Novembre '10 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Novembre '10 Numero Novembre '10 EDITORIALE Come forse avrete già saputo leggendo le news di questo sito, è “Gretchen pensa troppo forte” di Simona Gretchen ad aggiudicarsi l’edizione 2010 del premio “Fuori dal Mucchio”, riservato agli album di esordio italiani usciti nel periodo compreso tra il 1 settembre 2009 e il 31 agosto 2010. A decretare la vittoria del debutto della giovane cantautrice romagnola è stata una giuria composta dal nostro staff – Beppe Ardito, Alessandro Besselva Averame, Gianni Della Cioppa, Loris Furlan, Federico Guglielmi, Damir Ivic, Giovanni Linke, Marco Manicardi, Francesca Ognibene, Aurelio Pasini, Andrea Provinciali, Elena Raugei, Giorgio Sala, Hamilton Santià, Gianluca Veltri, John Vignola e Fabrizio Zampighi – affiancati come sempre da alcuni addetti ai lavori “ospiti”, vale a dire Fausto Murizzi (Rockit), Marina Pierri (Vitaminic, Rolling Stone), Gianluca Polverari (Radio Città Aperta), Ricky ed Elisa Russo (Radio/TV Capodistria, Il Piccolo), Eliseno Sposato (Radio Libera Bisignano) ed Enrico Veronese (Blow Up, Italian Embassy). Al secondo posto e distaccata di soli due voti si è classificata l’opera prima de Il Pan del Diavolo, seguita da quelle di Dino Fumaretto, Heike Has The Giggles (tutte distanziate di due voti le une dalle altre) e, parecchio distanti, i rimanenti lavori in gara, a testimonianza di un’annata caratterizzata da alcune produzioni di assoluto livello ma da una qualità delle uscite non straordinaria. Questa, nel dettaglio, la lista delle nomination: 2Pigeons, “Land” (La Fabbrica) Airìn, “Il regalo” (Adesiva Discografica) Brown And The Leaves, “Landscapes” (Red Birds/Audioglobe) Ciclope, “Una notte all’Inferno” (Green Fog/Venus) The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik, “Are You Crazy Or Crazy Crazy?” (Locomotiv) Criminal Jokers, “This Was Supposed To Be The Future” (Iceforeveryone/Audioglobe) Il Disordine delle Cose, “Il disordine delle cose” (Tamburi Usati/Venus) The Dissuaders, “Minutes To Go” (Hate) Eterea Postbong Band, “Epyks 1.0” (Trovarobato/Audioglobe) Dino Fumaretto, “La vita è breve e spesso rimane sotto” (Trovarobato/Audioglobe) Simona Gretchen, “Gretchen pensa troppo forte” (Disco Dada/Venus) Heike Has The Giggles, “Sh!” (Kitano/Goodfellas) La Linea di Greta, “Cani di banlieue” (autoprodotto) Maciste, “Maciste” (Devil’s Ruin) Micol Martinez, “Copenhagen” (Discipline/Venus) Il Pan del Diavolo, “Sono all’osso” (La Tempesta/Venus) Davide Tosches, “Dove l’erba è alta” (Contro) UnePassante, “More Than One In Number” (Anna The Granny) Verlaine, “Rivoluzioni a pochissimi passi dal centro” (70 Horses) Vinegar Socks, “Vinegar Socks” (Grinding Tapes) Il disco della Gretchen va così ad aggiungersi all’elenco delle opere premiate negli scorsi anni, vale a dire – in ordine cronologico dal 1998 al 2009 – “Ogni città avrà il tuo nome” dei Santa Sangre, “Tempo di vento” di Lalli, “Sussidiario illustrato della giovinezza” dei Baustelle, “Rise And Fall Of Academic Drifting” dei Giardini di Mirò, “Capellirame” dei Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Valentina Dorme, “The Mistercervello LP” degli es, “Pai Nai” dei Methel & Lord, “Socialismo tascabile” degli Offlaga Disco Pax, “Setback On The Right Track” dei Tellaro, “I Am The Creature” dei MiceCars, “Canzoni da spiaggia deturpata” de Le Luci della Centrale Elettrica e “Beach Party” di Samuel Katarro. La premiazione avrà luogo nella serata del 26 novembre al teatro Masini di Fenza (RA), nell’ambito del MEI – Meeting degli Indipendenti, kermesse all’interno della quale sarà presente come d’abitudine anche il “Mucchio” con un suo stand. Nel fare i complimenti a Simona Gretchen e nell’invitarvi a venirci a salutare di persona in occasione del Meeting faentino, non ci rimane che augurarvi buona lettura con questo nuovo, ricco numero di “Fuori dal Mucchio” e, naturalmente, buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Filippo Andreani Viene da una città d’acqua dolce (Como, con le sue storie “scure” e frontaliere). Maneggia chitarre elettriche e acustiche con sapienza. Canta con una timbrica vocale che non può che far pensare a De André. Scrive testi da navigato autore pensando, come disco d’'esordio, un concept album intenso, profondo, impeccabile: una storia d’'amore, piombo e morte, con in testa gli anni bui del fascismo e nel cuore le vite spezzate dei due partigiani (il capitano Neri e Gianna). Ne “La storia sbagliata” (autoprodotto/Venus) ci racconti di Luigi Canali e di Giuseppina Tuissi. Ci racconti dell'Italia del fascio e della Resistenza, ma anche d'amore e morte. Quando la storia dei due partigiani è entrata nella tua vita così prepotentemente da spingerti a raccontarla? È successo durante la lettura di un libro scritto da Giorgio Cavalleri e pubblicato da Nodo Libri, circa dieci anni fa. La vicenda mi è sembrata sin da subito troppo appassionante perché restasse “solo” il ricordo di quel centinaio di pagine stampate. Ho sentito immediatamente la necessità di riviverla a fondo, di provare a rinarrarla con la voce della passione. In breve, me ne sono innamorato all’istante. Il disco è un concept e un esordio. Esordire con un concept non è cosa tanto frequente. Come si è svolto tutto il lavoro di ricerca, documentazione e scrittura che dall'ascolto appare molto approfondito? È stata la parte più bella: ogni giorno un nuovo incontro o una nuova lettura aggiungevano un tassello alla trama del disco, che piano piano prendeva forma. È stato un lavoro molto lungo, fatto di colloqui con testimoni ancora viventi, di pagine e pagine tra memoriali e pubblicazioni varie. E ancora non avevo messo insieme due note o due parole in rima! Insomma, se mi guardo indietro mi do del matto, ma tanto era l’amore che nemmeno sentivo la fatica. Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Di solito i dischi d'esordio son figli dell'impellenza e dell'impazienza. Come hai resistito? Il mio desiderio era di fare un disco al massimo delle mie possibilità. Questo mi ha fatto resistere all’impazienza, che peraltro è parte non secondaria del mio carattere. Volevo pronunciare la parola “finito” solo una volta conseguita la soddisfazione piena. Dei testi ho curato tutto fino al particolare, cambiando più volte addirittura articoli e preposizioni! Sono sempre stato maniaco della lingua cantata, con tutte le paranoie che questo comporta. La tua musica è un folk italiano ben definito, senza eccessive stravaganze. Suoni tutto e arrangi le canzoni come un artista navigato, ma di te sappiamo poco. Quando hai cominciato? E nel disco, come hai sposato le parole con le note? Tra tutte le virtù umane la più importante è la sincerità, credo. Quindi, ti confesso volentieri che senza Davide Lasala – chitarrista e caro amico – gli arrangiamenti e le musiche sarebbero state molto meno interessanti. Filippo ama scrivere, ma è solo un suonatore e non un musicista. Tra l’altro dico suonatore con un certo orgoglio perché – a proposito di “da dove vengo” – sin da ragazzino ho amato alla follia Joe Strummer. Un poeta, ma non propriamente un polifonista fiammingo. Quanto al connubio tra note e parole: prima le seconde. Per me il testo, il “cosa dire” e soprattutto il “come dirlo”, sono fondamentali. A volte penso che potrei mollare la chitarra, ma per niente al mondo mollerei la penna. Questo, me ne rendo conto, a volte penalizza l’aspetto musicale. Ecco perché ci ho lavorato con Davide: le musiche di Filippo sarebbero state all’esclusivo servizio del testo, con ovvio disappunto di qualunque impianto stereo. Il richiamo di De André è inevitabile. Lungi da noi tentare un paragone, ma la timbrica, le rime perfettamente cesellate, la cadenza vocale portano inevitabilmente al genovese. Come ti trovi di fronte a questa associazione? È un peso o una lusinga? È certamente una lusinga, posta in questi termini. Diventerebbe invece un peso se mi si contestasse un atteggiamento emulativo. Anche perché se avessi avuto come scopo quello di imitare qualche grande del passato, avrei scelto una sfida più semplice e non De André. Da lui ho imparato tanto sulla scrittura in musica ed è naturale che l’operato dei maestri finisca per caratterizzare quello degli alunni. Ma tutto qui. Sorrido solo all’idea del paragone, che fai bene a non tentare (il risultato sarebbe fatto da due elenchi sterminati: uno di lodi a lui, l’altro di insulti a me). Il disco dura quasi un'ora ed è un racconto. Dal vivo come lo presenti? Suoni e canti tutto dall'inizio alla fine? La forma cambia a seconda della situazione: ci sono occasioni (ad esempio nelle librerie) dove presentare questa Storia vuol dire innanzitutto presentarne i testi. In altri casi, invece, senza una sezione ritmica che martella la buona riuscita sarebbe compromessa. Ad ogni modo, cerco sempre di parlare quanto più possibile al pubblico per facilitargli la comprensione della vicenda canzone dopo canzone. Per me è importante che la gente capisca cosa dico e non solo che ascolti gli accordi che suono. Ho letto da qualche parte che ti definisci un avvocato che non esercita la professione perché farebbe la fine del medico di Spoon River (ed ecco che, insieme a Edgar Lee Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Masters, torna De André). Fuggi quindi da una vita che ti costringe alla falsità fatta professione? No, non è per la falsità di quella professione che ne ho smesso l’esercizio, quanto perché – come il Medico - sarei presto finito a vendere elisir di giovinezza (fuori di metafora, sarei andato a rubare per non morire di fame). Rifiutando il patrocinio a circa il 51% dei potenziali assistiti non si può campare. Ma io ho sempre messo davanti il cuore e – tanto per farti un esempio pratico – non avrei mai richiesto l’esecuzione di uno sfratto o di un pignoramento per poi spendere il mio onorario al ristorante. Ho dei principi, alcuni dei quali possono magari sembra idioti, ai quali voglio necessariamente essere fedele. Mi sarebbe piaciuto fare l’avvocato, ma il 49% restante non sarebbe bastato nemmeno alle spese di studio. Ne ha perso il mio ego (mi piaceva l’idea dell’Avv. davanti al cognome), ma ne ho guadagnato in bellezza quando, la sera, mi guardo allo specchio. Tutto sommato “La storia sbagliata” potrebbe essere l'elisir che vendi, ma un elisir che funziona, una pozione vera. Stai già pensando al prossimo intruglio, nel tuo laboratorio? Ci penso costantemente... Ogni giorno trovo nuovi ingredienti. Ad esempio, proprio ieri ho finito un bellissimo libricino su Sabra e Chatila e la descrizione dei cadaveri è talmente realistica che ti invoglia a scriverci una canzone per ogni morto. Non farò, comunque, un disco su questo. È solo per dirti che ho continui stimoli e che non vedo l’ora di dire “Ecco! Ci siamo! Questo è l’intruglio giusto” e buttarmici dentro di testa (e di cuore). Contatti: www.myspace.com/filippoandreani Marco Manicardi Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Francesco Lucarelli Secondo titolo in catalogo per la neonata etichetta Route 61 – che nel sottotitolo recita programmaticamente “Americana Made in Italy? Perché no!” – l’esordio del romano Francesco Lucarelli si contraddistingue per solida scrittura e un cast veramente d’eccezione (da Graham Nash a Jeff Pevar). Mixato a San Francisco dal celeberrimo Stephen Barncard, “Find The Light”, tra chitarre resofoniche, echi jazz e profumi West Coast, trasuda la stessa passione con la quale il suo autore ci ha piacevolmente sommerso di parole. Sei maggiormente conosciuto come l'eroico fondatore della fanzine "Wooden Nickel", nonché autore dell'enciclopedica opera in tre volumi "Crosby, Stills, Nash And Sometimes Young", eppure la tua storia di musicista comincia addirittura sulle assi del Folkstudio. Cosa è successo prima di “Find The Light”? Quando nacque "Wooden Nickel", a fine 1983, avevo già una piccola esperienza musicale: c'erano state alcune apparizioni al Folkstudio Giovani, lo spazio domenicale che Giancarlo Cesaroni dedicava agli esordienti, e avevo suonato con Marco Martella a Londra, come busker, raggranellando qualche sterlina. A metà anni Ottanta, dall'incontro con Stefano Frollano, nacquero i Blue Flares; suonavamo musica acustica: chitarre, armonica e qualche tastiera. Nel 1987 registrammo un demo che finì nelle mani di Billy Talbot, il bassista di Neil Young & Crazy Horse. Talbot se ne innamorò e lo fece ascoltare ad alcune persone della WEA, che mostrarono un certo interesse. Sembrava potesse uscirne qualcosa ma non se ne fece nulla. L'anno successivo, durante un mio viaggio a Los Angeles, Elliot Roberts – manager storico di Young, ma anche di Dylan e Petty – che in qualche modo aveva avuto una copia di quel nastro, mi propose un contratto per le edizioni musicali delle mie canzoni. Rimasi a bocca aperta. La sua proposta, sorprendente, mi diede una bella carica, confermando che c'era del buono in quello che scrivevo.
