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Casistica clinica
Vol. 99, N. 3, Marzo 2008
Pagg. 146-148
Sindrome extrapiramidale acuta
e sindrome maligna da neurolettici
Vincenzo Cesario
Riassunto. Viene presentato il caso di un grave effetto indesiderato, manifestatosi in un uomo di 24 anni, dopo la somministrazione di una fiala di aloperidolo per via endovenosa. Il paziente, affetto da psicosi acuta, veniva trattato con aloperidolo per via venosa; successivamente accusava un grave malessere, caratterizzato da rigidità muscolare, ipersudorazione,
ipertensione arteriosa, tirage respiratorio con cianosi. Il caso suscita interesse per una sintomatologia inconsueta e di difficile inquadramento clinico-diagnostico, per un quadro troppo grave – per entità e durata dei sintomi – da poter essere definito una semplice crisi extrapiramidale acuta, ma anche senza sufficienti presupposti per poter essere ricondotto alla
sindrome maligna da neurolettici. Con questa esperienza è possibile ipotizzare un continuum tra le due sindromi, che, invece, ancora molti ritengono essere espressione di due distinti processi eziologici. Scopo di questo articolo è quello di porre l’attenzione sul rischio di
gravi effetti indesiderati che si può correre con l’uso parenterale di farmaci neurolettici tradizionali, senza tener conto dell’opportunità alternativa d’impiego di nuovi farmaci antipsicotici oggi disponibili, forse meno rapidi nell’efficacia clinica, ma più sicuri per tollerabilità.
Parole chiave. Aloperidolo, sindrome extrapiramidale acuta, sindrome maligna da neurolettici.
Summary. Acute extrapyramidal syndrome and neuroleptical malignant syndrome.
A case report.
A case of serious undesirable, effect arisen in a 24-year old male treated with intravenous injection of haloperidol, is presented. The patient has been affected by acute psychosis and was treated with intravenous injection of haloperidol, successively a serious
uneasiness with muscular rigor, perspiration, high blood-pressure, serious shortness of
breath with cyanosis appeared. This case arouses interest for an unusual symptomatology and for a difficult diagnostical framing too, because was too much serious to consider it a simple acute extrapiramidal crisis, however without all characteristics to consider it a neuroleptic malignant syndrome. With this experience is possible to suppose a continuity between these two syndromes that several authors consider expression of
different aetiological processes. Final aim of this report is to put in evidence the serious
undesirable effects risk with using of a parenteral giving of traditional neuroleptic medications, without consider the alternative opportunity to using other new antipsycotic
medications available nowadays, perhaps not quick enough than a traditional neuroleptic for effectiveness, but more sure about the tolerability.
Key words. Acute extrapyramiramidal syndrome, haloperidol, neuroleptic malignant
syndrome.
Introduzione
È noto che i farmaci neurolettici tradizionali
possono causare, quali effetti indesiderati, sindromi extrapiramidali acute e, più raramente, la sindrome maligna da neurolettici.
Va inoltre cosiderato che, oltre ai citati effetti indesiderati, questi antipsicotici tradizionali, ma anche al-
cuni di nuova generazione, vengono attualmente tenuti sotto controllo per una potenziale cardiotossicità1.
Le sindromi extrapiramidali acute (Distonia acuta) sono caratterizzate dall’insorgenza di
dolorose contrazioni toniche involontarie di alcuni
gruppi muscolari che determinano crisi oculogire,
protrusione della lingua, rigidità della mandibola,
dei muscoli del collo, tremori etc2.
Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale di Caprino Veronese, Dipartimento per la Salute Mentale ASL
22, Regione Veneto.
Pervenuto il 17 luglio 2007.
