Marzo '11 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Marzo '11 Numero Marzo '11 EDITORIALE Ultimo appuntamento invernale col supplemento del Mucchio dedicato alla sempre vitale e iperprolifica scena underground tricolore. Vista la ricchezza del sommario, questo mese non ci vogliamo dilungare troppo, se non per un paio di comunicazioni di servizio per etichette, artisti e promoter che volessero farci pervenire le loro produzioni. La prima è quella di seguire le indicazioni riportate nella pagina apposita del nostro sito, raggiungibile dal link “Per invio materiale”, qui a fianco (se state leggendo queste righe sullo schermo del vostro computer e non in versione PDF). La seconda è di non avere fretta: ogni disco viene ascoltato e valutato con attenzione, ma per fare le cose come si deve ed evitare giudizi superficiali è necessario del tempo; non abbiate fretta, quindi, ché se il prodotto è ritenuto valido verrà trattato. Detto questo, non ci rimane che augurarvi buona lettura e, come sempre, buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Andrea Papetti Album d’esordio per il poeta Andrea Papetti, che dopo aver vinto alcuni concorsi letterari ed essersi dedicato alla musica solo in parte, arriva a cimentarsi nell’arte dello scrivere canzoni e lo fa con “L’inverno a settembre”, uscito per Storie di Note/Egea. Un album che racconta il “sentire”di un uomo nei confronti di quello che gli gravita attorno. Un album pensato, vissuto e provato. In una parola: concreto. Come ti sei avvicinato alla musica? Il percorso è stato molto lento. Quando ero ragazzino scrivevo poesie. Ho vinto anche alcuni concorsi. Poi a vent’anni ho iniziato gli studi di chitarra e di canto e diciamo che ho cercato di trasformare queste mie poesie in canzoni. Spero ovviamente di esserci riuscito. Ci sono molti cantanti che sentendo definire le proprie canzoni poesie quasi si offendono perché vorrebbe separare i due approcci, quindi per te non c’è nessuna discriminante? No. Se dici che una mia canzone è una poesia non posso che ringraziarti. Sarà che ho fatto parte della categoria poeti, quindi questa polemica tra poeti e cantautori non la sento per niente. Ma quando eri proprio all’inizio a vent’anni chi emulavi con la chitarra per imparare a suonare? Mah, da De André a Brassens a Leo Ferré; insomma, i grandi cantautori francesi e italiani, e senz'altro anche Bob Dylan. Scrivere poesie pensi ti abbia aiutato a scrivere anche canzoni? O comunque hai riscontrato delle differenze? Le differenze sono enormi. Anzitutto, se scrivi una poesia scrivi in metrica libera il più delle Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 volte, mentre la canzone ha bisogno di rime o assonanze perché se no il testo non regge. Diciamo che devi scrivere un testo che si incastra precisamente con la musica quindi devi fare un tipo di lavoro molto diverso dalla poesia. I primi album sono pieni spesso di storie d’amore, vissute, finite o sperate, anche tu parli di sentimenti ma non solo verso una donna, tu canti di Enzo Baldoni di Peppino Impastato, di Verlaine, Monet. Come racconteresti le tue ispirazioni e come ti hanno aiutato a tirare fuori le canzoni? Sono arrivato al mio primo CD a trentadue anni, però ovviamente di canzoni ne avevo scritte tantissime. Quindi ho dovuto anche fare una selezione. Io descrivo tutto ciò che mi colpisce che sia un argomento di carattere sociale o una storia d’amore quindi in sé per sé non c’è una preferenza. Ho scelto quei temi che mi erano più cari anche se non è un CD politico. Io non ho nessun problema a dirti che sono di sinistra, però questo non si evince dai testi delle canzoni. Penso siamo d’accordo tutti quando si parla di antimafia. Dove e come è stato registrato il disco? Ho preso molto tempo per registrarlo. Sono stato tre anni in studio d’incisione e ho avuto la fortuna di avere come produttore artistico un grande della canzone italiana che è Alessandro Svampa che è un musicista di prim'ordine che ha collaborato con De Gregori, con Max Gazzè e con Cammariere. Poi ha trovato dei musicisti che secondo lui erano più adatti al mio modo di fare musica che ho considerato una toccante forma d’attenzione e rispetto per il mio lavoro. All’interno della band che ha accompagnato questo tuo viaggio, ci sono dei musicisti che suoneranno con te per i live? Questo al mio pubblico non lo posso promettere. Per lo studio è andata così, ma per i live sai non posso permettermeli quindi ci saranno altri musicisti bravi ma meno conosciuti. Poi con gli ultimi tagli alla cultura è veramente difficile oggi suonare in Italia, ma non per me che sono un emergente per tutti. Poi c’è un grande ospite del disco che è Pippo Pollina, com’è nata la vostra collaborazione? Pippo l’ho conosciuto per la prima volta in Sicilia. Eravamo stati invitati entrambi a suonare alla manifestazione per Peppino Impastato. Lì ci siamo conosciuti ed è nata una bella amicizia, poi ci siamo rivisti in altre manifestazioni antimafia e l’amicizia s’è consolidata fino ad arrivare al punto di averlo ospite nel mio CD su “Banneri”precisamente. Ci tengo a sottolineare che secondo me Pollina è tra i migliori cantautori italiani ma purtroppo è più conosciuto all’estero. Tu hai un modo di cantare che è più o meno simile per ogni canzone. Come mai questa scelta? Io faccio studi di canto e ho provato a togliermi in tutti i modi questa mia cadenza, finché poi lo stesso maestro di canto mi ha convinto a non incaponirmi perché era una mia caratteristica e per lui nemmeno brutta da sentire. Ovviamente, non sono un interprete quindi non devo avere qualità vocali di un certo calibro. Per un cantautore sono più importante il testo e la musica. Infatti è considerato uno dei più grandi cantautori mondiali Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Bob Dylan con una voce abbastanza discutibile. Poi la copertina mi è sembrata molto giusta per rappresentare il tuo disco. La scarpa poggiata per terra è la tua concretezza e la foglia è il simbolo della tua sensibilità? Ma questo è dovuto ovviamente al titolo dell’album che è “L’Inverno a Settembre”. Una canzone piuttosto tragica perché qualche anno fa a settembre purtroppo mia madre mi ha lasciato e per l’inverno a settembre intendevo proprio l’inverno dell’anima che ti colpisce in tutte le parti del corpo e non se ne va più via. E come presenterai il disco dal vivo? In questo momento sto provando uno spettacolo con una grandissima poetessa. Una tra le migliori in Italia che è Anna Lamberti Bocconi. Lei ha scritto anche testi per Ivano Fossati per la Vanoni e Fiorella Mannoia. È veramente in gamba e stiamo provando a fare uno spettacolo di poesia e musica. Ogni mia canzone lei reciterà una sua poesia attinente al tema del brano stesso. Speriamo di riuscirci e che qualcuno sia interessato a questo tipo di spettacolo. Qual è la canzone all’interno del disco che ti emoziona di più fare dal vivo? C’è una canzone che non mi emoziona perché non ho mai avuto il coraggio di fare che è appunto l’inverno a settembre. È una canzone piuttosto sofferta e non me la sono mai sentita. Non credo di reggere all’emozione. Hai già scritto canzoni nuove? Oltre quelle vecchie che non ho potuto inserire nell’esordio ne sto scrivendo altre con Anna Lamberti Bocconi. Ho scritto una canzone che s’intitola “Settemila Isole” che tratta il delicato tema dell’immigrazione. Ovviamente adesso ci vuole un po’ di tempo perché le canzoni devo inciderle con molta calma: le cose fatte in fretta non mi sono mai piaciute. Com’è nata la collaborazione con Storie di Note che ha prodotto il disco? Pippo Pollina che esce per Storie di Note ha dato il mio CD al capo che l’ha ascoltato e gli è piaciuto proponendomi collaborazione e distribuzione. È un’etichetta per la musica d’autore di tutto rispetto che annovera tra le sue fila gente come Giorgio Conte, Nada, Il Parto delle Nuvole Pesanti, Claudio Lolli e Pollina, non potevo finire in un posto migliore e ne sono onorato. Contatti: www.andreapapetti.splinder.com Francesca Ognibene Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Dimartino Dopo un lungo sodalizio con i Famelika, il cantautore palermitano Antonio Di Martino è approdato all’esordio solista con “Cara maestra abbiamo perso” (Pippola/Audioglobe), prodotto da Cesare Basile, uno dei debutti più personali e interessanti degli ultimi tempi. Ne abbiamo chiacchierato con l’interessato. Il tuo mi sembra essenzialmente un disco sulla perdita. Ma cos’abbiamo perso, più di tutto? L’anima, il lavoro e la stabilità, il passato, il futuro. Forse l’innocenza? La cosa più importante che abbiamo perso è l’ironia che è facile oggi scambiare con la maleducazione, nei politici ad esempio manca ormai del tutto ma anche in molti professori universitari, si prendono tutti troppo sul serio e questo fa male a una società sana. Il titolo dell’album si ricollega in modo evidente a Tenco e per certi versi a Gaber. È negli anni 70 che la sconfitta si è maturata? Cosa resterà (di buono) degli anni 70? Sicuramente resterà un “tentativo”, il fatto che qualcuno ci abbia provato. La sconfitta a cui mi riferisco è una vittoria vista da un'altra prospettiva, una buona sconfitta è una pessima vittoria, un importante punto di partenza per “ritentare”, ma dalla fine degli anni 70 in poi molti abbandonarono le idee per cui avevano lottato, quella fu una pessima sconfitta di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. Mi pare che i riscontri al tuo debutto solista siano stati più che buoni. Conformi alle tue aspettative? Fortunatamente la gente parla bene di questo disco, mi è piaciuto molto il fatto che si riconoscano i dodici anni di gavetta che forse solo adesso stiamo riscattando insieme ai miei compagni di viaggio Simona Norato e Giusto Correnti. Ecco, com’è stato passare da un’idea di band, i Famelika, a una ditta individuale Dimartino, con gli stessi musicisti che continuano ad accompagnarti? Non vedo Dimartino come una ditta individuale, i risultati li abbiamo ottenuti insieme in tre. Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Quando mi sono reso conto che non c'erano più i Famelika non avevo voglia di scegliere un altro nome per la band, usare il mio cognome era l’unica scelta che ci avrebbe reso liberi di suonare insieme e allo stesso tempo di realizzarci singolarmente visto che Simona e Giusto seguono anche altri progetti. Si sono spesi diversi accostamenti con te, tutti d’annata: De Gregori, naturalmente Rino Gaetano, Dalla, Ivan Graziani, Tenco. Qual è il paragone che ti lusinga di più e quello che ritieni più azzeccato, e cosa credi di avere ereditato da ciascuno di questi autori? Devo dirti che non sono mai stato un fan sfegatato di nessuno dei cantautori che hai citato e che spesso ritornano nelle recensioni del disco, anche se li ho da sempre ascoltati. Mi piace la musica italiana fatta bene, sono convinto che si possa rifondare una nuova canzone italiana. Credo che quello che accomuna le mie canzoni con le loro sia la verità e la voglia di non chiudersi dentro a una formula. C’è una nuova scena siciliana? Penso a te, i Pan del Diavolo, i Second Grace, Oratio, Lorenzo “Colapesce” Urciullo e gli Albanopower, ma anche a tanti altri. C’è qualcosa che vi accomuna? Sicuramente c’è qualcosa che ci accomuna oltre l’amicizia, io e Fabrizio Cammarata (dei The Second Grace, Ndr) usciamo insieme spesso, ho anche suonato con lui il basso a Ypsigrock nel 2010 e siamo stati compagni di diversi viaggi. Penso che la scena siciliana stia crescendo, c’è la consapevolezza che stiamo facendo qualcosa di importante a prescindere dal risultato. A Palermo in questi anni sono nati bellissimi progetti, ragazzi di vent’anni che scrivono benissimo e credono in quello che fanno, penso a Nicolò Carnesi o agli Hank. Cantare in italiano: hai avuto dei tentennamenti in questo? Come ti poni rispetto alla composizione e al canto in inglese, che fa parte del bagaglio di tanti cantautori e gruppi italiani? Sinceramente non ho mai scritto una canzone in inglese, non saprei da dove cominciare, anche se ascolto molta musica straniera. Per me scrivere è comunicare immediatamente, mi mancherebbe il presupposto fondamentale. Ci racconti come mai hai sparato a Vinicio Capossela? Com’è nata questa canzone? Hai avuto modo di parlarne poi con l’interessato? No, non avuto modo di parlarne con Capossela anche se mi piacerebbe. “Ho sparato a Vinicio Capossela” è una semplice canzone d’amore, il concetto come ha scritto qualcuno è lo stesso di “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”, mi piacciono le parole che ti percuotono all’improvviso. Sparare a Vinicio Capossela è come sparare a un mondo a cui mi riporta “Orfani” ora, una delle sue canzoni recenti, mi piaceva abbracciare la stessa idea di solitudine. Le collaborazioni rendono il tuo esordio piuttosto “mosso”, dal pop al progressive: Cesare Basile, Vasco Brondi, i Mariposa. Ti lasci contaminare volentieri, sei aperto? Qual è il brano in cui si sente al 100% Di Martino? Penso che la musica sia condivisione, diffido da quelli che non si lasciano contaminare, ho una profonda stima per ciascuno degli artisti che hanno suonato nel disco. In tutti i brani si Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 sente Dimartino al 100%, per il discorso che facevo prima non voglio rimanere legato a una formula o a una canzone che possa condizionare le mie scelte future di scrittura. Come sei entrato in contatto con l’etichetta toscana Pippola? E che programmi hai adesso? Porti dal vivo ”Cara maestra...” e che altro? Il mio rapporto con Pippola è nato in un modo molto naturale: ho spedito il disco e mi hanno risposto che erano interessati a pubblicarlo, mi piace il loro modo di lavorare puntato molto sulla qualità delle canzoni. Da gennaio è partito il tour di Cara maestra abbiamo perso, che toccherà le principali città italiane ma anche le piccole provincie. Contatti: www.myspace.com/dimartinoband Gianluca Veltri Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Distanti I Distanti sono una fra le sensazioni più vicine e dirette che il panorama musicale italiano sta vivendo da svariati anni a questa parte. Eppure dietro queste facce da ragazzini, si nasconde una passione ed una profondità che va ben oltre il semplice impeto punk. Fra le righe di “Enciclopedia popolare della vita