Decisi che era giunto il momento di dare un senso a quanto avevo accumulato in quegli anni e nel 1990 registrai otto pezzi in studio, una collezione di canzoni che considero essere il mio primo disco, anche se fatto circolare solo su un’audiocassetta realizzata con pochi mezzi. Il titolo era “Root Hog Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Or Die” e da lì è tratta "Echoes Of War", una delle mie due canzoni pubblicate tra le "Songs Of The Times" sul sito di Neil Young. Dal 1990 all'uscita di “Find The Light” sono successe molte altre cose, soprattutto per quanto riguarda la mia attività dal vivo, ma a livello di studio di registrazione niente di significativo, a parte l’incisione di una mia canzone insieme ai Crazy Horse e alcuni demo in italiano, che potrebbero costituire la base del prossimo progetto. A proposito: la registrazione del disco è stata lunga e travagliata, come si può apprendere dal bel booklet che lo accompagna. Secondo che criteri ti sei mosso? È vero, il disco ha avuto una lunghissima gestazione. Le prime registrazioni risalgono addirittura al 1997, quando il progetto iniziò come disco a due, insieme a Stefano Frollano. Dopo circa un anno, ci fermammo. Stefano proseguì per conto suo. Io ripresi in mano le vecchie registrazioni solo nel 2005. Nel frattempo avevo maturato l'idea che mi avrebbe guidato nella realizzazione del mio progetto: riunire gli amici con i quali avevo fatto musica e, per quanto possibile, alcuni dei musicisti che mi avevano ispirato. Per me la musica ha sempre significato condivisione e per questo la trovo fortemente ed intimamente collegata al significato di amicizia. Così, quando ho iniziato a costruire le basi dei pezzi, immaginavo chi avrei potuto invitare su ciascuna canzone. Avevo già ben chiari i suoni e gli arrangiamenti che desideravo e sapevo di poter contare su un numero nutrito di amici talentuosi e di artisti straordinari. Non mi restava che scegliere le persone più adatte ad ogni brano. Alla fine ce l'ho fatta con quasi tutti, anche con Graham Nash: era da cinque anni che ne parlavo con lui e con David Crosby, e il mio desiderio era avere le loro voci sui cori di "If Trees Could Talk". Con Crosby non è semplicissimo combinare, a meno che non sia già in studio con gli altri. Alla fine dello scorso anno, Graham mi ha chiesto un rough mix per ascoltare il lavoro e ha scelto di cantare su "Mr. Sunshine". Quando mi è arrivato il pronto-ascolto realizzato da Nash, mi sono passati davanti tutti gli anni in cui ho inseguito il sogno, fin dal momento in cui misi sul piatto "Déjà Vu" per la prima volta. La tua cifra stilistica è indiscutibilmente più "americana" che italiana, a cominciare dai testi tutti in inglese. Hai mai avuto paura che in qualche modo ciò possa ghettizzarti? Non ci ho mai pensato. Quando scrivo, mi lascio semplicemente trasportare dal flusso di coscienza. Lascio che le immagini e i pensieri scorrano liberamente e poi si compongano in parole e musica con naturalezza. Quando la musa si ricorda di te, non possono esistere ostacoli razionali o barriere di altra natura. Il rischio è quello di perdere la spontaneità e la freschezza di quanto sta nascendo. E così, nei preziosi momenti in cui l'ispirazione apre l'anima, non mi fermo a pensare se sia meglio usare l'italiano o l'inglese. L'aver composto molti più pezzi in inglese è la naturale conseguenza del fatto che io mi senta più vicino ai singer-songwriter americani che ai nostri cantautori. Per "Find The Light", ho registrato canzoni in inglese perché questo è il mio omaggio alla West Coast e non potevo fare a meno di sdebitarmi nei confronti di un suono, di una visione, di un linguaggio compositivo e degli artisti che mi hanno ispirato. Comunque nei miei cassetti esistono anche un po’ di canzoni in italiano e magari il prossimo disco sarà proprio in italiano e con suoni meno morbidi di "Find The Light". Ho idee diverse che mi piacerebbe realizzare e non ho timore di vedermi affibbiate eventuali etichette. Ci sono abituato fin dai tempi in cui mi proponevo ai locali con qualche cover-band di Neil Young e i cosiddetti direttori artistici mi rispondevano: "Ah, allora Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 fate country!". La cosa più divertente era poi guardare le loro facce quando nel set elettrico suonavamo pezzi come "Hey Hey, My My" o "Rockin' In The Free World". Contatti: www.francescolucarelli.com Carlo Babando Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Madame Lingerie Dopo dodici anni di attività, esce “D’amore, soldi e vendetta”, il primo album di Madame Lingerie da Roma, che raccoglie il loro meglio ma trasuda anche una forza incredibile, dettata dalla rabbia, da un istinto musicale tenuto a bada per troppo tempo che qui esplode e i testi in italiano molto forti, le melodie irresistibili, e una voce, quella di Alessandro possente e ficcante: sono tutti elementi che ci protendono all’ascolto continuo di questo disco e di questa band che spero finalmente possa uscire dall’oblio. Come mai questo disco esce autoprodotto? Siamo stati prodotti tre anni fa conto terzi e per tre anni siamo rimasti chiusi in uno studio, dove ogni giorno venivano rinviate una serie di promesse; a quel punto ci siamo stufati, ci siamo licenziati e abbiamo deciso di fare per conto nostro. Questa era la nostra seconda produzione infruttuosa e vista la situazione critica abbiamo deciso di fare tutto il passo per conto nostro. Abbiamo lavorato fisicamente e seriamente. Abbiamo messo un po’ di soldi da parte per tentare un’uscita che fosse quantomeno dignitosa. Quando pensavate ancora all’idea di gruppo cosa era fondamentale per voi? Per noi fondamentale è suonare e poi cerchiamo sempre di fare delle canzoni che portino dentro di sé una schiettezza, un messaggio, qualcosa per cui un ascoltatore si fermi ad ascoltare e non ad intrattenersi: per quello ci sono tante altre cose che si possono fare. Quando voi ascoltate la musica degli altri qual è la cosa che vi affascina sempre? Personalmente è l’insieme. Non sono mai riuscito a scindere, tipo “senti che bella voce o che bell’ arrangiamento, che bel testo”. Deve essere tutto insieme. Non posso scindere le cose. Ascolto tantissima musica con magari bei testi che vanno a finire sempre in quel cantautorato che comunque più di tanto non ascolto essendo di matrice rock. O belle canzoni rock a cui mancano dei testi che portino dentro di sé un significato molto evidente. Ultimamente, sono rimasto folgorato da Il Teatro degli Orrori e adesso dal nuovo dei Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Massimo Volume. In effetti il tuo cantato ricorda a tratti quello di Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori: quindi l’hai un po’ assorbito nel tuo background naturale? In realtà sì, non lo nego, perché comunque finché ci paragonano ad una cosa che ci piace ci sta bene. È anche vero d‘altra parte che i Madame Lingerie sono dodici anni che esistono e che fanno più o meno quel genere di musica quindi in realtà è l’influenza a monte simile in entrambi i casi. Voi ci siete da dodici anni, ma andando ancora più indietro, chi ti ha suggerito di cominciare a scrivere canzoni? O è stata una tua consapevolezza che ad un certo punto è arrivata? In realtà la cosa che mi piace per quanto riguarda me è il fatto che se potessi non lo farei. È un’esigenza. Io mi diverto molto di più a suonare e basta che a suonare, cantare e scrivere. Però è più forte di me. Vorrei non esserci all’interno del nostro gruppo, figurati. Mi piacerebbe fare come Brian Wilson scrivere e basta per poi starmene a casa. Quando scrivi i testi pensi a chi ti ascolterà? E questo ti influenza? No. Non ci penso. No non mi influenza. Rispetto alla prima versione dei pezzi ci son tantissimi cambiamenti all’interno dei testi e della stesura dei pezzi stessi. Noi partiamo da pezzi che durano sette minuti e poi cominciamo a fare dei tagli senza pietà togliendo tutto il superfluo nel testo e nella musica. Quindi quando facciamo un pezzo e lo mettiamo su disco, in realtà è quella cosa più vicina a quella che volevamo. E ci sono dei tempi vuoti che sono voluti. Dove e come è stato registrato questo disco? A Roma, nello studio di un nostro amico che fortunatamente ci ha dilazionato anche le spese, altrimenti ancora non avremmo potuto farlo uscire. Tra una pausa pranzo o a fine lavoro ci siamo rinchiusi in sala, sotto stress perché dopo otto ore di lavoro è stressante mettersi lì e continuare ad essere concentrati però abbiamo cercato di mettere questa frustrazione all’interno dei pezzi. Abbiamo lasciato anche delle imperfezioni, quando con il computer avremmo potuto intervenire tranquillamente, ma ci piaceva di più così. Questo disco è più arrabbiato o rassegnato? È un’arrabbiatura dovuta alla rassegnazione. No, scherzo. In realtà siamo dei finti ottimisti o dei pessimisti in pensione. Non lo so. Io personalmente ci trovo sempre una chiave di lettura positiva nonostante si spari un po’ contro tutto, ma non c’è mai autocommiserazione. Dall’ultima ondata di positività, pensando a questo disco che doveva uscire che difficoltà avete riscontrato avvicinandovi alla musica in questo periodo? Vedo cerchie sempre molto ristrette. Tante piccole entità che tentano di portare avanti le proprie cose e ovviamente non c’è spazio per altre persone. E quindi per chi vuole uscire è dura. Noi in realtà non ci siamo neanche posti il problema, perché eravamo stanchi di tutte queste situazioni. Noi ci siamo messi un po’ di soldi da parte e abbiamo fatto le nostre mosse con quello che volevamo fare, dove volevamo arrivare e stiamo cominciando ad avere i primi risultati fortunatamente. Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Autopresentatevi. Tu, sei Alessandro Di Luca, poi ci sono Luciana Luccini e Luca Cartolano. Come siete? Ti devo subito smentire. Come accade spesso, c’è l’elemento che registra con il gruppo e alla fine decide di lasciar perdere. Questo elemento per noi è stato Luca. Adesso siamo io e Luciana per quanto riguarda la formazione ufficiale, poi dal vivo siamo accompagnati da Valerio Fisik degli Inferno alla chitarra e da Fabrizio Baioni dei Drunken Butterfly alla batteria. Abbiamo cercato dei compagni di avventura che volessero fare i musicisti sempre e comunque, cosa molto difficile perché si pensa che arrivi prima o poi qualcuno con una ventiquattrore piena di soldi. Per noi, è fondamentale suonare perché si ha voglia di suonare. Punto primo. Poi ci sono tutta una serie di altre cose: la passione per il cinema e la letteratura, e siamo molto interessati a strumentazioni vintage e alla ricerca sonora. C’è un gruppo che amate tanto da scambiarvi una canzone? Nel senso che voi cantereste una loro canzone e loro una vostra? Con Il Teatro degli Orrori, Verdena, Marlene Kutz, Massimo Volume o Afterhours, volentieri, ben venga. Con tutti loro. Dal vivo suonerete in quattro quindi? In quattro come formazione base e per alcuni eventi anche in cinque con Mattia Candeloro dei Fumisterie che è anche quello che ci ha registrato il disco, alle tastiere e oggettini vari. E dal 29 ottobre su wondermark.com troverete il cd in download a pagamento o potrete richiederne copia fisica. Contatti: www.madamelingerie.it Francesca Ognibene Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 ZEUS! Gli ZEUS! debuttano ufficialmente lo scorso anno su vari palchi con una violentissima ed eterogenea miscela giocata sul dialogo incessante tra basso e batteria, il primo imbracciato da Luca Cavina (Calibro 35, Transgender, Beatrice Antolini), responsabile anche dei pochi e distortissimi interventi vocali, la seconda percossa da Paolo Mongardi (Transgender, Il Genio, Jennifer Gentle): abbiamo intervistato quest'ultimo a proposito del disco d'esordio del duo, che arricchisce le trame elaborate durante i concerti con l'intervento di alcuni ospiti. Come nascono gli ZEUS!? A quanto ci è dato sapere si è trattato di un incontro estemporaneo che però ben presto ha assunto una identità tutta sua, in primo luogo sul palco. Immagino che il tutto nasca da una comune passione per determinate sonorità estreme, jazzcore, noise e dintorni... In che modo avete deciso di unire le vostre forze, e in questo modo? Gli ZEUS! nascono dalla passione più genuina di tutte, quella che prescinde dalla tassonomia, o dalle sonorità, quella cioè per l'organizzazione di riff di un certo tipo i quali, messi insieme in un certo modo, fanno esclamare: “Spacca il culo!”