Gennaio '11 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Gennaio '11 Numero Gennaio '11 EDITORIALE Anno nuovo vita nuova, si dice. Un proverbio che non vale per “Fuori dal Mucchio” e per il suo staff, che – reduce dalle festività natalizie – si appresta ad affrontare il neonato 2011 con il medesimo spirito e la medesima attenzione nell’ascoltare, selezionare e valutare solamente il meglio di quanto proposto dalla iperprolifica scena underground tricolore. Un compito non facile, che richiede un certo tempo per essere svolto come si deve. Pertanto non disperi chi ci ha fatto pervenire il proprio materiale spedendocelo anche parecchie settimane fa oppure consegnandocelo di persona al MEI, né abbia troppa fretta: tutto quanto viene sentito, e se ritenuto valido viene trattato sul “Mucchio” mensile oppure in questo spazio. Ciò detto, non ci rimane che fare a tutti quanti voi lettori i nostri migliori auguri di un felice 2011, nonché – come d’abitudine – di buone letture e buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Denise Scambio di mail con Denise Galdo, in arte semplicemente Denise, all’esordio sulla lunga distanza con l’interessante “Dodo, do!” (Al-Kemi/Warner). Una voce dalle idee chiare e aperta al contempo ai contributi esterni, proiettata verso una forma-canzone internazionale eppure in grado di ritagliarsi uno spazio all’interno del nostro panorama. Dopo l’EP “Carol Of Wonders”, quali erano i propositi per il tuo primo disco? Volevo che mostrasse tutti i lati del mio progetto, da quello più giocoso a quello più malinconico. Volevo che fosse molto omogeneo e allo stesso tempo ricco di spunti creativi, una piccola fotografia del mio passato e del mio presente, senza troppe pretese. Com’è avvenuto l’incontro con Gianni Maroccolo, decisivo sia in fase di produzione sia nel sodalizio con Al-Kemi? Che rapporto si è instaurato? Gianni è una persona fantastica. Dal momento in cui ha sentito i miei pezzi, si è letteralmente innamorato del progetto e ha deciso di accompagnarci in questo importante passo. Ricordo che, quando lo incontrammo la prima volta a Milano, rimasi sconvolta per il numero di lodi ricevute, ero imbarazzatissima perché, trovandomi di fronte un artista di tale calibro, ero preparata più a farne di complimenti che non a riceverne. Lui, invece, non fece altro che lodarmi per tutta la serata, fu davvero stranissimo per me. Il suo ruolo nella produzione del disco è stato principalmente quello di prendermi per mano, impostare insieme a me l'organico dei pezzi che abbiamo poi realizzato in studio e soprattutto darmi degli ottimi consigli sull'evoluzione di certi arrangiamenti. Altre due figure importanti nella realizzazione di “Dodo, do!” sono stati Lorenzo Tommasini e Alessandro Di Liegro. Beh, Alessandro, oltre a essere mio compagno di vita, è il mio fidatissimo collaboratore e compositore di molti brani del progetto, per cui il suo apporto è fondamentale per me. Nel Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 corso degli anni abbiamo appreso un nostro linguaggio e questo ci è servito molto anche durante le registrazioni di “Dodo, do!”, dove l'intesa tra noi era davvero alla base di tutto. Lui ha una scrittura secondo me fantastica e mi sorprende sempre tantissimo constatare quanto i nostri tocchi siano complementari. Lorenzo Tommasini, invece, l'abbiamo conosciuto proprio in studio e devo dire che con il suo stile molto pulito, quasi brillantino, è stato importantissimo in quanto ha conferito quella dose di maturità e trasparenza che non guasta mai. Tra l’altro, questa sua indole naturalmente pop si è contrapposta divinamente all'animo rock di Gianni e si è creato un mix eccellente, a mio avviso molto bilanciato. Nelle tue canzoni misceli pop e folk, modernità e tradizione, orecchiabilità e ricercatezza. Si tratta di connubi voluti o casuali? Voluti e casuali. In realtà tutto ciò che mi interessa trasmettere all’ascoltatore è una buona sensazione, simile alla gioia ma meno viscerale. Non mi soffermo mai sulla necessità di rendere più o meno “orecchiabile” un pezzo, perché credo che questo significherebbe in qualche modo renderlo meno naturale, più macchinoso e meno sincero. La mia identità pop, accennata nel disco, non è altro che la voglia di rivelarsi in tutta semplicità. Non mi piacciono le cose troppo concettuali e cerebrali, quello che mi interessa è sempre mostrare il succo, quello vero. Per questo motivo mi piace spaziare anche in ambito folk, lo sento mio fin dagli inizi, non fermandomi necessariamente a questo o a quel genere, anzi prevedo in futuro moltissime sorprese in tal senso. Mi piacerebbe molto, infatti, riuscire a incontrare diversi modi di essere e fare musica toccando punte estreme, come possono esserlo l’R&B o il soul. Il tono fanciullesco, i riferimenti alla natura e la policromia dei pezzi sono una specie di risposta alla cupezza della realtà circostante? Esattamente. È il mio modo personale - ahimé, sono così anche nel quotidiano - di combattere il grigiore che accompagna la nostra epoca. Vedo sempre meno persone sorridere, me compresa, ed è inconcepibile. Siamo tra le generazioni più ricche a livello di risorse creative ma più povere a livello spirituale, sembriamo un esercito di insoddisfatti e questo di certo dipende molto anche dalla situazione storica che stiamo vivendo e dalla mancanza di certezze e sicurezze che siamo tenuti a sopportare. Il fatto che non si intraveda un futuro roseo, fa sbollire gli entusiasmi e anche il buonumore, insieme alla nostra capacità di sognare. Le mie canzoni provano a far chiudere un attimo gli occhi, come se niente di tutto ciò esistesse, come se una diversa realtà fosse ancora raggiungibile. Come ti poni rispetto al lavoro sui testi? Hai deciso sin dall’inizio di esprimerti in inglese o hai valutato la possibilità dell’italiano? L’inglese lo sento mio perché mi dà la possibilità di esprimermi al meglio, proprio come se la mia voce fosse uno strumento, colorato e vibrante, ma questo non esclude l’uso dell’italiano. Adoro scrivere nella mia lingua e in passato ho vinto anche alcuni premi letterari. Credo che l’italiano sia molto complesso da musicare, necessita di una scrittura compositiva diversa, una scrittura su cui possa adagiarsi al meglio, divinamente. Forse in questi mesi è nato il primo pezzo in italiano ma shhh!, è ancora tutto “in progress”. I paragoni che ricorrono più frequentemente sono Björk, Emiliana Torrini e, restando all’interno dei nostri confini, Elisa dei primi dischi. So che è una domanda che ti sarà stata rivolta varie volte, ma cosa ne pensi e quali sono gli altri riferimenti per te Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 significativi? Tra i nomi che citi, quello che sento più mio è Emiliana Torrini, che ho scoperto tra l’altro grazie alla mia prima recensione: ricordo che la citarono come mio riferimento, mentre io all’epoca neanche la conoscevo. Ci sono molti artisti ai quali sono legata e andiamo dalla musica italiana anni 50/60 a gruppi come Coldplay, Kings of Convenience, Radiohead o autori come Elliott Smith, Feist, Fionn Regan o la fantastica Carole King. Potrei farti una lista lunga tre pagine, che faccio, continuo? Sei stata inserita all’interno della raccolta “La leva cantautorale degli anni Zero”. Come hai recepito un simile riconoscimento e come valuti la nuova scena italiana? Ne sono stata lusingata e credo che in Italia in questo momento ci siano molti talenti in azione, molte proposte interessanti. Non ascolto molta musica italiana, per una questione di gusti personali. Tutto quello che posso dirti è che, sarà per l’inglese, sarà per il tipo di scrittura, sarà per il mood, ma non riesco a sentirmi simile a nulla di ciò che ascolto in giro. Se non erro, hai dato il via al tuo progetto nel 2005, a soli diciannove anni. Perché credi sia così difficile, soprattutto in Italia, essere giovani e riuscire al contempo a esprimersi, farsi ascoltare? Sì, in realtà avevo diciotto anni quando iniziai con il mio progetto solista ma prima c’erano stati altri due anni di esperienza con un altro gruppo e quasi dieci anni di attività corale. Mah, il discorso è lungo e complesso. La musica è in crisi ovunque, non solo in Italia, nonostante qui ci sia un mercato ristretto, principalmente centrato sull’italiano e su un certo genere, oltre il quale purtroppo non si riesce proprio ad andare. Questo è un limite molto grande e chiude le porte a molti giovani artisti, talentuosissimi e maturi, sui quali però nessuno ha il coraggio di investire realmente. Io sono nata a Salerno e questo di sicuro ha reso quello che era già difficile in partenza, ovvero riuscire a farsi notare, un'impresa quasi impossibile. È tutto estremamente complicato e poco stimolante, ma forse provare a crederci è l’unico modo per tentare di far qualcosa di concreto. L’album è contraddistinto da una certa ricchezza, varietà strumentale. Come lo proporrai dal vivo? Ho un gruppo molto fidato e funzionale, che varia dal trio acustico (chitarra, voce e violoncello) alla band di sei elementi con basso, batteria, violoncello e violino, aggiunti a chitarra e voce. Penso che la chiave sia trovare l’essenza dei pezzi e riproporla in diverse forme. Non importa se le canzoni sono accompagnate o meno da orchestrazioni, l’importante è mandare il giusto messaggio. Attualmente in Italia non ci sono tanti piccoli club capaci di mettere in condizioni tecniche discrete e pochi sono in grado di dare sicurezza, sempre tecnicamente parlando, per la tua esibizione. Questo porta ovviamente a semplificare il semplificabile, piuttosto che creare live confusi o muri di suono in situazioni che tecnicamente sarebbe davvero complicate o del tutto impossibili da gestire, che limiterebbero certamente la comprensione da parte del pubblico. Per finire, raccontaci come hai scelto il simpatico titolo di copertina e come è nata l’idea per il grazioso artwork di Francesco Galdo. Il titolo “Dodo, do!” l'abbiamo scelto io e Alessandro, un giorno che eravamo insieme a Francesco Galdo e stavamo ipotizzando una serie di nomi e artwork che potessero Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 racchiudere tutto quello che il disco voleva comunicare. Iniziammo a fantasticare con le parole e inaspettatamente venne fuori il dodo, così simile per certi versi alla nostra musica, posto in quell’eterno limbo tra realtà e