V. Cesario: Sindrome extrapiramidale acuta e sindrome maligna da neurolettici da aloperidolo
La percentuale d’insorgenza di distonie acute
dopo la somministrazione di farmaci neurolettici è stimata intorno al 25% e sembrano più esposti soggetti giovani (20-40 anni) di sesso maschile. I farmaci più a rischio risultano quelli a maggiore azione incisiva (aloperidolo, perfenazina,
flufenazina) e il 50% dei casi si manifesta entro
le prime 48 ore dalla somministrazione; altro elemento a rischio viene considerata la neurolettizzazione rapida (somministrazione ad alti dosaggi e in tempi brevi)3. Circa i meccanismi eziopatogenetici, è stata ipotizzata la concausa di due
fenomeni: iperattività dopaminergica relativa all’effetto dei farmaci antipsicotici verso i recettori post-sinaptici (prima causa); ipersensibilità
dei recettori stessi (seconda causa).
In generale, un episodio di distonia acuta, se
adeguatamente trattato attraverso la sospensione
del farmaco e la somministrazione di BDZ e antiparkinson, recede nell’arco di 6-48 ore, a meno che
il farmaco implicato non sia tra quelli a lento rilascio4.
La sindrome maligna da neurolettici
(SMN) è un evento piuttosto raro (0,02-2% dei
casi psichiatrici acuti ricoverati) ma è gravata da
una elevata mortalità (20-40% dei casi); è caratterizzata principalmente da febbre, confusione,
ipersudorazione, tachicardia, tachipnea, rigidità
muscolare, ipertensione arteriosa, alterazione
della creatinfosfochinasi (CPK) in conseguenza
della rabdomiolisi e leucocitosi5. Detta sintomatologia, appannaggio soprattutto di soggetti giovani di sesso maschile, tende a comparire nei primi tre giorni dalla somministrazione dei neurolettici. Tra questi, l’aloperidolo è tra i più
implicati per il maggior numero di segnalazioni;
ma tutti gli altri sono potenzialmente a rischio;
anche in tal caso viene considerata a rischio la
neurolettizzazione rapida.
La SMN si manifesta quasi sempre in modo
drammatico; le complicanze più gravi sono a carico del rene per la rabdomiolisi, ma possono verificarsi complicanze polmonari (embolie e broncopolmoniti ab ingestis) e cardiache (infarto)6.
Circa i meccanismi eziopatogenetici, si ipotizza
un blocco dei recettori dopaminergici con conseguente alterazione della termoregolazione. Vi
sono tuttavia altre ipotesi patogenetiche, quali
una ipofunzione serotoninergica e un’iperfunzione noradrenergica o un’anomalia biochimica
della fosforilazione ossidativa muscolare; a
tutt’oggi, comunque, l’origine della SMN è sconosciuta7.
La sindrome va trattata in terapia intensiva e
l’esito dipende in buona misura dalla precocità
degli interventi, che prevedono la sospensione dei
farmaci implicati ed il controllo e trattamento dei
sintomi e degli squilibri biochimici; la bromocriptina viene considerata, in questi casi, particolarmente efficace. Nelle situazioni favorevoli la sintomatologia scompare entro 3-6 giorni, ma in alcuni casi possono residuare insufficienza renale,
parkinsonismo, deficit cognitivi8.
147
Dalla descrizione delle due sindromi surriferite
si possono evidenziare alcuni punti in comune
che riguardano vari aspetti:
■ le sostanze maggiormente responsabili (aloperidolo e neurolettici incisivi);
■ le modalità di somministrazione più rischiose (neurolettizzazione rapida);
■ la tipologia dei pazienti più a rischio (soggetti maschi giovani).
Sul piano sintomatologico, distonia acuta e SMN
evidenziano qualche affinità: rigidità muscolare,
tremori, sudorazioni, a volte incremento della CPK;
non è presente, nella distonia acuta, l’ipertermia e
comunque il quadro clinico risulta, alla fine, molto
meno grave. Tuttavia queste due sindromi sono
sempre state considerate fenomeni separati e conseguenti a meccanismi eziopatogenetici, pur se per
entrambe sconosciuti, comunque distinti.
Il caso riportato assume interesse in quanto ha
le caratteristiche cliniche che riconducono a individuare aspetti di ambedue le sindromi, attraverso un continuum sintomatologico che potrebbe indurre a considerare anche l’ipotesi di meccanismi
eziopatogenetici comuni.
