Giugno '09 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Giugno '09 Numero Giugno '09 EDITORIALE Con l’estate che si avvicina a grandi passi, ecco che ha inizio anche la stagione dei festival, sia quelli di dimensioni ragguardevoli che quelli più di nicchia e con nomi meno mainstream, quando non decisamente sotterranei. Proprio questi ultimi rappresentano un’occasione importante per toccare con mano lo stato di salute di una scena quantitativamente mai così vitale e, magari, per acquistare qualche CD o, meglio ancora, qualche vinile. Perché, chiamateci nostalgici, ma rimaniamo convinti che certe emozioni i file non potranno mai restituirle. E proprio di due di questi festival (e di un concorso: un appuntamento che, se ben organizzato, può rivelarsi utile per la crescita di una band) ci occupiamo nella sezione “Sul palco” di questo numero di “Fuori dal Mucchio” on-line, cercando di ricatturarne non soltanto i suoni ma anche i sapori e il clima. Come sempre, però, la parte del leone la fanno interviste e recensioni, ancora una volta in quantità considerevole. Non perdiamo dunque altro tempo in convenevoli, e vi lasciamo rinnovandovi l’appuntamento al mese prossimo, sempre su queste pagine virtuali (ma non solo, se siete tra coloro che si stampano la versione in PDF, disponibile cliccando sull’apposito link). Buona lettura, allora, e soprattutto buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 2Hurt Passare dalle chitarre fragorose dei Fasten Belt ai rigagnoli acustici dei 2Hurt è un percorso che può solo profumare di sincerità e maturità. Paolo Bertozzi non rinnega niente di quegli anni fatti di energia e rabbia e viaggi e sfide, ma l’oggi si chiama 2Hurt (ragione sociale condivisa con la violinista Laura Senatore): un’invocazione soffusa ma forte per un mondo che sappia guardare al passato e proiettarsi nel futuro, con musiche che sono vita e tradizione di e per tutti. Paolo, una prima domanda è inevitabile: che percorso hai compiuto per passare dal rock corposo dei Fasten Belt ai suoni dilatati e desertici di questo tuo esordio solista? Insomma perché ad un certo punto ti sei guardato allo specchio e hai capito che il rock non era abbastanza? PB: Il tempo inevitabilmente ci cambia. A volte lievemente altre profondamente. Certamente l’esperienza Fasten Belt è indimenticabile ed è parte importante della mia vita come uomo e musicista. Comunque, per rispondere alla tua domanda, devo dire che la mia attitudine punk rimane, ma non volevo assolutamente fare il disco del chitarrista dei Fasten Belt e alla fine sono usciti i lati più oscuri del mio background musicale. In fase compositiva come ti sei mosso, considerando che le undici canzoni sembrano un unico viaggio lieve e silenzioso, direi quasi sciamanico? C’è un legame che salda i brani o si tratta di frammenti di immagini? PB: Ho vissuto un paio di anni bui durante i quali per combattere una depressione profonda e pensare il meno possibile mi sono chiuso in casa con la chitarra acustica a suonare, semplicemente, senza una particolare intenzione compositiva, Poi pian pianole cose che mi piacevano le registravo, fissavo le idee e andavo avanti. Ciò che unisce i brani al di là del sound credo sia il mio particolare mood del periodo, il cantato sussurrato e scuro e il suono del violino melanconico e onirico, vero collante e sottile filo conduttore del progetto. Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Puoi fornire un’interpretazione sui testi di qualche canzone a cui tieni particolarmente? E la copertina cosa rappresenta? PB: Credo che il testo di “Like Another Dope” metta bene a fuoco il discorso riguardante le liriche (“Give me strenght, give me hope, don’t think of me like another dope”). Tra immaginario e realtà c’è sempre un “qualcuno” che chiede aiuto per andare avanti, che non vuole essere una droga per nessuno ma semplicemente un uomo libero di sbagliare e anche capace di chiedere scusa dei propri errori. La copertina è una vecchia foto che ho trovato datata fine ‘800 che ho rielaborato al computer e mi ha commosso perché rappresenta un agente degli Stati Uniti che interroga un nativo Navajo “colpevole” di abitare quelle terre. Da questa immagine mi è nata l’idea del