quotidiana” (Triste) si cela un mondo di sensazioni, critiche, pulsioni e apatia provinciale. Ne abbiamo parlato con Enrico, frontman della band forlivese. Traspare un'urgenza emotiva dal vostro EP omonimo, che in “Enciclopedia popolare della vita quotidiana” si è tramutata in consapevolezza, presa di coscienza, sia di contenuti che di approccio alla materia musicale. Qual è stato il breve percorso che vi ha traghettato al vostro esordio discografico? Tutto è nato da una occasione che Triste ci ha offerto a Gennaio 2010. Da lì le canzoni sono state fatte in pochissimo tempo. Solo in ultima analisi abbiamo voluto dare un taglio più critico al nostro lavoro. Anche perché solo col passare del tempo e con la consapevolezza dei leit motiv della stampa che giravano attorno al nostro lavoro dell'EP, ci siamo resi conto di come in realtà avremmo voluto fare un lavoro diverso. L'EP appunto, ha questa aura di giovanilismo, menefreghismo, concentrazione onanistica sul proprio vissuto, esaltandolo a esperienza comune di un insieme sociale chiamato “giovani”. Ma non erano le nostre intenzioni, le canzoni dell'EP sono nate senza troppa riflessione. Nemmeno l'album, a dir la verità, è un campione di saggezza, ma qui abbiamo provato a costruire, sopra una matrice ancora spontanea, un apparato critico, che cerca di fare di “Enciclopedia popolare della vita quotidiana” un concept album. Ma sono 20 minuti di canzoni. Una enciclopedia piuttosto breve. Per questo ci tengo a sottolineare che la natura dell'album non è quella grigia/vuota-esistenziale dell'EP: la natura del disco è ideologica. È una serie di affermazioni subito dopo negate, in virtù di valori più elevati che ancora non sappiamo bene quali essere. È una specie di successione di denunce di ciò che va storto al livello delle coscienze: quindi si utilizza ancora il linguaggio del male, del brutto, per metterlo a nudo però, in pubblica Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 piazza. Quanto sono intrisi di vita personale i vostri testi? “Enciclopedia..” è un diario dettagliato di sensazioni e vissuti molto forti, a modo loro generazionali. Il personale è il punto di partenza nel disco. Tuttavia non è assolutamente un diario a mio avviso. Lo è certamente l'EP. “Enciclopedia” invece mi sembra un lavoro generazionale, nel senso che è su una generazione: la mia, la nostra. Questi famosi “anni Zero”. Tuttavia il nostro giudizio su noi stessi e gli altri è molto più impietoso, negativo, spietato di come di solito siamo soliti raccontarci noi ventenni. La presenza di realtà nelle nostre canzoni è sentito come dovere, tuttavia la stessa realtà ci sembra in deficit di se stessa. Oltre ad inserire i testi nella realtà è necessario prima inserire realtà nella realtà. La cosa diventa complicata nei fatti, così forse ripartire dalle canzoni può tornare utile per agire sulla realtà, anche solo come monito. Nell'album sono comprese due vecchie canzoni perché Triste ci teneva a registrare di nuovo qualcosa del vecchio EP. All’interno del disco “Enciclopedia...” e in tutto il pensiero-distante, c’è un alone critico velato dietro frasi o figure apparentemente senza un senso preciso, come in “Geloso” ad esempio. I “predicatori nel deserto”, la “regina beduina”, dentro le “cascine” a fare l'amore, le “sigarette” sono tutte cose disseminate qua e là nel disco e stanno per quelle cose che a mio avviso fomentano una visione incantata del mondo o del mondo che vorremmo. Una visione romantico-nichilista che rigettiamo ma di cui facciamo parte, un po' perché vi abbiamo aderito prima o poi negli anni, e un po' perché fa parte dello spirito di questo tempo pessimo. “Geloso” è un messaggio del Geloso (registratore prodotto nel 1960 da una piccola ditta emiliana, Ndr). Abbiamo scelto di metterlo proprio perché è un inutile, ma affettivamente caro, elenco enciclopedico di cibi che sembrano paventare la festa dopo la tempesta della guerra, ma che probabilmente saranno solo un modo per passare il tempo. È un pezzo dove dopo un po' perdi l'equilibrio, le coordinate, il cibo è troppo, si affastella, si stratifica e perdi la bussola. Così è una enciclopedia, la nostra almeno: una cosa che ha provato a darci un ordine, ma non ce la fa, perché la materia è malata già in partenza. E così finisce il disco: con una “ingenuità” su cui però non bisogna dormire sonni sereni. Le vostre canzoni sono molto concise dal punto di vista sintattico, ma c’è la netta sensazione che dietro ogni parola ci sia un significato molto profondo e ricco di rimandi. Come se fosse un vero e proprio libro. Quanto e che tipo di letteratura e letture hanno influenzato la stesura dei testi? Dirti dei riferimenti precisi faccio fatica, perché non è stato un lavoro di taglia e incolla. Non ci sono citazioni quasi mai. Certo, potrei dirti che “L'avventura” riprende un po' il racconto di “The Gift” dei Velvet Underground, ribaltandone però la trama. Ciò che scrivo è una rielaborazione di ciò che vivo, ma ciò che vivo è profondamente connesso a delle opere d'arte altrui, sono cose che mi segnano e che utilizzo continuamente nella mia vita quotidiana le letture artistiche, giornalistiche, saggistiche, cinematografiche, musicali, letterarie. Avrei sempre voluto fare un disco che suonasse come Nanni Balestrini scrive Tristano, ma alla fine non è venuto assolutamente così. Lo so che non siete riusciti a capirlo nemmeno voi, ma perché la stampa si ostina ad Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 accostarvi ai Baustelle? Certo, un titolo come “Enciclopedia popolare della vita quotidiana” ha più di un assonanza con “Sussidiario illustrato della giovinezza”, ma di fatto sono completamente distanti fra loro. No guarda, ti giuro che in effetti gli assomiglia. Ne sono cosciente. In realtà il titolo mi è venuto fuori più pensando all'epos dei primi CCCP uniti alla spudorata scopiazzatura di “Stanze di vita quotidiana” di Guccini. Quindi siamo proprio su altri campi. Tuttavia, ci tengo a chiarire la cosa una volta per tutte, i Baustelle dei primi dischi mi hanno influenzato nella stesura di alcuni testi del primo EP. Ovviamente con la musica noi non c'entriamo nulla, ma per quanto concerne ALCUNI testi del primo EP, sì. Ok. Però non me ne vergogno, perché in realtà la loro peculiarità sta in una attenzione al dettaglio che ha finalità diversissime dalle nostre. Per loro il dettaglio è in funzione della rappresentazione della moda, tanto che sono finiti per scivolare da “la moda” ad “alla moda”, esattamente come “A single man” di Tom Ford. La nostra attenzione al dettaglio stenta ad esistere. Quindi è un legame di fatto labile: un po' di ironia, temi di vita provinciale, giovanile, eccetera. Cose che passano su tutti prima o poi e che presto fanno il loro tempo. Contatti: distanti.wordpress.com Luca Minutolo Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Ettore Giuradei Arrivato al terzo album, il bresciano d'origine, e passeggero del mondo d'adozione, Ettore Giuradei, il “sovvertitore impegnato del pop”, sta continuando la sua strada di viaggiatore, percorrendo in lungo e in largo lo stivale con il tour che sta proponendo le note della sua creatura più recente,“La repubblica del sole” (Mizar-Novunque/Self). Con la presenza, ricca, anche di molti dei brani dei suoi due precedenti lavori, chi sarà ai suoi live si ritroverà immerso in un'opera autoriale che fin qui ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Cantautore atipico considerato da molti una delle novità più interessanti della nuova canzone italiana, già ospite al Premio Tenco 2008, e vincitore in precedenza, nel 2006, con il primo CD “Panciastorie” del Premio “Nuova canzone d'autore” al MEI di Faenza, Ettore Giuradei cammina nel cantautorato più vero e necessario, per raggiungere finalmente quell'attenzione e ascolto che la sua voce merita di ricevere, avendo dimostrato a più riprese di essere una conferma. Voce qui raccolta, capace ancora una volta di comunicare e di incontrare. Ettore Giuradei, bresciano, classe 1981, a marzo, il 30, compirai i tuoi trent'anni... Arrivato al tuo terzo album, a che punto ti senti di un cammino artistico, che in questa nostra poco “Repubblica del sole” ti vorrebbe giovane e promessa, promesse che invece ogni volta confermi e anzi rilanci con certezze, lavoro dopo lavoro? Sinceramente spero con questo terzo album di uscire finalmente dalle “promesse” ed essere riconosciuto come una realtà, che in questi anni è riuscita a guadagnarsi un posticino tra i nuovi cantautori italiani. Siamo molto soddisfatti del nuovo album e siamo convinti di farcela anche grazie al tour che è appena partito e che ci vedrà in giro in tutta Italia.
 Il tuo è un percorso molto vario, per tua e nostra fortuna: teatro, musica, narratore, cantautore - componi anche le tue musiche o per questo ci pensa tuo fratello e il resto dei tuoi fantastici compagni di viaggio musicale? -, altro?... Ci vuoi raccontare un po' il tuo cammino e come sono arrivati tutti i passi che lo compongono, a partire da Brescia? Otto anni fa ho iniziato a lavorare in teatro come attore di spettacoli comico/surreali, nel Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 frattempo ho sempre scritto canzoni. La svolta che m’ha fatto decidere di incidere il primo disco è stata la “scoperta” d’avere un ottimo musicista in casa, mio fratello Marco, con il quale abbiamo iniziato ad arrangiare le prime canzoni. Da lì la decisione di fondare con Davide Danesi la Mizar Records e di pubblicare il primo album “Panciastorie”, nel 2006. Durante il tour di “Panciastorie” abbiamo deciso di rivoluzionare la band in previsione del lavoro sul secondo album, “Era che così”, che ha visto la luce a febbraio 2008 grazie anche alla collaborazione con Novunque. Entrambi gli album sono stati accolti molto bene dalla critica, in tre anni abbiamo fatto più di 200 date grazie anche alla collaborazione con Cisco Bellotti, a cui facevo da apertura e con il quale suonavano mio fratello Marco e gli altri musicisti della band. Attualmente, come ti dicevo, siamo in tour per presentare il nostro terzo album “La repubblica del sole”, uscito a novembre 2010. Quest’ultimo lavoro ha avuto una gestazione molto lunga, più di un anno di provini, registrazioni e prove. Per sistemare i pezzi e registrare con serenità, abbiamo deciso di attrezzare uno studio a casa nostra con l’aiuto del nostro fonico Domenico Vigliotti, e far nascere così la TavernaStudio. Ti senti di avere degli artisti di riferimento, una volontà/pensiero poetico/artistico particolare, o tutto (av)viene semplicemente così com'è, grazie al tuo vissuto, e ai luoghi in cui sei cresciuto, dentro e fuori? Diciamo che le mie canzoni partono da ispirazioni che trovo nel mio vissuto. Credo comunque di essere costantemente contaminato da lavori di altri autori. Forse l’artista che più mi ha condizionato, soprattutto per quanto riguarda la modalità di lavoro, è Fabrizio De André. La cosa che m’ha sempre affascinato, e che sto cercando di seguire, è la sua capacità di collaborare con musicisti, poeti, cantautori del suo stesso calibro e con una forte personalità che l’hanno portato a “confezionare” album sempre diversi e difficili da catalogare all’interno di un genere.

 Sei in tournée per tutta Italia, in un lungo viaggio che ti sta portando e ti porterà davvero a toccare molto del nostro Bel Paese... Molti parlano come di un evento/spettacolo ogni tuo/vostro appuntamento. Ma sono veri e propri spettacoli, valorizzati anche dalla tua qualità/esperienza attoriale? Ti dirò che lo spettacolo di quest’anno è un vero e proprio concerto in cui si avrà la possibilità di ascoltare praticamente tutto il repertorio dei nostri tre dischi. La mia esperienza d’attore la sfrutto per cercare di avere una presenza che mi permetta di comunicare nel modo più chiaro e potente possibile grazie alla cura di movimenti sconnessi del corpo che uso come strumento di comunicazione.
 Le tematiche che tocchi sono sempre molto complesse e ampie, anche se al centro rimane sempre l'uomo e il rapporto con se stesso e gli altri, la società, e lo specchio in cui si guarda, guardata... Quanta volontà politica e di denuncia è contenuta nei tuoi lavori, o semplicemente, e naturale, è solo, la tua, necessità di incontro, comunicazione, condivisione, e tutto il resto viene di conseguenza? Credo sia più una necessità di incontro e condivisione. Cerco di non partire mai da un’idea “politica” visto che tutto quello che riguarda la sfera politica, soprattutto ultimamente, mi sembra sempre più virtuale e molto distante dalle vere necessità dell’uomo.

 Immagino che nei tuoi concerti ci sia molto confronto, coinvolgimento del pubblico, Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 comunicazione durante e post concerto... Come reagisce il tuo pubblico, e quanto appunto c'è incontro dopo? Raccogli il disagio grottesco/drammatico in cui ci troviamo e che denunci ne “La repubblica del sole”? Fortunatamente in questi anni, grazie ai molti concerti, ho avuto occasione di conoscere parecchia gente che ci segue. Capita spesso di fare due chiacchiere anche sulla realtà italiana e sinceramente la sensazione che ho è quella che ti accennavo prima: finché si parla del concerto, del posto/città/locale che ci ospita, di cibo, di vino e di vita vera sento che la discussione acquista un senso pieno e reale; appena si passa a parlare di Presidenti, di religioni, di nazioni, ecc...la discussione naufraga in parole inutili.

 Come vedi il panorama della musica cosiddetta “indipendente” italiana? Ci vuoi parlare della tua esperienza di “sopravvivenza” in questa giungla che ti spinge a volte sempre di più a scegliere una strada di indipendenza produttiva? Per fortuna il tuo di incontro è stato fortunato, ed è consolidato da anni. Il panorama indipendente italiano mi sembra in salute, sicuramente non a livello finanziario, ma a livello di proposte che finalmente si stanno conquistando fette di pubblico sempre più ampie e che stanno dando una mano a tutte le realtà indipendenti ed emergenti non supportate da grandi media. La mia esperienza è caratterizzata soprattutto dalla quantità di live che sono stati il vero motore e la vera fonte di sopravvivenza. Live che fino a poco tempo fa ho sempre organizzato personalmente e che mi sembrano l’unica via reale di auto promozione.

