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9-04-2005
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RASSEGNA
Miocardite ed evoluzione verso cardiomiopatia
dilatativa e scompenso cardiaco
Cosa abbiamo imparato di nuovo
V.M. Parato
Struttura Complessa di Cardiologia, Ospedale
C. e G. Mazzoni, ASUR 13, Ascoli Piceno
Parole chiave: Miocardite; Dilatazione ventricolare; Scompenso cardiaco
Introduzione
istologici di miocardite e presenza di autoanticorpi circolanti oscilla tra il 25 e il 75% nei vari studi. Il dato
più recente ed eclatante è quello riportato da Kuhl7
che ha trovato segni di infezione virale nel 67,4% di
245 pazienti consecutivi con disfunzione ventricolare
sinistra. Tuttavia la relazione tra presenza di autoanticorpi circolanti e successiva evoluzione in dilatazione
ventricolare e scompenso cardiaco rimane un’intrigante
questione ancora non risolta. Lo stesso dicasi per la
persistenza del genoma virale alla biopsia endomiocardica. Da diversi studi su modelli animali, il background genetico, inoltre, sembra avere grande importanza nell’evoluzione verso la CMD.
È indubbio che tutto ciò influenzi l’approccio terapeutico. A causa del fatto che le conseguenze a lungo
termine di una miocardite (e soprattutto l’evoluzione
a dilatazione ventricolare) sembrano essere dovute
all’attivazione di una autoimmunità sia umorale sia
cellulare, l’ipotesi di un trattamento immunosoppressivo a lungo termine è stata di recente presa molto
in considerazione. Per lo stesso motivo è stata presa
in considerazione l’ipotesi di trattamento con immunoglobuline per via intravenosa. Va comunque ricordato che in molti casi la guarigione “istologica” non
coincide con un reale miglioramento della funzione
ventricolare.
La miocardite è una condizione patologica alquanto
insidiosa in quanto usualmente asintomatica. I dati epidemiologici provenienti da riscontri autoptici parlano
di una incidenza che oscilla tra l’1 e il 9% degli esami
routinari post-mortem.29 La causa è solitamente infettiva, ma contribuiscono alla eziologia anche malattie
sistemiche, farmaci e tossine di vario tipo. Le caratteristiche cliniche della miocardite sono estremamente
varie e lo spettro include pazienti del tutto asintomatici che possono avere o meno segni elettrocardiografici patognomonici, pazienti con segni e sintomi di scompenso cardiaco e pazienti con sintomi di insufficienza
cardiaca acuta fulminante, con severa disfunzione
ventricolare sinistra e con o senza dilatazione delle
camere cardiache. Il quadro clinico può includere svariate complicanze come aritmie bradi o tachi, versamento pericardico talora tamponante o trombosi intracavitaria a rischio di embolismo soprattutto nella fase
in cui si verifica un recupero di contrattilità. Anomalie
della contrattilità regionale possono far parte della fase
iniziale della malattia.
Recenti studi hanno identificato alcune importanti
caratteristiche in pazienti con cardiomiopatia dilatativa
che supportano l’ipotesi eziologica infettivo/immunologica. La percentuale di pazienti con CMD, segni
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e scompenso cardiaco
EZIOPATOGENESI: LA TEORIA
DELLE 3 FASI
La seconda fase è quella autoimmunitaria e la diagnosi
è possibile solo attraverso la biopsia endomiocardica.
Essa deriva da una esaltazione dell’azione immunitaria dell’ospite nonostante l’avvenuta eliminazione
virale. Inizia quindi l’attività delle cellule T autoreattive che distruggono, tramite la produzione di citochine, le cellule infettate portando ad una drammatica riduzione delle unità contrattili. Tutto ciò porta,
nella successiva fase 3, a un rimodellamento significativo che poi evolve verso dilatazione e ipocinesia
globale del ventricolo sinistro.