titolo del disco. Ho suonato musica in libertà e parole in libertà, vuole essere un piccolo pensiero rivolto agli oppressi. Ho letto che definisci il vostro primo album, “Words In Freedom”, un tributo alla musica di confine, fornendogli un’ottica americana, ma i confini li abbiamo anche qui in casa nostra e sono anche chiusi e rigidi. Hai scelto una rappresentazione statunitense, perché non portare anche un po’ di tradizione nostrana? PB: Il sound è certamente di confine e desertico aggiungerei spoglio, scheletrico e si sposa bene con le storie che racconto. Storie di persone in qualche modo perse e senza speranza che con un filo di voce chiedono aiuto o si ribellano. Conosco bene i problemi di casa nostra e sono molto avvilito per quanto accade, ma scrivendo in inglese non volevo assolutamente ignorare la nostra situazione e credo che in fondo i personaggi che canto vivano in ogni paese. Sul CD hai suonato tutti gli strumenti, ma dal vivo, escludendo la veste acustica, con che musicisti vi presentate Laura e tu, e proponete anche qualche rifacimento, magari dei nomi che citi come influenze Ry Cooder e Mark Lanegan? PB: Abbiamo fatto un paio di showcase acustici suonando io e Laura, ma ora che iniziamo a suonare il disco in giro i 2Hurt sono diventati una band di cinque elementi. Oltre a noi due ci accompagnano dal vivo Franco Fosca alla chitarra e armonica, Michele Mancaniello al basso (ex AK47) e alla batteria e percussioni il mio fedele amico, anche lui ex Fasten Belt, Marco Di Nicolantonio. Nessuna cover in particolare. A volte ci piace suonare “Cortez The Killer” di Neil Young. Laura, suonando uno strumento come il violino, mi incuriosisce il tuo bagaglio precedente a questa esperienza. Un percorso che parte dalla classica per arriva al folk rock ? LS: Il mio bagaglio più ampio appartiene sicuramente alla musica classica. Ho iniziato a studiare violino a cinque anni e in realtà quello che ascoltavo, quindi suonavo, di più era proprio ciò che, in parte erroneamente, viene definita classica. Ma a vent’anni i miei orizzonti musicali si sono allargati in maniera esponenziale e tutto d’un tratto. Ho iniziato a suonare in un gruppo cover di Franco Battiato, poi in formazioni acustiche di vario genere fino persino al tango. Poi, ancora, è arrivata la passione giovanissima per il flamenco e quindi l’incontro con Paolo. Tante cose, è vero, ma tutte credo coerenti con la mia visione della musica: un amore totale. Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 In che modo hai contribuito alla stesura dei pezzi e quanto ti senti partecipe e complice dei 2Hurt? LS: Per quasi tutti i brani il mio ascolto è arrivato dopo la prima stesura. Paolo mi faceva conoscere le cose nuove scritte e io in prima battuta di istinto, poi con un lavoro di revisione, aggiungevo le linee del violino. Dal mio punto di vista è stata la maniera più vera e musicale di sentire i brani. I 2Hurt sono frutto della grande esperienza e ricchezza musicale di Paolo Bertozzi, ma, grazie soprattutto alla sua grande generosità artistica e umana, per me rappresentano nient’altro che una creatura anche mia, che amo e che rispetta come non mai la mia idea di fare musica. Paolo, hai preso “Hurt” dei Nine Inch Nails e l’hai spogliata di tutti gli addobbi gotici, magari guardando alla versione di un maestro come Johnny Cash. Ma questa operazione di sottrazione dimostra che forse c’è un legame anche tra artisti apparentemente lontani. Tu pensi che ci sia una continuità tra il rock di ieri, oggi e domani, capace anche di superare questioni di appartenenza e stilistiche? PB: Sono convinto di sì e ritengo fondamentale non chiudersi a chiave all’interno di un genere. Vedo la musica come la vita e quando conosco persone diverse da me che ritengo affascinanti pur provenendo da luoghi o esperienze a me sconosciute sono stimolato ad approfondirle sia personalmente che musicalmente. La musica è una cosa meravigliosa e ci dà la libertà di tentare nuove strade mai percorse e mantenere vivo il fascino della scoperta, è quello che ancora mi spinge a suonare. Hurt cantata da Johnny Cash ha accompagnato i primi incontri con Laura e così abbiamo voluto suonarla nel disco a modo nostro, tenendo bene a mente