con ella e un altro ragazzo dello studio di registrazione si è messo su un ulteriore side project. Tanto per finire di parlare di progetti laterali, quest’autunno apparirò in un film che vedrà come altri personaggi gente di Club Dogo e Truceklan. Maggiori info in seguito sui vari blog e minchiate varie. In conclusione: chi va a vedere un live set di Miss Violetta Beauregarde, cosa si deve aspettare? Ultimamente, un sacco di svalvolati in MDMA e cartoni che fan bordello davanti al Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 palco, e molestano gli indie rocker delle file dietro. Cosa di cui sono soddisfattissima, era il risultato che volevo ottenere. È’ vero, non si comprano un cazzo di dischi perché si sono sucati tutti i soldi della serata in droga, ma del resto come biasimarli, farei anche io lo stesso. E’ più divertente performare di fronte a quaranta sfracellati che saltano e urlano “Ancora porcoddioooooooo biiiiiis vai giù di Rotterdam!” piuttosto che farlo di fronte a una massa di finocchi rincoglioniti che ti scrutano da dietro gli occhiali a braccia conserte, e il che giorno dopo annoteranno sul loro blog musicale della minchia che negli ultimi mesi sono ingrassata e che la mia musica è dozzinale. Contatti: www.violettasucks.com Damir Ivic Scaramouche Esordio del gruppo tosco-meridionale degli Scaramouche, con un disco omonimo (EMI) spumeggiante, sotto la supervisione del Litfiba Gian Luigi “Cabo” Cavallo. Ne abbiamo chiacchierato con il chitarrista della band Michele Mingrone. Com'è stata la gestazione di "Scaramouche"? Abbastanza serena, prima di registrare avevamo lavorato per molti mesi su suoni e scelte musicali, da soli e poi con Cabo e Carlo Barducci degli studi Parsifal di Firenze. L’unico dispiacere è stato dover rinunciare a un paio di pezzi pronti, che però non si incastravano bene con gli altri. Per mantenere la coerenza stilistica abbiamo inserito solamente dieci pezzi, come in un LP “all’antica”, anziché i dodici previsti. La vostra musica appare fortemente influenzata dall'etnica e dal folk, ma ha anche forti connotati rock (folk'n'roll, qualcuno la chiama). Come definiresti il vostro sound? Il termine folk’n’roll rende abbastanza bene l’idea, anche se, forse, mette l’accento in modo eccessivo sulla parola “folk”. In realtà le componenti base sono tre, nella stessa percentuale: folk, rock e musica d’autore italiana. In più, sono stati spruzzati in piccole dosi, a mo’ di spezie, altri ingredienti: swing, blues, musica balcanica, punk, jazz… Comunque, visto che ci siamo conosciuti suonando musica popolare del sud Italia e poi abbiamo aggiunto gli altri ingredienti, potrei definire gli Scaramouche un gruppo post-folk. Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Prima citavi “Cabo”, il Litfiba Gian Luigi Cavallo. Come avete lavorato insieme? L’incontro con Cabo è stata una bella esperienza, umanamente e musicalmente. È stato una preziosa fonte di consigli e di stimoli, insegnandoci un metodo di lavoro più professionale e concreto. Si è rivelato un ottimo compagno di bevute e cene insieme, il che non guasta mai, perché la componente enogastronomica è fondamentale per la band. Il fatto di incidere già per una major cosa ha rappresentato in termini di libertà espressiva o di compromessi? La EMI ci ha lasciato esprimere in piena libertà. In un paio di casi abbiamo deciso di accorciare un po’ i pezzi, per dar loro i tempi giusti per i passaggi radio, ma sono state decisioni prese con i produttori, non con la casa discografica. Un filo letterario unisce i brani dell'album: Dostoievskij, Tati, Molière, Collodi... Per quanto riguarda il “fil rouge” letterario (a cui aggiungerei Goldoni e Rostand), non è particolarmente cercato: alcune associazioni con libri (o film, nel caso di Tati e Totò) sono saltate fuori in modo spontaneo in fase di scrittura. Comunque, ammetto volentieri che il vizio della lettura è piuttosto frequente, nella band. Cosa rappresenta l'allegoria di Scaramouche, il vostro nome? Ci siamo resi conto che ogni canzone rappresentava un personaggio, creando una galleria di maschere da indossare per raccontarne la storia. Tra tutte abbiamo scelto quella di Scaramouche perché ci è piaciuto il “cambio d’immagine” che questo personaggio compie: lo spadaccino arrogante e vanaglorioso delle prime raffigurazioni abbandona la spada per una chitarra. Un buon messaggio, secondo noi. In più, è un italiano che ha fatto fortuna all’estero; il nome originale della maschera era Scaramuccia: diventò Scaramouche quando l’attore che lo interpretava, Tiberio Fiorilli, approdò