I maggiori mediatori dell’autoimmunità in questa
fase sono le citochine. Matsumori2 ha dimostrato un
marcato incremento nel siero di questi pazienti di TNFalfa, IL-1, IL-6 e Fuse3 ha trovato che un innalzamento
di IL-10 nella prima fase di malattia è predittivo di
prognosi peggiore.
Tipica di questa fase è anche la produzione di
autoanticorpi contro componenti della cellula miocardica. Gli autoanticorpi più frequentemente trovati
sono: anti-alfamiosina, anti-adrenorecettori beta1, antimitocondriali ecc. Sul ruolo di questi ultimi non sappiamo ancora molto.
Circa l’utilità di una terapia di immunosoppressione in
questa fase si è molto dibattuto. I primi studi risalgono
Peter Liu1 ha ipotizzato che scomporre la miocardite virale in tre fasi potesse facilitarne la comprensione
nonché l’approccio terapeutico.
La prima fase è quella dell’infezione virale. In considerazione del fatto che i più comuni virus che danno
miocardite sono rappresentati da Coxsackie e
Adenovirus, in questa fase gioca un ruolo determinante
il Coxsackie-Adenoviral-Receptor (CAR) che, assieme
a un co-Recettore (DAF), provvede alla internalizzazione del virus nei miociti. Il trattamento in questa fase
deve includere antivirali aspecifici o specifici se noto
l’agente virale ed evitare agenti immunosoppressori.
Sulla utilità di immunoglobuline e interferone sono
attesi i risultati dell’ESETCID (European Study of
Epidemiology and Treatment of Cardiac Inflammatory
Disease). In uno studio preliminare 62 pazienti28 con
recente riscontro di CMP dilatativa e FE <40% sono
stati randomizzati a placebo e immunoglobuline per
via intravenosa. Nel gruppo trattato non vi era un significativo miglioramento della FE del ventricolo sinistro
rispetto a quanto non avvenisse nel gruppo placebo.
Causes of Myocarditis
Infectious
Immune-Mediated
Toxic Myocarditis
Bacterial: brucella, Corynebacterium diphtheriae, gonococcus, Haemophilus influenzae,
meningococcus, mycobacterium, Mycoplasma pneumoniae, pneumococcus, salmonella, Serratia marcescens, staphylococcus, Streptococcus pneumoniae, Streptococcus
pyogenes,Treponema pallidum,Tropheryma whippelii, and Vibrio cholerae
Spirochetal: borrelia and leptospira
Fungal: actinomyces, aspergillus, blastomyces, candida, coccidioides, cryptococcus,
histoplasma, mucormycoses, nocardia, and sporothrix
Protozoal: Toxoplasma gondii and Trypanosoma cruzi
Parasitic: ascaris, Echinococcus granulosus, Paragonimus westermani, schistosoma,
Taenia solium,Trichinella spiralis, visceral larva migrans, and Wuchereria bancrofti
Rickettsial: Coxiella burnetii, Rickettsia rickettsii, and Rickettsia tsutsugamushi
Viral: coxsachievirus, cytomegalovirus, dengue virus, echovirus, encephalomyocarditis, Epstein-Barr virus, hepatitis A virus, hepatitis C virus, herpes simplex
virus, herpes zoster, human immunodeficiency virus, influenza A virus, influenza
B virus, Junin virus, lymphocytic choriomeningitis, measles virus, mumps virus,
parvovirus, poliovirus, rabies virus, respiratory syncytial virus, ribella virus, rubeola, vaccinia virus, varicella-zoster virus, variola virus, and yellow fever virus
Allergens: acetazolamide, amitriptyline, cefaclor, colchicine, furosemide, isoniazid, lidocaine,
methyldopa, penicillin, phenylbutazone, phenytoin, reserpine,
streptomycin, tetanus toxoid,
tetracicline, and thiazides
Alloantigens: heart-transplant rejection
Autoantigens: Chagas’ disease,
Chlamydia pneumoniae, ChurgStrauss sindrome, inflammatory
bowel disease, giant-cell myocarditis, insulin-dependent diabetes mellitus,Kawasaki’s disease,
myasthenia gravis, polymyositis,