la lezione del maestro e svuotandola da ogni orpello, sperando di non essere stati troppo presuntuosi. E per completare l’opera al momento di scegliere il nome della band abbiamo pensato che essendo in 2 in fissa per “Hurt” il nome giusto fosse 2Hurt. Contatti: www.myspace.com/2hurtmusic Gianni Della Cioppa Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Baby Blue In un primo pomeriggio di sole ci siamo seduti al tavolino di un bar insieme a Serena Altavilla (voce) e Mirko Maddaleno (chitarra e seconda voce), per parlare - tra un caffè e qualche risata - di “Come!”, vivace esordio sulla lunga distanza del quartetto di Prato. Cosa vi interessava mettere maggiormente in luce con “Come!”? MM: L’omonimo ep del 2006 era molto rock, ma stavolta era importante esprimere bene tutte le sfumature dei nostri pezzi, che sono parecchio diversi fra loro. Come procedete nel songwriting? MM: I brani sono scritti da me, sia per quanto riguarda le musiche che le liriche. In realtà Serena ha contribuito alla stesura di un paio di testi, ma non abbiamo potuto specificarlo per via della SIAE. In un secondo momento io e lei lavoriamo insieme, cambiando con libertà quel che c’è da cambiare. Il materiale di solito viene fuori già strutturato, dopodiché andiamo alle prove e arrangiamo il tutto. L’album è prodotto da Paolo Benvegnù, che suona anche in alcuni brani e aveva già lavorato con voi al precedente EP. MM: L’incontro con Paolo risale alla nascita dei Baby Blue. Conoscevamo il suo batterista, Andrea Franchi, che abitava vicino a casa mia quando ero piccolo. In una giornata io e Serena completammo “River”, che decidemmo di fargli ascoltare. Lui ci consigliò vivamente di formare un gruppo, che all’epoca ancora non c’era. Il fatto che provenisse da un mondo musicale lontano dal nostro ci faceva un po’ paura, ma alla fine ci ha fatto riflettere su un sacco di aspetti e ha ampliato la nostra prospettiva. Durante la realizzazione di “Come!” è andato tutto liscio, non ci sono state divergenze ed eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Come avete reclutato Duccio Burberi e Graziano Ridolfo? SA: Avevamo già suonato con loro in altre band, per cui sono stati il primo bassista e il Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 primo batterista che ci sono venuti in mente. “Come!” trasmette una sensazione di freschezza e spontaneità. Le registrazioni si sono svolte velocemente? SA: Sì, il disco è stato registrato in una sola settimana e mixato in altri sette giorni. MM: Ci fa piacere che si avverta. L’opposizione fra melodie e chitarre, i cambi veloci mi hanno fatto venire in mente gruppi indie-rock come Pixies, Throwing Muses, Vaselines o le prime Sleater-Kinney, ma mi sembra che anche il blues giochi una parte fondamentale. MM: Non ci rifacciamo alla scena indie-rock, anche perché non ne siamo particolarmente esperti. Conosciamo i Vaselines e soprattutto i Pixies. Per il resto, sono un grande appassionato di Robert Johnson e del vecchio blues in generale, ma i nostri ascolti sono eterogenei e comprendono anche il jazz. Gli ultimi due pezzi del disco si differenziano dal resto della scaletta. MM: “Old Story” suona diverso perché per la sua metà è stato l’ultimo che ho composto, due settimane prima di andare a incidere. “About It” - che è stato scritto molto prima, anche se il più vecchio di tutti è “Miss” - è stato invece l’unico brano registrato in una volta sola, per di più in un corridoio e non in studio. C’era un microfono che riprendeva me che suonavo e cantavo, mentre la voce di Serena è stata aggiunta dopo. Alcune tracce risalgono addirittura a cinque o sei anni fa, prima che io e Serena ci trovassimo. Insomma, le canzoni coprono un lungo arco di tempo e le più datate sono state via via perfezionate. Siamo arrivati a registrare il disco con le idee abbastanza chiare. SA: Era arrivato il momento di fissare in qualche maniera il materiale che avevamo a disposizione. Serena, non è facile imbattersi in frontwoman italiane. Come ti trovi nel ruolo e quali sono i tuoi punti di riferimento? SA: Mi sento “woman” ma non tanto “frontwoman”, dato che il progetto è portato avanti a livello di gruppo. L’idea di base è quella di addolcire l’asprezza delle