a Parigi trovando gloria e celebrità. Ci è sembrato di buon augurio… Riproponete la Tarantella del Gargano. Michele Lombardi, vostro cantante e paroliere, è di origine meridionale. Le radici sudiste sono condivise da tutti? Da buona parte del gruppo: Pino (Fidanza, il batterista, NdI) è di origini siciliane; io, pur essendo nato e cresciuto a Firenze, vengo da una famiglia metà calabrese e metà jugoslava; Alfredo (D’Onofrio, NdI), il bassista, viene dalla provincia di Benevento. Solo Riccardo (Brizzi, NdI), il percussionista, è maremmano doc. La “Tarantella del Gargano” è un omaggio affettuoso alla musica con cui ci siamo conosciuti. Noto una forte affezione per una certa canzone swingante. Siete d'accordo? Sicuramente sì; tra i nostri ascolti ha un posto di rilievo lo swing ironico di Carosone, Buscaglione e Sergio Caputo. Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Quali autori considerate più vicini a voi? Abbiamo autori di riferimento molto diversi, c’è chi viene da esperienze di etnica, chi dal cantautorato, chi dal jazz, chi dal dark. Probabilmente il principale trait d’union tra tutti noi è l’amore per Tom Waits. Tra altre influenze cito in ordine sparso De André, Pogues, Nick Cave, Eugenio Bennato, il primo Ruggeri, Rino Gaetano, Paolo Conte, Matteo Salvatore, Swans, Trilok Gurtu. Il disco contiene brani sulla guerra poco trionfalistici, molto efficaci. Che idea avete del ruolo che l'artista può/deve avere in perenne tempo di guerra? È una guerra perenne che sembra creata per tenere le persone sotto una continua sensazione di paura. Negli ultimi anni ci hanno insegnato la paura del diverso, di attentati ed epidemie, drammatizzando oltre ogni limite i fatti reali. In questo senso, la canzone più “politica” è “Ho paura di tutto”, anche se “Il missile intelligente” e “Milena” sono più esplicitamente schierate in senso pacifista. Quello che può fare un musicista è mettere in luce le contraddizioni di questo stato di guerra permanente, i danni che crea al mondo, a volte portando distruzione, altre volte, subdolamente, convogliando la mente delle persone in un tunnel di diffidenza e timore dell’altro. Aver paura del tuo vicino di casa, o del passeggero seduto accanto a te sul treno, è l’anticamera delle faide. Contatti: www.scaramouche.it Gianluca Veltri Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Ottobre '06 Spazio Giovani 2006 Teatro Mediterraneo, Foggia, 1-3/9/06 Ormai lo diciamo da parecchi anni, ma ripetersi non fa mai male. “Spazio Giovani” è già da tempo uno dei concorsi per artisti emergenti più prestigiosi e meglio organizzati d’Italia. Per tanti motivi: il trattamento riservato ai gruppi, la bellezza del palcoscenico e della cornice, il livello tecnico eccellente di tecnici e impianto e, soprattutto, la varietà e la qualità delle band finaliste – sedici, scelte tra le ben 562 iscrittesi (tra cui anche alcune straniere). Come da formula ormai collaudata, due serate di semifinali hanno portato alla composizione della finalissima del 3 settembre. E, tra gli otto gruppi esibitisi, il successo finale è andato ai carpigiani F.A.T.A.: formazione ormai collaudatissima e autrice di una new wave energica e melodica e dalle forti componenti teatrali. A loro non soltanto il premio “Città di Foggia”, ma anche quelli della giuria popolare e di Radionorba e la targa MEI, lasciapassare per esibirsi al prossimo Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza. Per quanto riguarda il Premio della critica, invece, la scelta è caduta sui romani Croma Nova e alle loro raffinate atmosfere in bilico tra chanson, pop e jazz. Reso onore ai vincitori, è doveroso ricordare gli altri finalisti, anch’essi protagonisti di una serata davvero di gran livello. I salernitani Gruppo Zed, anzitutto, con la loro opera di recupero e (relativa) modernizzazione delle tradizioni campane, classificatisi secondi per un solo punto. E poi il grintoso pop dei The Cube (Verona), le atmosfere acusticheggianti dei capitolini ProgettoT, il trip-hop dei loro concittadini Revhertz, gli interessantissimi e orchestrali Shin (Merano) e l’elettronica eterea degli Shirley Said (Latina). Infine, menzione d’obbligo anche per i potentini La Scentifica, non classificatisi per la finale e vincitori del premio de La Gazzetta del Mezzogiorno. Insomma, bersaglio centrato in pieno anche quest’anno, grazie a uno a un meccanismo organizzativo pressoché privo di falle. E per la prossima edizione, la decima, l’Amministrazione Comunale promette sorprese speciali. Aurelio Pasini Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it