La gestione del dolore post-erpetico cronico

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Nr. 228
luglio 2012
La gestione del dolore post-erpetico cronico
L’herpes zoster è una malattia provocata dal virus varicella zoster che infetta i gangli sensitivi e la loro area di
innervazione. In Italia, ogni anni si registrano 6 casi di herpes zoster/1.000 persone1. Il dolore che permane
dopo la guarigione dell’esantema vescicoloso cutaneo deriva da un danno ai sistemi di percezione/trasmissione
della sensazione dolorosa ed è una complicanza la cui frequenza aumenta con l’età: interessa il 70% degli
ultra70enni2. Il dolore segue la distribuzione del nervo colpito, tende a cronicizzare (>3 mesi) e può essere
grave, difficile da controllare.
I limiti degli studi
Gli studi clinici condotti nel dolore post-erpetico sono per lo più contro placebo, hanno coinvolto un numero
ridotto di pazienti e per periodi di tempo brevi (settimane) in relazione alla cronicità della malattia. Da un lato,
quindi, scarsità di dati comparativi e conseguente impossibilità a stabilire l’efficacia relativa dei singoli farmaci,
dall’altro non conoscenza degli esiti a lungo termine. Queste incertezze vengono ulteriormente accentuate dalla
difficoltà a definire la dose ottimale (molti studi non riportano la dose media utilizzata), dalle poche informazioni
attendibili sull’impiego in associazione dei vari trattamenti e dai nuovi dati riguardanti due dei pochi farmaci
registrati in questa indicazione. Un modo per costruire un algoritmo di trattamento è quello di avvalersi di
indicatori indiretti come l’NNT (Number Needed to Treat) e l’NNH (Number Needed to Harm) che corrispondono
al numero di pazienti da trattare per ottenere una riduzione del dolore del 50% in un paziente e per osservare
un evento avverso in un paziente.
Antidepressivi triciclici
La prima dimostrazione della utilità dell’amitriptilina nella nevralgia post-erpetica risale a 30 anni fa3. Una
successiva metanalisi di 3 studi indica una netta superiorità degli antidepressivi triciclici nei confronti del
placebo con un NNT di 24. Una revisione sistematica recente e più ampia, che oltre agli studi realizzati nel
dolore post-erpetico (dodici), ha incluso quelli riguardanti la neuropatia diabetica (prevalenti per numero e
casistica) e altre forme miste di dolore neuropatico, attribuisce ai triciclici un NNT medio compreso tra 3 e 45.
L’attività analgesica sembra indipendente dall’azione antidepressiva. L’effetto analgesico si manifesta più
rapidamente (1-7 giorni) e la dose efficace risulta in genere più bassa di quella utilizzata nella depressione
(range giornaliero dell’amitriptilina 25-150mg). Gli effetti indesiderati sono abbastanza frequenti (soprattutto
xerostomia e sonnolenza) e interessano circa 1 paziente su 3 (NNH=2,7). Ogni 14 pazienti trattati bisogna
aspettarsi una sospensione del trattamento per la comparsa di eventi avversi, in una metà dei casi costituiti da
xerostomia. I triciclici, e in particolare l’amitriptilina, vengono attualmente raccomandati come prima scelta5.
Anche nel nostro paese è possibile utilizzare l’amitriptilina grazie ad una estensione delle indicazioni effettuata
dall’AIFA in base alle prove scientifiche disponibili e all’uso consolidato6.
Anticonvulsivanti
Gabapentin e pregabalin sono analoghi dell’acido gamma-aminobutirrico, uno dei principali neurotrasmettitori
centrali. Gabapentin è entrato in commercio nel 1993 e alla scadenza del brevetto (2004) è stato affiancato da
pregabalin, prodotto dalla stessa ditta. La metanalisi del NICE che considera cumulativamente tutti i tipi di
dolore neuropatico, indica un beneficio clinico modesto per entrambi i farmaci5: bisogna trattare da 5 a 8
pazienti affinché in uno di essi l’intensità del dolore si dimezzi (NNT=5-8). A onor del vero, va detto che
gabapentin e pregabalin sono stati spesso utilizzati a dosi vicine a quelle massime (3.600 mg e 600 mg); in
numerosi studi, i pazienti intolleranti al gabapentin sono stati esclusi a priori oppure quelli che hanno
abbandonato i trattamenti per effetti indesiderati o mancanza di benefici sono stati eliminati dall’analisi. Tutto
questo può averne sovrastimato l’efficacia e sottostimato la sicurezza. In media, un paziente ogni 12-14 trattati
sospende il farmaco per eventi avversi (soprattutto vertigini e sonnolenza). Questo significa che ogni 2 pazienti
in cui l’intensità del dolore si riduce della metà può essercene uno che interrompe il trattamento perché non lo
tollera. Considerando che la metanalisi non ha incluso gli studi con esiti negativi non pubblicati6,7, le sue
conclusioni devono essere riviste al ribasso. Un rapporto commissionato nell’ambito di un procedimento