 Per il futuro che strade da percorrere già intravedi, o è tempo di dare voce per ora solo alla tua “Repubblica del sole”? Per adesso vorremmo dedicarci interamente al nuovo tour che crediamo possa farci fare il definitivo salto di qualità. In testa ci sono comunque mille idee/pensieri che verranno realizzati in base a come andrà questo progetto. Contatti: www.ettoregiuradei.it Giacomo d'Alelio Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 OfeliaDorme Botta e risposta con Francesca Bono e Michele “Post” Postpischl, ovvero voce/chitarra/tastiere e batteria del quartetto bolognese, alla prima, convincente prova sulla lunga distanza con “All Harm Ends Here” (Ofd Park/Audioglobe). Un raffinato esempio di come si possa fare dell’ottimo pop-rock in inglese, autonomo e con sonorità e testi dal respiro internazionale. Dopo l’EP “Sometimes It’s Better To Wait” del 2009, “All Harm Ends Here” è il vostro primo album. Durante la sua lavorazione, vi siete posti degli obiettivi ben precisi o avete assecondato l’ispirazione del momento? F: Entrambe le cose. Assecondiamo sempre l’ispirazione del momento, ma poi ci soffermiamo e valutiamo quel che ne è venuto fuori; rispetto all’EP c'è stato maggior lavoro soprattutto nello scegliere le tracce da inserire. Abbiamo scartato qualcosa quasi all’ultimo, e aggiunto altro: per esempio “Paranoid Park”, che apre il disco, è il brano più recente degli undici che lo compongono. Inoltre non è stato facilissimo scegliere la tracklist, al solito stabilita tutti insieme dopo scambi di opinione, qualche sigaretta e qualche birra. Volevamo che “All Harm Ends Here” fosse coeso, ma allo stesso tempo svelasse più aspetti della poetica di OfeliaDorme; non a caso molte recensioni parlano di una “doppia anima”, acustica ed elettrica. Ovvero, non ci vogliamo auto-incasellare in un genere specifico, o cercare di essere per forza “contemporanei”; suoniamo quel che ci piace. M: Esattamente. C’era l’intenzione di realizzare un disco dove fosse possibile vedere i diversi caratteri di OfeliaDorme mantenendo un filo conduttore, dare quindi una voce omogenea al progetto. Per farlo ci siamo lasciati guidare nel percorso dalle canzoni stesse: sembra sciocco da dire, ma spesso ho avuto la sensazione che fossero proprio loro a dirci cosa usare e come usarlo. Spirito do it yourself e grandissima cura degli arrangiamenti, a vestire canzoni che oscillano tra pop evocativo, rock più graffiante e sprazzi di folk contemporaneo grazie all’impiego di corde elettriche o acustiche, tasti e batteria, ma persino archi e fiati. Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Senza dimenticare una voce assai caratterizzante. Come avete bilanciato il tutto? M: Avere a che fare con la voce di Francesca è stato sicuramente d’aiuto in tutto questo: la sua capacità espressiva di districarsi tra i suoni dà la possibilità di metterle attorno una qualsiasi base musicale e non sfigurare. C’è stato, quindi, un attento lavoro sui particolari: tutti i brani sono in realtà piuttosto leggeri, senza tonnellate di tracce o sovraincisioni. È stato un po’ come arredare delle stanze inserendo solo il necessario. F: Nella nostra sala prove siamo nel nostro habitat, non si fanno tanti discorsi mentre suoniamo. Abbiamo gli strumenti necessari e tante idee che proviamo, per poi concentrarsi sui dettagli. È tutto molto spontaneo. In fase di registrazione succede la stessa cosa, alcuni arrangiamenti magari sono stati decisi all’ultimo momento. Forse ci autobilanciamo abbastanza bene! Siamo comunque piuttosto misurati. La seconda traccia in scaletta, “Ian”, è dedicata a Ian Curtis. F: Molti dei testi sono evocativi anche per me. Compongo di getto, i ragazzi a volte mi prendono in giro per questo... Magari qualcosa che ho visto, sperimentato o vissuto è la scintilla da cui parte tutto. In questo caso ho scritto “Ian” subito dopo aver visto “Control” di Anton Corbijn, e una serie di circostanze hanno fatto sì che mi identificassi, metaforicamente e per una frazione di secondo, con la moglie di Curtis. Si è creato un piccolo film nella mia testa, e l’abbozzo della canzone. C’è molta rabbia nel testo, ma anche il ricordo di una passione giovane e violenta. Il giro di chitarra ossessivo che avevo in mente sin dall’inizio ha poi fatto il resto. E alla fine i Joy Division mettono d’accordo tutti e quattro... I testi spaziano dagli stati d’animo influenzati dalla vita in società a una carrellata di immagini fantasiose: boschi, maghi, streghe, re, regine e via dicendo... F: Come accennavo prima, ho un rapporto quasi “stupefacente” con le parole; non sono la classica songwriter che scrive, riscrive, lima... Le parole e le immagini si impossessano spesso della mia persona; a volte sono le mie ossessioni che scrivono. Sono anche molto legata a una visione infantile, in senso buono, del mondo e della società; una sorta di rifugio carrolliano in una dimensione altra. E poi c’è il suono delle parole, che mi affascina tremendamente. In particolare quando si tratta di una lingua straniera. C’è qualcosa di magico nel fatto che lo stesso concetto si possa esprimere in lingue, e quindi suoni, totalmente differenti. In certi casi, quando il testo viene dopo o è immediatamente parallelo alla musica, emetto solo suoni mentre canto, al massimo quelle tre o quattro parole che la parte strumentale mi suggerisce. Vi siete sempre autoprodotti e stavolta avete trovato il supporto parallelo di una struttura propositiva come A Buzz Supreme. Come vi trovate in tale posizione e come valutate le possibilità/difficoltà dell’attuale panorama discografico? F: Le difficoltà sono tante, ma se ci si sofferma su quelle c’è solo l’immobilità, ed è proprio ciò che bisogna evitare. Stiamo bene da soli con noi stessi, la nostra musica, il nostro immaginario, il nostro modo di fare autarchico anche in fase di registrazione, o di grafica e merchandising. Però sentivamo il bisogno di alleggerire in qualche modo l’impegno, e farci aiutare da qualcuno. Andrea Sbaragli di A Buzz Supreme è proprio l’uomo di cui avevamo bisogno. Siamo aperti a collaborare e lavorare con altri, etichette, booking, eccetera, a patto di sentirci a nostro agio nel farlo. M: “Meglio soli che male accompagnati” è un detto che tutti noi apprezziamo molto. A Buzz Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Supreme è un’ottima compagnia, fatta di persone serie e professionali che hanno ben chiari i loro obbiettivi e le strade per raggiungerli. Ci siamo appoggiati a loro, e loro ce lo hanno permesso, per tutto quello che riguarda la promozione: essendo un aspetto fondamentale del mercato discografico, avere delle persone esperte al proprio fianco è molto rassicurante... Ci sono delle band che vi hanno particolarmente ispirato e delle band coeve che sentite invece più affini di altre? M: Molte band sono d’ispirazione, e dei generi più diversi. F: Difficile nominarle tutte. Nel corso degli anni mi sono nutrita della musica di Velvet Underground, Depeche Mode e Pixies, ma anche di molto rap old school. Ho avuto varie “fisse” musicali, alcune hanno retto nel tempo, altre si sono sbiadite. Non so se sento affini band a noi contemporanee. Nell’ultimo anno ho ascoltato molto i National e recentemente l’ultimo disco di Sufjan Stevens, mentre per quanto riguarda casa nostra l’ultimo dei Massimo Volume. Avete già raccolto varie soddisfazioni, comprese recensioni e concerti all’estero. Pensate sia possibile continuare a proporsi anche al di là dei nostri confini? F: Pensiamo sia possibile, e vorremmo farlo ancora. Non ci spaventa il confronto con l’esterno. M: Sì. Contatti: www.ofeliadorme.it Elena Raugei Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Smart Cops Idee chiare, una direzione cui guardare e buona musica. Quando ho immaginato le domande da porre agli Smart Cops, che con “Per proteggere e servire” (La Tempesta/Venus) debuttano sulla lunga distanza, pensavo di avere a che fare con una sorta di “band divertissement” ed invece ho scoperto, con piacere, che il progetto ha basi solide e intenti lodevoli. Per chi, come il sottoscritto, pensava fosse solo “rock’n roll” eccovi una piacevole ed illuminante smentita. Siete un gruppo agli inizi, anche se singolarmente le vostre storie sono già significative. Potreste raccontare com'è nato il gruppo e com'è stato registrare questo primo album? Gli Smart Cops nascono alla fine del 2007. Ognuno di noi ha sempre avuto altri progetti ma ci è sempre piaciuta la sfida di mettere in piedi nuove band, così Marco Rapisarda e Nicolò Fortuni decidono di reclutare Edoardo Vaccari alla chitarra e Matteo Vallicelli. Abbiamo fatto uscire altri album prima di questo, ma tutti in formato 45 giri per etichette americane ed europee. I suoni inizialmente erano molto più sporchi e rabbiosi e i pezzi erano (ancora) più veloci: il primo 45 giri contiene sei canzoni! Di lì a poco abbiamo iniziato a provare per un nuovo lavoro e ci siamo accorti che ognuno di noi era in grado di portare una propria impronta nella stesura dei pezzi, chi col garage, chi col Sixties, chi con il beat della miglior tradizione italiana e chi, ovviamente sempre con il punk. Quindi, superata la fase di puro hardcore anni 80, ci siamo trovati coinvolti in un disco senza dubbio più maturo. La scelta musicale è quanto mai precisa, sia come suono che come produzione. Siete soddisfatti del risultato ottenuto? E come si è sviluppato il rapporto con La Tempesta? Siamo felicissimi di questo disco. Solitamente c'è sempre molta autocritica, ma qui abbiamo lavorato parecchio, arrivando ad un risultato che ci rispecchia in pieno. Infatti i suoni sono più puliti, ma sempre graffianti e potenti. Per quanto riguarda la collaborazione con La Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Tempesta Dischi, siamo rimasti molto lusingati della proposta. C'era e c'è tutt'ora più che mai un'amicizia che ci lega da diversi anni. E così è nata l'idea di far un disco insieme. Avete un'immagine non molto rassicurante ed i vostri testi, tra sarcasmo e cinismo, non sono da meno. Quanto sono importanti le parole ed i concetti che esprimete nel disco? E' "solo rock'n'roll" oppure c'è anche qualche velleità più seria? Il termine "rock'n'roll" ora come ora vuol dire tutto e niente. E soprattutto è usato un po' da tutti, specialmente accompagnato da quel gesto della mano a mo' di corna. Non si è mai visto niente di più meschino. Sembra che ormai "rock'n'roll" significhi prender le cose alla leggera, che tanto va bene così.....in realtà non va bene un cazzo. Ecco perché i testi dei Cops sono a dir poco fondamentali. Rispecchiano le piccole e grandi debolezze dell'essere umano, che noi abbiamo affidato alla figura di un poliziotto insicuro, debole e preoccupato, e la divisa certo non è d'aiuto. Ok, è bello scherzare e far del cinismo sulle forze dell'ordine, ma a noi però piace pensare che i testi diano un piccolo spunto per un'autoanalisi che tutti dovrebbero farsi, prima o poi. Per quanto riguarda la nostra immagine/divisa siamo d'accordo, è ben poco rassicurante. Ed è un perfetto "nonsense" poiché l'uniforme in realtà dovrebbe esser qualcosa di "tranquillizzante". A noi, in realtà, l'uniforme spaventa. Lo scrivete anche nel vostro comunicato stampa che "il look è importante quanto la musica". In che cosa credete sia importante? Per caratterizzarvi meglio? C'è qualche band che vi ha ispirato in questa scelta? Molte band si sono legate ad una divisa e anche noi abbiamo deciso di farlo, scimmiottando la polizia. Il look è importante quanto la musica poiché il punk è sempre stato caratterizzato da violenza e sregolatezza, mentre l'uniforme in sé dovrebbe significare ordine e rigore sia fisico che morale. Amiamo questo nonsense. Alcuni di voi hanno avuto esperienze estere piuttosto rilevanti. Perché proprio adesso uscire con un progetto principalmente "italiano"? E' una sfida che pensate di vincere? Può un gruppo che canta in italiano questa musica avere "successo" in America? In realtà molti non lo sanno ma l'hardcore-punk di matrice italiana, sin dalla fine degli anni 70 (per non parlare dei primi anni 80), ha sempre avuto ampio seguito e gran considerazione a livello mondiale. Più o meno tutte le bands cantavano proprio in italiano. Potremmo citarne moltissime, ma in particolare facciamo riferimento a pietre miliari come Peggio Punx, Wretched, Indigesti, Cani e tanti altri. Ci è capitato di suonare in città come Chicago e Los Angeles, dove ci sono delle grandi comunità messicane e dove tutti i nostri fan sapevamo i nostri testi a memoria... ma un po' "spagnolizzati". Sappiamo quindi di esser apprezzati per il fatto di utilizzare l'italiano, tant'è che la versione in vinile di "Per proteggere e servire" è affidata proprio ad un'etichetta americana, la Sorry State. Proprio in virtù delle vostre esperienze oltreoceano quali sono le maggiori differenze che notate nell'approccio a questa musica rispetto alla vostra "patria"? Non vediamo gran differenza tra Italia e Stati Uniti, anzi se dovessimo essere sinceri, al momento le cose vadano molto meglio in Italia, e più in generale in Europa, piuttosto che negli USA. L'America ha sempre vantato musicisti e dischi incredibili sia come produzione vera e propria che come grado di innovazione... Ma a pensarci bene, che cos'altro gli resta? Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Contatti: www.myspace.com/smartcops Giorgio Sala Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 A Small Document The New Middle Age Black Nutria-Red House/Audioglobe Un certo Mocar, del quale s'ignorano i dati anagrafici, canta con voce trascinata e suona i cimbali, SirJoe, altra identità irriconoscibile, picchia sulla batteria senza guardare davanti a sé, Billy Boy, terzo e ultimo pseudonimo del gruppo, fa tutto il resto: sfianca la chitarra, tanto che spesso par di sentire anche un basso anche se, da quel che ci risulta, il basso non c'è. Il disco si chiama “The New Middle Age”, la banda A Small Document, e il piglio è rock'n'roll come lo si suonava nell'America indie degli anni 80, tipo Guided By Voices, Pixies e, insomma, quella roba lì. Proprio dei Pixies sembra quasi un plagio attitudinale un pezzo come “Song Of Robespierre”, con la batteria che mulina una marcetta, la chitarra che le va dietro velocissima col plettro, la voce che ammicca. Ci sono poi alcuni momenti in cui il rock'n'roll lascia spazio allo stoner, come in “Shock Down” e “Minds Balloon”, rispettivamente quinta e sesta traccia delle dieci di “The New Middle Age”, dove ogni tanto le chitarre sembrano più d'una, e invece ci risulta che sia sempre l'unica sei-corde di Billy Boy a fare quasi dei miracoli. Il rimanente è una gradazione, una miscela dei suoni sopraccitati. E, in generale, non è che quello di cui stiamo parlando sia un album pieno di spunti originali, non un disco che sia così necessario avere in casa, la copertina è anche brutta, con quei punti di sutura applicati al pomodoro. E però se dovessero capitare dalle vostre parti, andateli a vedere, gli A Small Document. È gente che suona e suona bene; e in un posto chiuso, magari, con gli amplificatori ben settati sul frastuono, è anche gente capace di smuoverti il collo. Contatti: www.myspace.com/asmalldocumentitaly Marco Manicardi Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Andrea Guzzoletti Invisible Cities Even Eights Andrea Guzzoletti, per chi non lo sapesse, risulta, dal suo sito, essere musicista/produttore originario di Barga (Lucca), dalle collaborazioni e dalle capacità comprovate oramai da anni, anche internazionalmente; e non potrebbe essere altrimenti per qualcuno che è stato capace di arrivare a lavorare con una sacerdotessa della musica, e della voce polifonica, com'è la mongola Sainkho Namtchylak. Tra le sue frequentazioni nobili c'era anche quella con il grande Hector Zazou, con cui lo legava anche l'affetto dell'amicizia. Alla sua scomparsa, avvenuta nel 2008, Guzzoletti ha trovato la spinta e la volontà di cimentarsi col suo primo progetto personale, prima on demand sul web da fine 2010, ora distribuito per la Even Eights Records come album. Interamente dedicato a Hector Zazou, “Invisible Cities” prende ispirazione dalle atmosfere rarefatte e in viaggio del testo di riferimento ideale, proprio “Le città invisibili” che Italo Calvino aveva intessuto a partire dai racconti, immaginari, narrati dal suo protagonista Marco Polo, che, catturato dalla fantasia, navigava attraverso città sconosciute o mai viste delineando paesaggi ulteriori. Ed è proprio questo che fa Guzzoletti, con il contributo sentito di Antonio Inserillo, Roberto Cecchetto e Stefano Onorati: prendendo le parti di un novello Marco Polo, traccia Cities ancora non pervenute all'uomo, ma capaci di racchiude in questo percorso ricordi personali che riaffiorino alla superficie della memoria di ciascuno, componendo un patchwork di mondi, fusi insieme da una musica che galoppa nell'elettronico/sperimentale, contaminandosi di rock, jazz, fusion, techno, scaldandosi con le temperature soffici e penetranti della tromba, sostenuto dalle percussioni, inciso dalle chitarre, inseguito dal piano e da voci evocative femminili, come nella migliore tradizione artistico creativa proprio di Hector Zazou. A partire da “Kaleidoscope City”, arrivando anche a un ”City of God” che chissà se vuole portarsi il carico del film omonimo del regista brasiliano Fernando Mereilles, l'album cammina in una topografia delle emozioni in viaggio, dove si arriva, per subito dopo permettersi di staccare i piedi dal suolo e riprendere il volo della fantasia, lambendo City dopo City, per arrivare alla fine dell'arcobaleno con, inevitabile, “Rainbow City”. Come non poteva che concludersi questa strada con “Last City”, brano live inedito registrato con Guzzoletti in concerto assieme a Hector Zazou, che termina con l'abbraccio del pubblico, che applaude, da lontano, in un saluto d'affetto verso il compianto maestro e amico. Contatti: www.andreaguzzoletti.com Giacomo d'Alelio Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Andrea Papetti L’inverno a settembre Storie di Note/Egea Per la serie “non è mai troppo tardi”, ci occupiamo di un lavoro apparso già qualche mese fa. Un cantautorato che vibra e s’indigna, civile e privato, passionale e idealista. È questa la cifra dell’esordiente marchigiano 33enne Andrea Papetti. Circondato da musicisti navigati come Alessandro Svampa (ormai da un pezzo batterista di De Gregori), Luca Bulgarelli (che tra l’altro ricordiamo al contrabbasso con Cammariere), Mauro Menegazzi (fisarmonica di Daniele Silvestri), Papetti licenzia una decina di brani che si situano nella tempra artistica di un Locasciulli e di un Bertoli. Non modernissimo, ammesso che ciò sia una dote di suo (e non lo è): artigianato sotto il crisma della sincerità, della quale a tratti però si abusa ingenuamente, e delle buone intenzioni. Enzo Baldoni (“Inferno Baghdad”), Pablo Neruda (“Così lontano, così vicino”), Peppino Impastato (“L’uomo della verità”), i bambini dell’Ossezia (“Il cielo di Beslan”). Sono le stelle nel cielo di Papetti, insieme alla mamma, la dedica alla quale dà il titolo all’intero album “L’inverno a settembre”; e anche alla nonna, destinataria di una “Ninna nanna”. Siamo d’accordo nel combattere a tutti i costi il cinismo, anche se qui il rischio della retorica è spesso in agguato. Il cantautore di San Benedetto a volte è fin troppo esplicito, non lascia spazio a un millimetro di allusività: “un uomo coraggioso morto per protesta, Peppino Impastato”, oppure “mia cara nonna, ti dico addio, non ti dimenticherò”, alcuni esempi di una scrittura elementare e diretta, che ha il pregio della diretta semplicità ma non dà scampo all’immaginazione. Sfugge meglio alla retorica nelle ballate lente, Papetti, quelle meno altisonanti, come “Parigi, cosa avevi nella testa”, “Al molo” (la migliore traccia del disco), il delicato brano su Beslan con il recitato dell’attore Piergiorgio Cini e infine la ghost track, una rilettura di “Banneri” di Pippo Pollina eseguita a due voci con il cantautore palermitano. Contatti: www.myspace.com/andreapapetti Gianluca Veltri Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Atman Il destino e la speranza Sardanapala “Odio tutto ciò che è sempre uguale” canta Devid Winter in “Promenade des Anglais”, uno dei brani di punta della nuova fatica degli Atman; una frase che si adatta perfettamente al percorso artistico della band, che, dopo un decennio di onorata carriera, con l’EP “Stiamo uccidendo le nostre anime” (2008) aveva fatto il grande passo e per la prima volta si era cimentata con testi in italiano. Una scelta che viene riproposta anche in gran parte ne “Il destino e la speranza”, al cui interno sette composizioni su dodici sono cantate nella lingua di Dante (tre invece i pezzi in inglese e due gli strumentali). Sempre a proposito di cambiamenti, la compagine lucchese ha ridotto il proprio organico da quartetto a trio, rendendo così la propria proposta ancora più secca e diretta, senza per questo rinunciare alla melodia o a occasionali raffinatezze (l’intervento degli archi nella summenzionata “Promenade des Anglais”, per esempio). Quel che ne risulta sono canzoni asciutte, vibranti di un’elettricità nervosa di decisa ma non decisiva matrice grunge, anche se non mancano in scaletta momenti più riflessivi e acusticheggianti. Ancora una volta, un lavoro solido, lontano dalle mode e per questo destinato a reggere bene al passare delle stagioni: ennesimo attestato di coerenza da parte di una band che fa dell’integrità e della passione le proprie bandiere. Contatti: www.atmanrock.com Aurelio Pasini Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Biscuits Biscuits Black Needle-GPeeS/Audioglobe I “biscotti” in questo disco sono tre: Tripla, Gransta e Dyna. Al primo morso capisci al volo che Napoli è la loro culla, città che dunque riconferma il proprio ruolo di vivace calderone delle crew hip hop più originali (e sincere?) degli ultimi anni. Ciò che non sorprende talvolta nasconde una rassicurante certezza. Arrivato al secondo morso inizi a distinguere i singoli ingredienti e non ti stupisci nello scoprire che l’album ha preso vita passando anche per altri luoghi: Londra e soprattutto Milano, dove i tre rapper si occupano di tutto un po’. Allo stesso modo, si trova di tutto anche tra questi solchi: abbondanza di rap, una parte di funk, manciate generose di elettronica e pure qualche spolverata di beat e sample old skool come nella fuorviante “Recipe”, “ricetta” iniziale con cui il trio cerca di non svelare fin da subito le proprie carte, preferendo dosarle con parsimonia in tutto il disco. Non è un caso che la misura sia tra i maggiori pregi di questo lavoro. Di certo il più evidente. Nei dodici brani in scaletta (contando anche gli skit) c’è un momento per pensare (“Fortapasc’”, ispirato al film di Marco Risi), uno per rimanere incastrati in un groove funky che difficilmente si leverà dalla testa (il singolo “Exit”), uno per danzare come delle scimmiette (“Ciu-ciu”, a cavallo tra Queen, Metro Area e il “Gioca jouer” di Cecchetto - pop cretino al punto giusto) e uno per danzare e danzare e danzare (Rush Hour). E poi? Poi basta, ché l’album dura poco più di trenta minuti e rimane solo da tirare su le briciole con le dita. Contatti: www.myspace.com/biscuitsproject Giovanni Linke Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Bob Corn The Watermelon Dream Fooltribe Bob Corn ha imparato a suonare. Parlandone in giro, ci si accorge che già iniziano a formarsi le due fazioni dell'”era meglio prima” e dell'”ora sì che lo ascolto volentieri”, ma sono chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. E allora sì, a forza di andare in giro, tutti i giorni a organizzare concerti per italiani e stranieri, suonarvi di spalla, scrivere canzoni nei backstage di tutta Europa e perfino degli Stati Uniti, Bob Corn ha imparato a suonare e a comporre, e “The Watermelon Dream”, coi suoi venti minuti e le sue sette canzoncine, sta una spanna sopra a tutta la discografia del nostro barbuto menestrello di provincia, ma come gli altri suoi dischi ha in sé quella magia spicciola di cui mai ci si potrà stancare. Senti la voce tremolare attraverso i peli della barba, senti i polpastrelli che sfiorano le corde della chitarrina tutta sciupata dai viaggi e dai palchi, senti sempre quel piede che batte sul pavimento per tenere il tempo e ti immagini le ginocchia di Tiziano che si muovono eccitate e imbarazzate, mentre lui, con gli occhi chiusi, ringrazia sentitamente e attacca la prossima canzone. Ti compiaci, poi, della voce dell'amica Majirelle, perché l'hai vista suonare prima, dopo e insieme a lui un sacco di volte di volte negli ultimi sette, otto anni. Sì, Bob Corn ha imparato a suonare e molte cose, da qui in avanti, a forza di girare il mondo, imparerà. Ma siamo noi, in fondo, ascoltando la sua umiltà nel toccare la chitarra, la timidezza nel cantare e nel vederlo suonare, che non smetteremo mai di imparare da lui. Contatti: www.fooltribe.com/bobcorn Marco Manicardi Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Bord De L'Eau Fantachic Disco Dada/Venus “Rave songs e carillon sintetici. Angeli crudeli e mostri invisibili. Fidanzatine erotiche. Videogiochi e peluche.” Basterebbe questo autoritratto per inquadrare il mondo dei Bord De L'Eau. Se poi vi diciamo che la metà italiana del progetto (essendo quella francese rappresentata dalla vocalist Dorothy Chérie) è nientemeno che Mauro Guazzotti, alias MGZ, tutto sarà ancora più chiaro. Il disco con cui esordisce il duo suona esattamente come ci si può aspettare suoni un disco dance-oriented con voce femminile prodotto dal bizzarro personaggio (nel senso più vasto del termine, non vorremmo si pensasse che di sola stranezza si tratti) savonese: battuta ossessiva e techno vagamente (volutamente) démodé, predilezione per gli slogan demenziali (in francese), surrealismo lolitesco, riff di chitarra – il lavoro è prodotto da un'altra vecchia conoscenza dell'underground italiano, Roberto “Tax” Farano, Negazione, Angeli e quant'altro – e sintetizzatori centrifugati. Insomma, forse non si capisce bene se ci sia piaciuto o meno questo disco, e quanto. Certo che ci è piaciuto, e piacerà a chiunque abbia la pazienza di rapportare questa (solo apparente) techno-caciara trash allo spirito di MGZ e dei suoi adepti, vivendola come una edonistica alternativa, consapevolmente demente, a ben più prevedibili piste da ballo. Contatti: www.myspace.com/bordeleau2007 Alessandro Besselva Averame Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Caso Tutti dicono guardiamo avanti autoprodotto Ha un passato nell'hardcore-punk come batterista Caso, all'anagrafe Andrea Casali, di 30 anni, bergamasco, che, lasciato il retrovia del palco, ha preso in mano chitarra acustica e testi e musica, che strada facendo si è addolcita in un folk-rock-punk. Dopo l'album d'esordio “Dieci tracce”, autoprodotto nel 2009, e ristampato nella versione vinile + DVD da Red Cars Go Faster e Lab80 Film nel Dicembre dello stesso anno, e ancor prima i primi pezzi registrati “casarecci” nel 2006, esce ora, ancora di tasca propria, con “Tutti dicono guardiamo avanti”. Copertina che guarda la facciata di un edificio dal basso verso l'alto, indicando come si osservi da posizione di tensione il quotidiano, in quell'oggi di cui Caso ci parla per esperienza e pulsioni interiori personali. Urgenza che si avverte percorrere tutti i 9 pezzi che compongono l'album di rapida (meno di mezz'ora la durata) somministrazione, ma che lancia delle zampate che lasciano addosso dei graffi che spingono a risentire per capire, approfondire cosa spinge un trentenne a resistere, come si legge nelle sue dichiarazioni, affrontare la difficoltà di ritentare la strada dell'uscita di un album, dopo aver perso strada facendo le prime registrazioni, quindi ributtarsi di nuovo a lavoro, non accettare una sconfitta anche, inevitabilmente, economica, e ripresentarsi nell'agone dei prodotti che potrebbero passare inosservati. Del punk ha conservato l'impeto di voler prendere posto nella mischia, quella che l'ha portato a produrre un album scarno, solo voce, chitarra acustica, armonica a bocca, cori che sono echi della sua voce, per uscire il più “immediato” possibile. Pensieri che si spargono anche nel blog (fuoritono.wordpress.com), che ha aperto per raccoglie le voci che provengono dai suoi concerti. Intende la sua musica semplice e sincera, e non si reputa un musicista, Andrea Casali, ma crede in quello che scrive. Tanto da riuscire, in un album che potrebbe passare inosservato, bidimensionale al primo ascolto, a segnarti con le urla improvvise, vere e dolorose, di “Dimmi qualcosa in silenzio”, e quelle di rabbia e d'accusa, a un mondo di disinteresse, etichette, soprattutto musicale, dov'è un attimo per passare nel non pervenibile, contenute nel pezzo bandiera dell'album, “Aranciata amara”, che corre energico come le schitarrate iniziali. Caso merita come minimo col suo “Tutti dicono andiamo avanti” più di un ascolto, raggiungendo tridimensionale e concreto non solo gli orecchi di chi ascolta, ma anche cuore e pancia. Contatti: www.myspace.com/casosidistrae Giacomo d'Alelio Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Colore Perfetto L'illusione del controllo Libellula/Audioglobe Partiamo dalla nota stonata, che poi a ben vedere così stonata non è: ascoltate “Impercettibile” e diteci se non vi sembra uno straordinario apocrifo di Paolo Benvegnù, una outtake da “Piccoli fragilissimi film”. Un'innegabile parentela, molto stretta, anche se il brano è equilibrato, convincente, non un semplice calco ma anche una espressione dotata di vita propria. Gli altri brani del disco, prodotto da Giacomo Fiorenza, fanno vibrare una somiglianza alimentata dalla voce del bassista e cantante David Pollini, ma non mancano di dar prova di originalità, all'interno di un comunque collaudato rock d'autore con chitarre indie, soluzioni melodiche di ampio respiro e sicuro impatto. In un disco curato e solido, forse solamente ancora un po' incerto sulla strada da percorrere, spiccano anche e soprattutto le deviazioni dall'impianto base, ad esempio una “L'illusione” che parte con un uno-due di batteria e chitarra quasi zeppeliniano, gli stop and go di scuola Wilco di “Un Istante”, attraversata da una melodia italianissima, nella migliore accezione del termine, e soprattutto i due pezzi più coraggiosi, la lunga, macilenta e minacciosa cavalcata di “Come un'ombra”, che si apre di tanto intanto a squarci melodici, e la chiusura della lunghissima “9 A.M.”, desertica e d'atmosfera, una sorta di strumentale tamburellante e dilatatissimo, che evoca deserti stoner e miraggi lontani di Thin White Rope. Non possiamo far finta di non vedere le parentele cantautorali, ovvio, ma non possiamo che pronosticare un futuro interessante per i Colore Perfetto. Contatti: www.coloreperfetto.com Alessandro Besselva Averame Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Dotvibes Inside This Bubble Sericraft/Venus Chi scrive non è uno specialista in reggae e forse chi legge potrebbe pensare che la recensione non sia stata affidata alla persona più adatta. In realtà il motivo per cui un non specialista di reggae ritiene di poter parlare con cognizione di causa di un disco del genere è dovuto al fatto che “Inside This Bubble” dei biellesi Dotvibes – formazione con giù un curriculum di un certo peso, visto che esiste da poco più di cinque anni e nel 2008 ha vinto l'Italian Reggae Contest - è un disco reggae, sì, ma del tipo più contaminato e agile, quel genere di album che non perde i contatti con le radici, inserisce il giusto dosaggio di dub, strizza l'occhio alle evoluzioni più recenti della musica in levare, applica le ultime soluzioni elettroniche all'impasto (senza incidere sulle strutture, dotandole però di una brillantezza gassosa e diffusa) e contemporaneamente va a lambire soul e rhythm and blues (antico e recentissimo, si ascolti “You Don't Know”, riuscito esperimento dal suono internazionale), utilizzando infine l'ingrediente più importante, una sensibilità pop che fa da filo conduttore e collante. La freschezza del suono (la produzione è di Paolo Baldini), insomma, va di pari passo con una conoscenza del materiale che ha poco dell'erudizione e molto dell'utilizzo pratico, della rimessa in circolo di energia. A completare le spezie, camei di Bunna e Jacob che rafforzano un impianto già molto solido. Contatti: www.dotvibes.it Alessandro Besselva Averame Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Faravelliratti FARAVELLIRATTI Lieu Boring Machines Sono entrambi riconducibili alla musica contemporanea, Attila Faravelli e Nicola Ratti, ma ognuno a suo modo. Il primo compone per il teatro, la danza, le installazioni artistiche ed è il titolare di un “Underneath The Surface” del 2009 sposato a un'elettronica epidermica e crepuscolare; il secondo è un chitarrista dal profilo trasversale in forza ai Ronin di Bruno Dorella e attratto dall'improvvisazione ai limiti della decostruzione del suono. Uniti nel comporre una grammatica che in “Lieu” diventa parto coerente tra analogico (la chitarra amplificata) e digitale (il laptop), oltre che un'area comune di indagine per approcci musicali agli antipodi. Soprattutto dal vivo, sede in cui i suoni eterei e spaziosi del disco raggiungono forse la dimensione ideale. Staccati dall'impianto centrale dell'ipotetico club e compressi in una serie di speakers tra loro contrapposti, affiancati, sovrapposti. A sacrificare pulizia e sottigliezze sull'altare di una concretezza turbolenta legata a filo doppio all'acustica del luogo fisico. Su disco tutto questo ovviamente non si sente, ma tra parentesi glitch (“I've Witnessed”), qualche attrito inaspettato (“This Spectacle”) e un ambient che dialoga con il post-rock (“And Lacrosse Sticks”) si rimane piacevolmente in ascolto fino a fine programma. Contatti: www.boringmachines.it/artist.php?artistId=18&activeSection=biografie Fabrizio Zampighi Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Fog Prison Fiero prigioniero Trumen/Self Dopo anni di autoproduzione e paziente lavoro sul proprio territorio (Ascoli e dintorni) i Fog Prison provano a fare il salto di qualità con un album a distribuzione nazionale, impreziosito da una batteria di ospiti non banale: Dargen, DJ Skizo, Mole, Yaner dei Men In Skratch, Maxi B, nomi la cui popolarità e il valore travalica anche l'originario contesto di appartenenza, quello hip hop. Apprezzabile sforzo, così come apprezzabile la volontà di suonare un minimo diversi musicalmente rispetto al rap più canonico, intenzione esplicitamente dichiarata nei comunicati stampa (si pone infatti l'accento su questo aspetto, spiegando come le basi abbiano un approccio più musicale e più suonato rispetto all'hip hop medio). Gli apprezzamenti si spengono però al momento dell'ascolto, o comunque si smorzano abbastanza. “Fiero prigioniero” è un onesto lavoro di gente legata al rap di casa nostra più intelligente e più narrativo, questo sì. Ma un conto è riferirsi a modelli di qualità, un altro è raggiungerne il livello. Il flow infatti è complessivamente monocorde e piuttosto datato; i testi sono anche correttamente sviluppati e con la volontà di una visione lucida e consapevole, ma mancano di quei momenti di irregolare follia o di violenta emotività che servono come l'ossigeno ai rap (troppo) intelligenti; la parte musicale è un po' monocorde, poco dinamica, eccessivamente legnosa nella ritmica sia come suoni che come struttura. Non è bello recensire così poco positivamente il lavoro di gente animata dalle migliori intenzioni, ma purtroppo anche in musica può funzionare quello slogan da maglietta per cui i bravi ragazzi vanno in paradiso, ma quelli genialoidi e stronzi rischiano di andare in posti molto più interessanti. Insomma, “Fiero prigioniero” sarà più facilmente una cartolina con cui i Fog Prison certificano a se stessi e a chi li conosce già le proprio qualità, piuttosto che un lavoro che ne svolterà la biografia. Contatti: www.myspace.com/fogprisonmusic Damir Ivic Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Germanotta Youth The Harvesting Of Souls Wallace/Audioglobe L'omaggio è evidente: Lady Gaga è la nuova Madonna, e proprio come i Sonic Youth in libera uscita di più di un ventennio fa, convocati alcuni amici e ribattezzatisi Ciccone Youth per prendersi gioco e al contempo omaggiare le forme espressive più disimpegnate della popular music, i Germanotta Youth (dal cognome della ormai imprescindibile Lady) di Massimo Pupillo (Zu), Andrea Basili (impegnato dietro i tamburi) e Reeks (addetto a suoni sintetici e al sampling) prendono le propaggini della musica estrema e le rifrullano con spirito ludico ma rigoroso, senza rinunciare agli obbiettivi artistici ma dimostrando anzi che giocare, in senso lato, resta il modo migliore di assecondarli e nutrirli. In questo “The Harvesting Of Souls”, mezz'ora densa e fitta di impulsi e stimoli, si incontrano battaglie impossibili tra ritmi sintetici e batterie, come in un videogioco-sparatutto postnucleare (“Honey Bee Depopulation Syndrome”), drum machine isteriche lasciate ad esaurirsi su scenari desolati, bassi e suoni sintetici che litigano su basi ossessive e martellanti (il protometal ipercinetico della title track), field recordings provenienti da luoghi affollati. In sintesi, un disco a tratti ostico ma mai noioso, una specie di saggio di noise estremo affidato ad un manipolo di teenager privi di sovrastrutture troppo vincolanti, con uno spirito mai ostentatamente iconoclasta ma sempre divertito (con titoli come “A Closer Look To The Mind Of And Soul Of Pope Benedict XVI” o “Draconian Measures, A Letter To Lady Gaga” che non necessitano di ulteriori spiegazioni). Contatti: www.myspace.com/germanottayouth Alessandro Besselva Averame Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Glitterball We Couldn’t Have Dreamed It Seahorse/Audioglobe Riuscire a mordere utilizzando l’elettronica mescolata al rock come vessillo è affare che decantano in molti, ma che in pochi sanno maneggiare veramente. Il rischio più scottante è quello di cadere nell’anonimato più bieco, e i Glitterball non sono riusciti a sfuggire da questo demone che assale fin troppe band odierne, confezionando un disco disomogeneo e poco ispirato, in cui la bussola impazzita dalla commistione stilistica non sa bene dove andare a puntare l’ago, sempre in bilico tra i due poli del rock classico e dell’elettronica pacchiana. Di sbagliato c’è innanzitutto l’approccio, fin troppo manieristico, con cui i Glitterball si accostano al crossover di stili. Si passa dall’imbarazzante tastierina di “During Easy Conversation”, ipotetico frutto di una improponibile collaborazione fra Subsonica, Van Halen ed una cover band grunge (uno dei peggiori incubi che attanagliano la mente fantasiosa di Beck), all’andamento profetico à la Stone Roses di “Into My Head”. Qualcuno ricorda ancora le meteore degli anni Zero The Music? Band di Leeds dall’esordio fulminante e dal seguito sterile? Ecco, i Glitterball ricordano i The Music transgender e dai larghi confini. “We Couldn’t Have Dreamed It” ha la pecca di suonare fin troppo plastificato, incellophanato e messo sottovuoto da inserti elettronici eccessivamente invadenti e preconfezionati. Un album liofilizzato, dove nemmeno l’acqua bollente ed il dado Star potrebbero donargli la forma ed il gusto originale. Contatti: www.myspace.com/glitterballband Luca Minutolo Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Guido Maria Grillo Non è quasi mai quello che appare AM Productions Guido Maria Grillo si propone al mondo utilizzando l'altisonante etichetta di “cantautore d'avanguardia” e, ascoltando il suo secondo album, seguito dell'esordio omonimo di un paio di anni fa (approdo di un percorso personale e musicale già significativo), non si può che accettare la definizione. Cantautore, perché certe atmosfere e certe melodie sono figlie di un cantautorato antico, classico, colto, vagamente arcaico. D'avanguardia perché la voce si trasforma in uno strumento in sé (qualche punto di riferimento, in lontananza: Thom Yorke, Antony, Buckley padre), e la strumentazione che verrebbe da dire cameristica, visto l'ampio uso di pianoforte e archi, si piega e si deforma per assecondare gli sbalzi espressivi della voce, senza sfuggire di mano (tranne forse “Una canzone per me”, tra Battiato e Francesco Di Giacomo, un poco vittima di eccessi e svolazzi). Rispetto all'esordio, le canzoni di “Non è quasi mai quello che appare” ci sembrano in ogni caso più asciutte e a fuoco (includiamo nel conteggio una splendida versione de “Il sogno di Maria” di De André, una bella prova di originalità interpretativa): forse viene un po' a mancare l'effetto sorpresa, e le soluzioni “ai limiti” dell'autore difficilmente piaceranno a chi non ama un certo genere di teatralità espressiva. Resta il fatto che costui produce una musica e un immaginario assai peculiari, perseguendo il suo obbiettivo con coraggio, senza prestare troppa attenzione a quel che tira di più in questo momento. Dovremmo, in buona sostanza, tenercelo stretto. Contatti: www.guidomariagrillo.it Alessandro Besselva Averame Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Il Garage Ermetico Pugni nell'aria Fumaio Due ragazzi della "verde" (in tutti i sensi) provincia bergamasca si trovano e iniziano a sperimentare suoni di matrice elettronica. Poi, e qui sto lavorando di fantasia, succede che prendono la consapevolezza del posto in cui vivono (l'Italia), capiscono che qui siamo tutti un po' fregati e, questa la sparo grossa, si ascoltano l'album de Le Luci della Centrale Elettrica; cambio di direzione, innesto di due elementi ed ecco che nasce l'odierna incarnazione de Il Garage Ermetico e questo "Pugni nell'aria". Un paio di plausi innanzitutto: per la scelta del nome - Moebius non si discute, si ama - e per il coraggio di essere "politici" senza se e senza ma. Una politica vuota di slogan ma ricca di sensazioni, che ben si sposa con le ritmiche tese ed una chitarra a tratti lancinante e che stimola a pensare, ad interrogarsi senza per forza fornirti una bandiera od una ideologia fine a se stessa. E che bella la dedica a John Cassavetes! Una bella storia con una bella etichetta discografica, la Fumaio, che sta facendo cose egregie per valorizzare, permettetemi il termine a la "Linea verde", le "eccellenze del territorio". La strada imboccata da Il Garage Ermetico è quella giusta, alla faccia di chi dice che il cantautorato è morto ed il rock non si impegna più nel sociale. Contatti: www.myspace.com/ilgarageermetico Giorgio Sala Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Ismael Due autoprodotto Poco più di un paio d’anni fa – era il febbraio del 2009 – avevamo lodato in questa stessa sede il debutto omonimo dei reggiani Ismael, la nuova creatura dello scrittore Sandro Campani, ex chitarrista dei Sycamore Tree. Lodi che volentieri spendiamo anche per quest’opera seconda, in cui la formula della formazione non subisce scossoni straordinari (anche se nella line-up ora figura anche un sassofonista, i cui interventi sono comunque sobri e misurati) ma sfoggia una maggiore solidità. Pure stavolta a reggere il gioco ci sono la chitarra acustica di Campani e l’elettrica di Giulia Manenti (anch’essa con un passato nei Sycamore Trees), il cui incontro genera con pari efficacia tensione o malinconica dolcezza, mentre la voce di Sandro disegna con tratti decisamente personali linee melodiche ben compiute e testi di buona profondità, intrisi di intimismo e quotidianità. E, a completare il tutto, una sezione ritmica che interviene soltanto quando serve e i cori dell’ex Fiamma Fumana Silvia Orlandi. Ciò che ne esce è un quadro ben definito, ricco di dettagli e sfumature, maturo e di qualità, che meriterebbe una visibilità ben maggiore di quella ottenuta finora, a partire dall’ambito che maggiormente gli si adatta, quello del rock d’autore. Contatti: www.myspace.com/ismaelband Aurelio Pasini Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Jang Senato