. Le combinazioni che avremmo sempre voluto sentire nei nostri dischi preferiti, ma che non abbiamo mai trovato, ce le siamo fatte noi. È un bagaglio adolescenziale che ci piace portare dietro, perché non si tratta di “unire le forze”, ma di ricordare le pulsioni del primo approccio, delle prime volte, usandole attraverso il linguaggio che ci si è costruiti nel tempo a forza di darci. E noi ci abbiamo dato un bel po'. C'è voluta una decina d'anni di confusione tra progetti vari, sala prove non-stop e registratore sempre acceso per avere chiaro che potevamo fare le cose di cui sopra anche in due. Per esordire poi dal vivo è bastato puntarci alla tempia una semplice pistola, complici i simpatici amici Mariposa. In generale credo che gli dobbiamo molto. È stato difficile ricondurre quella che nasce come una esperienza live (e chi ha assistito ad un concerto degli ZEUS! sa quanto le dinamiche della vostra musica siano amplificate in concerto, soprattutto a livello di dialogo tra i due strumenti) ad un Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 discorso di studio di registrazione? Ascoltando il disco si percepisce il bisogno di non limitarsi a riproporre le energie del palco, e di azzardare qualche movimento ulteriore, allargando il tutto a ospiti e strumenti... Volevamo un disco che fosse saturo e grezzo, che andasse a inzaccherare l'altro lato, il più calcolato. Volevamo delle micro-composizioni-marce. Quindi, dopo un po' di training autogeno, un po' di stretching e qualche iniezione abbiamo registrato tutto d'un fiato, in cantina e in diretta. Gli orpelli (pochi ma buoni) sono arrivati a mente fredda a completare un quadro che era giusto terminare. Ed eccoci quindi in compagnia di alcuni stimati amici come Enrico Gabrielli al tastierame, Valerio Cané al theremin, Andrea Mosconi all'assolo bruciatasti. Il tutto poi impastato dalle manine d'oro del dott. Favero, specialista in macellazione a cuore aperto. Al di là della violenza sonora, il dato che emerge dal vostro progetto è il fatto che vi divertiate parecchio... non solo da un punto di vista di dinamica tra strumenti, ma anche perché non amate prendervi troppo sul serio direi, lo testimoniano i titoli paradossali che avete dato ai pezzi. Vi riconoscete in questa esigenza? Si tratta di un divertimento molto serio, perché ZEUS! ama la vita in tutte le sue forme e per dimostralo usa la violenza. Ma sono proiettili buoni i nostri, che fanno bene a tutta la famiglia e sono suffragati da titoli di raro acume, che esprimono tutta la profondità di questi melodrammi alla nitroglicerina. Qualcuno tirerà inevitabilmente in ballo la definizione di improvvisazione, in realtà i vostri brani sono in gran parte “scritti”, l'idea che emerge dai vostri concerti è quella di un canovaccio di base sul quale, di volta in volta, potete inserire un ampio numero di variazioni: nasce così il repertorio degli ZEUS!? Puoi tranquillamente togliere le virgolette da “scritti”, perché se improvvisassimo questa roba allora saremmo anche in grado di prevedere le calamità naturali; semmai ci sono delle sponde ben nette dentro le quali ci permettiamo di rimbalzare, ma intendiamoci, sono binari che portano in una sola direzione, verso una terra chiamata Libertà. Il progetto nasce estemporaneo e ora ha una via tutta sua, su disco e sui palchi: quale sarà l'evoluzione, anche in rapporto alla necessità di far collimare gli ZEUS! con gli innumerevoli altri progetti di cui fate parte? ZEUS! è spontaneo sì, ma per nulla estemporaneo, è anzi frutto di inflessibili riflessioni interne ed esterne atte alla conquista del mondo, isole comprese. La conciliazione di questo desiderio, a dir poco utopico, con i nostri numerabili progetti, rende il processo più lento, sì, ma inesorabile. Contatti: www.myspace.com/zeuspower Alessandro Besselva Averame Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Alex Cambise Tre vie per un respiro AIPM/Self Di gavetta ne ha fatta Alex Cambise, chitarrista e autore, passando per diverse collaborazioni (Massimo Priviero, Masimo Bubola, Gang, Andrea Parodi e altri) fino a un percorso musicale che è sempre andato di pari passi con una certa etica professionale. Lodevoli infatti sono l’insegnamento dal 1996 al 2000 presso il carcere minorile “C. Beccaria” di Milano insieme a Walter Lupi e Antonio “Toto” Testa e il lavoro di restauro e remastering del repertorio di Gorni Kramer che il nostro ha curato nel 2007 per la Duck Records. Produzioni, collaborazioni che lo hanno portato al fatidico disco di esordio “Tre vie per un respiro”, brani del suo canzoniere riarrangiati e confezionati per dare un senso di omogeneità. A dare spessore al disco collaborano artisti come Massimo Previero, Riccardo Maffoni, Massimo Maltese, Massimo Gazich, per una reunion fra colleghi-amici con cui condividere ideali e progetti. Il risultato è un rock senza novità sostanziali, con buoni spunti melodici, volutamente diretto e senza fronzoli, come nei brani di apertura “Oltre il tempo” e “Dimmi dove sei” che rimandano ai Nomadi o al Ligabue d’annata (“Diogene nel fango”). “La ragazza di Longarone” viaggia su coordinate folk sospese fra i Modena City Ramblers e Massimo Bubola, la dilanyana “Faccia di pietra”rivela notevoli aperture melodiche mentre la strumentale. “Tre vie per un respiro” ci presentano il lato da “guitar heroes” di Cambise, dettaglio non trascurabile delle sue potenzialità mentre “Ore piccole”, in duetto con Riccardo Maffoni, è una piacevole sorpresa pop-jazz con un lodevole assolo finale di Massimo Maltese. Un lavoro in definitiva che è un ottimo inizio come rock d’autore confidando in una prossima ricerca musicale più personale e originale. Contatti: www.alexcambise.com Beppe Ardito Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Andrea Cola Blu Aidoru-A Buzz Supreme/Audioglobe Andrea Cola, già nei Sunday Morning, esordisce sulla lunga distanza nei panni solistici con “Blu”, destreggiandosi bene fra voci e chitarre e facendosi accompagnare dall'arrangiatore Dario Giovannini, da Glauco Salvo e Diego Sapignoli, senza dimenticare Andrea Comandini, che produce il tutto e dà una mano con le parole. L’intento è virare verso una forma-canzone maggiormente cantautorale: lo si capisce innanzitutto dal passaggio testuale dall’inglese all’italiano, che frutta immagini non di rado surreali, così come dalla scelta di sonorità che, pur non perdendo in impatto prettamente rock, si avvalgono di innumerevoli sfumature. Merito di una strumentazione che, oltre a chitarre, basso e batteria, abbraccia organo, synth, pianoforte, fiati e violini. Gli undici brani in programma, nuovi di zecca nella resa effettiva seppur recuperati in parte da un EP pubblicato soltanto on line lo scorso anno, funzionano bene e scorrono con indiscussa gradevolezza, risultando nell’insieme compatti, ben disposti l’uno dopo l’altro. La vivace “La mattina presto”, le più morbide “Legno bianco” o “Se io, tra voi” disegnano un pop di spessore che può ricordare Alessandro Fiori, ma vi sono persino chicche di garage-blues tra Doors e Jon Spencer (si senta “Il cuore trema”), episodi dalle melodie classiche, a presa diretta (è il caso di “Piove a Milano”), intimisti episodi filo-battistiani (“Prima comunione”) oppure composizioni maggiormente articolate, come “L’isola” e “Anna, senti che tamburi”. Il songwriter di Cesena possiede le carte in regola per continuare a giocare la sua interessante partita in proprio. Contatti: www.andreacola.it Elena Raugei Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Arturo Fiesta Circo E lo chiamerai Giovanni ViaAudio/Venus Arturo Fiesta Circo è un progetto che ruota attorno all’esperto cantante e chitarrista italo/belga Sergio Arturo Calonego, supportato da una specie di “personalissima orchestra portatile”. I compagni di avventura sono Fabio Giussani alla batteria e alle percussioni, Fabio Bianco al basso, Giuseppe Magnelli dei Grenouille alla chitarra e agli effetti e Sara Denova, già esordiente come solista, al pianoforte, ma segnaliamo anche la partecipazione della corista Sara Giolfo e del compositore Armando Illario, prestato alla fisarmonica. Dopo “Distratto a Sud”, registrato in presa diretta nel 2008, “E lo chiamerai Giovanni” alza la posta in gioco: i dieci brani in scaletta rivelano una ricchezza notevole, tanto negli arrangiamenti, raffinati e stratificati, quanto nei testi, che vanno a posizionarsi in un vero e proprio concept dalle temerarie aspirazioni letterarie. Trattasi di una fantasiosa, metaforica “Rivisitazione delle Sacre Scritture, del Nuovo Testamento come storia di tutti i giorni, come storia di oggi”: per rendere l’idea, Gesù di Nazareth, indiscusso protagonista, diventa Geniale Pianista, mentre l’Arcangelo Gabriele fa l’Acrobata e ama Maria la Ballerina. Tornando alla musica, i costanti punti di riferimento sono il blues e il jazz, la canzone d’autore italiana e francese, caposcuola come Vinicio Capossela o Bandabardò, la nobile tradizione degli storyteller: sebbene non si punti a “fare niente di innovativo”, la varietà è assicurata con chanson d’atmosfera, esplosioni di folk da piazza, ouverture strumentali, ballad classicissime, aperture rock. Ascoltare per... credere. Contatti: www.arturofiestacirco.it Elena Raugei Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Carrick Nasty Affair EnZone/Audioglobe Cerchiamo di capirci, una band che sceglie il suo nome in onore di un tignoso centrocampista inglese che probabilmente avrebbe meritato tutt’altra carriera e suona una musica fuori tempo massimo di almeno dieci anni e non si preoccupa nemmeno di dissimulare merita rispetto a priori. Però bisogna dirlo subito. I problemi fondamentali di “Nasty Affair” sono due. E sono belli grossi: la qualità delle canzoni e della registrazione. Se per le canzoni non possiamo certo farne una questione personale (oh, ci sta, non è che siamo tutti in grado di scrivere grandi pezzi), per il suono invece si poteva lavorare di più. La batteria dei Carrick è registrata “malissimo”. Si sente la cinghia del pedale della grancassa e spesso questo sovrasta addirittura il kick in sé - e mancano profondità e dinamica. Insomma, un lavoro mediocre. Le canzoni invece hanno il problema di essere così effettivamente “brit-pop” da cadere in quella zona grigia in cui “brit-pop” vorrebbe voler dire Oasis ma finisce per essere Hurricane #1. Un surrogato di un surrogato di un surrogato senza nemmeno troppa grinta e qualità. Roba che può andare bene per divertirsi – e in effetti l’ascolto di “Nasty Affair” non provoca quell’endemico fastidio che i dischi di chi si crede più furbo degli altri provocano – ma non per spenderci dei soldi. Non è abbastanza. Poi dipende dalle ambizioni di ognuno, ma i Carrick dovrebbero cercare di scrivere qualche ritornello veramente convincente per giustificare la loro pur onestissima adesione fuori tempo massimo a un canone culturale così connotato. Contatti: www.myspace.com/carrickita Hamilton Santià Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Casa Peggioramenti
 Dischi Obliqui I Casa sono da sempre una questione di attitudine. Un flusso di sperimentazione che macina musica, parole, situazionismo, performance, immagini. Come dimostrano anche i concerti del gruppo o i video che girano in Rete, non ultimo un testamento biologico in piena regola sottoscritto dai musicisti coinvolti nel progetto (www.youtube.com/user/casamusic). Materiale che, se fossimo in Inghilterra, finirebbe magari su una rivista come “The Wire”, mentre in Italia non trova sbocchi, complice l'approccio da intellettualoidi e la scarsa attitudine alla vita on the road dei Nostri (parola di Filippo Bordignon). 