sarcoidosis, scleroderma, systemic lupus erythematosus, thyrotoxicosis, and Wegener’s granulomatosis
Drugs: amphetamines, anthracyclines, catecholamines,
cocaine, cyclophosphamide,
ethanol, fluorouracil, hemetine, interleukin-2, lithium,
and trastuzumab
Heavy metals: copper, iron, and
lead
Physical agents: electric shock,
hyperpyrexia, and radiation
Miscellaneous: arsenic, azides,
bee and wasp stings, carbon
monoxide, inhalants, phosphorus, scorpion bites, snake
bites, and spider bites
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a Parrillo nel 1993 che confrontò gli steroidi con placebo senza ottenere un significativo beneficio a distanza.4
Il successivo Myocarditis Treatment Trial riportato da
Mason5 aveva randomizzato 111 pazienti a terapia convenzionale o immunosoppressiva con steroidi + azatioprina o ciclosporina. Non vi era stata alcuna differenza significativa nel grado di recupero funzionale del
ventricolo sinistro o nella mortalità a 1 anno e a 4,3
anni. Il lavoro di Mason ha tuttavia dimostrato che una
precoce e aggressiva risposta immunitaria (rilevata da
un elevato livello di IgG circolanti) si correlava a una
minor durata di malattia, ad una minore compromissione emodinamica e della funzione ventricolare, nonché ad un recupero più completo. Al contrario una attivazione tardiva di tipo autoimmunitario (rilevata da
elevati livelli circolanti di CD2+ T cells) si correlava ad
una prognosi decisamente peggiore.5
Sempre a proposito di immunosoppressione, molti
apprezzamenti ha ricevuto inoltre il lavoro condotto
da Wojnicz et al.8 nel quale 202 pazienti con evoluzione
dilatativa erano stati sottoposti a indagini istochimiche su prelievi bioptici per la ricerca di antigeni HLA
su cellule miocardiche, endoteliali e interstiziali come
segno di reazione autoimmune. I pazienti HLA positivi (84) venivano randomizzati a placebo o immunosoppressori (prednisone o azatioprina). A due anni l’end
point primario composito (morte, trapianto, riospedalizzazione) non differiva nei due gruppi. Al contrario
la FEVS% e la classe NYHA erano significativamente
migliorate nel gruppo trattato con immunosoppressori: questo portava a concludere che probabilmente
l’immunosoppressione gioca un ruolo importante nel
decorso di quelle forme identificate come “sicuramente” infiammatorie (HLA positive).
• l’esposizione alle citochine potrebbe contribuire allo
sviluppo della cardiomiopatia. Esse potrebbero agire
attivando metalloproteinasi come elastasi, collagenasi, gelatinasi;
• apoptosi miocitaria.
I pazienti in questa fase devono essere trattati allo
stesso modo di quelli affetti da cardiomiopatia dilatativa idiopatica.
Il problema dell’evoluzione dilatativa di una malattia infiammatoria del miocardio è di estrema importanza considerato che in USA almeno il 25% dei soggetti affetti da insufficienza cardiaca congestizia presenta un quadro di CMP dilatativa cosiddetta “idiopatica”.
ALTRE IPOTESI
EZIOPATOGENETICHE
Ancor prima di Liu, il lavoro di Kawai6 aveva spostato l’attenzione su 3 fattori patogenetici chiave della
cardiomiopatia dilatativa a partenza dalla miocardite:
• la persistenza dell’RNA virale nei miociti confermata dal metodo della PCR su prelievi bioptici
endomiocardici;
• la reazione immunitaria cellulare T-mediata;
• la morte cellulare apoptotica.
Tuttavia lo stesso autore ricalca la possibilità che lo
spasmo microvascolare possa essere alla base della evoluzione dilatativa. Per tale motivo anche il calcioantagonista diidropiridinico potrebbe avere un ruolo
positivo in un trattamento che preveda già l’ACE-inibizione, beta e alfa-bloccante, spironolattone.