Lui ama me, lei ama te Pippola/Audioglobe L’etichetta Pippola continua nel pregevole intento di dare spazio a emergenti dediti alla pura e semplice forma-canzone. Materiale, in realtà, difficile da maneggiare, dato che per colpire nel segno presuppone robustezza compositiva e melodie memorabili. Gli Jang Senato, quintetto proveniente dall’Appennino Romagnolo con un passato che affonda le radici nei Daunbailò, vanno così ad aggiungersi a un catalogo che schiera già Brunori SAS, Dimartino o Dilaila. Lo scopo dichiarato è rifarsi al recupero della musica leggera, talvolta snobbata a favore di soluzioni artificiosamente cervellotiche. Bene, che avere le idee chiare è sempre positivo. Per di più, “Lui ama me, lei ama te” - non a caso ottenuto dalla sintesi di un antecedente, omonimo biglietto da visita autoprodotto - si articola in dieci brani per poco più di mezz’ora di durata, scorrendo con senso della misura e assoluta piacevolezza. Ritornelli orecchiabili, testi che procedono per immagini tratte dal quotidiano, arrangiamenti che propendono per un’essenzialità curata nei minimi particolari e il cantato vagamente stralunato di Davide “Gulma” Gulmanelli determinano la buona riuscita del tutto, dall’immediata “La bomba nucleare” al singolo “Respirare”, dalla scoppiettante “L’americano” (che cita Battisti con ironia) alle ariose ballate “Un tempo” e “Io e te” o alle ritmiche sintetiche di “Tempi buoni”. Pezzi che potrebbero benissimo funzionare in radio, magari!, e che, specchio dei tempi, richiamano a più riprese il cantautorato pop di Dente e affini. Contatti: www.jangsenato.it Elena Raugei Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Jimi Barbiani Band Back On The Tracks Andromeda Relix Rischioso mandare in stampa un album come “Back On The Tracks” dalle nostre parti, dove manca quasi del tutto un pubblico capace di sostenere un’ipotetica scena “southern rock” o simil tale. Eppure l’Italia è tutt’altro che priva di talenti in questo senso: esempio lampante gli udinesi W.I.N.D., power trio che non ha niente da invidiare ad altre più blasonate compagini d’oltreoceano e che sovente ha incrociato i ferri con nomi del calibro di Marc Ford e North Mississippi Allstars. E’ proprio dall’organico dei W.I.N.D., di cui è stato per lungo tempo il chitarrista, che proviene Jimi Barbiani, qui al suo esordio solistico con il supporto di J.C. Cinel (a sua volta titolare di una lunga carriera tra prog e roots-rock) per le linee vocali. Incuriosisce molto l’eterogeneità della scaletta, tale da rendere arduo mettere a fuoco una linea precisa tra roboanti cavalcate hard jam alla Gov’t Mule (gli undici minuti di “Good Morning”) e più convincenti strizzate d’occhio ad un country blues resofonico (“Street Of Love”) piuttosto che trasfigurato in mesmeriche ballate da bivacco (“The Day Of The Witch”). Come di consueto non mancano un paio di doverosi omaggi: da una “Supersition” che continua a suonare sudata da strizzare, fino al Billy Gibbons della non troppo nota “Sure Got Cold After The Rain Fell”, uno slow già riproposto anni fa da Buddy Whittington. Un disco di certo assai apprezzabile per gli amanti del genere, a tratti penalizzato però dalla tentazione di inseguire suggestioni un po’ troppo diverse tra loro. Contatti: www.myspace.com/jimibarbiani Carlo Babando Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Kalafro Resistenza Sonora Relief Un po' come se fossero tornati i tempi delle posse. Da un lato fa strano, perché sembra veramente di essere finiti in uno strano buco spazio-temporale (quell'esperienza è stata tanto intensa allora quanto dimenticata successivamente); dall'altro è molto piacevole. Piacevole, perché ritrovarsi ad avere a che fare con una musica e soprattutto dei testi che non hanno paura ad essere smaccatamente politici, ai limiti dello sloganismo e dello luogocomunismo, è una boccata d'ossigeno dopo tutti questi anni di ripiegamento sul personale e/o su un immaginario poetico-astratto-emotivo. Sì, un po' ci vuole. Anche perché in nessun modo si possono accusare quelli del collettivo Kalafro di essere opportunisti: nei primi anni '90 ad un certo punto si gettava nella faccenda posse anche il lattaio sotto casa, con la speranza di essere invitato in televisione dalla Dandini, nel 2011 non può che essere una scelta convinta che, sulla carta, può portare molti più svantaggi che vantaggi. “Resistenza sonora” è piacevole anche per un altro motivo, altrettanto sostanziale: usa sì le solite armi di rap, reggae e raggamuffin', ma le usa bene, con un alfabeto sonoro che se da un lato paga evidenti omaggi ai modelli originari, dall'altro è curato bene e non ha niente di certo sconfortante ed esplicito dilettantismo (che è quello che affossò il grosso della faccenda posse). Insomma, parere decisamente positivo per questa operazione. Lo meriterebbe già per un'altra scelta di fondo, quella di legarsi all'attività del “Museo della 'ndrangheta” (“Un'operazione culturale [...] che si occupa di ricerca, analisi, attività e programmazione sul territorio con il fine di realizzare una conoscenza oggettiva della mentalità diffusa su cui l'elemento criminalità organizzata attecchisce”), così come per il coraggio di suonare pop e comprensibile pur essendo schieratissimo e (contro?) culturale. Contatti: www.kalafro.it Damir Ivic Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 La Fonderie Downtown Babele autoprodotto Non so molto dei La Fonderie, se non che sono all’esordio, sono autoprodotti e che vorrebbero toccare il cielo con la musica ma si dichiarano già sconfitti in partenza. E’ un buon inizio. Ed è un buonissimo inizio anche “Cosa guardi in TV”, un’ode al contrario del mezzo televisivo, un bel pezzo tirato cui raccomando l’ascolto in periodo post-Sanremese. Il resto del lavoro poi si dipana sui binari abbastanza canonici di un rock in italiano in cui a prevalere sono i momenti controllati, e dove ogni tanto ci si imbatte in ritmiche 4/4 quasi dance (“Esseri umani”, un potenziale singolo) o negli inserti pop di “Ipnopolizia”. Il cantato è buono ed i testi sanno essere espressivi senza scadere nel banale, peccato solo per qualche brano non perfettamente a fuoco, non mi fanno impazzire “Come scivola un vestito” e “Autostrade”, perché le potenzialità ci sono. Cosa manca ai La Fonderie? Qualcuno che creda in loro ed investa tempo e denaro, son quasi pronti per il grande salto. Contatti: www.myspace.com/lafonderieband Giorgio Sala Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Labirinto di Specchi Hanblecheya Lizard/Bft Dopo alcuni di attività e il demo “La maschera della visione”, debuttano ufficialmente il Labirinto di Specchi, che sin dal nome rimandano all’epoca d’oro del pop italiano, quando Le Orme, Banco e PFM dominavano le classifiche. Ma il cordone ombelicale non si limita a richiamare uno stile omaggiato ancora oggi da moltissimi gruppi, non solo nazionali, perché il quartetto di Siena, che impone alle proprie composizioni un taglio strumentale, ha scelto come voce narrante quel Paolo Carelli, noto nel giro, per aver dato voce nei Settanta all’unico capitolo discografico dei Pholas Dactylus, “Concerto delle menti” (recentemente ristampato e dai contenuti incredibilmente attuali, a testimonianza della sensibilità lirica del Capelli), e che anche tra questi solchi sembra possedere il tocco magico di individuare in poche frasi, mali, vizi e virtù di un uomo, di un mondo che cambia per restare uguale. Chiaramente la scrittura ha elementi nuovi e al prog si aggiungono tratteggi di post rock e qualche . Non sempre tutto è fluido, ma “Hanblecheya” (un rituale Lakota per chiedere una visione, che possa aiutare scelte future; e quanto ce ne sarebbe bisogno oggigiorno di una visione chiarificatrice) resta un album bello e spiazzate, colto senza essere austero. Siate curiosi, potrebbe piacervi anche se non siete cultori del prog rock. Contatti: www.myspace.com/labirintodispecchi Gianni Della Cioppa Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Lino Straulino L'alegrie Nota Lino Straulino aggiunge un altro tassello a una splendida, ormai ventennale, carriera. Poeta valligiano della Carnia, Straulino taglia il traguardo del mezzo secolo (auguri!) con incantevole giocosità: “L'alegrie” è una collezione di dodici brani tradizionali, cantati in lingua friulana, tutti riarrangiati in chiave country-blues. Disco suonato in totale solitudine, anche se non si direbbe affatto: Lino alterna e sovraincide banjo (lo strumento principale di “L’Alegrie”), chitarre a 6 e 12 corde elettriche e acustiche – tra cui una Gibson del ’69 ereditata da un vecchio freak californiano –, basso, armonica, percussioni, vibrafono e persino scacciapensieri. Il blues del delta del Tagliamento si declina in gospel “santified”, da chiesa battista (“Chê di Mieli”), in ballate crepuscolari (“Chê da las gnoces”), in bluegrass pizzicati (“Chê di Sudri”), persino in cineserie (“Chê dai pulcs”). Il folksinger friulano canta la vita, la bellezza di tutto quello che è più semplice e a portata di mano, solito e caro: la giovinezza, la montagna, il vino, il sabato, i grilli, il caffè, Udine. E naturalmente Sutrio, l’antico borgo che gli ha dato i natali e nel quale vive. È un sincretismo divertente e vitalissimo, quello a cui dà vita il country carnico di Straulino, con ambientazioni alcoliche da saloon (“Chê dal vin”), rodeo soleggiati (“Chê da l’alegrie”), meriggi vagamente alla Sergio Leone (“Chê dal gri”). Sempre con felicissima vena, quasi che l’età portasse in dote a Lino Straulino non ripensamenti e ombrosità, ma piuttosto una leggerezza sorridente. Che forza, il Tagliamento Blues! Contatti: www.myspace.com/linostraulino Gianluca Veltri Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Luigi Mariano Asincrono autoprodotto Luigi Mariano, ovvero un cantautore che ha fatto sua la lezione di Rino Gaetano ed Edoardo Bennato in quanto ad ironia, ma che non nasconde la classe e la potenzialità vocale raffinatissima di Francesco De Gregori. Il suo disco d’esordio, “Asincrono”, è una bella dimostrazione di tutto questo. Parte con l’allegria de “Il giorno no” ma subito dopo la butta in polemica politica con “Il negazionista”, passa dalla graffiante “Rai libera!” alla personale, toccante, tristezza di “Edoardo”. “Questo tempo che ho”, “Solo su un’isola deserta” e “Il singhiozzo” rientrano in questi canoni, giocando fra la critica feroce e la burla. Nell’ultimo caso il ricordo arriva addirittura a Giorgio Gaber, di cui Mariano è evidentemente innamorato. “Asincrono” è l’episodio più riuscito del disco, la fotografia perfetta di questo cantautore nuovo in tutti i sensi, nel panorama attuale italiano. “Non ti chiamerò” è una storia d’amore, seguita dalle notevoli “Il solito giro di blues” e dalla necessaria “Cos’avrebbe detto Giorgio?”. Con “Canzone di rottura” si torna all’ironia, mentre “Intimità” chiude un progetto ben costruito, ben suonato, lineare, coerente, da autore completo. La musica è raffinata ma divertente, mai noiosa, e calza a pennello sui testi non indifferenti dei brani. Da tempo impegnato anche nelle traduzioni in italiano e nella conseguente riproposizione di diverse canzoni di Bruce Springsteen, il ragazzo di Roma farà certamente parlare di sé, ma ovviamente solo all’interno della ristretta cerchia del cantautorato italiano autoprodotto. L’unico spazio che ormai sembra rimasto a tutti gli artisti di talento nel nostro bel (?) Paese. Contatti: www.myspace.com/luimariano Marco Quaroni Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Mauve The Night All The Crickets Died Face Like A Frog Giunti al secondo parto discografico, i verbanesi Mauve si lasciano accompagnare per mano da Andrea Rovacchi, produttore e manipolatore dei viaggi lisergici dei Julie’s Haircut. Strisciando nelle lande devastate dai feedback lancinanti di casa Sonic Youth, il quartetto viene intaccato dal germe di un senso melodico dal tatto trascinante, dove accordi prettamente punk pop sfociano in cavalcate noise dissonanti e fragorose, ammaestrate dalla rigidità new wave inglese. Colpiscono nervi scoperti la spavalderia e la capacità di saper dare adito con la giusta dovizia a queste due (o più?) anime tormentate che convivono nei Mauve, accartocciandosi l’una sull’altra generando una sfera di suoni senza grinze. Fanno da contrappunto “Ahab” (che sembra fuoriuscire direttamente da “Dry”) col suo finale in preda agli spasmi, “Ludovico” morsa dalla ritmicità marziale della new wave che sfocia in ritornelli pop punk appiccicosi, o nell’angst-noise di “Grasshopper In Your Hands”. Anche dove la tensione scende momentaneamente, la band dimostra personalità e sentimenti a cuore aperto, infilandosi nelle fitte trame shoegaze di “Decay” e nelle sinistre atmosfere spectoriane di “Hang Over”. Territori e suoni a loro modo affini, che in “The Night All Crickets Died” trovano la giusta amalgama ed il collante adatto a tenere in piedi un disco privo d’incertezze. Caratteristiche che delineano una band sì derivativa, ma che riesce a brillare di luce propria e di una personalità che esce fuori senza troppa timidezza. Un disco italiano che non ha – fortunatamente, visto il contesto – nulla di italiano. Contatti: www.myspace.com/feelmauve Luca Minutolo Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Med In Itali Bruco Hertz Brigades/Mood La copertina del CD è una farfalla blu, il titolo è “Bruco”: l'associazione mentale è facile, non la spieghiamo. Dentro al CD, invece, questo ve lo spieghiamo, ci sono sei canzoni, per un totale di venticinque minuti, che sono il seguito dell'EP “Soluzione”, esordio dell'anno scorso. Nelle canzoni, infine, c'è un basso esageratamente funky, una chitarra nervosa e poco presente, una batteria e una voce anch'esse molto funky, con tanto di spostamento d'accenti e melodie sghembe, e un sax abbastanza invadente che copre un po' tutto il disco e che, alla fine, diventa quasi antipatico. Ora, non è che noi si voglia tagliare le ali ai torinesi Med In Itali, però l'associazione mentale che ci eravamo fatti all'inizio, quella della farfalla e del bruco, viene un po' a cadere, e sembra quasi che il bruco stenti a bucherellare la sua crisalide, rimanendo imbrigliato in un canone funky anche un po' cantautorale, ma decisamente inquadrato e con poco brio. Impeccabili gli arrangiamenti, anche dove rimangono volutamente sporchi. Ma non bastano, probabilmente, per spiccare il volo. Contatti: www.medinitali.info Marco Manicardi Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Owls The Night Stays Rare Noise C'è poco da fare: se avete anche solo un'oncia di simpatia per la wave darkettona anni 80 la voce di Tony Wakeford dei Sol Invictus non potrà che suonarvi inevitabilmente