giudiziario in corso negli Stati Uniti contro la ditta produttrice ha evidenziato che molti studi sul gabapentin erano
gravati da scorrettezze metodologiche (es. cambiamento nella scelta delle misure di esito principali dal
protocollo alla pubblicazione, avvenuto dopo averne verificato i risultati preliminari); mancata pubblicazione di
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studi con risultati negativi (ne sono stati individuati almeno 10); ritardo nella pubblicazione di studi i cui esiti
negativi avrebbero potuto danneggiare il successo commerciale del farmaco8. Il gabapentin è stato promosso
attraverso “disinformazione e inganno per creare una base di prove distorta, al fine di manipolare gli
orientamenti prescrittivi dei medici”9. Le indagini della magistratura americana e le analisi degli studi (pubblicati
e non) sul gabapentin hanno rivelato retroscena inquietanti che riguardano, oltre alle scorrettezze nella
pubblicazione degli studi, una strategia basata su opinion leaders pagati fino a 150.000 dollari in 4 anni per
promuovere l’uso fuori indicazione del Neurontin nell’ambito di eventi formativi o per apparire come autori di
articoli scientifici (ghost-writers) in realtà scritti da altri9. Il Canadian Expert Drug Advisory Committee, organo
consultivo dell’Agenzia del Farmaco Canadese (come il NICE lo è per quella inglese), ha raccomandato
l’esclusione del pregabalin dalla rimborsabilità affermando che in 2 studi non pubblicati pregabalin non ha
mostrato differenze rispetto al placebo e mancano studi indicanti la sua superiorità nei confronti di gabapentin o
altri farmaci utilizzabili nella polineuropatia diabetica7.
Oppioidi
I dati di efficacia e sicurezza su morfina, ossicodone e tramadolo sono di qualità metodologica modesta e quindi
poco affidabili. La scarsa tollerabilità della morfina e l’incerta efficacia analgesica dell’ossicodone, hanno portato
le linee-guida del NICE a individuare nel tramadolo (che ha un solo studio nel dolore post-erpetico) l’unico
oppioide proponibile per un uso temporaneo nella medicina generale (alla dose massima di 400mg/die) come
terza linea, in associazione o in sostituzione dei farmaci di seconda linea, in attesa di una valutazione da parte
di uno specialista nella terapia del dolore5. In monoterapia, il tramadolo è in grado di dimezzare l’intensità del
dolore in 1 paziente ogni 5 trattati; ogni 8 pazienti si verifica una sospensione del trattamento per eventi avversi.
Capsaicina
I cerotti di capsaicina all’8% per applicazione di 1 ora (Qutenza, farmaco ospedaliero) sono l’ultima, e
deludente, proposta nel dolore post-erpetico. L’analgesia indotta dalla capsaicina viene attribuita alla sua
capacità di “desensibilizzare” le fibre nocicettive cutanee. Il trattamento può essere ripetuto ogni 3 mesi sino ad
un massimo di 4 volte. In due studi, la capsaicina ha ridotto il dolore in misura clinicamente poco
significativa10,11; in un terzo non è risultata più efficace del placebo12. L’irritazione locale è tale da richiedere che
il trattamento sia eseguito in ospedale sotto stretto controllo specialistico (tra gli altri deve essere preceduta
dall’applicazione di un anestetico locale).
Miscellanea
Le vitamine del gruppo B non sono state studiate nel trattamento del dolore post-erpetico. Per l’acido lipoico
esistono dati controllati soltanto nella neuropatia diabetica (che ha una genesi sia dismetabolica che
vasculopatica), dove i risultati più convincenti sono stati ottenuti con l’impiego endovenoso13.
Conclusioni
I farmaci documentati nella nevralgia post-erpetica sono pochi, producono un beneficio limitato ed espongono i
pazienti al rischio di eventi avversi. L’esito del trattamento non è prevedibile e spesso si deve procedere per
tentativi. In assenza di controindicazioni (cardiopatie), l’amitriptilina rappresenta la prima scelta: va iniziata ad
una dose bassa (25 mg la sera per minimizzare l’effetto sedativo; 10 mg negli anziani) e aumentata
gradualmente (di 25 mg a intervalli settimanali) sino a raggiungere un buon equilibrio tra efficacia e tollerabilità.
Per verificare la risposta può essere considerata adeguata una prova di 2 mesi sino ad un massimo di 100 mg
al giorno. Se il dolore non viene controllato in modo soddisfacente (o non migliora affatto) si può aggiungere (o
passare a) gabapentin, tenendo conto che sono sufficienti 2 giorni a basse dosi (100-200 mg per 3/die) per
verificare se funziona14. La rivalutazione dei dati non pubblicati porta a ritenere che dosi superiori a 900 mg al
giorno, anche nella prosecuzione del trattamento, non aumentino il beneficio ma solo gli effetti indesiderati14.
In caso di fallimento, il tramadolo è una opzione di terza scelta.
A cura del dott. M. Miselli
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