fantasia. Piano piano, tra mugugni e balbettii creativi, uscì il gioco di parole “dodo, do!” che, oltre a essere simpatico nella pronuncia, era un’esortazione per questo magico dodo ad agire nella realtà e così nell’arco di mezz’ora avevamo già le idee chiare sulla direzione da prendere. Francesco Galdo (Artedit) è un creativo incredibile, con anni e anni di esperienza alle spalle. Ho voluto coinvolgerlo perché il suo modo di illustrare in pastelli è adatto al mood del progetto, estremamente sognante e fanciullesco. Lui, oltre a conoscermi bene trattandosi di mio padre, cosa che mi ha fatto grande onore, è riuscito a cogliere perfettamente il senso dell’album e ciò che visivamente volevo esprimere, lasciandomi la possibilità di intervenire e partorire assieme un progetto grafico davvero interessante. Sono molto felice di questo. Contatti: www.deniseproject.it Elena Raugei Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Iosonouncane Jacopo Incani alias Iosonouncane ha esordito nel 2010 con “La macarena su Roma” (Trovarobato/Audioglobe), un album di cantautorato difficilmente inquadrabile, attraversato da schegge elettroniche ed elementi eterogenei, per chi scrive uno dei più interessanti esordi dello scorso anno. Ne abbiamo parlato con lo stesso Jacopo. Ascoltando per la prima volta “La macarena su Roma” colpisce subito, al di là della tua personale interpretazione del "formato" cantautorale, a livello di testi e arrangiamenti, il lavoro certosino sui suoni, che immagino sia frutto di un lungo lavoro di messa a punto e assestamento. Sembra, insomma, che le fasi siano state due, la scrittura della canzoni e il loro collocamento in un universo sonoro peculiare (che va, a grandi linee, giusto per mettere qualche boa e paletto, da “Anima latina” di Battisti agli Animal Collective), è un’impressione corretta? Quando il progetto è nato sapevo chiaramente cosa avrei voluto fare ma non come arrivare a farlo. Un progetto cantautoriale slabbrato, con una forma canzone quasi informe, e con una commistione, per quanto riguarda suoni e strumenti, tra folk di confine (appunto, tanto “Anima latina” quanto “Sung Tongs” degli Animal Collective) ed elettronica a bassissimo costo. Dovevo ripartire quasi da zero, musicalmente, avendo suonato per quasi un decennio sempre e solo in uno stesso gruppo. Mi sono affidato da un lato alla scrittura di canzoni tradizionalmente intese (l'unica cosa che sapevo di saper fare) e, dall'altro lato, al gioco totalmente improvvisato su campionatore e loopmachine, comprati quasi alla cieca. Dopo un anno passato in casa a registrare, provare, scartare, scremare fino ad ottenere sei canzoni “finite”, ho passato un anno e mezzo a fare solamente concerti. I concerti hanno imposto un approccio nuovo all'esecuzione, inevitabilmente. Quando sono entrato in studio ho cercato di fondere le due esperienze, i due approcci, quello domestico, senza vincoli, e quello live, con tutti i limiti dati dalla necessità di riprodurre dal vivo certe sonorità, certe strutture, certi beat. “La macarena su Roma” è solo una delle possibili forme di questa fusione. Non necessariamente quella che perseguirò. Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Il brano che credo rappresenti meglio l'anima del disco, quello che mi colpisce di più e che personalmente trovo più originale ed emotivamente coinvolgente, è “Il corpo del reato”. Lì, partendo da una piccola storia, apri uno scorcio sulla società, senza per questo essere esplicitamente politico. Nelle tue canzoni, insomma, c'è il bisogno di raccontare le contraddizioni di questo paese, in modo obliquo ma comunque evidente. Ti ritrovi in questa descrizione? Le contraddizioni di questo Paese sono, anzitutto, le mie. I protagonisti delle canzoni fanno considerazioni aberranti. Sono anche mie. Da sempre scrivo (e scrivo di me) non perché io creda in una qualche rilevante missione sociale, ma esclusivamente poiché pendo dalle labbra del mio bisogno di esorcizzare questioni private mai superate. Al fondo, quindi, c'è inerzia infantile e poco più. Queste canzoni le ho scritte così, le prossime ancora non so. Le canzoni non risolvono niente, non cambiano nulla, non fermano guerre, non fanno rivoluzioni. Viviamo in una società che strabocca di informazioni. I cantanti impegnati sono trascurabilissimi. Io non farò il cantante impegnato. Le canzoni fanno una ed una sola cosa: incidono sulla formazione del gusto. Questo lo so bene. E credo che oggi resistere significhi, in primo luogo, smarcarsi dall'abitudine e dalla ritualità del gusto. Butto via tutto e tengo questo come faro. Il mondo della musica indipendente è capace d'una rincorsa all'autoconservazione che farebbe impallidire il peggior parlamentare. Non ho e non voglio averci nulla da spartire. L'unico brano parlato, “I superstiti”, in pratica un monologo, lo hai comunque “messo in musica”: le voci si sdoppiano e si inseguono. Le “voci” del disco sono un altro elemento fortemente caratterizzante, mi pare di poter dire che l'espressività vocale ha la stessa importanza di contenuti e suoni, diventa anch'essa un suono nell'insieme... Esattamente. Una delle idee portanti del progetto è proprio l'utilizzo della voce anche come elemento ritmico e sonoro. In questo quadro si inserisce “i superstiti”. Questo pezzo è, per me, un primo esperimento in questo senso. Vi sono differenti possibili sviluppi. Di questo primo disco, in generale, mi rimane soprattutto questa sensazione: la possibilità di prendere una marea di strade differenti. Ho solo da selezionare, da divertirmi, da giocare. Posso far tutto, non ho nulla da perdere, non devo render conto a nessuno. L'unico limite enorme che mi trovo, sempre, a dover fronteggiare, è la mia proverbiale pigrizia. Ogni volta che finisco di scrivere una nuova canzone mi dico: bene, non ho più niente da dire: è successo anche ieri. “La macarena su Roma”: c'è una via d'uscita al carrozzone carnevalesco lanciato verso il nulla dipinto dalla canzone, credi che esista la possibilità di uscire da questa corsa in modo dignitoso, magari reimpostando le priorità, cercando di diventare autonomo dalla società dell'apparire che ci circonda? Non sono affezionato alla mia dignità. O, quantomeno, non credo che ritenersi parte d'una parte illuminata serva a qualcosa. Certo, permette di andare a dormire tranquilli, con la pseudocoscienza da pseudoribelli rinvigorita, ma, personalmente, non me ne faccio nulla. La canzone che dà il titolo al disco (così come il disco nel suo intero) parla di certe cose piuttosto che di altre. Parla soprattutto di un'idea di partecipazione che non si ferma al televoto e non si ferma al pubblico di Maria De Filippi. Non so cosa sia la società dell'apparire, e non credo che debba essere una persona che ogni due giorni sale sul palco Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 mostrando a tutti il proprio essere infantile ed egocentrico a dover dare risposte, soluzioni o, semplicemente, “spunti intelligenti”. Io credo nella politica e nell'idea tradizionale di partito: bisogna nuovamente riempire le sezioni, di quartiere in quartiere. Tutto il resto è solo un accumulo di discussioni che servono a non discutere ma che, per contro, permettono sonni un po' più tranquilli. In un pezzo parlo di “igiene settentrionale, coscienza da incorniciare”. In un altro di superstiti incatenati alla libertà di potersi incatenare. Quel che penso l'ho messo nel disco. Non saprei dirlo differentemente, non ho nient'altro da aggiungere. La prima volta che ti ho visto su un palco è stato in occasione dello scorso “Indipendulo”, all’interno del MEI di Faenza: su disco i brani hanno maturato una complessità che non sempre, immagino, dev'essere agevole riportare sul palco. Questo tuo percorso in studio ha modificato il tuo approccio al live? Per quanto mi riguarda il progetto è tutt'ora un cantiere aperto. Questo investe tutto: la scrittura di nuovi pezzi, il lavoro sull'elettronica, l'idea di live, la strumentazione che porto sul palco. Accetto l'idea che live e disco siano due cose differenti. Non tutti i pezzi mi piace farli, sul palco, così come si possono sentire nel disco. Diciamo che in linea di massima all'interno del set live i due estremi (elettronica e canzone “classica”) sono maggiormente enfatizzati. Per cui ci sono momenti molto raccolti e momenti molto rumorosi, ossessivi. Non so veramente cosa succederà. La mia unica preoccupazione è e deve essere quella di suonare e farlo sempre meglio. Ho molto rispetto per il pubblico. Per questa ragione cercherò di non essere accomodante. Mai. Contatti: www.iosonouncane.it Alessandro Besselva Averame Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Love In Elevator L'ultimo disco dei Love In Elevator "Il giorno dell'assenza" (Epic & Fantasy/Go Down-Audioglobe), rivoluziona il loro approccio musicale. Si lasciano andare ai propri desideri dentro lo studio di Marco Fasolo dei Jennifer Gentle e intraprendono diverse strade, dall'indie-rock, al pop e al noise, cantando per la prima volta in italiano. Quale genere sceglieranno o se continueranno così lo capiremo il prossimo disco, intanto hanno focalizzato la line-up: voce, basso e batteria. Ne parliamo con la cantante, Anna Carazzai. Dopo qualche anno passato a trovare i componenti giusti, direi che il trio ormai si è consolidato. Ma pare di sì questa volta. Ormai sono due dischi con Cristian Biscaro e Roberto Olivotto. Adesso siamo in quattro, perché anche se il disco nuovo l'abbiamo registrato noi che siamo il nucleo centrale, per riprodurlo completamente abbiamo un quarto elemento, Marco Ghezzi, che è anche il co-fondatore dei Sakee Sed. Cantare per te è diventato più importante adesso, rispetto al disco precedente "Re-Pulsion" o semplicemente volevi sperimentare il cantare in italiano? Sì, è diventato più importante. In “Re-Pulsion”, cantare non era il mio ruolo, perché prima c'era Giulia Volpato nel gruppo, e ci pensava lei. Mi ci sono trovata e in realtà era una cosa che non ho mai amato fare, anche se facevo i cori con lei, ma niente di più. Invece per questo disco cantare è stato un piacere che sta ancora maturando e aumenta tutti i giorni. E anche i testi sono diventati più importanti, per scelta. Quando scrivi le canzoni guardi fuori dalla finestra o dentro di te? Guardo fuori dalla finestra cercando me stessa... Scherz! In realtà scrivo in base alla