seducente. Tanto più che il nostro amico pare ormai definitivamente fatto pulizia delle stronzate in gioventù (iscriversi al British National Party, citare a cazzo Evola, flirtare pesantamente con la galassia neo-fascista facendoci pure l'attivista). La deriva di certa dark wave e di tutto il caravanserraglio neo-folk verso il nazistoidismo è una barzelletta che non ha mai fatto ridere, è bene ripeterlo sempre e comunque conservandone memoria, senza limitarsi a certe asettiche ed aproblematiche ricostruzioni da comunicato stampa. Nel progetto Owls Wakeford comunque si è preso dei compagni di viaggio al di sopra di ogni sospetto, gli italiani Eraldo Bernocchi e Lorenzo Esposito Fornasari. Il primo, soprattutto, è uno dei best kept secret della scena nostrana, musicista e produttore in grado di parlare da pari a pari con alcuni dei maggiori jazzisti e sperimentatori a livello mondiale. La sua mano si sente: l'uso dell'elettronica è elegante ma si accompagna sempre e comunque ad una cultura musicale che incorpora la wave anni 80 per frequentazione diretta e non solo per sentito dire. Il risultato è un disco che riesce a suonare abbastanza attuale e strettamente filologico al tempo stesso. Un ibrido tra folk, new wave e trip hop dove forse mancano picchi compositivi eccelsi ma dove la qualità è comunque costante ed interessante. Brano più riuscito è “The New Parade”, dove si incontra il miglior equilibrio tra voce, arrangiamenti e cambiamenti dinamici della struttura del pezzo – insomma, è la traccia più fluida e al tempo stesso la più affascinante. Riassumendo: cibo per nostalgici ma con una qualità e una vivacità creativa sufficiente a non farsi derubricare come stanco revivalismo, accattivante bignami per i giovinetti che certe sonorità le hanno conosciuto solo per sentito dire (tipo grazie ai DJ da circolo ARCI che, almeno una volta a sera, un pezzo dei Joy Division nei loro set lo mettono). Contatti: www.rarenoisestore.com Damir Ivic Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Phaedra Ptah autoprodotto Abbracciando la soluzione del concept album, fra le più tipiche e storicizzate dell’epopea del progressive settantiano, i trentini Phaedra confezionano finalmente il loro ufficiale debutto discografico, a coronamento di un’attività quasi ventennale. “Ptah” è un racconto in musica che covava da anni nelle intenzioni e nelle composizioni di Claudio Bonvecchio (basso, chitarre acustiche), Stefano Gasperetti (chitarre, tastiere), Claudio Granatiero (voce, testi), ipotesi di un pianeta distrutto da cui fuggire. Dunque il distacco ed il viaggio verso un nuovo mondo per il protagonista Ptah e suoi simili diventa inevitabile. E allora via, attraverso la leggenda di Atlantide, con appresso un bagaglio di malinconica nostalgia, lasciandosi cullare da fragranze elettro-acustiche, in un viatico sinfonico a tinte folk, arricchito da violini e flauto, in un gradevole gioco di intarsi. Il peccato originale del rock progressivo (detto con ironia, perché ibridazione e contaminazione dovrebbero comunque far parte di una cultura musicale aperta), ovvero l’incontro tra rock e musica classica, concede dunque nuove fascinazioni, nel caso dell’ensemble trentino senz’altro impreziosite dalla sezione “cameristica”. Un connubio da cui scaturisce una buona unitarietà stilistica, certamente debitrice, crediamo con orgoglio, di nomi come Yes (la timbrica e la vocalità di Granatiero ad esempio, pur non sempre ottimale), Genesis, Le Orme, ricca di momenti spesso pastorali, a volte pieni di enfasi. Il viaggio, invero un tantino estenuante (75 minuti), non persegue del resto brame di originalità, bensì accoglienti ed evocative tessiture e melodie. Sonorità dunque epiche e rassicuranti dunque, più della controversa avventura di Ptah, che infine fugge dagli esseri umani, deluso dall’odio e dalla propensione alla guerra in cui ricadono ineluttabilmente. Quanto basta per poter dare invece un convinto benvenuto ai Phaedra nel mondo (discografico) dell’art-prog-rock, assieme a ragguardevoli concittadini come i Runaway Totem e gli Universal Totem Orchestra. Tutte storie tuttora attive, mica da poco. Contatti: www.phaedramusic.it Loris Furlan Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Public Oracolo Lavorare Stanca-Fosbury/Audioglobe Si sente un po' la mancanza, nel panorama musicale della penisola, dei Northpole, band protagonista di una coraggiosa evoluzione in direzione di un pop sofisticato e immediato allo stesso tempo, cantato in italiano, che non ha mai raccolto quanto seminato in una lunga gavetta. I Public colmano in qualche modo quell'assenza, ma per vie differenti, al di là della presenza in formazione di Paolo Beraldo, voce e chitarra del gruppo veneto. Il talento pop, l'immediatezza spigolosa dei Northpole si immerge in un panorama più vario, che ama indulgere in deviazione e cambi di atmosfera, mettendo insieme una certa stilizzazione new wave con, ad esempio, assoli di chitarra vagamente jazzati ma robusti, mai eccessivi, comunque densi e corposi (un nome che ci viene in mente a tratti? Karate), facendo supervisionare l'operazione a Fabio Del Min dei Non Voglio Che Clara, il quale si spinge e rinforzare con (azzeccatissimi) fiati e tastiere vintage la sofisticata “Storia di una ballerina”. Fiati che si fanno ancora più robusti e quasi funk ne “Il Lato magico della strada”, mentre “Nel 2020” spinge fino a fondo l'animo rock del progetto. Difficile scegliere il meglio tra canzoni tutte quante di buona caratura, ciascuna ha il pregio di indagare una atmosfera particolare senza perdere di vista una scrittura mai banale. Contatti: www.publicmusic.it Alessandro Besselva Averame Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Rusties Wild Dogs Tube Jam/Egea Sbagliato considerare “Wild Dogs” l’opera seconda dei Rusties, dacché il gruppo lombardo, prima di quel “Move Along” che nel 2009 gli faceva conoscere alfine i meritati fasti, aveva già alle spalle una solida carriera internazionale come “tribute band” di Neil Young foriera di ben quattro tacche sul fucile (dettaglio non da poco se si considera che il disco sarà distribuito dalla Egea in Italia e nel resto del mondo dalla stessa Glitterhouse che ha in catalogo Wovenhand e Willard Grant Conspiracy). Lungo gli undici episodi di “Wild Dogs” – la cui lingua continua a essere l’inglese ma che pare già suggerire tra i solchi un potenziale tutto (in) italiano – “i rugginosi” seguitano a macinare un convincente rock di matrice americana in cui le consuete coloriture westcoastiane vengono ora scalfite con gusto da stuzzicanti intuizioni pop e funk (l’accalappiante “Lose My Love” su tutte). Merito di un organico oramai totalmente in grado di misurarsi con generi non sempre affini senza sacrificare la propria cifra stilistica, che per quanto per sua stessa natura derivativa risulta comunque piacevole e in qualche modo “completa”. Ma, va detto, merito anche di una produzione (quella dello stesso Marco Grompi, voce e penna principale) che ottimamente si destreggia tra country e folk, pennellando di violino e cori inebriati d’Africa le parentesi più introspettive (“Oh Rory”, dedicata a Rory Gallagher) e incendiando di chitarre distorte quelle più aggressive (“The Ungrateful Child”). Un approccio viscerale e appassionato quello dei Rusties, che facilmente fa chiudere un occhio su qualche ingenuità. Contatti: www.myspace.com/rustiesband Carlo Babando Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Saint Lips Charm Dcave/Audioglobe Dopo l’esordio “Like Petals”, acclamato dalla critica e dai favori del pubblico, i Saint Lips si sono trovati ad affrontare il fatidico secondo album, che non è il terzo - traguardo con il quale o si salta l’ostacolo o (spesso) si muore – ma rimane un punto di arrivo ugualmente importante, soprattutto se si ha la necessità di confermare e magari migliorare quanto di buone sin qui fatto. A conti fatti “Charm”, registrato alle Officine Meccaniche di Milano, supera la prova, e il quintetto romano, guidato in fase di produzione da Bobby Macintyre e circondato da ospiti importanti anche internazionali, sfodera una buona personalità, senza stravolgere il proprio stile, che rievoca REM, Pixies, certi Nirvana meno incalzanti, ma altresì un pop rock dal taglio femminile, tipo Garbage e Blondie, rievocato dalla voce passionale e sicura di Valentina Barletta. Curiosamente i Saint Lips sono stati definitivi sia vintage che moderni, a testimonianza dell’imprevedibilità del loro suono. Tra i dodici pezzi che addobbano “Charm”, il mio gusto vi suggerisce l’opener “Saviour”, “Summer Rain”, “White Fly” e l’andatura vagamente dark di “Angel”. Senza compiere l’auspicato salto di qualità i Saint Lips riescono comunque a testimoniare il loro ottimo stato di forma e la qualità di certo rock a tutto tondo italiano, ma proiettato da tempo fuori dai nostri confini. Contatti: www.myspace.com/saintlips Gianni Della Cioppa Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 SansPapier Manuale d’uso per giovani inesperti Imago Sound Ciò che colpisce subito di “Manuale d’uso per giovani inesperti” è la particolare confezione digipack, che si apre con tanto di corposo libretto con testi ripartiti tra prefazione, capitoli, epilogo, glossario e indice. Una scelta che suggerisce grande attenzione per l’uso della parola, approcciata con ottica sia cantautorale sia ironica. Al primo album a seguire l'EP “SettevolteZeta” del 2007, i SansPapier vogliono perseguire due obiettivi: fare pop-rock e farlo giocando, allontanandosi da ogni possibile punto di riferimento. Mica facile, eh. L’aiuto in studio di Ottavio Leo ha spinto verso una strumentazione che ingloba persino vocoder e percussioni giocattolo, ma le frecce al proprio arco sono attitudine stravagante, energia comunicativa, efficace utilizzo della voce femminile e maschile. Valeria, Già, Antonio, Andrea e Vincenzo teorizzano che “I Giovani Inesperti non sono ancora spaventati” bensì “casti e puri nella loro natura”, mentre i “Giovani Esperti e gli adulti teorizzano paure” concludendo che “Il disagio non è giovanile, è adulto!”. Tutto apprezzabile, così come la freschezza con cui si succedono le nove tracce in scaletta, sebbene non sempre le ciambelle riescano con il buco e a volte l’interesse provenga più dalle gustosissime citazioni che non dai risultati compositivi. L’imperfezione, del resto, fa parte di una ricetta con retrogusto fra Üstmamò, Mariposa, Piet Mondrian e S.U.S.. Una maggiore esperienza potrebbe rivelarsi a sorpresa il valore aggiunto delle prossime mosse. Contatti: www.myspace.com/sanspapierband Elena Raugei Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Sursumcorda La porta dietro la cascata Egea Quando ti ritrovi fra le mani il doppio CD dei Sursumcorda “La porta dietro la cascata”, con la sua elegante custodia cartonata, semplice e perfetta nella veste tutta bianca, dopo aver sorriso pensando a un “White Album” italiano, viene da maledire il conclamato de profundis al supporto fonografico e il downloading, con la sensazione di trovarsi al cospetto di uno scrigno pieno di perle preziose, musicali ed emozionali, da custodire amorevolmente fra le nostre cose care. Sia chiaro, non è solo la confezione, ma soprattutto il sospetto e la cognizione preventiva, già conoscendo quanto di poetico e di incantevole ci aveva fatto conoscere il quintetto toscano coi precedenti “L’albero dei bradipi” e “In volo”. E’ dapprima una questione di sensibilità, di magia, di scrittura, poi ogni canzone o brano strumentale fa chiarezza da sé, con stupefacente equilibrismo tra mestiere, talento e leggerezza , tra umori folk e arrangiamenti finemente cameristici o velati delicatamente di jazz. “La porta dietro la cascata” disvela antichi amori sopiti, con la voce da fragile, ma sicuro, crooner cantautoriale di Giampiero “Nero” Sanzari (sovviene il poetico intimismo di Paolo Benvegnù a flirtare col Capossela più malinconico) a suo agio fra scenari acustici da piccola orchestra, a raccontare della “Bambina che schiaccia i pinoli”, de “La valigia di cartone”, di una “Nascita nuova” e di amori de ”Il Palazzo”. Tante immagini e melodie toccanti, rafforzate dagli archi filmici ed evocativi, dalle chitarre che duettano sottovoce col piano verticale. Una dimensione strumentale che diventa efficacemente esaustiva e protagonista nelle dodici tracce denominate “Frattale”, di cui nove sono parte del secondo cd, a ribadire la straordinaria, struggente bellezza espressiva dei Sursumcorda, in prospettiva finemente e fantasiosamente filmica, non a caso dediti da anni a musicare documentari d’arte (citiamo la mostra su Liu Bolin, l’artista “Camaleonte”, che ha utilizzato le musiche di questo cd). Con o senza parole, la meraviglia e la poesia sempre alla grande, senza flessioni, arricchite pure da ospiti pregevoli come Massimo Germini (charango e bouzouki, già con Milva, Van De Sfroos, Vecchioni) e Gianfranco Grisi, cristallarmonicista di Capossela. Contatti: www.sursumcorda.it Loris Furlan Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Tetuan Tela I Dischi del Minollo/Brigadisco/Onlyfuckingnoise I fermani Tetuan sono un power-trio invischiato nelle limacciose acque del post rock dagli angoli acuti e pungenti. Tela, loro disco d’esordio, ha i tratti indefiniti di un EP di rodaggio che affila sei sferzate noise rock psicotiche e corpulente, come la compianta Touch And Go ci ha imboccato per anni. Laddove le interazioni tra chitarre abrasive, bassi distorti e batterie incalzanti costruiscono un rock nervoso, aggressivo, colmo di contrappunti ritmici (“Dylan Dog” colpisce dritta allo stomaco senza far complimenti) e dissonanze elettriche, il trio difetta di personalità nelle febbrili cavalcate strumentali (“Dio? Solo un allucinazione sonora”), in cui la totale assenza di apporti vocali pesa sulla scorrevolezza di un disco lineare, avido di decisivi colpi di scena. Inoltre, negli episodi in cui la tensione scende, i Tetuan non riescono a rimanere a galla tra le maree post rock psichedeliche da cui si lasciano trascinare, come nella ossessività reiterata di “La tregua” o nel Post Rock accademico di “Apolide”. Chiude il giro l’intreccio di dissonanze e turbamenti “Mambo Jumbo”, le cui pareti ansiogene si spalancano in una paranoica danza noise tribale, fra percussioni in preda a sussulti primordiali, chitarre angolari e canti atavici. Potrebbe essere questa la giusta via di fuga da un effetto boomerang, seguendo sviluppi vocali (come l’ottima francesizzata “La chambre”) o esplorando sentieri alternativi e sperimentali, di cui la finale “Mambo Jumbo” ne è un piccolo, ma significativo, sussulto. Cambiando l’ordine degli addendi, in musica, il risultato cambia. Contatti: www.myspace.com/tetuan_ofn Luca Minutolo Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 The Doormen The Doormen autoprodotto Formati in provincia di Ravenna, i Doormen uniscono gli strumenti e le influenze musicali di Vincenzo Baruzzi, Luca Malatesta, Marco Luongo e Nicola Monti. Una formazione classica, con due chitarre, basso e batteria, alle prese con un mix “di punk, r’n’r, new wave e post-rock”. Dal primo EP autoprodotto sono stati fatti non pochi passi avanti, se l’omonimo esordio sulla lunga distanza è stato co-prodotto e mixato da un esperto come Paolo Mauri (Afterhours e chi più ne ha, più ne metta). Oltre a prediligere sonorità analogiche, il quartetto si impegna nel redigere testi che rappresentano le attuali difficoltà vissute dall’uomo comune, passando dai facili costumi alla depressione, dalla vacua ossessione dell’apparire alla timidezza che troppo spesso tarpa le ali. La traccia d’apertura, “Italy”, parla della mancanza di controllo del nostro paese allo sbaraglio: sentirla cantare in inglese, con piglio graffiante e un debito verso melodie smaccatamente angloamericane, fa un certo effetto. Le sonorità del dischetto si contraddistinguono per buona fattura e non sfigurerebbero paragonate e molte proposte internazionali, ma delle volte ciò che manca pare essere proprio un pizzico di maggiore riconoscibilità. Sarà per via del cantato sarà per via della cupezza delle atmosfere, vengono spesso in mente degli Interpol più aggressivi del solito, oppure dei Maxïmo Park meno scanzonati, degli Arctic Monkeys meno adolescenziali. Il che può far riflettere e può esser preso al contempo come un complimento. Contatti: www.myspace.com/thedoormenmusicitaly Elena Raugei Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 The Ex KGB I Putin Prosdocimi Nome e titolo possono creare qualche imbarazzo, ma quando si innesca la miccia del primo pezzo, dedicato al monicker del gruppo, gli Ex KGB mettono immediatamente le cose in chiaro: poca politica e maximus rock’n’roll. D’accordo il titolo del CD, “I Putin” è bizzarro e i testi azzardano delle lontane origini venete del leader russo ed altre stravaganti teorie, ma nell’esordio di questo trio veneto, si ascolta prevalentemente rock ad alto voltaggio, scritto con uno stile personale, dove la tecnica macina groove a furia di funky-rock e ritmi sincopati, come se i Police avessero deciso i Motörhead e quindi potete immaginare il risultato. I tre protagonisti (Alberto Stocco, batteria e voce; Emanuele Cirani, Chapman stick, baso e voce e Mike 3rd, chitarra e voce), che hanno elaborato “It Never Stops”, “Pussy Galore”, “Super Gas”, non sono certo da degli sprovveduti, visto che vantano collaborazioni importanti, inoltre l’album è stato prodotto da Ronan Chrys Murphy, uno che ha revisionato le musiche di gente come King Crimson e Tony Levin, a cui faranno a breve da apertura del tour) e l’utilizzo del Chapman Stick dimostra la volontà di muoversi su timbriche sonore non usuali, a cui si aggiunge un brillante lavoro di chitarra. Credetemi “I Putin” è uno degli album più sorprendenti che io abbia ascoltato negli ultimi mesi, energia ed intelligenza, un binomio raro e spesso poco funzionale, ma che negli Ex KGB trova la giusta alchimia. Contatti: www.myspace.com/theexkgb Gianni Della Cioppa Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 The Oracles Have A Nice Trip Nexus Ai primi accordi capisci già come butta. It's only rock'n'roll, siore e siori. C'è da esserne contenti. Gli indie-rocker sono ì superiori che a certe cose nemmeno ci pensano. Perché sporcarsi con dei riff quando possiamo fare arpeggini fringuelloni e usare dei tastierini che fanno tanto auto-ironia? Questione di scelte. Siamo perfettamente consapevoli che “Have A Nice Trip” degli Oracles non è un disco trascendentale capace di cambiare le cose e colonizzare lo stereo, ma è un “feelgood record” fatto da gente che ci crede il giusto e si ascolta con assoluto piacere. Anche perché la band non solo conosce alla perfezione la materia – divincolandosi perfettamente tra ruvide influenze americane e melodici richiami all’Inghilterra – ma ha l’ambizione di fare le cose veramente bene. Le canzoni sono state registrate e prodotte in Italia ma masterizzate a Londra da Mike Marsh, già al lavoro con Oasis e Björk. “Have A Nice Trip” suona come parecchie canzoni revival messe assieme. Un po’ di Sixties à la Yardbirds, qualche tocco tipo “primi Blur”, riffaggio esagerato marca Sub Pop, distorsioni spudoratamente Mudhoney. Senza dimenticare qualche tamarrata di classe qui e là. Se proprio vogliamo dirla tutta, oltre al divertimento manifesto, quello che manca a questo disco sono le canzoni. Nel senso: a parte l’ottima costruzione, manca proprio quel qualcosa in grado di farsi ricordare oltre l’ascolto episodico. Ma le basi sono ottime. Contatti: www.oraclesband.com Hamilton Santià Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 The Snail Knows And R. Sawake How To Fail Twice Hysm Dietro questo pseudonimo impossibile da tenere a mente, si nasconde Enrico Russo, ex voce, tastiere e mente degli sperimentatori avanguardisti Muzak. Abbandonati i fasti del gruppo madre, i Snail Knows And R. Sawake si gettano a capofitto nelle gabbie asfissianti dello sperimentalismo più acuto ed opprimente, che fa di “How To Fail Twice” un disco di sensazioni e umori turbati, di dissonanze elettriche ed elettroniche, dalla forma mutevole ed imprevedibile, dove voci narcotiche si mescolano a rumorismi tetri come incubi sfocati che si avvicendano senza sosta. Un vero e proprio flusso di (in)coscienza, dove convergono stati ansiosi e confusionali, atmosfere ovattate ed echi lontani di singulti ritmici e dissonanze, in cui gli unici appigli sono i fluttuanti tocchi di pianoforte che appaiono come puntelli in tutto lo scorrere inarrestabile del disco, difficile da separare traccia per traccia, ma che va vissuto e capito nel suo insieme. Un insieme, appunto, di umori inarrestabili e saliscendi emotivi, come un Mark Linkous che canta dall’oltretomba in preda a turbamenti psichici. Russo si diverte a far brandelli di stili e generi, in un miscuglio imprendibile che per convenzione chiameremo avanguardia, ma che andando a fondo, non significa assolutamente nulla. Guardare avanti. Tra questi solchi, piuttosto, si scava all’indietro. Contatti: www.myspace.com/rsawake Luca Minutolo Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Valerian Swing A Sailor Lost Around The Earth Antistar/Audioglobe Post-rock? Math-rock? Post-core? Inutile sbizzarrirsi a trovare la quadra per la definizione di ciò che fanno i Valerian Swing, avendo la band di Correggio deciso di (e costruitasi con talento i mezzi per) cavalcare agilmente il crinale dell'onda che separa tutti questi generi. Non è un caso, peraltro, che in consolle sieda Matt Bayles, già al lavoro con Mastodon, Isis e Pearl Jam, e che in contemporanea all'uscita italiana questo album venga stampato dalla statunitense Magic Bullet. Tra un omaggio ai King Crimson, quelli più spigolosi e geometrici dell'era “Red” (“Le Roi Cremeux”, non c'è neppure bisogno di dirlo), squarci atmosferico-elettronico-psichedelici che si insinuano tra le progressioni imponenti e snelle del trio (“Nothing But A Sailor Lost Around The Heart”, amniotica ballata elettronica che sfoggia un intimismo diafano ma che resta impresso), e fratture miste a crescendo in un tripudio di colori (“It Shines”, e ancora una volta la corrispondenza tra titolo e contenuto è azzeccatissima) che chiudono la scaletta riassumendone in maniera concisa e mirabile gli sbalzi e gli umori, la robustezza a tratti metal e le aperture melodiche oblique, l'equilibrio dell'insieme è impeccabile. Il tutto è incorniciato da soluzioni grafiche che rimandano ad un antico manuale di biologia marina, suggestione che si aggiunge al giù di per sé suggestivo impasto sonoro. Contatti: www.myspace.com/valerianswing Alessandro Besselva Averame Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Vil Rouge Immacolato caos Studio Emme Valeria Caliandro è Vil Rouge. Cantautrice e pianista di Prato, debutto di personalità. Al un crocevia tra jazz, rock d’autore, classica. È come un canto notturno, quello della Caliandro, che gioca tra paure e liberazione, senso di colpa e disobbedienza. In “Il lupo” – l’atmosfera è alla Quintorigo ma più pop – la morale è che “l’uomo nero si nutre del tuo terrore”. Più in là, la cantautrice si ritroverà “qua a cantare alla luna”, a riprendere il filo che aiuta a non smarrirsi nel bosco. Il pianismo espressivo policromatico di Vil Rouge viene reso più corposo da una band che annovera Jacopo Ciani e Elvira Muratore, violinista e violoncellista; dal bassista Luca Cantasano (Diaframma), dal batterista e co-produttore Cristiano Bottai (Üstmamò). Alcuni episodi, sebbene sempre ben suonati, risultano un poco scolastici. I migliori risultati si riscontrano nelle composizioni più rarefatte, meno “piene”, come la bella doppietta di “Renée’s Lullaby” (due tracce consecutive con lo stesso titolo), che rimandano rispettivamente a Kate Bush e Joni Mitchell. Melodrammatica in più d’un frangente, progressive nella title track “Immacolato caos”, la spigliata autrice si concede una parentesi in inglese e alt-folk-rock con “Unimpressive”, in duetto con il cantautore concittadino Sir Rick Bowman, unico pezzo chitarristico della scaletta. Valida l’interpretazione del De André di “Tutti morimmo a stento”: “Leggenda di Natale” al piano e per voce femminile aggiunge tinte inattese al brano. Contatti: www.myspace.com/vilrouge Gianluca Veltri Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 Violaspinto Indivenire Mad Man Sembra quasi che, solo perché una band sta dietro alle canzoni per due anni, poi si debba parlarne bene per forza. Certo, il sapersi prendere i propri tempi è qualità apprezzabile in un mercato oberato di ciarpame; ma se dopo anni le cose non vanno bene, non c’è molto altro da dire che non: le cose non vanno bene. “Indivenire” dei Violaspinto è descritto da più parti come un compendio (nostalgico, aggiunta mia) di indie italiani anni Novanta. Al sottoscritto, più che un compendio, sembra un calco di umori e retoriche che, oltre a essere fuori tempo massimo, suonano “altre”. Cioè, mesi e mesi di lavoro per partorire canzoni che ricordano esattamente Afterhours, Marlene Kuntz, il giro Mescal, il giro Black Out e chi più ne ha più ne metta. Non esattamente il massimo. Ora, la domanda è: dove vogliono arrivare i Violaspinto? Chi ha una band dovrebbe essere il più onesto possibile con sé stesso e con i suoi ascoltatori. Fare musica cercando di inseguire non solo un modello così riconoscibile, ma un suono, un mood e un'attitudine appartenenti a un preciso “spirito del tempo” risulta artificioso. Non metto in discussione la passione della band, ma l’efficacia. “Indivenire” è proprio il genere di lavoro che può uscire da una band nata nel 2000, all’apice massimo di quel movimento cui fa riferimento, e che ancora pensa di vivere un eterno ritorno/eterna giovinezza senza considerare che il mondo è cambiato. Contatti: www.violaspinto.it Hamilton Santià Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 YUT YUT Smoking Kills/Halidon 1985: un personalissimo cult movie annuncia che “I ragazzi di Torino sognano Tokyo e vanno a Berlino”, lasciandoci totalmente all’oscuro circa le ambizioni e le speranze delle altre gioventù italiane. 2011: i milanesi YUT (una gioventù più onomatopeica che sonica) annunciano al mondo che, sognando un viaggio verso la no wave newyorkese, hanno forato una gomma facendo tappa obbligata a Firenze. La Firenze del 1985. Non citiamo a caso. Sono queste le metropoli che disegnano i confini del loro omonimo disco di debutto, estremi stilistici che qui si traducono in un mix di elettronica e giri di basso, mur(ett)i di chitarre e voce cavernosa. La voce, su tutto, una volta svangata l’introduzione strumentale, inizia a mordere il microfono e sputare veleno, tra “Rolex di merda” e “nichilismo a pacchi”, espresso in varie combinazioni grammaticali. Si coglie dell’ingenuità nel sentire di “politici aitanti dai sorrisi abbronzanti” e “re di una cultura morente”, con testi che mischiano attualità e teatro ioneschiano, ma si tratta di ingenuità ed esuberanza salutari, diversi modi di tradurre una medesima urgenza espressiva. In tal senso, pur non suonando “nuove”, canzoni come “L’incredibile” (di cui segnaliamo anche l’ottimo videoclip), “Zion” o la conclusiva e impietosa “Luminoso & nero” sembrano fari nella notte, specie nel mercato dell’indie italiano così perpetuamente rattrappito nell’intimismo amoroso e nell’ironia per pochi eletti. A New York li accuserebbero: “Yelling Useless Things!”. Qui, nell’unico posto in cui le loro unghie potevano lasciare qualche graffio, si sono garantiti un posto caldo. Sia noi che loro, con la prossima prova ci aspettiamo qualcosa di più. Contatti: www.myspace.com/yutband Giovanni Linke Pagina 62 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '11 EureKa 2 Esattamente un anno fa, presentandovi i quattro EP della serie “EureKa”, auspicavamo che l’iniziativa avesse un seguito. Detto fatto, la Kandinsky Records e l’associazione BandSyndicate hanno fatto il bis, sfornando una seconda ondata di mini-CD (cinque, questa volta) di altrettante realtà emergenti bresciane, tutti caratterizzati da un’elegante veste grafica e distribuiti nei negozi da Audioglobe. Primi del gruppo, in rigoroso ordine alfabetico, sono i Newdress, con il loro pop-rock in italiano raffinato e ricco di gustose contaminazioni electro-wave. Più vicino alla canzone d’autore tradizionale la proposta di Giovanni Peli, per lo meno dal punto di vista delle strutture compositive, ché a giocare il ruolo principale negli arrangiamenti, insieme all’immancabile chitarra acustica, vi sono anche ricercati e sobri tappeti di tastiere e programmazioni (nell’iniziale “Viale Venezia”). Interamente strumentale è invece la proposta del Quintetto Žižkov, sospesa tra jazz e surf; mentre quello dei Seddy Mellory è un rock’n’roll energico e vibrante che fa dell’impatto la propria caratteristica principale, affiancandolo a un buon lavoro sulle melodie. Infine con i L’Ultimo Piano si ritorna in territori pop, un pop di classe e avvolgente. Dischi parecchio diversi, insomma, dal punto di vista delle sonorità e degli stili, ma ognuno a suo modo interessante, tasselli di un puzzle che cristallizza una scena cittadina quanto mai viva e vitale. Operazione nuovamente riuscita, allora, in attesa di vedere se, come vuole la saggezza popolare, non c’è due senza tre. Contatti: www.kandinskirecords.com Aurelio Pasini Pagina 63 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it