Descrizione del caso
Il paziente ha 24 anni, è descritto sul piano anamnestico clinicamente sano fino a 23 anni, poi per un anno circa ha assunto aloperidolo a bassi dosaggi (1,5
mg/die) per disturbi a carico dell’ideazione di tipo delirante, insorti dopo essere stato lasciato dalla fidanzata;
vengono segnalati anche sporadici abusi alcolici; nel
complesso, il quadro clinico, tenuto conto dei segni e sintomi più evidenti, va ricondotto ad un disturbo schizofrenico di tipo paranoide9. Il paziente decide di smettere l’assunzione di aloperidolo e dopo qualche mese va incontro a un episodio psicotico acuto con episodi di
eteroaggressività, per cui viene ricoverato presso il nostro Servizio Psichiatrico dove viene trattato con diazepam e aloperidolo per os (5 mg/die). Durante il terzo
giorno di degenza, il paziente, non beneficiando ancora
della cura e presentando la stessa sintomatologia delirante dell’ingresso e con agitazione, viene trattato mediante incremento del dosaggio di aloperidolo, portato a
9 mg/die e a fine mattinata ne assume 3 mg per os. Nel
pomeriggio dello stesso giorno, accusando ancora una
forte agitazione, gli vengono somministrati 2 mg di aloperidolo per via venosa diluiti in 100 cc di soluzione fisiologica, a distanza di 5 ore e mezzo dall’ultima assunzione. Trascorsa circa mezz’ora, comincia ad accusare
una sintomatologia caratterizzata da rigidità muscolare
diffusa, forti tremori agli arti, difficoltà nell’articolazione della parola. Viene ipotizzata una distonia acuta da
neurolettici e il paziente viene trattato con biperidene
per via parenterale e , in una fase iniziale, si assiste a un
miglioramento del quadro sintomatologico. Durante le
ore successive, il quadro clinico riprende a peggiorare
con ripetute poussée, la situazione tende ad aggravarsi
ed alla sintomatologia extrapiramidale si aggiungono
ipersudorazione, tachicardia, tachipnea, disfagia, disidratazione, blocco vescicale, ipertensione arteriosa; la
temperatura è normale.
148
Recenti Progressi in Medicina, 99, 3, 2008
Gli esami ematochimici fanno rilevare: CPK di 350
u/L; mioglobinemia 85 gamma/L; gamma GT 350 u/L; K
3,20 mmol/L; calcio 2,04 mmol/L; il resto degli esami
nella norma, ECG normale.
Il paziente viene trattato con diazepam, biperidene e furosemide per via parenterale, cateterizzato e
assistito con ossigenoterapia, ma dopo brevi e temporanee fasi di miglioramento, il quadro clinico permane critico per oltre 5 ore. Desta preoccupazione, in
particolare, la situazione respiratoria con fenomeni
di tirage, senso di soffocamento e cianosi che si ripetono sempre più frequentemente con il passare del
tempo.
Il malato è perciò trasferito in Reparto di terapia intensiva dove resta monitorato; svezzato, i disturbi recedono progressivamente, subentra uno stato soporoso e
dopo circa 8 ore il quadro clinico si risolve quasi del tutto, residuando modesti rialzi della CPK e degli enzimi
epatici.
Il fatto, poi, che sia la distonia acuta sia la sindrome maligna da neurolettici tendano a interessare soggetti in giovane età, spesso agli esordi
della patologia psichiatrica11, oltre a provocare i
danni somatici precedentemente descritti e in casi rari anche fatali, determina nei soggetti colpiti un impatto oltremodo traumatico con la patologia, con il trattamento e con l’équipe curante,
impatto da cui deriva un significativo condizionamento sulla compliance e sul decorso della malattia.
L’opportunità di impiegare farmaci meno
rischiosi per via parenterale, come i nuovi farmaci antipsicotici, pur con un’efficacia terapeutica meno rapida, meriterebbe certamente
maggiorie attenzione12.
Discussione
Il caso sopra descritto induce a due importanti
riflessioni, di cui una più teorica e un’altra di tipo
pratico.