melodia. Comunque ho studiato lingue e letterature, per cui sono sempre stata appassionata di letture e di scrittura e ho sempre scritto poesie. I nostri testi non spiegano niente, ma sento d'aver parlato, anche nei dischi precedenti, dell'uomo in generale non di me stessa, Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 della nostra condizione di esseri umani in una maniera che mi riesce facile che è quella surrealista. Com'è cambiato il vostro modo di scrivere e comporre in generale? In generale non è cambiato niente. Di solito, si parte da un riff di chitarra o dalle melodie di voce, poi Roberto inizia a lavorare sulle batterie e Cristian sui giri di basso e quando il pezzo ci convince registriamo e ascoltiamo tutto dal di fuori, si fanno i provini e si va a registrare. Per quanto riguarda la lingua italiana, rispetto a prima, i pezzi nascono comunque in inglese per la melodia e poi cerco di adattare in italiano delle cose che abbiano senso per me. Qual è stata la prima canzone de "Il giorno dell'assenza" e se vi ha indicato la nuova strada? La più vecchia è "Mancubus" che suonavamo già ai concerti. Ma è un disco molto vario che ha tante direzioni diverse, questo però non perché siamo confusi e non sappiamo cosa fare, ma perché volevamo fare tutto quello che ci andava, passare da un pezzo molto calmo come "Honey" che parte con l'intro di piano, senza batteria, molto melodico; e passare ad una cosa alla Melvins come "Consigli di un bruco". Perché noi siamo tutte le cose solo che adesso in uno studio adeguato abbiamo avuto la possibilità di esprimere tutto quello che volevamo esprimere, però non c'è una direzione precisa. "Re-pulsion" era più unidirezionale come disco, più secco, più diretto. Questo qui si fa più fatica a capirlo. Il disco nuovo esce per un'ottima produzione e distribuzione. Diciamo che sono aumentate le persone intorno al nostro progetto. Oltre al gruppo abbiamo avuto un produttore artistico d'eccellenza quale è Marco Fasolo dei Jennifer Gentle e poi c'è la Go Down come etichetta e distribuzione e abbiamo come supporto questa neonata etichetta di Verona che è la Epic & Fantasy che ci ha sempre seguito. Sono cambiate un po' di cose non essendo più con la Jestrai, comunque siamo sempre indipendenti nel vero senso della parola. Autonomi nelle scelte e nelle cose che si fanno ed è bello vedere che si creano una rete di rapporti di collaborazioni esterne. Questa distribuzione a proposito di reti vi farà arrivare all'estero. Ma pensate possa danneggiarvi, adesso che avete iniziato a cantare in italiano? Le prime due date del tour le abbiamo fatte in Germania e la gente ha accolto entusiasticamente anche i pezzi in italiano. Comunque, penso conti soprattutto l'energia che viene fuori non tanto i testi. Inoltre suonare spesso e volentieri in Italia, mi ha portato a questa scelta dell'italiano per una questione personale di scrittura che mi fa sentire più vera. Quindi non credo ci danneggerà. Ma ci sono dei dischi o degli artisti che considerate i vostri fari? Dopo tanti anni posso dirlo con certezza: i Motorpsycho. Una band che è partita dal metal e ha attraversato tutti i generi possibili e immaginabili nella musica rock. Tornando all’album: dove e come è stato registrato? L'abbiamo registrato a Polesella che è dove si è trasferito l'Ectoplasmic Studio di Marco Fasolo che ha prodotto il disco artisticamente. A giugno siamo entrati in studio e ne siamo usciti in ottobre. L'abbiamo registrato completamente in analogico, non utilizzando nessun Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 mezzo digitale, dalla registrazione delle prese, alle voci, ai mix. Il master è tutto in analogico. Una novità per noi che abbiamo fatto sempre metà e metà nei dischi precedenti. Si partiva in analogico e si riversava tutto su digitale andando avanti in quella maniera. Invece questa volta, abbiamo usato un banco degli anni 70 che proveniva dalla RAI di Roma e abbiamo suonato tutto quello che c'era a disposizione in studio. Marco Fasolo vi ha dato anche dei consigli? Marco è stato una guida. Ci ha dato dei consigli su ogni canzone, ma più che altro è stato decisivo nella scelta dei microfoni. Io pensavo stessimo perdendo un sacco di tempo, perché cambiavamo un sacco di microfoni al giorno, per riprendere una chitarra piuttosto che una voce o un pianoforte. E invece, ho scoperto col senno di poi che anche queste scelte di provare e riprovare a riprendere il suono da punti diversi o con microfoni diversi è stato determinante per il suono che ne è venuto fuori: particolarissimo e originale. Abbiamo lasciato anche un sacco di imprecisioni a partire dalle batterie, ma siamo partiti proprio con l'idea analogica dell'errore e dell'imperfezione per concepire qualcosa di unico. C'è un gruppo in Italia che trovate affine al vostro modo d'intendere la musica? Tantissimi, dai Verdena, a Il Teatro degli Orrori, ma soprattutto i Lucertolas che adoro come attitudine e come musica. Abbiamo le stesse idee sul come si fanno le cose e come andare a farle. E come loro i Jennifer Gentle. Contatti: www.loveinelevator.com Francesca Ognibene Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Ovlov Gli Ovlov da Brescia sono un trio, nato dalle ceneri di Black Eyed Susan. Il loro esordio "Margareth, Frank And The Bear" (CasaMolloy/Audioglobe) li avvia verso una strada sicuramente più leggera e spontanea rispetto al primo gruppo. Gli Ovlov cercano le ali, un universo di fantasia di cui delineano anche già le fisionomie degli abitanti, e così si rifugiano in questa enorme bolla pop invitando anche gli altri ad entrare per proteggersi dalle brutture del mondo reale. Ne parliamo con la cantante Luisa Pangrazio. Ti avevamo conosciuta per Black Eyed Susan e a te in particolare con le Mulu assieme a Marilù; e adesso con questo nuovo trio che sono gli Ovlov ti ritroviamo assieme a Michele Marelli alla batteria e Luigi Ancellotti al basso. Come sono nati? Sono nati dopo che Giovanni il nostro chitarrista ha lasciato il gruppo, perché era troppo impegnato con i Don Turbolento, e il nostro vecchio batterista ci aveva lasciati già da tempo, quindi eravamo in fase di cambiamento. Dei Black Eyed Susan eravamo rimasti io e Gigi, e abbiamo incontrato Michele, giovane chitarrista bresciano che ha contribuito a formare il trio; in questo modo io e Gigi abbiamo potuto continuare a suonare assieme, come facciamo da dieci anni a questa parte. E con Michele abbiamo dato un taglio nuovo rispetto ai Black Eyed Susan, anche per quelle che erano le strutture delle canzoni. Biro si è occupato della parte grafica. Vuoi descriverla e raccontarci del suo autore? La parte grafica è stata molto importante per noi per questo disco nel senso che crediamo molto ci debba essere una contaminazioni di varie forme artistiche. Il nostro simbolo era l'orso e da quello è nata l'idea di creare una copertina che fosse affine ai nostri pezzi, quindi sintetica, semplice ed efficace e allora abbiamo lavorato in questa direzione anche con la grafica. Biro, aveva curato anche la copertina dei Black Eyed Susan. La sua linea e il suo modo di disegnare ci piacevano molto. E poi gli avevamo rubato l'orso da un quadro che lui aveva fatto così la grafica è diventata sua di diritto. Poi anche nella presentazione del disco mentre noi suoniamo, Biro disegna con il computer e video proiettore dietro di noi, quindi racconta a fumetti la nostra musica. Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Con questo disco sembrate ringiovaniti rispetto a Black Eyed Susan. C'è un disco, un evento che pensate vi abbiamo ispirati verso questo cambiamento oltre quello che è successo che vi ha praticamente obbligati? Non credo sia tanto la musica perché io, come ascolti, ultimamente ho ripreso i Led Zeppelin e gli AC/DC; più che altro è stata un’esigenza. Ci siamo trovati in tre invece che in quattro, quindi da due chitarre, basso, batteria e tre voci, ci siamo ridimensionati in basso, chitarra, batteria e una voce: la mia. Pertanto, per non fare troppo di tutto abbiamo cercato di essere lineari e semplici; e quindi da lì sono nati i pezzi degli Ovlov, semplicemente per una questione di esigenze tecniche. Ma com’è cambiato il vostro modo di scrivere e comporre, rispetto ai Black Eyed Susan? Beh, prima con Black Eyed Susan, spesso succedeva che Giovanni o Gigi portavano i pezzi già pensati in sala prove, poi insieme si arrangiavano. Con Ovlov invece i brani tendenzialmente nascono in sala prove. Si abbozza un giro, si inizia a suonare sopra questo, io abbozzo un cantato e il testo lo scrivo successivamente alla canzone, quindi tendenzialmente avviene tutto in sala prove. Non c’è niente di studiato a casa e di pensato prima: è tutto molto istintivo. Quando canti a chi ti ispiri? Sicuramente PJ Harvey è stata una delle donne che mi ha ispirato molto per il timbro che ha nel modo di cantare che ho simile al suo. Però ultimamente come cantante mi piacciono molto i Gossip e anche Animal Collective. E invece ascoltavi gli Smiths quando è nata “Up & Down”? No, però anche gli Smiths sono sicuramente tra i miei ascolti. Io non pensavo di essere new wave, ma credo di dovermene fare una ragione. Chi sono “Margareth, Frank And The Bear”? Ci racconti i protagonisti di questo disco? La storia di “Margareth, Frank And The Bear” potrebbe essere lunghissima, ma te la posso sintetizzare. All'inizio il disco doveva chiamarsi “Polar”, perchè Ovlov è il contrario di Volvo e volevamo creare un richiamo con la Volvo Polar, l'orso polare, il Polo Nord e così via. Poi però, scrivendo i pezzi e vedendo che insieme raccontavano la storia di Margareth e Franklin, questi due personaggi che sono un po' i protagonisti del disco, abbiamo pensato di usare quei nomi come i nostri alter ego. Io Margareth, Gigi Frank e The Bear il nostro batterista che è un po' orso, appunto. Da quanto tempo sono nati gli Ovlov? Un anno e mezzo, perché Giovanni è andato via e abbiamo iniziato subito a lavorare; non siamo riusciti a suonare fin da subito proprio perché avevamo deciso di fermarci un po' per creare i pezzi e registrare il disco, e quindi avere già un prodotto finito per poter uscire. Il trio ci piace molto. E suonare dal vivo in tre è anche molto più semplice, così come anche in sala prove mettersi d'accordo su come fare il pezzo e come farlo girare. Nel disco abbiamo anche dei synth che però dal vivo