Eppure l'immaginario scardinato e virtuoso del quartetto (chitarra, tastiera, basso, batteria) non cede di un millimetro, arrivando con “Peggioramenti” al quarto disco pubblicato in tre anni. Un ipertrofismo creativo che fa il paio con il “solito” eclettismo musicale, capace di conciliare jazz (“No”), blues-soul à la Archie Shepp (“Volontè Blues”), elettronica (“Intro”), kraut (“Caltrano”) e una vocalità che ricalca le svisate teatrali di un Demetrio Stratos destrutturato e aggiornato ai giorni nostri. 
Dedicato a quaranta artisti di colore che hanno influenzato la band (si va da Blind Willie McTell a Richard Pryor, da Malcom X a The Last Poets, da John Coltrane a Grandmaster Flash) il disco raccoglie numerosi ospiti (tra cui Andrea Garbo) e riesce nell'intento di riconfermare una realtà brillante, atipica e decisamente poco in linea con un indie autoctono talvolta fin troppo standardizzato nelle aspirazioni. Contatti: www.myspace.com/casamusic Fabrizio Zampighi Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Central Unit I See You MP Records Sono trascorsi ormai trent’anni dal giorno in cui i Central Unit mossero i loro primi passi nel pionieristico mondo della musica indipendente italiana. Trent’anni che valgono come due secoli, se solo si pensa alle differenti prospettive che si avevano allora, non solo per quanto concerne l’aspetto culturale – per cui suonare certe cose rappresentava davvero un’alternativa al grigiore dilagante – ma anche e soprattutto per il progresso mediatico e tecnologico intervenuto nel mentre; sufficiente ricordare che una volta c’era solo il vinile e oggi a malapena i cd, né ci si poteva avvalere di internet o di posta elettronica per diffondere suoni e idee. Oggi la band di Riccardo Lolli non è più il gruppo di ingenui e intraprendenti sognatori che fu ai tempi dell’ep di esordio o del successivo memorabile long playing, pubblicato proditoriamente dalla CGD nel 1983; oggi l’ensemble ha forse una cognizione più distaccata del fare musica, meno impulsiva intendo, e proprio per questo più matura. Tale approccio emergeva già dal loro precedente album – “Internal Cut”, che ormai risale a sei anni orsono – e adesso è meglio definito in “I See You”, opera di grande eleganza, suonata ed arrangiata in maniera impeccabile. Un disco di questo genere un tempo si sarebbe detto “prog”, più di recente lo avremmo etichettato come “post-rock”. All’ascoltatore l’onere tutto formale di definirlo come meglio lo aggrada; chi vi scrive preferisce usare il proprio spazio per encomiarne la ricchezza strumentale, la laboriosità delle trame sonore, il gusto con cui le basi elettroniche, i fiati e le linee vocali (sostanzialmente in lingua inglese) s’intrecciano in un garbato e avvincente equilibrio. Contatti: www.centralunit.com Fabio Massimo Arati Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Electric Sixty Nine Cornelius The Colonel & The Hot Air Balloon Club Face Like A Frog/Goodfellas Tagliano il traguardo del terzo disco gli Electric Sixty Nine, band italiana solo di passaporto, visto che l’anima è il cantante e chitarrista Maury Wood, uno zingaro che ha girato il mondo e da questo vagabondare hanno ereditato il gusto per un rock ad ampio respiro, che ama collocarsi in un contesto decisamente seventies, diciamo tra Rolling Stones e Black Crowes, ma che non disdegna anche influenze più vicine a noi, seppur sempre con un taglio retrospettivo. Per esempio “Heart Of The Hurricane” è una ballata intensa, che sembra estirpata di sana pianta dal repertorio dei Soul Asylum (qualcuno se li ricorda ancora?). Ma non è l’unico esempio, infatti altre parti del disco hanno quell’aroma intenso tipico di certo rock americano degli anni 90, che amava guardare alla classicità, con qualche riferimento più moderno e penso a Gran Lee Buffalo e Crash Test Dummies. Con una simile attitudine inevitabilmente “Cornelius The Colonel & The Hot Air Balloon Club” finirà con il trovare stimatori tra un pubblico intenzionato a dedicare il proprio tempo non solo ai vecchi leoni del rock, ma anche a giovani interpreti che con passione e rispetto cercano di ereditarne se non la classe almeno il gusto. In questo senso l’album, trentacinque minuti in tutto – che bellezza! – offre almeno tre delle nove canzoni, assolutamente degne di diffondere il testimone di un rock vintage, godibile. Personalmente segnalo “Magnolia”, un hard’n’roll di scuola Stones, “Muddy Roots”, con un’andatura alla John Mellancamp, e la citata “Heart Of The Hurricane”, forse il brano di punta dell’album. Contatti: www.myspace.com/electric69band Gianni Della Cioppa Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 elio p(e)tri Non è morto nessuno Matteite/Venus elio p(e)tri – si scrive con le minuscole, così recita la scheda tecnica – nasce su MySpace – c’è scritto anche questo, sulla scheda tecnica – quando viene contattato da Matteo Dainese detto “Il Cane” – sempre da scheda tecnica – e insieme lavorano sull’esordio del primo come cantautore. “Non è morto nessuno”, però, sarà per via dell’esser figlio di MySpace, viene così così, una raccolta di dieci canzoni tutte della stessa pasta, un po’ tutte uguali, anzi, troppo uguali, perché già dal primo brano, che è anche il singolo di lancio – dice la scheda tecnica – si entra in una fase di noia dalla quale si esce soltanto, e sperabilmente, dopo la fine del disco. Una voce monotona e leggermente fuori tono poggia su delle chitarre appena sfiorate e su basso, rumori, batterie, percussioni, drum-machine, piano elettrici, un mandolino e un violino, quest’ultimo onnipresente. Verso la metà del disco, traccia sei, “Sentiero rosso”, la noia è già padrona dell’atmosfera, e non aiuta una voce che non cambia mai su testi che si ripetono e spesso cadono sulle ultime sillabe delle strofe. La musica, poi, non decolla mai davvero, rimane troppo rarefatta. La penna di elio p(e)tri – con le minuscole – compone testi al limite della comprensione, ed è un peccato, un’altra lingua non avrebbe guastato, perché – stando sempre alla scheda tecnica – si tratta di un disco interamente in italiano, ma che di italiano ha solo i testi. E alla fine siamo completamente sprofondati nella noia. A questo punto, per rimanere sul genere, meglio ascoltare Alessandro Raina o Moltheni. Ma non fa niente, in fondo. Non è morto nessuno. Contatti: www.myspace.com/eliopetri Marco Manicardi Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 7Grani Di giorno e di notte autoprodotto/Venus Qualcuno ha mai fatto il censimento di tutti i gruppi che, in Italia, sfoggiano un certo istrionismo in levare, coadiuvato di volta in volta da riferimenti stilistici che possono essere un po' balcanici, un po' mediterranei, un po' folk oppure un po' etnici? Beh, sarebbe ora di farlo, e di incominciare a suggerire una politica di contenimento, prima che invadano del tutto le cantine del paese. Tornando seri, vi possiamo dire che il brano più convincente di questo album, “Faccia da sospetto”, appartiene alla tipologia succitata, mentre il resto del programma si assesta su uno stile radiofonico melodico e medio che a tratti potrebbe far pensare a Ligabue, o a Umberto Tozzi, o a qualcosa di un po' più ambizioso ma egualmente datato. Una soluzione stilistica che non scontenta nessuno ma che, soprattutto, non accontenta nessuno: o, perlomeno, non può soddisfare nessuno che abbia un'idea di rock melodico italiano successiva ai modelli musicali che furoreggiavano nelle classifiche del 1988. Esiste sicuramente un pubblico che gradisce questo genere di proposta, il problema è che si tratta di un ambito dove c'è molta concorrenza, e molti professionisti navigati occupano quel settore da decenni. Ragion per cui auguriamo ai 7Grani tutto il meglio: ma la loro idea di musica è, come dire, piuttosto lontana da quella di chi scrive. Contatti: www.7grani.it Alessandro Besselva Averame Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Emanuele Bocci Un po’ gabbiano Horus/Audioglobe Il logorio della vita moderna è affrontato con ironia dal cantautore toscano Emanuele Bocci, esordiente come solista, ma già frontman della Compagnia Musicale di Grosseto delle Voci del Vicolo. L’album, prodotto e registrato dal chitarrista di Gino Paoli Riccardo Cavalieri, arriva dopo l’uscita del tragicomico singolo + video “Non ci sono più parcheggi”, interpretato dall’attore Paolino Ruffini. La proposta di Bocci si situa in una zona assai frequentata della nostra canzone, quella degli autori swinganti, paradossali, teatrali e lunatici. Le canzoni del disco sovente hanno l’aria d’essere racconti da palcoscenico; Bocci porta in giro uno spettacolo di teatro-canzone, dal titolo “Un clima nuovo”, ed è pressoché fatale che le tracce di un CD gli stiano strette. Siamo “parte di un circuito”, canta il cantautore maremmano in “Sono un automa”, dedicata all’assurdità dell’amore moderno, sacrificato in miseri fazzoletti di tempo. “Un po’ gabbiano” è il più propriamente caposseliano dei pezzi in scaletta, “Gli sfollati” è un randagio elogio per senzatetto, alla Peppe Voltarelli. Anche se Bocci è un po’ troppo pulito e bravo ragazzo, poco arruffato per entrambi i paragoni (metaforicamente, s’intende). “Senza vedere” ci porta dalla parte degli Avion Travel (e se non è zuppa è pan bagnato) e “Nunca mais” è un De André klezmer. “Il musicista” è un crepuscolare valzer finale, un dialogo dell’autore tra se stesso e il suo strumento (la fisarmonica). In definitiva un lavoro di originalità non travolgente, con una scrittura ancora in cerca di una sua cifra più personale. Contatti: www.emanuelebocci.it Gianluca Veltri Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Enrico Farnedi Ho lasciato tutto acceso Sidecar Uno con un curriculum come quello di Enrico Farnedi potrebbe fare grandi cose, grandi e pompose. Già tromba e voce dei Gangsters Of Swing, collaboratore di gente del calibro di Good Fellas, Vinicio Capossela, Cochi e Renato, e tanti altri, fino a Cesare Cremonini, invece di provare a strafare, lui prende un ukulele, un banjolino e altri chitarrini, registra e pubblica un disco solista dal profilo bassissimo ma dall'arrangiamento esperto. “Ho lasciato tutto acceso” è un condensato in quindici tracce di suoni pizzicati cantati in italiano e un paio di canzonette pop pronunciate in inglese, una cinquantina di minuti che vola via veloce, col sorriso. Forse quindici pezzi sono troppi, forse si potevano evitare le due canzoni in inglese, perché quelle in lingua madre sono davvero composte con una grazia fuori dal comune, nei testi e nella musica (“Cuore a metano”, per dirne una, è un gioiellino breve e melanconico in punta d'ukulele, così anche “Ci penserò lunedì”, per dirne un'altra, dove l'ukulele si distorce meravigliosamente; poi la title track ha un ritmo che ricorda da lontano i Tinariwen e non capisci perché, mentre il finale “Quanto piangere” è una diretta emanazione di Capossela), ma proprio stiamo cercando il pelo nell'uovo. In “Ho lasciato