■ L’aspetto teorico peculiare riguarda il fatto che sono presenti una serie di sintomi riconducibili sia alla distonia acuta, sia alla sindrome
maligna da neurolettici. Di quest’ultima sono presenti alcuni aspetti quali l’ipertensione, la tachicardia, la tachipnea, la disfagia, la sudorazione e
la disidratazione, mentre sono assenti l’ipertermia e un significativo incremento della CPK; così
come la risoluzione piuttosto rapida della crisi risulterebbe inconsueta per una SMN. Della distonia acuta sono presenti tutti i sintomi extrapiramidali, compresi quelli che hanno impegnato anche i muscoli della laringe, evento peraltro raro e
che ha determinato grave patologia respiratoria.
Sono stati inoltre confermati, come già avvenuto
per altri studi in letteratura, alcuni aspetti comuni a entrambe le sindromi e che riguardano i
fattori di rischio, cioè: la tipologia dei soggetti
(maschi giovani), i farmaci impiegati (aloperidolo
e neurolettici ad azione incisiva), le modalità di
somministrazione (neurolettizzazione rapida)10.
Per come si è manifestato e sviluppato il quadro
clinico del caso, va rilevato un continuum tra le
due sindromi prese in considerazione, con una
sintomatologia che ne rappresenta una sorta di
via di mezzo, in cui le differenze potrebbero risultare più di tipo quantitativo che qualitativo. Ciò
potrebbe aprire la strada, e questo potrebbe risultare un aspetto teorico inedito di particolare
interesse, a una ipotesi di collegamento tra distonia acuta e SMN, finora ritenuti eventi separati;
non escludendo un’origine eziopatogenetica comune.
■ In un’ottica di pratica clinica, questa
esperienza conferma i rischi cui si può andare incontro con l’uso dei farmaci neurolettici tradizionali, pur nel rispetto delle indicazioni ufficiali
(ad esempio, l’impiego dell’aloperidolo per via venosa viene suggerito nella scheda tecnica del farmaco).
Bibliografia
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12. Bellantuono C, et al. I nuovi antipsicotici: efficacia,
tollerabilità e modalità d’uso nella pratica clinica. II
ed. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore 2001; 1925; 97-105.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Vincenzo Cesario
Località Montalto, 17
37010 Rivoli Veronese (Verona)
E-mail [email protected]
Editoriale
Vol. 99, N. 3, Marzo 2008
Pagg. 149-154
Ruolo dell’imaging cardiaco non invasivo nelle miocarditi
Gianluca Di Bella1, Concetta Zito1, Fabio Minutoli2, Carmelo Anfuso2, Giuseppe Dattilo1,
Rocco Donato2, Sebastiano Coglitore1, Francesco Arrigo1, Scipione Carerj1
Riassunto. La miocardite è una malattia cardiaca caratterizzata da infiammazione del
tessuto miocardico. In contrapposizione alla semplicità della definizione, la diagnosi e la
terapia delle miocarditi rimangono un problema nella pratica clinica. In questa revisione poniamo l’attenzione sul ruolo delle tecniche di imaging nella diagnostica dei pazienti con miocardite acuta e/o pregressa.
Parole chiave. Imaging cardiaco, miocardite, risonanza magnetica cardiaca.
Summary. Role of non invasive cardiac imaging in myocarditis.
Myocarditis is a cardiac disease characterized by inflammation of myocardial tissue.
Despite clear definition, diagnosis and therapy of myocarditis remain a problem in clinical practice. In this paper, the role of non-invasive cardiac imaging techniques in identifying patients with acute and chronic myocarditis is reviewed.
Key words. Cardiac imaging, cardiac magnetic resonance, myocarditis.
Introduzione
Recentemente classificata fra le cardiomiopaLa patogenesi della miocardite virale può estie primitive acquisite (acquired primary carsere suddivisa in 3 fasi: la prima fase caratterizdiomyopathy), la miocardite è definita dalla prezata da proliferazione virale, la seconda in cui si
senza di infiltrato infiammatorio del miocardio con
verifica il danno miocardico acuto (immuno-menecrosi e/o alterazioni degenerative non tipiche di
diato o diretto) e la fase tardiva che persiste nel
necrosi ischemica (infarto del miocardio)1.
tempo in cui si realizzano i processi di fibrosi e rimodellamento ventricolare5.