A proposito di persistenza dell’RNA virale nelle miocellule, sembra importante la distinzione tra il riscontro di:
• replicazione attiva dell’RNA virale
• persistenza latente dell’RNA virale.
In uno studio condotto su 45 pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e sospetto clinico di miocardite, Pauschinger9 ha notato che vi era replicazione
attiva di RNA enterovirale nel 22% dei pazienti e che
ciò costituiva un fattore prognostico negativo oltre ad
La terza fase, della cardiomiopatia dilatativa, è infine
dovuta ad una sorta di processo di rimodellamento
ventricolare che potrebbe riconoscere 3 meccanismi etiopatogenetici:
• l’azione di una proteasi Coxsackievirale in grado
di modificare direttamente i complessi sarcoglicanici dei miociti (la persistente espressione del gene
virale in questione nei miociti porterebbe al risultato di cui sopra);
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essere un elemento di cui tener conto nella strategia
terapeutica.
Anche l’eziologia da virus dell’epatite C è stata riscontrata in alcune casistiche selezionate.12
L’ipotesi originale secondo cui anche pazienti con
disfunzione ventricolare sinistra severa e malattia
coronarica severa asintomatica possano riconoscere una
eziologia miocarditica è stata fatta da Frustaci in uno
studio su 291 pazienti con disfunzione biventricolare
di cui 7 con malattia coronarica severa e assenza di
eventi ischemici in anamnesi.13 Anche nei pazienti con
malattia coronarica angiograficamente dimostrata
erano presenti segni istologici di miocardite ai prelievi
bioptici effettuati. Di essi quelli trattati con terapia
immunosoppressiva (selezionati per la presenza di segni
di attività del processo infiammatorio) risultavano in
un significativo miglioramento della funzione biventricolare e della classe NYHA.
Kuhl et al.7 hanno supposto, in un brillante lavoro
pubblicato nell’anno in corso, che non solo gli enterovirus ma piuttosto la persistenza di varie specie di
virus, rilevate contemporaneamente in prelievi bioptici di miocardio, potrebbe essere la causa di evoluzione in senso ipocinetico/dilatativo. In una serie di
245 pazienti consecutivi con disfunzione ventricolare
sinistra “idiopatica” gli autori hanno rilevato segni di
infezione virale nel 67,4% dei casi. E questo è indubbiamente il dato più eclatante. Nel 50% era rilevabile
il Parvovirus B19 (il patogeno più frequente), mentre
enterovirus e adenovirus erano presenti nel 13% e 8%
rispettivamente. Multiinfezione da parte di 2 o più agenti
era presente nel 27% dei casi. Il lavoro in questione
induce a una profonda revisione delle cause di miocardite che riconoscevano negli enterovirus la causa
più frequente e stressa inoltre il concetto della bassa
sensibilità delle indagini istologiche convenzionali nel
riconoscere la causa virale quando confrontate con analisi di tipo immunoistologico.
DIAGNOSI
Molto si è dibattuto sul ruolo più o meno indispensabile della biopsia endomiocardica nella diagnosi
di miocardite. La biopsia endomiocardica, introdotta
nel 1963 da Konno e Sakakibara,16 è indissolubilmente
legata ai criteri di lettura del reperto istologico ancora
oggi conosciuti come “criteri di Dallas”.
Sempre a riguardo della eziopatogenesi della cosiddetta cardiomiopatia “infiammatoria”, si è rivelato interessante il lavoro di Pauschinger10 che ha studiato 94
pazienti con disfunzione ventricolare idiopatica. Il
DNA-adenovirale e l’RNA enterovirale erano stati
riscontrati con la stessa frequenza nei pazienti considerati, ma la significativa riduzione numerica dei T
linfociti CD2, CD3, CD45RO nel gruppo adenoviruspositivo suggeriva la possibilità che l’eziologia adenovirale si associ ad una minor attivazione immunitaria
cellulo-mediata seguendo dunque un differente meccanismo patogenetico rispetto ad altri agenti virali.