tutto acceso” ci sono anche un banjolele, basso, batteria, un synth, tamburello, shaker, glockenspiel, una tromba giocattolo e dei tegami. Ed è strano sentire come uno con il curriculum come quello di Enrico Farnedi si metta a fare queste cose piccole, scanzonate e dal profilo bassissimo. Ma se son fatte così, l'accoglienza è quasi un'ovazione. Contatti: www.myspace.com/enricofarnedi Marco Manicardi Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Fist Of Rage Iterations Of Reality Andromeda Relix Il piglio e il nome sono di quelli giusti quando si entra in materia hard & heavy. Fist Of Rage, sestetto Goriziano, dimostrano una volta di più che il livello medio della riproposizione di stilemi heavy metal e affini in Italia, e non solo, è parecchio cresciuto nell’ultimo decennio, ed è più facile imbattersi in giovanissimi gruppi che non hanno nulla da invidiare, se non nelle più ricche produzioni in studio, a certi blasonati nomi stranieri. Potenza dell’induzione mediatica o della precocità? Forse entrambe assieme, e questi ragazzi friulani ci sanno fare davvero: grande impatto, riff ben assestati a sostegno di un’efficace scrittura e di accattivanti melodie. Piace soprattutto che il modello di riferimento stia circa sul confine tra “antiche” rimembranze hard rock e vitaminiche, sferzanti dinamiche metal, così da sembrare persino naturale l’omaggio ai Deep Purple con la bonus track “Might Just Take Your Life”. Per il resto sempre di canzoni stiamo parlando, e i Fist Of Rage ne sanno sciorinare altre nove di impressionante forza melodica ed esaltante heavy rock’n’roll, sempre attrezzate di refrain vincenti, con l’elegante voce di Piero Pattay in grande evidenza. Ineccepibilmente funzionale il lavoro ritmico e solistico delle chitarre di Davide Alessandrini e Marco Onofri, ma tutta la band sa disporre di carte vincenti in termini di coesione, affiatamento, trascinante freschezza e dinamicità. Difficile scegliere i momenti migliori in un contesto stilistico consapevolmente non originale ma dallo standard elevato, in cui più o meno tutti i brani potrebbero rappresentare dei potenziali hit singles. Tuttavia l’irresistibile ritornello di “Loving In Vain”, l’immancabile struggente ballata “The Clown’s Crying”, l’incalzante “Walking In The Edge” li collochiamo in un ideale juke-box, insieme a qualcosa di Glenn Hughes e Whitesnake. Probabilmente una compagnia molto gradita. Contatti: www.fistofrage.eu Loris Furlan Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Gualeve L’età del ferro autoprodotto Se ci fosse un santo protettore dell’indie-rock italiano non potrebbe non prendersi in simpatia le sorti dei Gualeve, giovane band salentina che resiste ai margini underground dal 2003. Non è una questione particolare di talento, ma è così visceralmente ruvido il loro suono, senza fronzoli, né derivative smancerie anglofone, che pare un po’ rassicurarci su possibili ipotesi di autenticità e vitalità di rock nostrano. Una volta tanto niente scimmiottature sculettanti, niente rock’n’roll, nienti titoli cool, nemmeno palesi indizi di emulazione, bensì il peso specifico di parole semplici e immediate, talvolta sussurrate, talvolta urlate, che scorrono assieme ad asperità elettriche, atmosfere tese e malinconiche, con sincera coerenza. L’efficace produzione del rinomato Fabio Magistrali, di suo buon grado, ha saputo lievitare echi noise, stridore di chitarre deflagranti e tamburi intrusivi. Così “L’età del ferro” reclama la sua dignità nel territorio del rock del disagio, coi benevoli fantasmi dei CSI e Marlene Kuntz, ma con apprezzabile consapevolezza, non presunzione, del proprio mondo espressivo. La dolcezza estatica di “Edera” può sembrare fuorviante laddove le ballate non sono tali, ma canzoni dalle movenze cadenzate, ritualistiche, crude e visionarie al contempo, tra quiete e rabbiose esplosioni. Buon esempio ne siano le tensioni indie-punk di “Vendetta & Perdono” in cui s’infila una brezza di mellotron, il crescendo disperato di “L’oro di Mida” striato da un theremin. Curiosa e personale la reinterpretazione della “Leggenda di Natale” di De André, non banale ed affine al suono della band. Un ulteriore margine di maturazione lo si può intravedere, ma se ci fosse quel santo protettore dell’indie-rock una benedizione ai Gualeve per ulteriori fervidi auspici non la negherebbe di certo, assieme alla nostra. Contatti: www.myspace.com/gualeve Loris Furlan Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Johnnie Selfish & The Worried Men Committed
 autoprodotto Difficile immaginare Big Pink che trasloca in un quartiere milanese, e San Vittore non sarà mai Folsom, ma Johnnie Selfish e i suoi sodali sembrano non preoccuparsene più di tanto. Nel loro disco autoprodotto di Milano c'è ben poco, e c'è invece molta plausibile America(na). Del resto, fatti i debiti paragoni e tenendo conto degli oceani non solo geografici di mezzo, Robbie Robertson, prima di prendere in mano qualche libro di storia e scrivere “The Night They Drove Old Dixie Down”, di confederati e yankee ne sapeva il minimo indispensabile per non fare brutte figure. Ma prima di essere accusati di bestemmia, ci fermiamo, e ci limitiamo a dire, al di là della simpatia e della convinzione con cui il gruppo si immerge nell'immaginario della frontiera statunitense, che queste canzoni hanno una loro dignità di per sé e una energia rustica ed espressiva piuttosto convincente, con canzoni solide e intrise di atmosfere roots come “Let's Get To LaJolla”, quasi un omaggio allo spirito di Johnny Cash, il bluegrass di “Burn Burn Burn”, “Deep End” e la sua armonica inevitabilmente nostalgica. Al punto che pure la decisione di trasformare “About A Girl” dei Nirvana in una fantasia a base di banjo, slide guitar e twang assortiti, una specie di nebbioso canto carcerario, sembra la più naturale possibile. Contatti: www.myspace.com/johnnieselfish Alessandro Besselva Averame Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Kyô Kyô Mousike Lab A sorpresa e un po’ in sordina, esce direttamente dai cassetti del prolifico Marco Messina (99 Posse, Resina) l’omonimo disco dei Kyô, progetto del 2008 che vide coinvolto lo stesso Messina insieme a due nomi di rilievo della scena teatrale italiana: Monica Nappo (prima donna a vincere il premio “La Zanzara d’Oro”) e Michelangelo Dalisi (regista e attore di “Per Amleto”, in scena anche quest’anno con gli ottimi Villano e Caruso). Kyô vede un’elettronica minimale entrare in punta di piedi in uno spazio vuoto, dove è compito della voce e della parola evocare immagini. Il matrimonio non è dei più inconsueti, specie per gli spettatori più curiosi, ma è ben più atipico ritrovarlo su disco. Da un lato il supporto annulla l’emotività che è propria dell’istante teatrale, dall’altro supera eccellentemente la prova raggiungendo un livello di coinvolgimento del tutto nuovo. La musica non si limita ad accompagnare, il più delle volte sembra suggerire la direzione da prendere, come parte integrante del dialogo. Azioni e reazioni che nel limite di un supporto digitale, sembrano continuamente rinnovarsi. I testi scelti per questo lavoro, poste un paio d’eccezioni e la strumentale “Passabuio”, portano le firme di autori e universi distanti tra loro (da Emily Dickinson ad Antonin Artaud passando per Guido Cavalcanti, Heiner Müller e Giacomo Leopardi) ma l’ascolto attento offre innovativi punti di contatto, rendendo ancora più organiche le dodici tracce e di conseguenza, più intenso e personale il viaggio. Ora che è finalmente nei negozi, vale la pena dedicargli il vostro tempo. Contatti: www.mousikelab.blogspot.com Giovanni Linke Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 La Mela e Newton Immagini di repertorio autoprodotto Se volessimo metterci a fare diagrammi e schemi, considerazioni millimetriche e in qualche modo in grado di ridurre gli album a formule, potremmo dire che questo esordio autoprodotto (con la supervisione di Amerigo Verardi) dei bolognesi La Mela e Newton si trova esattamente ad un ipotetico crocicchio tra Fiorella Mannoia, Elisa, Alice e Lalli, con gli arrangiamenti delle prime due, certi accenti, nel canto, propri della quarta, e un un'aura di nobile distacco che ci può far venire in mente la terza. Questo, a livello più astratto e, almeno in parte, a livello di intenzioni, visto che alla fine ciò che ne viene fuori è qualcosa di un po' più addomesticato rispetto al cantautorato al femminile che si vorrebbe esprimere: intendiamoci, non che sia particolarmente brutto questo disco, è solo decisamente prevedibile, e le sue sonorità assolutamente radio friendly, levigate, impeccabili formalmente, non ci riescono a togliere del tutto l'impressione di un talento potenziale ma un po' troppo legato a schemi consolidati e un poco annacquati, un buon esercizio di maniera poco propenso a far venire fuori una voce più autentica: Insomma, c'è da lavorarci sopra e, naturalmente, non tutto è perduto. Tanto per incominciare, ci piacerebbe un po' più di coraggio. Contatti: www.lamelaenewton.com Alessandro Besselva Averame Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Le Braghe Corte Hey Hey Hey Maninalto!/Venus Chiamatemi diffidente, ma l'idea che un gruppo collabori con Rocco Siffredi, prima con un video e poi con un cameo nell'album, non è di quelle che mi entusiasmano. Per fortuna l'idea che il gruppo sia tutto fumo e niente arrosto è svanita ascoltando "Hey Hey Hey", ultima fatica de Le Braghe Corte. Il combo bolognese, ormai al tredicesimo anno di attività, ha infatti affinato le armi confezionando un album davvero variegato che ha innestato alla solita matrice ska-rock le influenze più disparate, dallo swing alle suite passando per l'hip hop e finendo con il punk a la Clash. Apre le danze "Edgar's Suite", brano in tre parti che il gruppo ha preparato ripensando ai '70 e che mostra tutte le capacità espressive della band, capaci di picchiare ma anche di farsi delicati e quasi ska-jazz. Da qui in avanti è un delirio abbastanza organizzato, tra l'intervento di Piotta in "Bullshit" al punk con fiati di "Speed Up" fino a "Qualunque cosa farò", unico brano in italiano del disco e, a mio parere, il punto di partenza per il futuro de Le Braghe Corte, che vedrei bene esprimersi nell'idioma di Dante. Un lavoro più che discreto che mette in luce le qualità compositive ed artistiche del gruppo, non un lavoro scritto pensando solo ai concerti e all'aspetto più festaiolo di questo genere come spesso accade con questo tipo di produzioni. Contatti: www.lebraghecorte.com Giorgio Sala Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Lingalad La Locanda del Vento La Locanda del Vento In Italia ci piace fare chiacchiericcio su tutti, compresi gruppetti e gruppuscoli rock e dintorni che vivono un paio di stagioni di presunta gloria per poi, spesso giustamente, inabissarsi nel dimenticatoio. È il potere della novità, del sentirsi sempre sull’ultimo treno in corsa, di quella sensazione strana