In contrapposizione alla semplicità della definizione, sia la diagnosi sia
la terapia delle miocarditi
Il danno miocardico
rimangono un problema
dovuto a miocardite si caIn questa revisione, poniamo l’attenzione
nella pratica clinica.
ratterizza per una infiamsul ruolo e potenzialità delle tecniche di
imaging cardiaco nella diagnosi non invasiSebbene la biopsia con
mazione con successiva
va e nell’assistenza ai pazienti con sospetmetodiche immuno-istoevoluzione in fibrosi di
ta miocardite acuta e pregressa.
chimiche rappresenti la
tessuto miocardico. Quemetodica invasiva che
sto può localizzarsi in
permette di formulare
qualsiasi zona delle pareuna diagnosi di certezza2, fondamentale è il contriti muscolari cardiache, sebbene prediliga una distribuzione multifocale (a “patch”), con prevalente
buto delle metodiche di imaging non invasivo nella
coinvolgimento dello strato epicardico della parete
assistenza ai pazienti con sospetta miocardite3.
laterale ventricolare sinistra6.
Dall’eziologia all’anatomia-patologica
Dal punto di vista istologico, la miocardite viNonostante l’estrema varietà di agenti eziologirale è caratterizzata dalla contemporanea preci responsabili di processi infiammatori a carico
senza di abbondante infiltrato infiammatorio
del tessuto miocardico2, le infezioni virali trami(predominanza di linfociti, meno macrofagi e
te un danno diretto o immunomediato a livello
neutrofili) e tessuto fibrotico di natura non ischemiocitario, rappresentano di gran lunga la causa
mica2.
4
più frequente di miocardite nei paesi occidentali .
1Istituto di Medicina e Farmacologia Clinica e Sperimentale; 2Dipartimento di Scienze Radiologiche, Università,
Messina.
Pervenuto il 7 gennaio 2007.
150
Recenti Progressi in Medicina, 99, 3, 2008
La necessità dell’imaging cardiaco
nella diagnosi di miocardite
Sebbene la diagnosi di miocardite possa essere
posta mediante la combinazione di criteri clinici, di
laboratorio e strumentali, spesso nella pratica la
diagnosi differenziale con altre forme di cardiomiopatie, quali la cardiomiopatia ischemica e dilatativa, risulta difficoltosa3,4. L’estrema variabilità
del quadro clinico (febbre, dispnea, dolore toracico,
diarrea, scompenso cardiaco, morte cardiaca improvvisa), la presenza di dati di laboratorio non
specifici di coinvolgimento infiammatorio cardiaco,
l’assenza di alterazioni specifiche sia all’elettrocardiogramma sia all’ecocardiogramma, rendono
di primaria importanza la possibilità di avere a disposizione tecniche o metodiche accurate nel porre
diagnosi di miocardite (tabella 1).
La difficoltà diagnostica ha sicuramente contribuito a sottostimare la precisa incidenza di tale patologia, anche se sono attribuibili a miocardite circa il 9-12% delle morti cardiache improvvise e circa il 9% delle cardiomiopatie dilatative6,7.
Pertanto, tecniche di imaging appaiono indispensabili nella pratica clinica per una
diagnosi non invasiva più accurata, per una corretta stratificazione prognostica e per verificare
l’efficacia del trattamento delle miocarditi.
Inoltre, negli ultimi anni, si è osservato un ridimensionamento della biopsia miocardica con
l’applicazione dei criteri di Dallas, considerata il
gold standard nel porre la diagnosi di miocardite8.
Con i criteri di Dallas, per ottenere una sensibilità
diagnostica del 80%, sono necessari almeno 17 prelievi bioptici, e tali criteri hanno mostrato una bassa specificità nella diagnosi clinica di miocardite
poiché la ricca presenza di cellule infiammatorie
associata a fibrosi è riscontrabile in numerose patologie cardiache ad eziologia non primariamente
infettivo-infiammatoria9.