non portiamo perché i pezzi sono nati come trio e funzionano Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 bene anche chitarra, basso e batteria. Semplici. Invece le Mulu che nominavamo prima? Con Mulu adesso siamo in studio. Stiamo componendo pezzi nuovi, quindi siamo in fase di definizione per il nuovo disco. Adesso abbiamo una linea più dance rispetto al passato. Dove e come è stato registrato il disco? Il disco lo abbiamo registrato a Brescia al T.U.P, studio di registrazione di Stefano Moretti dei Pink Holy Days e Pierluigi Ballarin dei The Record's, produttori artistici del disco come K Production, che hanno curato molto gli arrangiamenti e la fase di registrazione. È stato molto interessante lavorare con loro e ci è servito per sistemare i pezzi. Abbiamo registrato a gennaio del 2010, quindi è un po' che il disco è pronto, ma cercavamo un modo per farlo uscire bene, così ci siamo presi i nostri tempi e adesso a metà novembre sarà disponibile grazie ad Audioglobe. E grazie a CasaMolloy. Ma voi vi siete rivolti ad altre etichette prima di trovare questa? Sì, noi abbiamo chiesto un pochino in giro, ma il mondo delle etichette alla fine, a parte alcuni casi veramente rari in cui ci si mette ancora energia, in generale le offerte che ci sono state fatte erano, prendete il mio logo e vi arrangiate a stampare con tutti i costi, così abbiamo trovato un buon compromesso con CasaMolloy che ha co-finanziato il disco. Praticamente ce lo siamo pagati noi con un contributo dell'etichetta e un contributo del laboratorio artistico “L'Ozio” che è quello di cui fa parte anche Biro. Ma secondo te rinasceranno mai, Black Eyed Susan? No. È un capitolo chiuso. È stato un bellissimo momento della nostra vita musicale, ma comunque mi sento molto distante da quella musica in questo momento. Contatti: www.ovlovmusic.it Francesca Ognibene Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Bluejane Sober autoprodotto Non capita spesso di ascoltare in Italia gruppi che prendono in mano la lezione del post grunge, se mai è davvero esistito qualcosa con questa definizione, visto che si tratta di un genere nato dalle ceneri del grunge e che è stato addomesticato per le radio, perdendo così le sue caratteristiche alternative. Oggi in America chi meglio rappresenta il post grunge sono i Creed e i loro discepoli Alter Bridge, anche se a essi tale definizione non solo non piace, ma la detestano. Questa premessa per inquadrare in qualche modo l’esordio autoprodotto dei bergamaschi Bluejane, un quartetto che ha tutte le caratteristiche per trovare consensi tra chi apprezza riff potenti e melodici, conditi da una voce baritonale che ha sempre il controllo della situazione. Un bell’ascoltare, ma che alla lunga diventa ripetitivo, perché le nove canzoni possiedono poche impennate, e a livello compositivo non sono in grado di offrire alternative al fraseggio riff/cantato/refrain. Si elevano “Day Of Grey” con un taglio malinconico coinvolgente, la title track con un’andatura funky rock ben modulata dalla voce di Fabio Polini e la conclusiva “Big Sweet Eyes”, sorta di ballata vitaminizzata che potrebbe funzionare come ipotetico singolo. Altrove invece si respira un’aria sin troppo fedele al canovaccio dei gruppi citati sopra. In sintesi, un buon punto di partenza, ma per uscire dalle secche dei buoni replicanti si richiedono una maggior personalità e maggiori varianti negli arrangiamenti. Contatti: www.myspace.com/thebluejane Gianni Della Cioppa Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Blugrana Blugrana autoprodotto/Wondermark Inveire sul corpo morto di un genere mai esistito, il grunge, è una pratica che ha dilettato nel tempo svariate pseudo-band. Dai Bush, giunti sul campo di battaglia con imbarazzante ritardo, ai Creed, cover band alle prime armi di Eddie Vedder e soci, passando per molteplici copie ricalcate su carta carbone. I piacentini Blugrana sono una nostalgica band grunge fuori tempo massimo. Rinchiusi in atmosfere consegnate alle mani sicure della storia, e posseduti dallo spettro del già detto, già visto e già sentito, aleggiante in tutte le undici tracce dell’esordio omonimo dai contorni lineari e fin troppo prevedibili. Fra ballate intrise di spleen esistenziale (“L’apparenza”), pene amorose espiate in chitarroni dopati (“Comemaledire”) e sfruttamento di cliché (il singolo apripista “Desmael” e “Babel”),” Blugrana” scorre via senza particolari colpi di scena, nonostante una produzione molto precisa e attenta, e l’apporto vocale imponente e corposo del frontman Marcello Mautone. Sei-corde ruggenti, voci melodiche e sonorità fin troppo levigate oggi non stupiscono più. Se aggiungiamo anche testi intrisi di banalità “mocciana” (“se potessi crescere con il figlio che assomiglia tanto a te” sembra trafugata da un qualsivoglia muretto di scuola media) il danno è fatto. Abbiamo bisogno di qualcosa in più, e Blugrana è sintomo di ispirazione latitante e identità non ancora ben definita. Profanare le spoglie lise del grunge, oggi, è una pratica che puzza di macabra necrofilia musicale. Contatti: www.blugrana.it Luca Minutolo Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Canada Afterimage Andromeda Relix Le storie musicali ripescate dagli anni Ottanta sanno spesso di primordi new wave o heavy metal, due strade che correvano in parallelo in quell’inizio di decennio, invaghite dei nuovi fervori britannici. Meno ovvio ritrovare i Canada, che del panorama metal avevano in serbo qualche sferzante riff chitarristico, orientati piuttosto verso sonorità cosiddette AOR (il famigerato “adult oriented rock” tanto in voga negli USA), dunque più ariose e melodiche. Quelle melodie che preferiscono raccontare di innamoramenti e amori infranti, che la band riminese seppe ribadire dal 1987 al 1995 con classiche songs come “Broken Heart”, “Never Surrender”, “Angel Of The City”, esaltate dalla tipica ballad “Goodbye Patricia”. Un recupero dunque persino atipico, che sa riscoprire quelle atmosfere rock dolciastre e romantiche con qualche ammiccamento tastieristico hard-progressive, associabili ad esempio ai Survivor di “Eye Of The Tiger”, inevitabilmente senza la stessa classe e con una qualità di registrazione un po’ deficitaria come capitava in quegli anni pionieristici di riproposizione heavy-rock in Italia. Con intento completistico “Afterimage” raccoglie anche tre bonus track cantate in italiano, discutibile tentativo di depistaggio dai boulevard americani. Un documento comunque interessante pur con le sue ingenuità, perdonabili per quei tempi, nostalgico per qualcuno, coerente con le strategie della label Andromeda Relix, condiviso di certo amorevolmente da Massimo Cillo, basso-tastiere-voce e anima della band, incorniciato ottimamente dalla bella, trasognante copertina. Contatti: www.canadaprog.net Loris Furlan Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Cantina Sociale Cum lux Electromantic Vogliamo parlare di rock progressivo oggi in Italia? Ci tocca sorvolare sulla maggior parte delle cosiddette nuove leve, succubi spesso di derive emulative (perlopiù esterofile) e tecnicisti che, e rivolgere la nostra attenzione a una realtà di assoluto rilievo come quella dei Cantina Sociale. E si sa che non è un ensemble di primo pelo (ci torna il solito sospetto che si tratti di una questione culturale-generazionale), comunque mirabile per la propria interpretazione di lunghe elaborazioni , a dispiegarsi come un libro che si sviluppa su più capitoli e diversi piani narrativi. Dunque niente stucchevoli operazioni oleografiche che ritritano in superficie i soliti luoghi comuni di genere, ma solo tanta sostanza espressiva e poetica. È pur vero che il settetto astigiano, vincitore peraltro dell’Omaggio a Demetrio Stratos 2003, si avvale di un cantante fuoriclasse, Iano Nicolò, che è molto più della sua elegante vocalità, grazie a un ispiratissimo connubio interpretativo, teatrale e poetico (si offenderà se lo collochiamo idealmente tra il miglior Renato Zero e lo stesso Demetrio?), che trova pochi eguali nel mondo underground e oltre. Ma tutta la band merita un convinto applauso, a cominciare dalla sorprendente presenza femminile (Carla Viarengo al sax e voce, Rosalba Gentile alle tastiere, Marina Gentile alle chitarre) che davvero non è trascurabile, altresì per lo sviluppo compositivo, ricco di cambi di scena e sfumature armoniche, evocativo nell’accompagnare le parole che sanno di esistenza, di sociale e di umanità. Nessuna inutile ridondanza né stantio odore settantiano, pur in una similare attitudine creativa, nemmeno nei venti minuti di “Cum lux” coi suoi tratti struggenti, che solo reclamano un’attenzione diversa che per un brano radiofonico. Ma se costasse troppa fatica suggeriamo la pirandelliana “Unonessunocentomila”, il crescendo avvincente di “Kantele” o la breve citazione stratosiana finale “Luce”. Tutto particolarmente intenso e suggestivo, a ribadire dopo il già eccellente primo CD “Balene”, una Cantina Sociale (più istanze individuali e sociali che vino) sui piani alti del prog italiano, ma per la quale vorremmo auspicare una meritevole “mescita” ben al di là degli steccati di genere. Contatti: www.myspace.com/wwwmyspacecomcantinasociale Loris Furlan Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Dance For Burgess SSA Mashhh!