che ci fa sentire “trendy” se conosciamo e diffondiamo per primi ciò che nessuno ancora conosce. Poco importa se gruppi come i bergamaschi Lingalad, con la loro semplice coerenza e con la loro musica, da un decennio siano noti ben al di là dei confini nazionali e – oltre a una discografia di quattro album (cinque se consideriamo il lavoro solista del leader Giovanni Festa), di un bellissimo DVD e persino di un libro biografico, edito da Bastogi e scritto dal giornalista Donato Zoppo – vantano una carriera concertistica internazionale che pochi possono esibire in Italia. La musica dei Lingalad ha ispirazioni antiche, pesca alla tradizione celtica, suona leggiadra e festosa, richiama sagre paesane, stornelli di vita e d’amore da menestrello e canti religiosi. Giovanni Festa con la sua voce pacata e melodica, e l’accompagnamento strumentale fatto di chitarre acustiche, steel guitar, flauto, bouzuki, ci trascinano – come spiegano loro stessi - nel mondo fatato di storie che camminano in bilico tra l’oblio del passato, storie che il vento raccoglie e porta lontano. Nella musica dei Lingalad non ci sono artifici, c’è una toccante purezza di fondo, chiusa in un mondo dimenticato, che questa musica aiuta a schiudere e a riportare tra noi. Contatti: www.myspace.com/lingalad Gianni Della Cioppa Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Loners I Remember A Dream Boom Devil Non si sa mai se sia un complimento dire a una band che “non sembra italiana”. Il fatto è che se facciamo sentire “I Remember A Dream” a qualche orecchio della generazione dei nostri padri, questi non è che possano immaginarsi che i Loners vengono da Siracusa. E infatti, leggiamo le note allegate al disco e scopriamo che Salvo Rizzuto, il frontman voce-e-chitarra del gruppo, nel '78 un viaggetto a Londra se l'è fatto, e lì ha pubblicato canzoni e dischi, per poi tornare dopo trent'anni nella sua isola al largo della punta dello stivale a scrivere, suonare, cantare e comporre. Carlo Barbagallo arrangia e produce, e suona un sacco di strumenti, ma l'esperienza di Salvo esce da ognuno dei dieci pezzi che compongono il disco. Blues, soul e rock anglosassone in tinte pop si districano in una foresta di chitarre, bassi, batterie, percussioni, tastiere e pianoforti, violini, sassofoni, flauti e trombe. “I Remember A Dream” sembra sospeso nel tempo e in volo tra le due sponde dell'Atlantico, nel suo suono “classic” completamente anglosassone, nella sua pronuncia impeccabile, nella pulizia del suono e nell'accuratezza delle registrazioni. Niente che faccia immaginare al centro del Mediterraneo. Provateci, fatelo sentire all'orecchio di qualche vostro parente della generazione dei nostri padri, potrebbe chiedervi di comprargliene una copia, ché i Loners nel frattempo avranno pescato in tutto il suo background solleticandone la curiosità. Perché, in fondo, i Loners, come dire, non sembrano italiani. Contatti: loners.bandcamp.com Marco Manicardi Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Lorenzo Monni Grey Swans Of Extremistan Zeit La Lizard, label che da oltre un decennio alimenta il rock progressivo in tutte le sue numerose forme e non forme, ha creato la succursale Zeit per dare voce ad artisti più di avanguardia. Curiosamente Lorenzo Monni, chitarrista veneto, ma di origini sarde, pur se non declinabile in un unico contesto sonoro, non è necessariamente più sperimentale di altri nomi che hanno gravitato nel catalogo della Lizard. Infatti questo “Grey Swans Of Extremistan”, diviso in due atti e interamente scritto e suonato dal titolare, ad esclusione di alcune parti di batteria, pur se collocabile in un alcuni contesti vicini al Robert Fripp dei King Crimson anni Ottanta, sa anche distinguersi per una propensione melodica che alimenta tabulati che rievocano escursione strumentali tra The Cure prima maniera e – perché no? – lo shogazing più lineare. Infatti “Cascade”, “Contrary Winds” e “Dagged Of The Deep”, legate al primo atto “The Landscape Of Extremisant”, pur se variegate e complesse, hanno saliscendi melodici di indubbio richiamo, mentre “The Mysterious Cyclist Of Cyclette”, inaugurazione del secondo atto “Grey Swans”, sembra una marcetta folkloristica in chiave moderna. ‘Amarcord’ ha passaggi etnici che guardano a Sud, mentre nei brani finali altrove emerge la verve avanguardistica del musicista isolano, che illustra passioni per Klaus Schultze e Brian Eno. In sintesi “Grey Swans Of Extremistan” è la somma di tanti spunti ben amalgamati, ma non così estremisti come si potrebbe immaginare. Contatti: www.lorenzomonni.com Gianni Della Cioppa Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Love In Elevator Il giorno dell’assenza Epic & Fantasy/Go Down-Audioglobe Nel mare elettrico delle distorsioni messe su dai Love In Elevator (giunti qui al terzo album in quasi dieci anni di attività) spunta fuori quella voce e subito uno si mette a pensare: “Ma dove l’ho già sentita?”. Alla fine il riferimento più vicino è quello dei Blonde Redhead. Solo a quel punto ci si rende conto di quanto siano coraggiosi questi ragazzi capaci di coniugare testi “impressionisti” in italiano – non sempre felicissimi, va da sé, ma apprezziamo lo sforzo – e un solidissimo impianto musicale erede diretto dello shoegaze e del post-grunge. Cantare come Kazu Makino non è semplice: il confine tra ridicolo e autoparodia è molto labile ma Anna Carazzai dimostra di saperci fare. La sua è una voce convincente proprio perché conosce il suo ruolo e si “limita” a essere un raccordo sonoro tra gli strumenti. Spazio alla musica, quindi. Coordinate che si muovono in libertà in un luogo della mente tra Sonic Youth e My Bloody Valentine – per andare oltreconfine – e Verdena (per restare a casa nostra). “Il giorno dell’assenza” può poi contare su alcune canzoni decisamente riuscite come la title track (da prendere a esempio per chi vuole fare indie rock in italiano senza essere spernacchiato), “Dune” (escalation di chiassoso rumore bianco) e “I cieli di Munch”, sospesa tra lirismo narciso e cascate di Big Muff. In un panorama in cui spesso ci si dimentica qual è la cosa veramente importante, i Love In Elevator dimostrano che quando sai scrivere pezzi convincenti, il resto dei discorsi valgono come un due di picche. Contatti: www.myspace.com/amoreinascensore Hamilton Santià Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Low Frequency Club West Coast Foolica/Halidon Quattro quarti costanti, basso, sampler, tastiere, una voce cantilenante, una chitarra ben nascosta, quasi impercettibile, sotto una foresta di campioni e groove: “West Coast” è un disco electro, ci sono pochi dubbi. Oltre mezzora di sculettamento e poco altro, e dieci pezzi che non fanno altro che ribadirsi a vicenda, sono tutto ciò che i Low Frequency Club hanno da dire. Il suono è una specie di omaggio alla DFA e al clubbing del nylon (la megalopoli immaginaria che collega quotidianamente i pendolari yuppie tra New York e Londra) e ognuno dei pezzi che stanno dentro l'album è una papabile hit da DJ set, di quei DJ set con le strobo al limite dell'epilessia, il fumo denso, l'atmosfera cupa, carne mezza nuda, ettolitri d'alcol e chissà cos'altro. I tre Low Frequency Club sono fedeli alla linea: pettinatissimi, fashion addicted e ogni tanto urlano, come a voler inserire delle grida raznoriane nelle fila dei Daft Punk. Poi ci sono le voci robotiche, c'è il basso funky, c'è l'house, c'è l'acid, ci sono gli anni 80, 90 e 00. Alla fin fine, “West Coast” è un disco “di genere”, ascoltabile, quindi, quasi ed esclusivamente da amanti, appunto, del genere. Per tutti gli altri, se proprio volessero approcciarsi al trio, a loro rischio e pericolo, sconsigliamo l'ascolto casalingo: meglio in macchina, nel traffico, o dalle casse tirate al massimo di un club metropolitano. Luoghi adatti, se non altro, a un quattro quarti nervoso, ai sampler, al movimento. Contatti: www.myspace.com/lowfreqclub Marco Manicardi Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Madame Lingerie D’amore, soldi e vendetta autoprodotto/Wondermark Esordio della band romana guidata da Alessandro Di Luca (voce, chitarra e batteria), Luciana Luccini (basso, cori) e Luca Cartolano (chitarre, cori). Quest’ultimo una volta pronto il disco, ha lasciato il gruppo, ed è stato sostituito da Fabrizio Baioni (Drunken Battlefly) e da Valerio Fisik (Inferno). Quindi adesso sono un quartetto. Queste canzoni hanno un piglio efficace, superbo, quindi rock. È come se Capovilla e Godano facessero l’esperimento della mosca di Cronemberg e ne venisse fuori una forza nuova, magnifica. Un disco questo, però, che poggia bene i piedi e ricerca il giusto modo di non essere superficiale, ma neanche troppo pretenzioso. I testi sono chiari, lucidi e raccontano dei loro guai con le etichette discografiche (“Titanioc”), dei loro dissapori amorosi (“Non avrò paura”), di illusioni nei confronti della società, del partner, di episodi del quotidiano, di sogni infranti, di voglia di rivincita, di vendicarsi per il proprio idillio tradito. L’inizio del disco con “Più niente” è appropriatissimo in quanto riesce a farne un sunto. Non conta più niente, continua a ripetere la voce di Alessandro e riesce a fare un j’accuse che spezza il cuore e scuote certe corde. Musicalmente c’è un andirivieni di dolcezza e ruvidezza che non spezza, ma alterna invece le dinamiche espressive delle melodie. L’unica traccia strumentale è “Il centro commerciale di notte” con l’ospite Mattia Candeloro al glockenspiel e all’organo. Un brano che riesce a stupire per ogni passaggio, creando brividi e giochi con dei movimenti fluorescenti. Davvero interessanti. Contatti: www.madamelingerie.it Francesca Ognibene Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Nadiè Questo giorno il prossimo anno autoprodotto I Nadiè, formatisi a Catania nel 2000, hanno elaborato la loro proposta nella maniera migliore, ovvero suonando spesso dal vivo, dividendo il palco con musicisti come Mario Venuti, Max Gazzè, Uzeda e altri. Giovanni Scuderi (voce, chitarra elettrica e acustica, piano e basso), Federico Tutino (chitarra elettrica ed e-bow) e Alfio Musumeci (batteria) si sono, insomma, dati da fare sul campo, prendendosi tutto il tempo necessario - a seguire il singolo “Glicine” del 2006, qua peraltro riproposto - per dare forma a un soddisfacente esordio sulla lunga distanza. “Questo giorno il prossimo anno” si fa ascoltare con piacere, sia perché il rock melodico del trio siciliano riesce a diversificarsi di traccia in traccia, senza arenarsi in soluzioni univoche, sia perché il tutto suona molto bene, grazie alla produzione artistica del navigato Massimo Roccaforte, da sempre al fianco di Carmen Consoli. Se Roccaforte suona per l’occasione anche vari strumenti, compresi mandolino e clarinetto, la lista degli ospiti prosegue con Salvo Farruggio dei Lautari alle percussioni, Tiziana Cavaleri al violoncello e Adriano Murania al violino e alla viola. Si sente, com’è