Va altresì ricordato che le nuove metodiche immunoistochimiche, attualmente adottate dai patologi cardiovascolari in supporto dell’istologia standard, hanno portato ad un radicale miglioramento
della sensibilità nella diagnosi di miocardite, anche focale8,10.
Inoltre, la biopsia è l’unico ausilio che permette di porre diagnosi eziopatogenetica di miocardite virale, in presenza di genoma virale con reazione a catena della polimerasi, ed immuno-mediata,
in sua assenza8-10.
Le tecniche di imaging cardiaco
ECOCARDIOGRAFIA
L’ecocardiografia rappresenta la metodica di
imaging di prima esecuzione nei pazienti con sospetta miocardite11,12, in quanto permette di evidenziare sia le dimensioni ventricolari, solitamente normali o lievemente aumentate, sia i disturbi di cinetica parietale a carico dei ventricoli
sinistro (circa 2/3 dei pazienti) e destro (1/4 dei
pazienti). Talvolta, durante la fase acuta, consente di mostrare un’ipertrofia (aumento dello
spessore parietale), espressione della tumefazione infiammatoria, che è reversibile e regredisce dopo qualche mese rispetto alla fase acuta11.
Inoltre, l’ecocardiografia consente di individuare eventuali complicanze, quali il versamento
pericardico, la formazione di trombi ed il coinvolgimento del ventricolo destro, oltre che rivelarsi molto utile nel valutare la risposta alla terapia (recupero contrattile e diminuzione di
spessori).
I limiti della metodica dipendono dalla bassa specificità nel differenziare la miocardite dalla
cardiomiopatia ischemica e dilatativa (i disturbi
di contrattilità e la dilatazione non sono reperti
specifici di miocardite) e dalla bassa sensibilità
nei casi di miocardite focale con normale cinesi
ventricolare, casi che rappresentano ben 1/3 delle
miocarditi12.
Tabella 1. Potenzialità delle tecniche di imaging non invasivo nella miocardite.
Ecocardiografia
SPET In-111
ab-Antimyosin
Tomografia
computerizzata
multicanale
MRI
Morfologia miocardica
+++
+
+++
++++
Funzione cardiaca
+++
-
++
++++
+
-
++++
++
++
++++
+++
++++
Differenziazione miocardite vs infarto
+
+++
+++
++++
Aumento accuratezza biopsia
+
++
++
++++
++++
+
+
++++
No
si
si
no
Morfologia coronarica
Individuazione danno miocardico
Follow-up
Radiazioni ionizzanti
G. Di Bella et al.: Ruolo dell’imaging cardiaco non invasivo nelle miocarditi
Al fine di aumentare l’accuratezza diagnostica dell’ecocardiografia, in questi anni sono state proposte varie applicazioni delle metodiche ecocardiografiche ed in particolare il backscatter e le
tecniche derivate dal Doppler tessutale13. Nonostante gli incoraggianti risultati (presenza di maggior ecogenicità parietale nei pazienti con accertata miocardite all’esame istologico), la valutazione
tessutale tramite backscatter non è routinariamente applicata nella clinica sia per le problematiche connesse alla metodica stessa, sia per l’impossibilità di differenziare la miocardite da molte
altre cause di disfunzione sistolica ventricolare13.
Anche l’applicazione del Doppler tessutale è
stata suggerita come ausilio nel paziente con miocardite acuta14,15.
Recentemente è stata dimostrata la possibilità
di identificare, con lo studio ecocardiografico dello
strain, la disfunzione longitudinale derivata dall’edema in assenza di alterazioni della cinesi all’ecocardiografia transtoracica15.
In conclusione, l’ecocardiografia riesce ad identificare la disfunzione sistolica segmentaria, a valutare l’evoluzione del processo infiammatorio miocardico, la presenza di eventuali complicanze e l’effetto
della terapia, ma non permette una diagnosi differenziale con la cardiopatia ischemica.