musiche con la mia voce. Mi piacciono PJ Harvey, Patti Smith e Diamanda Galás, ma anche per me il blues è un bel pozzo al quale attingere. Come procedete con i testi e in base a cosa decidete chi canterà? SA: Mirko mi porta i testi, che sono sempre “ad hoc”. A volte si tratta di un botta e risposta per esempio, “Eileen” - e altre volte le parole sono costruite su di lui oppure su di me. MM: Non è sempre stabilito a priori. In certi casi scrivo immaginandomi che sia una donna a cantare, ma la scelta diventa abbastanza chiara quando Serena prova a interpretare le canzoni. In certi brani avete optato per le due voci. MM: Le due voci mi piacciono tantissimo, specie quando vanno in direzioni differenti. In tal senso, la molla scatenante sono stati forse i Velvet Underground. SA: Penso anche agli stessi Pixies, quando canta Kim Deal. Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 La scelta dell’inglese è avvenuta in maniera naturale? MM: Non è stata una vera e propria scelta. Le influenze che all’inizio ci hanno spinto a fare musica erano riconducibili a gruppi che cantavano in inglese. Una volta formato il proprio modo di scrivere, è naturale seguirlo: utilizzare l’italiano implicherebbe difatti un processo completamente diverso. Non abbiamo mai ascoltato tanto rock italiano, per cui è difficile trovare riferimenti che ci entusiasmino. In più ci piacerebbe proporci all’estero, quindi la lingua ci è utile anche da quel punto di vista. Tornando all’Italia, che ne pensate della scena toscana? MM: I musicisti che al momento ci piacciono di più sono per l’appunto toscani: Piet Mondrian, Samuel Katarro, ¡Viva Muerte Candita!, Dilatazione, Amore e altri ancora. Quale è il segreto per emergere e quanto è difficile combinare vita di tutti i giorni e musica? SA: L’album è per forza di cose autoprodotto. MM: Bisogna sbattersi parecchio e hai bisogno di qualcuno che ti promuova bene. È dura, ma abbiamo comunque le nostre soddisfazioni che ci spingono a proseguire. Il vero casino è portare avanti attività parallele: per sopravvivere devi svolgere altri lavori, ma questi lavori devono permetterti di trovare il tempo per suonare. Già, che mi dite riguardo ai prossimi concerti? MM: Sul palco siamo in quatto e lo spirito di fondo è fedele al disco, sebbene alla fine si improvvisi tanto. Magari suoneremo un po’ durante l’estate, ma la maggior parte dei concerti arriverà a partire dal prossimo autunno. SA: Direi che è un live scarno ed essenziale. È simpatico constatare che, specie quando suoniamo in spazi aperti, i bambini sono gli spettatori più sfegatati in assoluto. Forse perché colgono il lato giocoso che c’è in noi. Vorrei chiudere parlando dell’ironica copertina del disco, che è davvero originale e di forte impatto nella sua estrema semplicità. MM: Lo spunto proviene da De Lise, un filosofo che scriveva anche di argomenti cinematografici e che ho studiato al DAMS di Firenze. La copertina in bianco e nero di un suo libro rappresentava i primi esperimenti di cinema, con un fotogramma dietro l’altro e i vari movimenti dei soggetti: c’erano un pugile, un danzatore, un karateka e un nuotatore. Ne abbiamo fatto per conto nostro una versione più ridicola. Contatti: www.myspace.com/babyblue2004 Elena Raugei Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Gea Si può apprezzare o meno la loro musica, ma la visione d’insieme, la libertà e la mentalità dei Gea è sempre un motivo valido per fare quattro chiacchiere e fare un po’ il punto della situazione dopo un album ambizioso – “From Gea With Love”, pubblicato solo in vinile da Jestrai – e oltre dieci anni di carriera. Ci ritroviamo dopo oltre tre anni da “Bailamme Generale” con un nuovo progetto, una nuova etichetta e la decisione di fare l’album solo in vinile. Cosa è successo in questi anni e da dove nasce questa decisione del vinile? È successo che, come accade spesso, la celeberrima “mobilità sociale” delle band indie italiane si è manifestata anche con noi con un cambio di line-up (turnover di bassisti). Se poi ci metti anche nuove famiglie e figli arrivati, il gioco è fatto. La decisione del vinile invece rispecchia varie motivazioni, sia affettive (“ci togliamo lo sfizio e facciamo un disco”) sia musicali (“vogliamo sentire come suona la nostra musica sul vinile”). CD non se ne vendono. Vendere per non vendere, quantomeno ci siamo levati questa soddisfazione! Nel vinile è comunque contenuta una copia in cd del disco, in omaggio. Il disco esce per la Jestrai, terza etichetta che vi pubblica dopo Santeria e la breve esperienza con Il Re Non Si Diverte, come è nato questo nuovo matrimonio? Terminata l’esperienza del Re, l’approdo a Jestrai è stato abbastanza naturale, considerando la ormai decennale amicizia e conoscenza che ci lega. Sino ad ora i nostri percorsi sono sempre stati paralleli e molto vicini. Diciamo che da un annetto circa si sono anche intersecati. Sul comunicato che accompagna l’uscita di “From Gea With Love” si legge: “... un concept-album che sonda tutto ciò che ruota intorno al rapporto amoroso nelle sue multiple sfaccettature”. Concept-album, vinile, una storia che si racconta... ormai siete diventati degli inguaribili nostalgici. Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 In realtà, più che di un vero e proprio “concept”, si potrebbe parlare di un “fil rouge”, di un trait d’union tra tutte le espressioni liriche delle canzoni che concerne, appunto, l’amore. Anche qui, è stato un caso che tutti i brani alla fine andassero a parare lì, non è stato un processo consapevole quanto piuttosto un comune sentire che, alla fine, si è riverberato nei testi così come li potete leggere. Non c’è stato un “disegno” preciso dietro. Sarà che di questi tempi c’è un disperato bisogno di Amore, in giro... È anche inteso come un regalo per i vostri fan. Quindi scelta che unisce l’utile al dilettevole. Siete in giro da undici anni, che rapporto avete col pubblico? Qualche tempo fa parlavamo di problemi di fruibilità per il rock cantanto in italiano, com’è cambiata la situazione? Non molto, purtroppo. La visibilità e gli spazi sono sempre risicatissimi, e non si vuole investire nella musica, se non quella dal guadagno immediato. “Musica giovane” e “proposta culturale” sono ancora parole che, messe assieme, in Italia, sono tabù: vuol dire qualcosa tipo “Comunismo” o “spreco di danaro”... Adesso forse sembra che qualcosina si sta di nuovo muovendo con gruppi tipo Teatro Degli Orrori, Ministri. Noi, ovviamente, per non smentire la nostra fama di “fuori tempo” ci siamo messi a cantare in inglese! Per fortuna i nostri sparuti ma ottimi fan ci seguono in queste nostre “peregrinazioni”. Veniamo alle canzoni, rileggendo l’intervista che abbiamo fatto per il disco precedente avevate dichiarato: “sei o sette anni fa era da sfigati cantare in inglese. Oggi è il contrario. Ancora una volta, la sincerità nel porsi credo sia il fattore che determina il successo o meno di un progetto, italiano o inglese che sia.” Il disco si apre con una canzone in inglese ma poi ci sono anche brani in francese e altri dove cambiate lingua addirittura nel testo... Avete composto l’album in completa libertà seguendo l’ispirazione del momento o vi siete posti degli obiettivi più, come dire, ambiziosi? In questo disco più che mai ci siamo permessi il lusso di fare un po’ quel diavolo che ci intrigava di più, quindi nessun obiettivo ambizioso ma come tu dici una sana voglia di sperimentare, di giocare con la musica e con i propri demoni ispiratori in piena libertà. È un disco molto istintivo come concetto (credo, infatti, sia il nostro disco più “aggressivo”, dal punto di vista sonoro. Paradossalmente, più invecchiamo e più ci si incattivisce, mah...) ma molto elaborato come costruzione, come arrangiamento. Dal punto di vista lirico, semplicemente, abbiamo giocato con le parole, con gli idiomi, e abbiamo usato quelli che, in relazione al brano, lo “vestivano” meglio a nostro avviso e che ci divertivano di più. Ad ascoltare l’album mi sembra che questo sia il vostro lavoro più ambizioso ma al tempo stesso il più personale e “sincero”. Ormai maneggiate la vostra “materia” con sapienza. Sono poche le band che possono vantare un percorso lungo più di dieci anni. Come vi sentite alla fine di questo ennesimo capitolo della vostra carriera? Molto soddisfatti, perché nonostante tutte le gabole più o meno piacevoli della vita di tutti i giorni stiamo continuando a fare quello che più ci piace, vale a dire fare musica e cercare di condividerla con il maggior numero possibile di persone. Dopo quattro album di cui l’ultimo concept e in vinile, tre etichette e svariati concerti, come vedete il vostro futuro? Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Non saprei, non ci proiettiamo mai troppo in avanti, altrimenti non riusciamo a gustarci il presente. Penso che comunque valga per tutti noi il fatto che sino a quando riterremo “doveroso” e “necessario” fare musica e farla in questo modo, continueremo a farlo senza problemi. Nel concreto, credo che andremo avanti ancora per alcuni anni, tipo dodici/tredici, poi andremo in pensione e venderemo il marchio ai nostri figli che – bontà loro – proseguiranno a gestire la ditta di famiglia! Contatti: www.myspace.com/geaband Hamilton Santià Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Late Guest (At The Party) Nel 1995 si sono conosciuti in discoteca. Sette anni più tardi hanno deciso i formare una band, ma altrettanti ne sono passati prima che giungessero al debutto discografico, quel “Come Back Bobby Perù” (42 Records/Halidon) che mantiene tutte le promesse contenute nei loro demo (gli stessi provini che fecero drizzare le orecchie a Steve Lamaq, per intenderci). Infilati a forza nel calderone punk funk, ora che di punk funk se ne parla molto meno i Late Guest (At The Party) possono finalmente mostrarci quanto la definizione andasse loro stretta. Colpa di una creatività che travalica la musica e che difficilmente può essere tenuta a bada, nondimeno ricondotta ad un’unica fonte. A partire dal titolo. Bobby Perù è una palese citazione del personaggio interpretato da Willem Defoe in “Cuore selvaggio” di David Lynch. Quanto cinema (o quanto Lynch) c’è nella vostra musica? Di cinema, nella nostra musica, non ce n’è tantissimo. Ci sono molti personaggi, più che altro. Ci piacciono i personaggi un po’ strani a cui ricolleghiamo le cose che viviamo insieme come band. Bobby Perù è un personaggio che guardando il film di Lynch ci aveva colpito molto per quanto è “storto”. Per i nostri brani, prendiamo questi personaggi e creiamo un parallelo con persone che abbiamo conosciuto per davvero. Se il titolo allude il cinema, la copertina chiama in causa il fumetto pop. Quando ero piccolo leggevo moltissimi fumetti e solo di recentemente ho ripreso a leggerne diversi, trascinato dalla moda delle varie trasposizioni cinematografiche. Ammetto che l’immaginario dei fumetti mi sta influenzando abbastanza. Per la copertina abbiamo collaborato con Thomas Ray, un artista che ci ha colpito fin da subito con le sue opere. Lo conoscevamo e ci piaceva parecchio, dunque è stato naturale voler lavorare con lui per l’artwork. In generale ci piace mischiare le carte, prendere da diversi immaginari. La band ha un po’ del mosaico, prendiamo un pezzo di qua e uno di là per ricostruire ciò che vogliamo dire. Non a caso all’interno del disco puoi trovare un’accozzaglia di immagini un po’ malate. Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Visionarie. Dici di aver ripreso a leggere fumetti “trascinato dalla moda”, eppure sembrate tutto fuorché persone attente a ciò che va per la maggiore. Di contro, in molti hanno definito la vostra musica “punk funk fuori tempo massimo”. Nel mezzo, il vostro pubblico. Loro dove vi collocano? Innanzi tutto non so quanto il nostro disco si possa definire punk funk. Dentro ci sono molte cose. Non credo nemmeno che come genere sia passato di moda. I gruppi continuano a suonarlo; semplicemente si è smesso di parlarne sui giornali. Con questa premessa, devo ammettere che quando abbiamo cominciato, per noi era più difficile portare in giro i nostri concerti, la nostra musica. Sembra che ora il pubblico riesca a recepirla di più e più facilmente. Forse è ora che gli si trovi un nuovo nome. Trovane uno tu... Il nostro ex-chitarrista è venuto a sentire un nostro concerto e lo ha definito un baraccone, una sorta di circo. La descrizione non mi dispiace... Eppure l’accusa di essere “fuori tempo massimo” non può prescindere dal fatto che siete arrivati al debutto dopo parecchi anni di lavoro. C’è il rischio che questo album suoni come la fine di un capitolo e non come l’inizio di una