/Halidon I Dance For Burgess, ovvero Iacopo Bigagli e Marco Da Collina, potrebbero benissimo essere una band inglese dell’era Madchester. Una considerazione che nasce sia dal background del duo di Lucca - dalla registrazione londinese con Rory Attwell dell’EP “Bratwell Sessions” alla partecipazione al festival dell’isola di Wight, su invito di Tim Burgess - sia dall’ascolto del loro primo album, “SSA”. C’è innanzitutto la scelta di affiancarsi a un’etichetta coraggiosa come la Mashhh! Records, che opta in tal caso per il solo vinile coadiuvato da una distribuzione in digitale, seguita dall’intuizione di registrare su bobina, in una baita nei boschi di Lavarone. Una ben precisa posizione attitudinale che va però di pari passo con canzoni abbastanza attuali nel miscelare new wave nevrotica, post-punk tagliente, melodie di stampo anglosassone e ritmi non di rado spinti. Chitarre che sferragliano, bassi che pulsano, drum machine che scandisce il tempo e voci irrequiete trainano i dieci brani in scaletta, quando più aggressivi (“Twisted Shark”, “Tape”), quando più orecchiabili (“Cocktail Flu”, “PLRG”), quando più ballabili (“I’m Wired”). Si pensa, dunque, a New Order, Stone Roses, Happy Mondays, Charlatans o Primal Scream (inevitabili punti di riferimento), così come ai conterranei Hacienda (spiriti affini). Messe da parte eventuali pretese di originalità, una proposta credibile e alla prova dei fatti molto più piacevole di tante revivalistiche new sensations strombazzate oltremodo dall’NME. Può bastare e far riflettere. Contatti: www.myspace.com/danceforburgess Elena Raugei Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Deadpeach 2 Go Down/Audioglobe Si definiscono un trio che armeggia con chitarra, basso e batteria, con un sound a base di riff, energia, atmosfere liquide e psichedeliche, e sembrano assolutamente disinteressati a tutto ciò che è successo nel rock degli ultimi trent’anni (qualcuno potrebbe chiedere: ma è successo qualcosa?). Un secondo album; che arriva dopo un girovagare di etichette, tra singoli, EP e un esordio sulla lunga distanza “Psycle”, replicato in vinile dalla nota label Nasoni, mentre per questo “2” la Go Down ha giocato d’anticipo è l’ha pubblicato in vinile e in una fredda versione digitale, che oggi non si nega a nessuno, perché il mondo lo vuole, la tecnologia lo vuole, anche se poi i conteggi dicono che le band emergenti vendono, nel mondo, ben una decina di copie digitali all’anno. Queste otto canzoni musicalmente si muovono su tracciati che chi ama lo stoner e dintorni ben conosce, ma la carta vincente del trio l’utilizzo del cantato in italiano, scelta che evita di impantanarsi nella laguna dei milioni di imitatori dei Blue Cheer/Kuyss; se poi si aggiunge che i Deadpeach adorano l’arma dell’ironia (“Cameriere”, “Universo”) e in alcuni casi dello sberleffo (“Le scarpe nuove”), ne viene fuori un disco che si ascolta e piace, almeno per quella mezz’ora che gira sullo stereo, e di questi tempi e molto di più che una cosa banale. Come per molti dei protagonisti di questa scena, il consiglio è di vederli dal vivo: tutt’altra suggestione Contatti: www.myspace.com/deadpeach Gianni Della Cioppa Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Exposurensemble Grunt 223 autoprodotto Capita talvolta, pur raramente, di imbattersi in situazioni in cui la musica ha una valenza di linguaggio così intensamente ed esaustivamente strumentale che pare persino deleterio infilarci dentro del cantato e delle parole. E si sa quanto le parole possano delimitare percorsi compositivi col proprio fardello estetico e retorico. Allora i goriziani Exposurensemble, parte della rara stirpe summenzionata, che fanno? Risolvono da subito la pratica con una bella, toccante poesia nei primi 54 secondi di “La conta degli abbracci”, e poi aprono il sipario su dieci tracce strumentali dall’immaginifica forza espressiva, senza mai reclamare fretta. In un soppesato clima cameristico che non disdegna umori popolari scorrono sequenze lievi, tinte dalle melodie soffusamente jazzistiche del sax di Graziano Kodemarz e dal violino di Simone Kodemarz, supportate dal tessere sapiente del basso ed e-bow di Mauro Bon e dalle chitarre di Roberto Duse. Si susseguono episodi di grande fascino, dalla “Coda di serpente” all’agreste “Il salto del grillo”, dall’incalzante “O rango o tango” (un tango poco raccomandabile alle balere) alla serafica “Topolò Circus”. “Bon Bon Bay Road” lascia respirare piano i suoi dodici minuti di ritualistica spiritualità, quasi un’inconsapevole scia ancestrale di certi Popol Vuh, mentre “Grunt 223” affila le proprie armi in direzione avant-jazz-prog-rock, col suo obliquo scarto chitarristico un po’ frippiano. Al gracidare delle rane in “Ranakropolis” rispondono il sax soprano e il violino con accorato lirismo solistico. I diciotto minuti di “Improvvisamente” sciolgono ulteriormente le briglie in favore di libere, stranianti divagazioni. Magnificamente in bilico tra certe colte propaggini avant-jazz di marca Cuneiform e ambientali fragranze acustiche, tutto il disco, custodito in un originale packaging cartonato (e annessi dipinti di Luciano Gironcoli), trova il suo comune denominatore in una poetica emozionante e di peculiare sensibilità corale. Contatti: exposurensemble.blogspot.com Loris Furlan Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Flavio Poltronieri Vestito per amare autoprodotto Il Cohen scaligero targato Flavio Poltronieri fa tris. Dopo “Come tradire L. Cohen” e “Nudo in ombra”, terza puntata: “Vestito per amare”, altro lavoro collettivo dedicato al songwriter di Montreal. Quando l’originale è di livello così alto, si ha molto da rischiare e da perdere, e a chi ritiene che le riletture dei grandi maestri siano operazioni a rischio di superfluo, “Vestito per amare” non è consigliabile. Ma vanno sottolineate la classe e il buongusto con cui l’impegno è stato approcciato. Intanto complimenti per il lavoro di trasposizione in italiano, condotto sotto la cura di Marco Ongaro, che non fa mai gridare al sacrilegio, e, trattandosi dell’opera di un poeta vero, è già un’impresa. Dunque diciassette canzoni di Cohen vengono interpretate in italiano da diversi artisti. È piacevole scoprire tante interpreti femminili: Marcella Garuzzo (“In My Secret Life”, che diventa “Nell’oscurità”), Laura Facci (“La finestra”, ovviamente “The Window”), Veronica Marchi (“Un miglio in fondo al cuore”, ossia “A Thousand Kisses Deep”), Raffaella Benetti che traspone “Hey, That’s No Way To Say Goodbye” in “Il modo di dire addio” con un elegante quartetto da camera, Valentina Amandolese, che veste “Storia di Isacco” di suoni ghiacciati e allucinati alla Björk. Marco Ongaro si cimenta con personalità con il Cohen spectoriano di “I Left A Woman Waiting”, Ruben tenta di scalare “The Ballad Of The Absent Mare”. Vecchia irrisolta questione, quella delle cover. Tradurre o tradire? Il rispetto per il fantastico repertorio, nonché la gentilezza e lo stile degli artisti coinvolti, escludono qui operazioni dirompenti, impedendo (con qualche eccezione) di distanziarsi troppo dagli originali. Quindi, in media belle e buone versioni, ma – per lo più – non si registrano declinazioni particolarmente inattese. Se da un’operazione di “coveraggio” ci si attende la messa in luce di aspetti che l’originale conteneva soltanto “in nuce”, Poltronieri e i suoi ospiti hanno semplicemente intrapreso un’altra via. Contatti: www.leonardcohenfiles.com/vestito.html Gianluca Veltri Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Helene’s Mates It’s Easy To Beat Vina Records Il beat, il rock, un accenno di psichedelica. Biella sembra Liverpool, ed ecco gli Helene’s Mates che fanno un’autoironica “excusatio non petita” già nella prima traccia, il singolo “We Are Not The Beatles”, non siamo i Beatles. A scanso di equivoci. Il duo composto da Sir Richard Blu e The Bure è piemontese ma british fino al midollo. L’urgenza e l’immediatezza dell’impatto sono tali che due degli undici brani non arrivano ai due minuti. L’esigenza degli “amici di Helene” è quella di giocare col beat come fa il gatto col topo, smontarlo e ricostruirlo con consapevolezza odierna, amarlo e sfotterlo, come avviene in “Blah Blah Blah Yeah Yeah Yeah”. Dai Kinks ai Clash. Filologia non ossessiva, semmai giocosa e citazionista, dalle “Jelly Bean”, le caramelle colorate americane a forma di fagiolo, al Kafka di “Not All Of Samsa’s Friends Are Insects In The End”, la cui strofa è armonicamente identica a “One More Cup of Coffee” di Bob Dylan. Un pezzo è un’autodedica, nel senso che si intitola come il gruppo – “Helene’s Mates” – ed è uno schiaffone punk che va di fretta, una di quelle due tracce di meno di due minuti (l’altra è “We Are Not The Beatles”). Il miraggio californiano occhieggia da “Lost Angeles”: lì, nella città degli angeli, è stato effettuato il prestigioso mastering dell’album da Kevin Bartley nei Capitol Studios. Non cercate parole definitive né la scoperta di formule: è solo rock’n’roll. Un lavoro godibile e grintoso, capace di dispensare a piene mani energia positiva. Contatti: www.myspace.com/helenemate Gianluca Veltri Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Honeybird & The Birdies Mixing Berries Duckhead Green Music Il debutto degli Honeybird & The Birdies colpisce subito per due fattori: la policromia fumettosa del digipack e la ricchezza del materiale proposto, articolato in ben quindici brani. Policromia e ricchezza, al di là dell’estetica e dei meri dati statistici, sono del resto le principali caratteristiche del trio di base a Roma. Basti pensare che Honeybird (charango, strumenti a corda e voce), P-Birdie (batteria, percussioni e voce) e Gino “Ginobird” Guain (basso) provengono rispettivamente da Los Angeles, Catania e Anzio, oppure che le tracce in scaletta sono scritte in inglese, spagnolo, francese, svedese, portoghese e arabo ma persino nel dialetto catanese, nello yiddish e nello tzutujil. Tutto ciò per restituire la varietà di contenuti del dischetto, orientato verso una forma moderna di world music, attenta alle contemporanee influenze estere, aperta ai contributi esterni – da ballerine a poeti - e capace di inglobare al suo interno pop, rock, funk, folk, jazz e quant’altro. Per ribadire, invece, l’estrosità del progetto: l’intro “B+” è una lista di parole che iniziano con la lettera B, mentre la conclusiva “B-“ non è che la sua versione mandata al contrario. Se “Don’t Trust The Butcher”, al pari orecchiabile e singolare, è stata inclusa nella colonna sonora del film “La Passione” di Carlo Mazzacurati, non tutto convince appieno, con la medesima incisività. Però gli intenti e i risultati complessivi sono sicuramente godibili, da lodare. Proprio perché coraggiosi e fuori dai canoni. Contatti: www.honeybird.net Elena Raugei Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Ifsounds Apeirophobia Melodic Revolution Negli strani cunicoli della discografia di oggi, può tranquillamente succedere che una band italiana pubblichi i propri album per una label americana, non necessariamente più importante e prestigiosa di una tricolore o europea, ma semplicemente perché è l’occasione migliore o addirittura l’unica. In effetti ascoltando gli Ifsounds – molisani, ma guidati dal mastermind Dario Lastella che vive in Spagna – viene da chiedersi chi in Italia avrebbe puntato sulla loro musica armoniosa e leggiadra, con basi di new prog (quello che abbelliva la terra