METODICHE MEDICO-NUCLEARI
La diagnostica medico-nucleare in pazienti con sospetta miocardite si avvale fondamentalmente dell’impiego di anticorpi monoclonali anti-miosina marcati con 111In (indium), in grado di rilevare la necrosi
miocitaria16. Tale metodica di imaging, inizialmente
sviluppatasi per la individuazione dell’infarto del
miocardio acuto, ha visto ampliarsi le proprie applicazioni, comprendendo varie patologie miocardiche
caratterizzate da necrosi cellulare. L’insulto ischemico ed infiammatorio al miocardio, associato a necrosi
dei miociti, comporta, infatti, la perdita dell’integrità
della membrana cellulare e l’esposizione all’ambiente extracellulare delle catene intracellulari di miosina che, essendo macromolecole insolubili, rimangono
localizzate a livello delle cellule necrotiche. Le catene
pesanti della miosina, così esposta, rappresentano il
target per gli anticorpi monoclonali radiomarcati.
L’accoppiamento tra l’esame con anticorpi antimiosina ed un esame con traccianti di perfusione consente di meglio distinguere pazienti con necrosi su base ischemica (alterazioni concordanti di entrambi i
traccianti), da pazienti con miocardite diffusa o focale.
La diagnostica medico-nucleare, nell’evidenziare il danno miocardico da miocardite
ha mostrato una alta sensibilità (83%), ma
una moderata specificità (53%)16.
RISONANZA MAGNETICA CARDIACA
La risonanza magnetica cardiaca (RMC) è l’unica metodica diagnostica che, pur non utilizzando radiazioni ionizzanti, permette una valutazione multiparametrica della funzione e della morfologia cardiaca senza limiti di risoluzione
spaziale3, consentendo, inoltre, una maggiore ca-
151
ratterizzazione dei tessuti rispetto alle altre tecniche di imaging.
La RMC evidenzia, tramite immagini pesate T2
(senza mezzo di contrasto) l’edema durante la fase
acuta di miocardite (figura 1A-B), mentre, con la tecnica del “delayed contrast enhancement” (DCE), dopo
somministrazione di mdc a base di gadolinio, riesce a
mostrare il danno miocardico acuto (edema, infiltrato
infiammatorio, fibrosi) e la cicatrice cronica conseguenza della miocardite (figura 1C-D e figura 2)12,17.
La metanalisi pubblicata da Liu et al.18, su studi
condotti dal 1998 al 2005 che hanno utilizzato in taluni casi sequenze T2 pesate ed in altri casi sequenze T1
pesate pre e post-contrasto, oppure sequenze T1 gradient echo dopo somministrazione di gadolinio (metodica DCE), ha chiaramente evidenziato una sensibilità media dell’86% e una specificità media del 95%.
Questi risultati presentano un ulteriore incremento diagnostico nell’identificare un coinvolgimento miocardico secondario a miocardite, quando
si esegue un protocollo comprensivo di sequenze
T2-pesate e sequenze gradient echo inversion recovery T1-pesate dopo somministrazione di gadolinio (metodica del DCE)19.
I vantaggi della RMC rispetto alle altre metodiche
di imaging cardiaco, oltre che per l’elevata risoluzione spaziale, dipendono dalla possibilità sia di localizzare il danno del tessuto miocardico nella parete ventricolare sia di individuare i disturbi anche
minimi della cinetica ventricolare.
La localizzazione del danno miocardico a livello epicardico (edema o fibrosi) rende possibile
escludere l’infarto miocardico17-19 in quanto, come
è noto, in caso di infarto miocardico, l’endocardio
risulta sempre coinvolto dal processo necrotico
(fronte d’onda ischemico endo-epicardico, figura 3).
Differentemente, il tessuto fibrotico conseguenza
di miocardite avrà distribuzione casuale (endo,
meso o epicardica) con prevalenza nel versante
epicardico e nella parete laterale (figure 1 e 2).
Importante appare, in fine, il ruolo della RMC
nel valutare l’efficacia della terapia intrapresa e nella selezione dei pazienti da sottoporre a metodiche
invasive, quali, ad esempio, la biopsia17. Mahrholt et
al. hanno recentemente utilizzato la tecnica del DCE
come guida alla biopsia ventricolare. Le biopsie eseguite nelle zone con DCE alla RMC hanno mostrato
un valore predittivo positivo di miocardite del 71%
ed un valore predittivo negativo del 100%17.