ovvio che sia, l’influenza degli apripista degli anni 90 - dagli Afterhours ai Marlene Kuntz, dalla stessa Consoli a Moltheni ma il desiderio di camminare sulle proprie gambe si traduce in canzoni dagli apprezzabili testi in italiano e dalle fragranti, efficaci policromie, in bilico fra pezzi più tirati (“Cara rivoluzione”, “Laurea in Lettere e Filosofia”) e ballad eleganti (“Franti” o “Roman Polanski”, che cita persino Who ed Eels). Contatti: www.myspace.com/nadict Elena Raugei Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 New Candys New Candys EP autoprodotto Nella foto sul retrocopertina del loro primo EP (stampato in sole 300 copie, ma disponibile in free download sul sito della band) i trevigiani New Candys sono colti in uno foto virata in rosso che a chi scrive ricorda vecchie pose di band come gli Spacemen 3 o i Telescopes. L’immaginario messo in moto da queste cinque canzoni cantate in inglese va in quella direzione: foschie purpuree, stati di alterazione, giacche di cuoio, distorsioni, elettricità e vaghe reminiscenze shoegaze. Ma il concetto di rock psichedelico – di questo si parla, va da sé – caro al gruppo è molto più ampio, e abbraccia con padronanza storica riferimenti diversi: dal riverbero cattivo in stile Davie Allan & The Arrows di “Surf Little Surfer” (titolo fin troppo didascalico) al dondolarsi pigro e orientaleggiante di “Involution”, che nel suo riff ripetitivo omaggia certe cavalcate tossiche dei Brian Jonestown Massacre, dall’interessante incrocio tra Oasis e chitarre acidissime memori del Paisley (True West? Thin White Rope?) di “Dry Air Everywhere” - decisamente il brano più bello in scaletta - per finire con la sghemba filastrocca country-psicotica di “Childhood Ballad” e l’incedere heavy di “Volunteer”, che più che ai Jefferson Airplane guarda ai Black Angels. Registrato con l’aiuto di Matt Bordin dei Mojomatics, questo EP potrebbe rappresentare un corposo antipasto a un primo piatto gustosissimo, in grado di farsi apprezzare anche fuori dai nostri confini Contatti: newcandys.bandcamp.com Carlo Bordone Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Nichelodeon Il gioco del silenzio Lizard/BTF Ci sono dischi incredibilmente facili da incasellare per generi di riferimento e influenze; altri, invece, risultano in tal senso assai ostici, rendendo pressoché impossibile qualsiasi tentativo di definizione. Appartiene senz’altro a quest’ultima categoria “Il gioco del silenzio”, opera seconda – e prima in studio, ché il precedente “Cinemanemico” era un live – dei Nichelodeon, formazione milanese di sette elementi che si muove all’interno di un’area talmente vasta da comprendere sperimentazione e free jazz, influssi etnici e prog, decostruzioni post-punk e rumorismo, new wave e persino la canzone d’autore italiana. Le composizioni, mediamente piuttosto lunghe, si arrotolano per poi aprirsi all’improvviso, si disgregano e si ricompongono, si gonfiano di teatralità e si svuotano, con tasti e corde a creare incroci imprevedibili insieme alle percussioni, mentre il cantante Claudio Milano è protagonista di intensi tour de force vocali ed interprete (oltre che autore) di versi profondi e inquietanti. Nell’insieme, una proposta non proprio di semplice fruizione, a tratti persino minacciosa, ma non priva di un suo fascino oscuro, densa a tal punto da renderla sconsigliata per un mero ascolto di sottofondo. Richiedono molto le dodici tracce qui raccolte, ma se le si avvicina con mente aperta e voglia di mettersi in gioco possono regalare parecchie soddisfazioni. Da segnalare l’uscita, in contemporanea al CD, di un DVD (realizzato in collaborazione con Andromeda Relix) intitolato “Come sta Annie?”, che documenta un concerto dell’ensemble al Bloom di Mezzago (MI), al cui interno trova posto anche un originale omaggio ai vent’anni di “Twin Peaks”, di cui viene sonorizzato in diretta il celebre e controverso finale. Contatti: www.myspace.com/nichelodeonband Aurelio Pasini Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Nicolas Joseph Roncea News From Belgium I Dischi del Minollo Nicolas Roncea è giovanissimo, ma non è uno alle prime armi. L'abbiamo visto distruggere i palchi di mezza nazione, per esempio, con i Fhu e gli Io monade stanca, e da queste premesse ci aspetteremmo di sentirlo maltrattare qualche altro strumento, anche da solo. Invece no, “News From Belgium” è un disco in punta di dita, dita che arpeggiano ossessivamente una chitarra acustica in piccole ballate tra il blues e l'indie-pop, come un Bob Corn giovane e con una discreta padronanza della musica o come un Conor Oberst in miniatura, con tutte le dovute distanze del caso. Il disco d'esordio di Nicolas da solo è una raccolta di otto canzoncine tutte uguali, eppure ognuna col proprio piglio particolare, tra l'intimista e l'ingenuo, di quelle cose che piacciono molto ai nuovi geek musicali, ma anche al grande pubblico, ogni tanto. Una chitarra e una voce e poco più, un paio di batterie semplici qua e là, una tromba che squilla e un violoncello cupo nel pezzo migliore dell'album, “3-4”, ci mostrano senza possibilità d'errore come anche un ragazzo dedito al rumore possa chiudersi nella sua camera, in questo caso a Cuneo, e comporre canzoni “leggere” e malinconiche. Magari qualche cesellatura nella pronuncia non guasterebbe, ma tutto sommato “News From Belgium” si fa ascoltare con piacere, mezzora alla volta, magari col temporale che batte sulla finestra, così, per accompagnare ogni canzone con un po' di quel noise (in)controllato che ci ricorda un Roncea tra le fila dei Fuh o degli Io Monade Stanca. Non male per un esordio, specie per un ragazzo classe 1987. Contatti: www.myspace.com/roncea Marco Manicardi Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Orchestra Panica Journey To Devotion Lizard/BTF Orchestra Panica, laddove “panico” è un aggettivo inteso nell'accezione che gli dà Alejandro Jodorovsky, ovvero un pensiero antidogmatico, che cerca di descrivere e interpretare la realtà andando oltre le apparenze e senza dare per scontato l'impianto razionale tradizionalmente applicato all'interpretazione dell'esistente: il duo, orchestra intesa come forma mentis più che nei fatti (diventa tale nei singoli pezzi, con l'arrivo di ospiti assortiti), è un ensemble di difficile collocazione, e in questo lo spirito jodorowskiano viene perfettamente mantenuto. Le strutture musicali sono oggetti non identificati a cavallo tra il post-rock più emotivo e dilatato (un nome su tutti, se proprio si vuole fare un paragone: i chicagoani The Draft), il minimalismo, certe incursioni “in opposition” nel campo della classica contemporanea, i momenti più sospesi del Miles Davis elettrico e riferimenti “quartomondisti” (la gassosa “Coda” che sigilla la track-list e le sue voci che si inseguono). Materiali di partenza affascinanti ma potenzialmente pure molto noiosi negli esiti, ma bastano i dieci minuti iniziali della apparente immobile “Tappeti cellulari pt. 1”, un inseguirsi di chitarre circolari attraversate da trombe effettate e discrete pennellate sonore orchestrato con grande abilità, per mettere in chiaro che questo è un disco tutt'altro che noioso. Contatti: www.myspace.com/orchestrapanica Alessandro Besselva Averame Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Ovlov Margareth, Frank And The Bear CasaMolloy/Audioglobe Nella loro precedente vita musicale, gli Ovlov si chiamavano Black Eyed Susan. Dopo un rinnovamento di line up, ancora una volta con Luisa Pangrazio (la quale, nel frattempo, ha dato vita anche alle MuLu, duo femminile con Maria Luisa Balzi, titolare di un album su Wallace, pubblicato lo scorso anno) impegnata alla chitarra e alla voce, la nuova formazione mantiene l'impatto rock delle origini ma sostituisce all'irruenza sporca e ruvida del passato una veste decisamente più pop, più rotonda e snella. Le canzoni di “Margareth, Frank And The Bear” puntano infatti ad un altro tipo di immediatezza, più d'impatto, che va a cercare sponde in un pop'n'roll venato di atmosfere new wave (diciamo che, geograficamente parlando, ci troviamo dalle parti della New York dei Blondie). Ne guadagna la messa a fuoco, un po' meno l'originalità, ma il gruppo può contare su una scrittura sufficientemente solida da non dover appoggiare tutto il peso della suggestione sui puri e semplici suoni, accuratissimi. Come ingrediente aggiunto alla ricetta finale, per insaporire il tutto, troviamo una buona dose di ironia, e la capacità di non prendersi troppo sul serio, come dimostrano le divertenti citazioni beatlesiane di “Up & Down”. Contatti: www.myspace.com/ovlovmusic Alessandro Besselva Averame Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Pazi Mine Pazi Mine Super Fake Recordings Omonimo esordio per i Pazi Mine, stabilizzatosi come quartetto dopo numerosi cambi di line-up: la leader Sara Ardizzoni (chitarra, voce e un passato nelle fila di Pilar Tenera e Sorelle Kraus) è adesso spalleggiata da Francesco Artioli (basso e voce), Marco Beiato (chitarra e synth) e Alessio Capra (batteria e percussioni). Operativa tra Ferrara e Modena, la band fa tesoro delle differenti esperienze - individuali e collettive, come il confronto in studio con Brian Ritchie dei Violent Femmes - canalizzandole in un rock/hardcore vigoroso e irruente, che deve molto a modelli, sia sonori sia attitudinali, come Fugazi o Neurosis. Il bell’artwork di Luca Zampriolo preannuncia toni cupi, che rispecchiano i disagi, le ansie contemporanee: un mood ideale per composizioni robuste, che siano energiche o più votate alle atmosfere. Le massicce trame strumentali, che sanno comunque deviare con improvvisi saliscendi ritmici nonché aprirsi in passaggi impressionistici, sono così in azzeccato contrasto con l’evocativo cantato femminile, capace in ogni caso di graffiare. Registrato da Giovanni Ferliga (Aucan), l’album gode di altre collaborazioni di rilievo: da Giulio Ragno Favero (One Dimensional Man, Teatro degli Orrori), che ha curato la masterizzazione assieme a Giovanni Versari, a Gionata Mirai ai cori (Super Elastic Bubble Plastic, Teatro degli Orrori). “Pazi Mine” non brillerà in quanto a originalità stilistica, ma non accusa cali di tensione e non sfigura al confronto con la maggior parte delle affini proposte internazionali. Il che non è certo un risultato da poco. Contatti: www.myspace.com/pazimine Elena Raugei Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Pivirama 
In My Mind
 UdU “I Love U” si posiziona con dignità tra Blonde Redhead, dEUS e un'elettronica piuttosto di maniera; “All Grey” cita i Doors di “An American Prayer” e nel refrain pure gli Os Mutantes, per poi perdersi in un incrocio di chitarre pseudo-grunge; “Love Affair” si lascia traviare da un post-rock con qualche venatura prog; “Lost” saprebbe di Evanescence, se fosse un po' più paracula; “Toxic Girl” è new wave in piena regola; “In My Mind” è il pezzo sperimentale del pacchetto, sospeso com'è tra effluvi di synth e voci sospirate. 