Tabella 1 . I criteri di Dallas
Biopsy
Negative
Active myocarditis
B/L or ongoing m.
–
+
+
–
+
–
Questi ultimi, pubblicati nel 1987,17 si basano su due
reperti fondamentali quali l’infiltrazione linfocitica e
la miocitolisi così come nella Tabella 1 riportata.
Le principali critiche rivolte ai criteri di Dallas sono
a tutt’oggi:5
Altri tipi di virus sono ultimamente balzati alla
ribalta come agenti eziologici della CMP dilatativa
cosiddetta “idiopatica”. Sottolineiamo la CMP da infezione HIV che è risultata quella a prognosi peggiore
e a minor sopravvivenza in una casistica di 1230
pazienti con cardiomiopatia dilatativa ad eziologia non
definita.11
• 40% di discordanza interosservatore
• Variabilità spaziale (prelievi effettuati in diverse parti
del VD)
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Lymphocytic Myocytolysis
infiltration
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Miocardite ed evoluzione verso cardiomiopatia dilatativa
e scompenso cardiaco
Tuttavia, in un brillante lavoro pubblicato nel 2002,
Campana et al.,20 analizzando una casistica di 118
pazienti con scompenso cardiaco di recente insorgenza, hanno proposto una serie di criteri clinici, ecocardiografici e laboratoristici che correlavano con il
reperto istologico di miocardite e che erano utili per
formulare una diagnosi precoce di miocardite. Questi
erano:
• Inizio recente dei sintomi
• Febbre
• Tachicardia
• Ipotensione
• Ridotta funzione ventricolare destra identificata con ecocardiografia da una riduzione del TAPSE (dato particolarmente significativo)
• Ridotta FEVS% con diametri del v.s. non significativamente aumentati
• Elevazione di VES, CK + leucocitosi.
Figura 1. Reperti istologici di miocardio normale e, in sequenza, di
miocardite borderline e attiva secondo i criteri di Dallas.
Le indicazioni alle procedure oggi più accreditate
sono:
Resta il fatto che la miocardite è un’entità patologica sottostimata e sottodiagnosticata. Lo confermano
i dati pubblicati da Carniel e Sinagra21 che in una casistica di 2560 autopsie consecutive hanno trovato 143
casi di miocardite attiva (5,6%). In 39 di essi (1,5%) la
miocardite era riconosciuta come causa di morte. Solo
in 1 caso dei 39 la miocardite era stata sospettata antemortem.
• Sospetto clinico di miocardite in pazienti con sintomi “maggiori” di scompenso cardiaco di recente
inizio, rilevante disfunzione ventricolare sinistra, aritmie ventricolari sostenute.18
INDICATORI PROGNOSTICI
NELLA CARDIOMIOPATIA
“INFIAMMATORIA”
• Variabilità temporale (prelievi effettuati in tempi
diversi)
Le raccomandazioni più comuni:
Numerosi indicatori prognostici nonché predittori
del decorso di una miocardite sono stati proposti nel
corso degli anni.
Fuse,14 in una casistica di 21 pazienti, ha verificato
che il sottogruppo con esito fatale (8 pazienti) presentava valori di pressione arteriosa sistemica significativamente più bassi e di pressione polmonare capillare significativamente più elevati rispetto al gruppo
dei sopravvissuti. Allo stesso modo nel gruppo con
esito infausto erano significativamente più alti i livelli
serici di sFas e sFasL. I livelli serici di CK, al contrario
• Far seguire sempre all’istologia l’immunoistochimica,
tecniche di biologia molecolare e analisi ultrastrutturali (PCR per i più comuni virus cardiotropi).18
• Incrementare il numero di campioni prelevati estendendo i prelievi a più punti non solo del ventricolo
destro ma anche del ventricolo sinistro e del setto
interatriale.19
Tutto ciò dovrebbe ridurre al minimo i falsi negativi.
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di quanto verificato in passato, non erano predittivi
di prognosi peggiore.