Pertanto, la RMC con DCE, oltre a selezionare
i pazienti da sottoporre a biopsia, guida la sede del
prelievo bioptico.
In conclusione, la RMC è diventata la metodica non invasiva di riferimento nei pazienti con sospetta miocardite per: porre
la diagnosi, valutare l’effetto della terapia
e guidare la biopsia che tuttora permette
di effettuare la diagnosi di certezza.
152
Recenti Progressi in Medicina, 99, 3, 2008
A
B
C
D
Figura 1. Miocardite parcellare: immagini di risonanza magnetica cardiaca T2 pesate (pannello A e B) mostrano multiple aree di iperintensità di segnale (frecce bianche) a localizzazione subepicardica compatibile con edema. Similmente, le immagini di tecnica del delayed contrast enhacement (DCE) (pannelli C e D) mostrano iperintensità di segnale (frecce bianche), espressione di danno miocardico.
A
B
Figura 2. Miocardite estesa: immagini di Risonanza magnetica cardiaca, in asse corto medio-ventricolare, tramite tecnica del DCE
mostrano sia un’estesa area di iperintensità di segnale (frecce bianche nei pannelli A e B) a prevalente localizzazione epicardica,
sia un’area di iperintensità di segnale a localizzazione medio settale (testa di freccia nel pannello B), espressione di danno miocardico, in paziente con pregressa miocardite estesa.
G. Di Bella et al.: Ruolo dell’imaging cardiaco non invasivo nelle miocarditi
A
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B
Figura 3. Infarto miocardico: immagini di Risonanza magnetica cardiaca a livello dell’asse corto medio. Nel pannello A si osserva la presenza di un’ estesa area di necrosi (iperintensità di segnale) ad estensione transmurale (maggiore 75% spessore parietale), localizzata nei
segmenti medi della parete inferiore, inferolaterale ed in parte del segmento anterolaterale; il quadro coronarografico del paziente mostrava
ostruzione della arteria circonflessa. Differentemente, nel pannello B è apprezzabile una piccola area di necrosi (iperintensità di segnale,
freccia bianca) ad estensione subendocardica (minore 25% spessore parietale) localizzata nel segmento medio della parete inferiore; il quadro coronarografico del paziente mostrava stenosi critica della arteria coronarica destra. (VD: ventricolo destro, VS: ventricolo sinistro).
TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA
Recentemente, la tomografia computerizzata
(TC) ha permesso l’identificazione del danno miocardico secondario a miocardite grazie all’acquisizione tardiva dopo mezzo di contrasto iodato. In
particolare, 11 pazienti con sospetto di miocardite sono stati sottoposti a valutazione con RMC e
TC, dimostrando congruenza nei risultati e consentendo, inoltre, la TC multistrato, l’esclusione
di stenosi significative dell’albero coronarico.
Nonostante questi incoraggianti dati preliminari,
oltre alla necessità di studi su popolazioni più estese,
permangono i limiti della metodica quali la somministrazione di mezzo di contrasto iodato e l’elevata somministrazione di radiazioni ionizzanti20.
Conclusioni e prospettive
L’utilizzo delle attuali tecniche diagnostiche ha permesso, con elevata accuratezza, la diretta identificazione del danno del tessuto miocardico. La diagnosi di miocardite nasce dall’integrazione di informazioni cliniche, anatomopatologiche, istologiche, immunoistochimiche, laboratoristiche e dall’imaging. Sebbene la biopsia (metodo immunoistochimico) permetta di effettuare una diagnosi di certezza
di miocardite, oggigiorno la risonanza magnetica cardiaca rappresenta la metodica di imaging
non-invasivo di riferimento per la localizzazione spaziale del danno miocardico, consentendo contestualmente di escludere il danno miocardico secondario ad infarto. Nuovi studi sono necessari al fine
di correlare le informazioni istologiche e dell’imaging con le varie opzioni terapeutiche.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Gianluca Di Bella
Azienda Ospedaliero-Universitaria
Unità Operativa di Cardiologia
Via Consolare Valeria, 1
98100 Messina
E-mail: [email protected]
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