Se chiedete ai Pivirama che genere fanno, vi risponderanno “psichedelia”. Il che significa tutto e niente, visto che nei quaranta minuti del loro secondo disco – alle spalle l'autoproduzione “Cosa sembra” - l'unica cosa certa è che si naviga a vista tra suoni eterei, distorsioni e un cantato che fa dell'inconsistenza psych un punto di vista privilegiato sul mondo. La band di Raffaella Daino ce la mette tutta per confezionare un disco dal family tree identificabile e con tutti i suoni al posto giusto, tanto che alla fine rimane ben poco da annotare oltre agli ovvi rimandi. Il che da un lato depone a favore di musicisti capaci di riassumere in maniera ottimale l'ampio spettro di influenze che costituisce il background della formazione ma dall'altro denuncia forse una certa carenza di personalità. Contatti: www.myspace.com/pivirama Fabrizio Zampighi Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Rodolfo Montuoro Nacht Believe/Egea Gli ultimi lavori di Montuoro erano stati extended play mirati, tappe di un’opera complessiva che adesso è giunta a compimento: “Nacht”. Un concept album dedicato alle ore di buio e tenebra, quando i ripensamenti e le memorie senza pace risalgono a galla. L’ora del lupo di Bergman. Quando terra e cielo si ascoltano e si toccano, meravigliandosi a vicenda; e riceviamo una visita inattesa e fantasmatica. Montuoro è un incantatore, un affabulatore elettrico. Un ricamatore di onde e vertigine, straniero tra terra e tempo, che non teme di addentrarsi nel labirinto. Nell’album sono saldati, come capitoli di un unico libro rilegati finalmente insieme, “Orfeo” e “La svolta” (da “Mythologies 2”); “Labirynth”, “Per incantamento”, “Mondi e popoli” e “Lola” (da “Mythologies 3”). Sono scolpite, in questo che è il terzo album sulla lunga distanza del musicista, tre nuove tracce: “Silly Moon”, “Convergenze parallele” e la title track dell’intero progetto, la crudele e senza patria “Nacht”. In più, due brani a completare, che si fa fatica a immaginare concepiti per altro, tanto naturalmente trovano qui posto, misterici remix tratti dai primi due lavori. La notte è furibonda di colori, ribollente d’oscurità, mesmerica e fitta, da ascoltare nei suoi sussurri, nei tramonti interiori, attraversata da lame di luce e inquietudine, sfuggente. Monturo, che è figura di cantautore-musicista-poeta non tanto diffusa in Italia, è uno che guarda come precedenti a Robert Fripp, Pink Floyd e Kate Bush. E restituisce, alla summa di questo lungo lavoro, un mondo poetico elettrizzante, poco tranquillizzante. Lo accompagna un coro di strumentisti, ognuno portatore di una “voce” speciale: il violoncello di Naomi Berrill, il theremin di Vincenzo Vasi, le uiellan pipes di Massimo Giuntini, il doudouk di Silvia Fontani, il violino di Ilaria Lanzoni. Tutto sotto la solida, minacciosa cura di Gennaro e Giuseppe Scarpato. Contatti: www.myspace.com/rodolfomontuoro Gianluca Veltri Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Shijo X One Minute Before Ideasuoni Gli elementi ci sono tutti: Laura Sinigaglia ha una bella voce e canta bene, con anche delle belle finezze interpretative; Davide Verticelli si muove con competenza nei segreti della qualità del suono, dimostrando di avere davvero mestiere; la scrittura dei pezzi non è male, e ha anzi aperture molto interessanti e mature; i testi – in inglese – sono sopra la media, non magari sfolgoranti ma nella loro categoria (quella del pop) si è visto e si vede molto di peggio e di più superficiale e banale. Insomma, questo “One Minute Before” è una felice sorpresa da seguire con grande attenzione, perché davanti ai due Shijo X c'è un grande futuro? No. Purtroppo no. Per ora no. È un po' come con la maionese, la metafora culinaria non sarà raffinata ma rende abbastanza bene l'idea: gli ingredienti ci sono tutti, ma l'olio continua ad essere separato dal tuorlo. Perché non sono giusti i dosaggi, o il modo in cui vengono somministrati. Prendiamo l'esempio di “Hanry Up!!!”: è come scrittura uno dei pezzi migliori del disco, anzi, il migliore ed è quindi veramente notevole, ma viene quasi ammazzato da un arrangiamento lounge/drum'n'bass (più la prima che la seconda) che nei Montefiori Cocktail o – esagerando – nei Pizzicato 5 ha senso, con una canzone come “Hanry Up!!!” proprio no. Oppure prendiamo il caso dell'iniziale “Wesh”: ci sono tanti elementi dentro... specifichiamo: ce ne sono troppi. L'ansia di far vedere di essere bravi, eclettici, (auto)ironici può giocare brutti scherzi. Agli Shijo X consiglieremmo ciò che di solito è disdicevole consigliare: prendersi più sul serio, essere più vanesi e stilizzati, più da cartolina (...assomigliare di più a Il Genio? OK, volendo...); ecco, di solito un atteggiamento del genere è ridicola zavorra, se non si hanno le capacità per sostenerlo, ma Davide e Laura le hanno. Però continuando per la strada intrapresa con “One Minute Before” purtroppo non le valorizzeranno mai. Contatti: www.myspace.com/shijox Damir Ivic Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Ska-J Brube autoprodotto/Venus Ho la netta sensazione che nei confronti dei veneti (e veneziani) Ska-J ci sia un grosso equivoco di fondo. Il fatto è che siccome suonano ska, e l'anima del gruppo è Marco "Furio" Forieri fu Pitura Freska, si dia per scontato che la loro sia una musica buona per ballare e farsi due risate. Invece gli Ska-J non son solo questo, e "Brube" dovrebbe essere l'occasione giusta per farlo capire. Partiamo dal titolo: Bruce è un po' l'equivalente della Vespa nella laguna veneta, una sorta di barchino con cui si esce per divertirsi e godersi il mare; insomma una bella metafora per una musica solare come lo ska-jazz. E un brano come "So figo", andamento swingeggiante e autoironia in quantità, è la perfetta sintesi di queste sensazioni, ed anche la title track si muove sulla stessa lunghezza d'onda. Ma c'è anche dell'altro qui: innanzitutto ci sono gli strumentali, alcuni veri e propri standard jazz - i nomi? McCoy Tyner e Horace Silver - riarrangiati e riveduti, e poi ci sono gli omaggi a Mina con "Parole parole" e a Ray Charles con "I Got A Woman", la prima molto scolastica e la seconda decisamente più originale. Ma il pregio maggiore di questo album, ma la cosa si potrebbe estendere a molta della produzione della band, è riuscire a far diventare godibile e ballabile quella che altrove sarebbe definita "musica colta". E tra un frizzo ed un lazzo Furio, un profilo basso ed un'ironia atipici nel mondo jazzofilo, ci dimostra come le distinzioni e gli steccati musicali siano in realtà stupidi e limitanti. Lezione quanto mai utile per tutti quanti, e che speriamo non venga recepita solo tra gli estimatori della band e gli appassionati della musica in levare. Contatti: www.skaj.it Giorgio Sala Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Stardom Soviet della moda Danze Moderne Onesti, gli Stardom, lo sono fin dai primi istanti del primo brano di questo disco, perfettamente in sintonia con le influenze dichiarate nella pagina MySpace del gruppo milanese: Diaframma, Litfiba, CCCP, Joy Division, Interpol, Editors. La new wave inscenata in questi brani impressiona per la fedeltà con la quale vengono riprodotte determinate atmosfere primi anni Ottanta, l'età dell'oro del “nuovo rock italiano”. I riferimenti, nei testi, sono in parte legati a quell'immaginario (“Dresda” è il titolo del primo brano, mitteleuropeo quanto basta), e in parte sono, com'è ovvio, aggiornati al presente, con riferimenti a Twitter e a Facebook e quant'altro. Ci sfugge un poco, lo ammettiamo, il senso di un'operazione del genere, ma d'altra parte non è necessario trovare un particolare significato artistico nella devozione indirizzata a determinati stilemi estetici e musicali. Il risultato è piacevole, non ci sono eccessive cadute di tono né momenti di imbarazzo involontariamente parodistico, non ci sono episodi pedanti, troppo fedeli ai riferimenti originali. Solo, per l'appunto, ci chiediamo, senza patemi ma con qualche punto interrogativo, dove possa mai portare questa diffusa deriva manieristica. Contatti: www.myspace.com/stardom.mi Alessandro Besselva Averame Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Trivision Muoversi nel liquido Indeed!/Halidon-Indiebox Ci sono, anche nelle recensioni, dei segnali che il destino, o chi per esso, ti lancia. Dovevo capirlo subito che qualcosa non andava con l'esordio dei Trivision. Prima un problema col download del promo - colpa mia, sia chiaro - e poi, aprendo il file con l'artwork una copertina che davvero non mi piace. Pazienza, mi sono detto, i bei dischi con copertine orribili son tantissimi. Ed è li che ho sbagliato, non ho capito il disegno superiore. I Trivision, attivi dal 2007 e che debuttano con questo "Muoversi nel liquido" sono un quartetto dedito a un sound indie-metal-screamo, ovvero riff iperprodotti di chitarra con un cantato -in italiano- a metà strada tra l'urlato ed il melodico. Citano i Deftones come influenza e io ci trovo anche parecchio metal-core recente, ma musicalmente non ci son grossi problemi, il vero punto debole rimane a mio parere l'aspetto canoro. Non che Ivan, voce e chitarra, non sia capace di cantare, anzi ha un timbro medio-alto interessante, ma i testi in italiano non sono semplicemente all'altezza. Se fosse in mio potere ad esempio abolirei la possibilità di scrivere "sei la mia vita" in un brano rock; queste frasi da cuore-amore lasciamole alla riviera sanremese, l'italiano come lingua è un'arma a doppio taglio perché ti garantisce la comprensione: alcune volte è l'essenza che mancava, altre scopre il vuoto che c'è. Non prendetemi per il crudele di turno, ma il mio consiglio è un serio esame di coscienza per poi ripartire con altre basi. Contatti: www.myspace.com/trivisionitaly Giorgio Sala Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 OJM Jack The Ripper, Roncà (VR), 9 ottobre 2010 Il bravo giornalista dovrebbe sempre portare con sé un bloc notes ed una penna. Io non sono un bravo giornalista, ma bloc notes e penna non mi mancano mai. Resta il fatto che quando mi trovo al Jack The Ripper, fresco di festeggiamenti per i quindici-anni-quindici di attività (auguri: siete fantastici!), tutti spesi a sputare rock’n’roll, garage, punk e dintorni, ogni cosa passa in secondo piano e penso solo a divertirmi con la musica scatenata e selvaggia degli OJM, su questo palco (palco?) per l’ennesima volta, per presentare la nuova fatica, l’ottimo “Volcano”. Quindi non chiedetemi la scaletta dei pezzi, non aspettatevi una recensione accademica, perché gli OJM tra fiumi di birra, un pubblico folto anche – ma non è più una sorpresa – femminile, sputano fuori tutta la loro energia, tra colate di chitarre elettrica, una sezione ritmica devastante e canzoni che si fondono e filano. É la terza volta che assisto ad un concerto degli OJM: la prima li ricordo scolaretti beat; la seconda una compagine di animali sguinzagliati dai Kyuss; oggi invece assumono le sembianze di una competente, ma sempre non allineata band di stoner metal, con un organo – la vera novità dei “nuovi” OJM – che duella con la chitarra. Su tutto la voce afona e rustica di David Martin, cordone ombelicale tra il passato e il presente degli OJM. Interessanti anche i due gruppi di apertura, entrambi della zona, i Kayleth, doom stoner con un bravo chitarrista, e i 3 Mexicans From Gorma, potente stoner classico. Una testimonianza, l’ennesima, di come il verbo dell’hard rock Seventies abbia contagiato molti adolescenti italiani. Gianni Della Cioppa Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Novembre '10 Tutte le storie sono storie d'amore TUTTE LE STORIE SONO STORIE D'AMORE “Se hai tra le mani questo disco significa che hai contribuito alla diffusione di un progetto totalmente gratuito e unico nel suo genere”, così sta scritto sul CD, con un pennarello nero, in tondo. Un giorno Gaël Moscarà, che suona ne El Señor Spielbergo, ha letto i pezzi Gaia Tarini, sul suo blog (quadernodiappunti.tumblr.com), e col gruppo han deciso di mettere della musica sotto i racconti di Gaia. Sotto, nel senso che le composizioni, di uno shoegaze soffuso, a volte arpeggiato, stanno davvero al servizio della voce di Sergio Di Salvo, che legge le parole scritte da Gaia con tono deciso. Mancavano le copertine, ci ha pensato Domenico in arte _Disordine, disegnando a mano sedici copie per la prima edizione, già esaurita e spedita gratuitamente a chi l'avesse chiesto direttamente all'autrice dei testi. Poi altre sedici copie, già esaurite, per un'altra edizione. E ancora altre copie, per una terza edizione a offerta libera che è in preparazione. E così via. Le storie di Gaia Tarini sono delle piccole perle letterarie, minimali, adagiate sulla musica carezzevole de El Señor Spielbergo; e “Tutte le storie sono storie d'amore” è tutto qui, nella sua grazia artigiana, nella sua assenza totale di pretese, nel suo essere “indie” etimologicamente. Per averne una copia, contattate Gaia. Contatti: quadernodiappunti.tumblr.com Marco Manicardi Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it