d’Albione nei primi anni Ottanta, con Marillion, Pallas e tanti altri) che poi si estendono verso orizzonti meno definiti? Esiste ancora in Italia, quella che una volta era la patria del rock progressivo, una label capace di dare voce alla classicità di questo genere? Non mi sembra. Detto questo, gli Ifsounds fanno la loro bella figura, con una ricerca lirica importante, dove si esplora la paura dell’infinito (l’apeirofobia appunto) e tematiche intime, care pure alla filosofia della loro etichetta (che si dedica anche al rock cristiano), sviluppate su sonorità intime e melodiche, che rievocano certi Pink Floyd introspettivi e la magniloquenza di IQ e Pendragon, soprattutto negli intrecci chitarra e tastiere. Convincono meno invece alcune parti vocali di Elena Ricci, in possesso di buone qualità ma a cui manca, a mio avviso, una buona guida che le indichi le strategie migliori da utilizzare. Tuttavia “Apeirophobia” resta un album gradevole e con buone idee, su cui puntellare le speranze per un ritorno al prog classico da parte di una nuova generazione di band italiane. Contatti: www.ifsounds.com Gianni Della Cioppa Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Ka Mate Ka Ora Entertainment In Slow Motion DeAmbula Il nuovo lavoro dei pistoiesi Ka Mate Ka Ora, a seguire l’apprezzabile “Tick As The Summer Stars”, contribuisce a gettare luce sullo stato di buona salute dell’attuale scena toscana. Stefano Venturini (songwriting, voce e chitarra), Carlo Venturini (basso) e Alberto Bini (batteria) proseguono a esprimersi attraverso un mix di post-rock, slowcore e shoegaze, ma stavolta le dieci tracce in scaletta sembrano dispiegarsi con maggiore consapevolezza, fermo restando l’abituale alternanza fra canzoni nel senso classico del termine e strumentali immaginifici. Se l’esordio era stato prodotto da un esperto come Kramer, stavolta si punta sul concittadino Samuel Katarro, già in passato collaboratore del trio e alla bisogna persino ai cori, al microfono in “Back Home” e alla sei corde. Per tornare alla rete di collaborazioni fra conterranei, segnaliamo le presenze di Wassilij Kropotkin al violino e di Serena Altavilla e Mirko Maddaleno in “Suga”, ovvero una cover tratta dal primo album degli stessi Baby Blue: laddove l’originale era un proiettile di melodie nervose, la rilettura evidenzia una manifesta tendenza alla dilatazione, alla lentezza, all’eventuale dissonanza. Non è un caso ed ecco così che il titolo di copertina diviene pertinente manifesto programmatico. Non è da tutti saper descrivere la propria musica in poche parole. Potrebbe essere un segnale di confortante chiarezza di vedute, a patto che nel tempo non diventi un auto-limite. Per adesso, senza mai superare il limite di velocità, ci si diverte, appunto. Contatti: www.myspace.com/kamatekaoraband Elena Raugei Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Le Scimmie Dromomania autoprodotto/Wondermark A quasi quattro anni dalla pubblicazione di un EP d'esordio frutto in buona sostanza di una lunga jam session e intitolato “L'origine”, questo duo abruzzese chitarra/batteria - composto da Angelo Mirolli e Mario Serrecchia - arriva al debutto sulla lunga distanza con le idee piuttosto chiare: l'obbiettivo è produrre un rock strumentale dai toni vagamente doom (particolarmente pronunciati in “L'oblio mistico”) con forti dosi di stoner, noise, hardcore e buon vecchio rock'n'roll (“Dromomania”, soprattutto) a scorrere nelle vene dei brani. L'impresa ai due riesce piuttosto bene, e la continuità nella scaletta è fornita, al di là del fatto che si sia scelto di impostarla come un concept album legato a quella “tendenza nevrotico-schizofrenica a camminare di fretta senza una meta predefinita” che va sotto il nome di “dromomania”, per l'appunto, da un suono compatto e sufficientemente duttile in grado di non appiattire il continuo macinare riff e rullate. Una più ampia tavolozza strumentale, a lungo andare, potrebbe probabilmente giovare alle composizioni del duo, ma per ora i brani, l'idea stessa di musica che racchiudono, energica e priva di qualsiasi fronzolo, funziona bene. Contatti: www.myspace.com/lescimmie Alessandro Besselva Averame Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Leitmotiv Psychobabele Pelagonia/Audioglobe Un paio di anni fa l'esordio dei brindisini Leitmotiv ci aveva fatto spendere parole decisamente incoraggianti, trattandosi di un disco eclettico al punto da rischiare di saturare gli spazi e disorientare, ma comunque capace di coesione e forza notevoli, con parecchie buone idee. Il seguito, “Psychobabele”, come il predecessore prodotto da un Amerigo Verardi nel ruolo di efficace “suggeritore lisergico” (un tocco lieve, il suo, che si nota soprattutto nei colori di certe chitarre), mantiene le promesse e compatta ulteriormente gli ingredienti senza per questo perdere in originalità. Il sentiero percorso con sempre maggiore consapevolezza è quello di un rock mediterraneo che oscilla continuamente tra spunti etnici (il Mediterraneo, per l'appunto, ma anche un po' di Balcani), una forma mentis psichedelica (nell'accezione più autentica e curiosa) e qualche lieve coloritura progressive (la mediorientale “La mia storia é chiara”, la title track e soprattutto, l'eccellente “Roma Beirut”), con un certo sostrato vagamente epico che solo a tratti, trascurabilmente, se ne esce fuori in maniera un poco scontata (“Perso”, nonostante le chitarre alla Roxy Music, “Corrente”: non malriusciti ma un po' fuori fuoco), mentre “Paludosa” è un credibile omaggio a De André con fiati notturni e un piglio soul in levare, e le chitarre che esplodono nel finale, che mostra come i Leitmotiv siano ormai una realtà assodata. Contatti: www.leitmotivonline.net Alessandro Besselva Averame Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Marlowe Fiumedinisi Seahorse/Audioglobe “Fiumedinisi” è il quarto disco (lo precedono un EP e due lavori sulla lunga distanza registrati presso gli studi Zen Arcade di Catania con l'aiuto di Cesare Basile e Marcello Caudullo) dei siciliani Marlowe e la maturità del progetto, a questo punto, si può difficilmente mettere in discussione. Le direttrici su cui si muove la formazione provengono da lontano (il dark, lo shoegaze, la new wave) e si muovono verso un cantautorato cupo e carico di suggestioni filmiche, non prima di aver incrociato per strada qualche scheggia di Americana (“In fondo alla gola” è un esempio eclatante quanto perfettamente riuscito, desertica quanto basta e con il contributo di Angela Baraldi alla voce). C'è poi un brano dall'autoesplicativo titolo, “Devo tutto alla notte”, che ci porta dalle parti degli ultimi Piano Magic e chiude il cerchio con le radici del quartetto, portando nel mentre alla luce la fine tessitura della scrittura. I nostri se la cavano piuttosto bene anche con la lingua inglese, e “The Last Day Swimming” sembra tendere un ponte tra gli Yo La Tengo più notturni e vaporosi e certi crepacci new wave di quelli assai poco rassicuranti, e su tutto emerge un tocco felpato che rappresenta, per quanto ci riguarda, la assodata cifra stilistica del gruppo. Contatti: www.marloweband.it Alessandro Besselva Averame Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Minioindelebile Minioindelebile CasaMolloy La storia dei Minioindelebile comincia da lontano. Dagli anni Novanta. Dai primi anni Novanta. Ed è forse per questo il motivo per cui il loro sound è così ancorato e connotato a quel decennio, a quelle sonorità, a quelle riflessioni. Va detto che un prodotto così fuori dal tempo ha anche un certo fascino. Ma per essere onesti, ci sono alcune cose che qui non vanno. Prendiamo l’aspetto testuale. Spesso la band risolve la sua rabbia genuina nello sloganismo (già i titoli parlano chiaro: "Prigione", "Giustizia" "Soldi", "Fottuta politica"): non c’è niente di male a buttarla in caciare, ovvio, ma urlare slogan non deve essere un elemento risolutivo, ma una marca di poetica della serie "niente compromessi, grazie" (ad esempio, come fa il Teatro degli Orrori). La musica invece si aggira nei meandri di un eterno passato in cui Afterhours (di "Hai paura del buio?"), Marlene Kuntz (di "Ho ucciso paranoia") e Massimo Volume (di "Club privé") rappresentano ancora il nuovo e l’assolutamente rappresentabile. Chiaro che ad ascoltare adesso con il cinismo degli anni passati può sembrare un po’ fuori fuochi anche se siamo certi che la band segue un certo progetto con una certa indubbia onestà. Chiudiamo però consigliando un approccio alla musica simile a quello consigliato sopra: meno punti di contatto, più abrasione. Per supportare testi del genere la musica deve essere – perdonate la licenza – una cascata di cazzotti. Non bisogna lasciare spazio alle manovre, ai ripensamenti, alle terre di mezzo. Bisogna dire le cose chiare e dirle forte. Contatti: www.minioindelebile.com Hamilton Santià Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 MiSaCheNevica La mia prima guerra fredda EP Dischi Soviet Studio Arrivano dai Disfunzione e dagli Zoo Walter Zanon, Antonio Marco Miotti e Marco Amore, per proporci (parole loro) una “sfavillante brodetta pop e contropop con testi in italiano”. In realtà ci pare di capire che i cinque brani raccolti in questo primo EP della formazione veneta abbiano più a che vedere con una new wave nostrana anni Ottanta (Diaframma in testa) che con il classico suono armonioso alla Beatles. Anzi, ad essere più precisi, con un immaginario che mescola l'approccio diretto della citata new wave (chitarra, basso e batteria), una vocalità che sa di canzone d'autore alla Ivan Graziani e qualche accenno alle elettricità sdrucite tipiche dei Libertines (“Riduzione del danno”). 