(senza ricorso a trapianto) il 93% dei pazienti con forma
fulminante (sottogruppo 1) e il 45% dei pazienti con
forma acuta non fulminante (sottogruppo 2). La differenza era statisticamente significativa (p <0,05).
Predittori indipendenti di sopravvivenza a lungo
termine (libera da trapianto) erano:
• una presentazione a tipo “miocardite fulminante”
(p <0,04)
• la pressione arteriosa polmonare media (p <0,01)
• l’incremento precoce del cardiac output (p <0,02).
L’autore concludeva che la miocardite fulminante è
una distinta entità clinica caratterizzata da un’eccellente
prognosi a lungo termine.
È molto difficile trovare una spiegazione scientifica
al fenomeno: lo stesso autore ha supposto che fosse
un’eziologia specifica (Coxsackievirus B4) a determinarne il decorso e Liu1 ha successivamente ipotizzato
che un’evoluzione simile potesse essere legata ad un’esposizione temporale più breve alle citochine.
Il lavoro di Mc Carthy III ha suscitato le critiche di
Khairy,25 il quale fa notare che nel lavoro in questione
non si tiene conto dei riscontri autoptici di miocardite
in soggetti deceduti per morte improvvisa (pari a
Thomas Cappola,15 studiando una casistica di 1134
pazienti con cardiomiopatia da diversa causa, ad un
follow up di 4,4 anni ha rilevato che la pressione arteriosa sistemica media e la pressione sistolica polmonare media sono validi predittori di morte in questa
tipologia di pazienti e che la pressione polmonare sistolica media è, in particolare, un potentissimo predittore
di mortalità nei pazienti con miocardite rispetto ad altre
cause di cardiomiopatia.
IL RECUPERO PRECOCE E
SPONTANEO
In una miocardite non esiste solo l’evoluzione dilatativa bensì anche casi di recupero spontaneo, completo e talora anche precoce.
È sicuramente interessante capire se esistono parametri predittori di un decorso così auspicabile.
In una casistica di 18 casi di miocardite diagnosticata da biopsia, Dec22 non ha notato caratteristiche istologiche o cliniche che potessero essere correlate al recupero spontaneo della funzione ventricolare, fenomeno
peraltro descritto come raro.
Bossone,23 in una casistica di 15 pazienti con evidenza istologica di miocardite ha descritto 6 casi di
recupero spontaneo. In questi ultimi gli unici parametri
significativamente (p <0,005) inferiori rispetto al rimanente gruppo erano: 1) il diametro telediastolico del
ventricolo sinistro e 2) le dimensioni dell’atrio sinistro.
Ma il lavoro più dirompente sull’argomento è indubbiamente attribuibile a Mc Carthy III:24 una casistica
di 147 pazienti con diagnosi basata sui criteri di Dallas
fu suddivisa in due sottogruppi:
1. con “miocardite fulminante” (15 pazienti), identificata dalla presenza di severa compromissione
emodinamica, rapida insorgenza dei sintomi e febbre;
2. con “miocardite acuta (non fulminante)” (132
pazienti).
Undici anni dopo la biopsia era sopravvissuto
Figura 2. Trombosi multipla all’apice del ventricolo sinistro in corso
di miocardite.
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Miocardite ed evoluzione verso cardiomiopatia dilatativa
e scompenso cardiaco
circa 6% in una casistica di 2427 casi di morte improvvisa).26
Nell’esperienza del nostro centro abbiamo avuto due
casi di forme “fulminanti” esitate in un recupero completo e persistente (follow-up di 2 anni). Entrambi i
casi si erano complicati con trombosi intraventricolare
(Figura 2) nella fase di recupero della FEVS: in un caso
ciò aveva causato cardioembolismo cerebrale.
Il fatto che l’evento trombosi si sia presentato nella
fase del recupero contrattile conferma i dati riportati
in letteratura27 secondo cui la trombosi ventricolare nella
miocardite è scatenata dal danno endocardico e non
dalla stasi ematica conseguente a dilatazione e ipocinesia ventricolare.
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