Dalla multiforme ispirazione scaturisce una formula piuttosto personale, in bilico tra melodia e spigoli e sorretta da testi che parlano di quotidianità con leggerezza e spessore al tempo stesso. Un po' alla maniera dei Perturbazione, se ci passate il paragone, fatti i dovuti distinguo dal punto di vista stilistico. Contatti: www.myspace.com/misachenevica Fabrizio Zampighi Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Miss Julicka Show Money Please Revomuzik/Venus Dietro al progetto Miss Julicka si celano una vocalist, Miss Julicka (all'anagrafe Aigoulya Divaeva), per l'appunto, e Flavio Ferri, membro fondatore dei Delta V, che si occupa per l'occasione di confezionare una veste sonora intorno alla voce della titolare della sigla. Parliamo di veste sonora perché ci sembra che a latitare un po', in questo esordio, siano proprio le canzoni. Non solo perché troppi sono gli episodi in cui un parlato che tenta la via della seduzione (non sempre convincendo) impedisce al lato più melodico, che pure ci sarebbe, in potenza, di venirsene fuori con naturalezza, ma anche perché la via che si cerca di percorrere, con risultati un po' ondivaghi, è quella di un impianto vagamente trip hop aggiornato al presente e imbastardito con suggestioni più vicine all'attualità, troppo spesso, innesti non sufficienti a levare l'impressione che si ascolti qualcosa di irrimediabilmente datato. Non si può negare, d'altra parte, che la formula porti anche dei frutti: “A Volte Pensi”, con quelle orchestrazioni glaciali e quelle atmosfere new wave intrecciate ad una ipotesi rediviva di Üstmamò, ci convince sin dal primo tappeto di loop. Ma poi ci si imbatte nella decisamente brutta “Cosa non so”, sgraziato tentativo di rifare i primi Subsonica senza azzeccare colori e mood, e il giudizio ritorna in sospeso: ci sono potenzialità evidenti, visti anche i precedenti musicali di Ferri, ma Miss Julicka, per chi scrive, deve ancora trovare una sua dimensione. Contatti: www.myspace.com/missjulicka Alessandro Besselva Averame Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Morning Telefilm O Time
 Canebagnato Folktronica, pop, psichedelia: nel suo primo disco solista Emanuele Gatti (già News For Lulu) sonda l'indie più trasversale con un campionario di suoni e “suonini” a metà strada tra The Calorifer Is Very Hot e Tunng. A intrecciare sampler, chitarre, synth, percussioni, pianoforte c'è anche Cristian Chierici (cugino dello stesso Gatti), coadiuvato da Carlo Campili, AntiteQ, Daniele Curone e Maria Panzeri. Tutti ben disposti verso una mescolanza di linguaggi che sa di lo-fi, suona diretta, ma non disdegna l'arzigogolo. Come nell'iniziale “Billion Billiards”, in cui basso e tastierine ammiccano a certi Fifties rielaborati per poi lasciarti lì in sospeso ad aspettare o in una “Morganology” in cui l'italiano non è solo una scusa per perfezionare un piano alla Kurt Weill con qualche rimando psichedelico da cameretta. 
Un solo difetto in un'opera complessivamente intrigante: quel senso di incompiutezza che si respira in alcuni frangenti (“Hadi”, “Wide Smile”) figlio forse della voglia di incrociare troppi percorsi perdendo, alla fine, un po' il filo del discorso. Si tratta comunque di un leggero spaesamento piuttosto che di un reale smarrimento, che non mina il buon lavoro di scrittura alla base del disco. Contatti: www.myspace.com/morningtelefilm Fabrizio Zampighi Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Moro My Favourite Season PMS Studio Attivo da ormai una ventina d'anni, il forlivese Massimiliano Morini ha alle spalle una lunghissima gavetta “sommersa” e una militanza di lungo corso in vari gruppi di area romagnola, ma solo ora approda - attraverso uno pseudonimo, Moro, che nasconde in realtà una vera e propria band assestatasi intorno alle sue composizioni nel corso del tempo - al debutto discografico. L'autore dei brani denuncia riferimenti che chi scrive ritrova in parte nelle undici canzoni del disco, ma sostanzialmente come vaga suggestione, come sorta di imprinting d'autore che rimpalla da un lato all'altro dell'Atlantico, da Paul Weller a CSN&Y, senza tuttavia appesantire la limpidezza di scrittura di queste dieci canzoni. Gli arrangiamenti mantengono un nucleo acustico al quale si sovrappone una elettricità dalle radici antiche, che esplode in tutta la sua sicurezza in una “Rain On A Rainy Day” che si situa da qualche parte tra REM e Velvet Underground, mentre “Fake It” e “Half A Man” transitano dalle parte dei Wilco più “classici” e meno sperimentali e “The Rules Of Sleep” fa sua l'errabonda inquietudine di Micah P. Hinson. Al netto dei riferimenti e delle possibile assonanze, “My Favourite Season” è un gran bell'esemplare di maturo cantautorato rock angloamericano. Contatti: www.truemoro.com Alessandro Besselva Averame Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Quintessenza Nei giardini di Babilonia autoprodotto Forse la strada per incuriosire gli appassionati di musica può essere anche quella seguita dai Quintessenza, che per questo nuovo disco, frutto di anni di lavoro e svariate ricerche, hanno reso possibile l’opzione, inserendo il CD nel computer e collegandosi al loro sito, di scaricare un intero libro che rappresenta l’ossatura che ha generato la storia alle spalle di questo concept. Terzo album per il quintetto di Volterra che ha un’immagine metal, che da questo genere eredita certe partiture di chitarra ritmica e alcune parti vocali stridule e roche (penso a “Viscere”, dove uno dei protagonisti è addirittura Satana); altrove invece, tra una voce raccontante ed uno scorrere narrativo e musicale imprevedibile, si respira un desiderio di fusione tra passato, in chiave folk, e presente, il rock appunto, che rievoca una piccola grande band nostra sottovalutata, i siciliani Fiaba. Proprio come gli isolani, i Quintessenza amano convogliare diverse influenze sotto un unico tetto: metal, folk e prog le più evidenti, ma non sono gli uniche, per un risultato non da primo ascolto; ma la forza di questo lavoro risiede proprio nella sua non facile penetrabilità, una dote rara oggigiorno, dove tutto sembra fatto per essere consumato in fretta. Diviso in sette capitoli, per tredici brani totali, il viaggio artistico dei Quintessenza si avvale di vari ospiti, con voci cantate e narranti che innalzano il tasso qualitativo di un album coraggioso e capace di regalare quella stilla di emozione di cui abbiamo bisogno, e canzoni come “Un volo d’argento” e “Porta gialla: il giardino della terra” hanno certamente questa dote. Contatti: www.myspace.com/quintessenza Gianni Della Cioppa Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Redroomdreamers Roosters On The Rubbish Happy/Mopy Records/Audioglobe Tutto prende il via a Napoli: nel 2008 Dario Bosco (cantato e chitarre, sia elettriche sia acustiche) e Alessio Sica (batteria, percussioni e tastiere), archiviato lo scioglimento dei Growing Ocean, decidono di fondare i Redroomdreamers, raggiunti da Simone De Simone (basso, ma all’occorrenza altri strumenti). Curioso che dalle ceneri di un’esperienza sia scaturito un disco, composto e registrato nel giro di un anno, che va adesso a inaugurare un’altra, parallela avventura, quella dell’etichetta indipendente Happy/Mopy Records. Masterizzato in terra americana, “Roosters On The Rubbish” è votato a un’indie-rock in inglese che non sfigurerebbe al fianco di parecchie proposte internazionali: perché ben realizzato, perché impreziosito dall’utilizzo funzionale di loop o archi, perché in bilico fra episodi maggiormente emozionali (“Off Star”, “Psychotheraphy” o “Bye Bye”) e scatti di impeto (“Souvenir” o l’estesa, ondivaga “Candy Girl”). Nelle note informative si leggono i nomi di Smog, Beck e American Music Club, ma vengono facilmente in mente persino Ryan Adams o Pearl Jam. Ovvio che sia pressoché impossibile raggiungere i livelli di certi, blasonati punti di riferimento, anche perché l’originalità diventa una chimera, ma la band campana, allargata a quartetto con l’ingresso di un secondo chitarrista, riesce nella missione di non sfigurare mai, tanto nell’impianto strettamente compositivo quanto in una curata, matura resa formale. È lecito, dunque, continuare a coltivare i propri, piccoli sogni. Contatti: www.myspace.com/redroomdreamers Elena Raugei Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Ruben Il rogo della vespa VRec Ruben ha un difetto: non sa vendersi bene, non sarà un cantante di serie A, ma è un gran compositore, è uno che nelle canzoni ci mette del suo, nelle strutture, negli arrangiamenti, nell’utilizzo di strumenti anomali, in quei passaggi che non sai ben definire, ma che ascolti stupito. Ruben, con quella voce un po’ così, è uno che sa pescare effetti a sorpresa, che scrive un rock come “Giù”, con un riff bello pompato, un funky rock gasato (“Infezione”) e poi una ballata stralunata, “Schiuma”, alimentato da un refrain condiviso con Francesca Dragoni dei Petramante. Ma Ruben sa anche infilarsi obliquo tra un bluesaccio da night club di terza categoria (“Pornomane N°2”) ed un altro da pub per bevitori di periferia, “Le cose si mettono male” meriterebbe almeno un ascolto da chi cerca cose nuove in una scena italiana cantautoriale, sin troppo schematica. Questo è il suo quarto album in una decina di anni di carriera solista e almeno il triplo di musica suonata e vissuta, ed è la sua opera migliore, anche dal punto di vista strumentale, con innesti di Hammond, chitarre soliste e ospiti di prestigio come Laura Facci in “Scirocco”, John Mario (ricordatevi questo nome) in “Letto”, senza dimenticare una “Dare e avere” condivisa con Michele Gazich e la docile “Controluce” cantata a due voci con la brava Veronica Marchi. In chiusura la divertente “Uno del giro” che rievoca il grande Giorgio Gaber, a testimoniare le tante prospettive da cui attinge Ruben, uno con una voce (e una faccia), un po’ così. Contatti: www.myspace.com/rubenmyspace Gianni Della Cioppa Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Sakee Sed Bacco EP autoprodotto “Soldi non se ne vedono, quindi tanto vale fare quello che vogliamo”. Sembrano dirsi questo, Marco Ghezzi e Gianluca Perucchini, anime e corpi dietro il progetto Sakee Sed, il cui “Bacco EP” rappresenta un'opera seconda - seguito dell'album "Alle basi della roncola" pieno di ottime intuizioni, di libertà creativa e inventiva spesso fuori fuoco, ma fortunatamente necessaria. Anche perché quanto tempo passiamo ad ascoltare band che si credono geni della musica pop e passano la vita a cercare un critico compiacente (o stanco) in grado di dirglielo? Ecco, Ghezzi e Perucchini non vogliono convincere nessuno. Fanno la loro cosa – un rock’n’folk molto più ambizioso di quanto sembri sotto la coltre dei due accordi e via – in totale libertà e probabilmente senza curarsi molto delle ricadute e delle impressioni che possono ricavarne gli addetti ai lavori. So che non c’entrano niente, ma il creativo girovagare dei Sakee Sed mi ricorda lo spirito e l’ideologia dei cantautori “storti” di Torino: una scena comprendente loschi figuri come Deian e Federico Cane che, di fatto, ha sempre fatto la sua cosa fregandosene di essere etichettati, di ricercare la ricetta facile o inseguire quello che al momento va di moda (può essere definita moda una “cosa” che piace a cento persone munite di collegamento internet? Questo è un altro discorso). I Sakee Sed hanno scelto di stare da questa parte del sole. E hanno capito che, nonostante i risultati artistici che vedremo di qui in avanti, a fare così, avranno sempre ragione. Contatti: www.myspace.com/sakeesedfamily Hamilton Santià Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Sybiann Sybiann Glue Music È musica inquieta – e non poco inquietante – quella inclusa nell’omonimo EP dei romagnoli Sybiann; musica difficile da maneggiare, oscura, che spiazza e sembra quasi divertirsi a non dare all’ascoltatore punti di riferimento precisi o anche solo costanti. Dovendo definirla, è inevitabile appiccicarle l’etichetta di “post-punk”, approfittando del fatto che si tratta di un macrogenere dai confini quanto mai elastici. Sta di fatto che nei sette brani – per trentuno minuti complessivi – qui contenuti si alternano e si compenetrano ritmiche nervose, linee vocali a volte ossessive e altre catacombali, chitarre appuntite e “a strappi”, accenni di ritmiche danzabili, riff scomponibili, rimandi alla new wave più scura e opprimente (dai Joy Division in giù), tirate kraut-garage che non dispiacerebbero agli Oneida e squarci ambientali che però più che a un’arcadica pace bucolica fanno pensare a cumuli di macerie postindustriali. Materiale del più vario, insomma, che il quintetto non soltanto gestisce con perizia e gusto, ma sa pure mescolare con personalità, ottenendo risultati inaspettati e stimolanti (a partire da “Monsoon Breath”, uno dei vertici del lavoro), cerebrali e insieme tremendamente fisici. Ben più che un esordio promettente, insomma. Contatti: www.myspace.com/sybiann Aurelio Pasini Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Thee Piatcions Time EP A Giant Leap L'EP dei Thee Piatcions si chiama come il pezzo trainante, “Time”, presente nel disco in due versioni, una di quattro minuti e una “extended” di sei. “Time”, la canzone, è un concentrato di Stone Roses, Jesus And Mary Chains, Spiritualized e, insomma, tutto quello che riempie l'atmosfera di chitarre trasognane ed elevate a potenza guardandosi un po' le scarpe e un po' la mano che va su e giù per le sei corde. C'è della psichedelia e c'è un bel po' di delay, mentre la batteria ritma marziale in secondo piano, il basso sorregge l'impianto e gli assolo servono per chiudere gli occhi e continuare a sognare. Le voci, effettatissime, raddoppiate ed eccessivamente ragazzine, come si confà al genere, non sono essenziali, ma servono per chiudere il cerchio onirico. Poi ci sono altre due tracce, sempre sullo stesso genere ma forse ancor più psichedeliche: “Singapore Mon Amour” e “As Seen Through A Telescope”. Tutto qua, quattro pregevolissime cavalcate shoegaze, una specie di sogno colorato da peperonata. Come se non bastasse, il singolo, “Time”, è stato rimaneggiato da James Aparicio, uno che ha lavorato, appunto, con gli Spiritualized, e il suo zampino si sente. Probabilmente il prossimo album dei Thee Piatcions sarà una specie di mattone tutto uguale, tutto così, tutto da sognare. Il suono, certo, è un po' datato. Ma non è che sia un male. Contatti: www.myspace.com/theepiatcions Marco Manicardi Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 THoC! Nicolao Mizar/Halidon Questa, volenti o nolenti, è la roba che va sui dancefloor “alternativi” di questi tempi, è roba che si balla. Batterie vere ed elettroniche in quattro quarti, spesso in levare, synth in primo piano, sempre, e chitarre sfregate a ritmo per non perdere mai la presa sul bacino dell'ascoltatore che, nello specifico, si spera un ballerino. E così volano via i trenta minuti e le undici tracce di “Nicolao”, tra (i soliti e abusati) riferimenti alla new wave di una volta, i (consueti) numi tutelari moderni come Franz Ferdinand (certi pezzi sembrano davvero cantati da un Kapranos prestato all'elettronica), Kaiser Chief, Killers, eccetera, fino all'attualità di MGMT e compagnia. E così non è che ci sia proprio un singolo che spicchi nell'album, essendo tutte e undici le canzoni dei potenziali singoli ballabili. Anche se poi un singolo designato esiste, si chiama “Garda Deutsch” (terza traccia del disco) che vuol essere, cito testualmente, “un electro-inno semiserio dedicato ai tedeschi che invadono le rive del Benaco d'estate” e che “si pone come la risposta ad "Azzurro" nella storica versione del gruppo punk-rock tedesco Die Toten Hosen del 2005, dove vengono messi in risalto tutti gli stereotipi del popolo italiano”. Si dice, poi, che dal vivo i THoC! siano soliti al travestimento, e quindi lo spettacolo è garantito. Perché, come si diceva, volenti o nolenti, questa è la roba che va sui dancefloor alternativi, elettro-indie, di questi tempi. E fin che sono in ballo, i THoC!, in fondo, fan bene a ballare. Contatti: www.myspace.com/thehouseofcaps Marco Manicardi Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 BAROQUE ROCQ (Herz Brigade) Ci sono dischi che occorre capire da che lato prendere, e che, a seconda del punto di vista, assumono differenti sfumature. Se prendiamo il lato ironico del progetto, senza dubbio presente in alcuni brani, allora il tono tra il sardonico e il teatrale della voce è assolutamente giustificato e ha una sua forza persuasiva. Ma se ascoltiamo le canzoni dei Baroque senza questo filtro, soprattutto quando gli aspetti più teatrali (e giocosi) di un combat folk che definiremmo d'autore si mischiano senza troppi passaggi intermedi con forme hard-rock e proto-metal epiche (“La festa dell'Alloro”), davvero di difficile digestione ad essere buoni, il senso del tutto un po' si va a perdere. In mezzo a tutta questa “confusione” di toni e stili (voluta, ma pur sempre confusa), troviamo una “For You” garbata, molto british e prog folk, imbastita come una specie di valzer campestre, dove tutti gli elementi sembrano funzionali, o una “Scherzo in Mi Minore”, in inglese nonostante il titolo, che gira dalle parti dei Jethro Tull fine anni '70 senza fare troppi danni. In buona sostanza ci sono molte cose da sistemare, dal punto di vista di chi scrive, un po' di senso della misura da acquisire e la necessità di rendersi conto che giocare con gli opposti e gli eccessi non sempre porta a risultati memorabili. I Baroque hanno però qualche buona idea e l'augurio che ci facciamo è che possano trovare la loro cifra poetica al più presto. contatti: www.hertzbrigade.com Alessandro Besselva Averame. Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Rock Contest Auditorium FLOG, Firenze, 11 dicembre 2010 Come ogni anno, a dispetto delle difficoltà, il “Rock Contest” resta uno degli appuntamenti più attesi, non soltanto all’interno dell’ambiente toscano, che pur ha giovato molto di tutta una serie di connessioni creative innescate proprio dal concorso (basti pensare a Samuel Katarro, l’ultimo artista veramente significativo ad aver ottenuto la vittoria, oppure ai Baby Blue, ai Bad Apple Sons e via proseguendo). Per la sua undicesima edizione, la manifestazione, organizzata da Controradio e dall’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Firenze, ha avuto al solito luogo alla FLOG, raccogliendo ottimi riscontri di pubblico. Merito degli ospiti della serata, i californiani, psichedelicissimi Warlocks, certo, ma in primis delle sei band giunte in finale, provenienti da ogni parte d’Italia e selezionate dopo un’agguerrita fase eliminatoria. Si parla di seicento iscritti e trentasei concorrenti che si sono fronteggiati dal vivo: tra gli esclusi, ricordiamo almeno i validi Sarah Schuster e The Perris. La nutrita giuria della critica, presieduta da Ernesto De Pascale, ha premiato i giovani The Street Clerks, gruppo locale dedito a un folk acustico di indubbia raffinatezza esecutiva, di indubbia derivazione britannica: contrabbasso e due chitarre a ben sostenere trame sonore prettamente rétro. Se manca l’originalità tout court, il livello tecnico, insomma, si mantiene alto. A conferma di tale tesi, ci pensano i secondi e terzi classificati: Betta Blues Society, programmatici sin dalla sigla sociale e trainati dalle notevoli doti canore della loro frontwoman, e i Ganzi, sestetto beat capace di approcciare con efficace ironia la nostra tradizione melodica. Gli altre tre nomi in gara: Piano For Airport (lodevoli nel proporsi in veste elettronica, seppur non sempre a fuoco ed eccessivamente tendenti all’uso delle voci filtrate), Giuliano Clerico (cantautore sufficientemente abile nel destreggiarsi con le parole, seppur troppo vicino a proposte alla Brunori SAS) e Madrake (ambiziosi nell’unire indie-pop e musica da camera, seppur ancora lontani dal centrare il bersaglio dell’incisività comunicativa). Bravi tutti, comunque, perché tentare di procedere sulle proprie gambe, con canzoni al cento per cento autografe ed esibizioni rigorosamente live, è un onore a prescindere di questi tempi. Elena Raugei Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '11 Two Bit Dezperados Il tratto unificante delle quattro tracce del 7” “Macumba para Exù” (Shit Music For Shit People) dei Two Bit Dezperados è il cimbalo. Un piccolo esercito di minuti piattini accompagna la batteria ritmando tutti i dieci minuti del disco, lato A e lato B. E dove ci sono i cimbali c'è sempre una certa solarità del suono, un piglio sixties, ancor meglio se le chitarre sono pulite e scattanti (e una chitarra che viene dai The Rippers è una sicurezza, oltre che un signor biglietto da visita) e se le voci maschile di Tommaso e femminile di Ângela (sardo lui, brasiliana lei) hanno quel pelo di sguaiato inglese che rende il tutto abbastanza estivo. E di questi tempi, con l'inverno pungente alle porte, basta avere le finestre ben serrate, il riscaldamento decisamente alto, “Macumba para Exù” sul giradischi ed è un attimo ritrovarsi a ballonzolare sudati per la stanza il rock'n'roll anni Sessanta di “Devil In Me”, “Pretty Girl”, “Eu digo no” e “O-Yes”. Poi basta non riaprire le imposte, girare il lato del 7” e ricominciare, aspettando così la bella stagione al suon dei cimbali. Contatti: www.myspace.com/twobitdezperados Marco Manicardi Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it