storia. Quanto ancora ti senti legato alle canzoni contenute in “Come Back Bobby Perù”? In effetti alcuni pezzi del disco hanno anche due anni e mezzo di vita, quindi in un certo senso è davvero la fine di una storia. Dal vivo ci diverte ancora tantissimo suonare queste canzoni, ma ora stiamo cercando stimoli diversi e quando ci ritroviamo per scrivere nuove canzoni ci rendiamo conto di lavorare su altri livelli... sperando nel frattempo che ciò che stiamo incubando ora non vada di moda quando verrà inciso... L’importante è che non facciate aspettare altri sette anni per un nuovo disco. Quella non è solo nostra responsabilità. Da una parte, quando cominci a suonare c’è sempre molto snobismo da parte di etichette e produttori, con tutto che noi siamo riusciti a cogliere l’occasione al volo appena si è presentata. Più che altro abbiamo scontato diversi cambi di formazione. Anche perché mi pare che il rapporto con la 42 Records sia molto buono. Loro sono i primi con cui abbiamo lavorato, siamo nati con loro, loro sono nati con noi. Ci troviamo davvero molto bene. Ho visto che sul sito dell’album (comebackbobbyperu.com) avete lanciato un’operazione molto interessante per il vostro prossimo video, mettendo a disposizione la “maschera” di Bobby Perù pronta per essere stampata, ritagliata indossata e filmata. Stiamo provando a fare questa operazione, vedere cosa potrebbe succedere ad assemblare queste piccole opere creative da parte di tutti, opere un po’ caotiche, per vedere se si riesce a tirare fuori qualche cosa di interessante, di finito, con un senso. La rete si presta a questo tipo di operazioni... speriamo che si prestino anche le persone! È solo uno dei tanti progetti che abbiamo in mente. Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Tanti, sì. Suonare è un’attività full time per i Late Guest (At The Party)? Al momento, tra i nostri progetti bisogna includere anche esami universitari e alcuni lavori. A dire il vero non conosco nessuno che riesca ad essere un musicista a tempo pieno, per ora. Eppure “Bobby Perù”, per il tipo di produzione (garantiscono Giacomo di Fiorenza e Alan Douches, quest’ultimo già alle prese con LCD Soundsystem e Sufjan Stevens, Ndr) e per il buon uso dell’inglese, potrebbe essere un convincente passe-partout per un mercato non strettamente italiano. Paradossalmente eravamo partiti dall’Estero per poi arrivare in Italia! Sono cresciuto ascoltando esclusivamente musica anglo-americana e quindi è normale che l’obiettivo fosse principalmente quello. La musica italiana l’ho scoperta solo negli ultimi anni. Comunque quei contatti sono ancora vivi, le strade sono ancora aperte. Nel frattempo vi consolate con un’intensa attività live. Questa estate ci aspettano date molto interessanti, anche dal punto di vista del divertimento puro, concerti sulla spiaggia... l’ideale per il nostro disco-baraccone. Contatti: www.myspace.com/lgatp Giovanni Linke Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Masoko Forti del nuovo “Masokismo” (Snowdonia/Audioglobe), i Masoko tornano sotto i riflettori a tre anni da quel “Bubù7te” che ne aveva sancito una volta per tutte il peso specifico. Una buona scusa per riprendere contatto con la new wave fuori fase della band romana. La prima cosa che salta agli occhi avvicinandosi al nuovo disco è il cambio di rotta che c'è stato a livello musicale. Si bazzica sempre in territori post-punk/new wave ma dall'approccio chitarristico del vostro primo lavoro si è passati a un mix di synth e chitarre elettriche spiccatamente anni ottanta... Non lo vediamo tanto come un vero cambio di rotta quanto piuttosto come un utilizzo della stessa rotta in modo diverso. La tappa principale rimane quella iniziale. Non abbiamo mai considerato importante rispondere a tutti quei parametri che uno stile ti chiede e in qualche modo ti costringe a seguire. Lo stile è importante come punto di partenza ma per andare oltre bisogna in necessariamente superarlo. A un certo punto le nostre canzoni hanno cominciato a pretendere di più in fatto estetico: un guardaroba più ampio, parecchi accessori a disposizione, colori non ancora indossati. Le abbiamo accontentate. Poi ovviamente le canzoni forti dell’importanza acquistata ci hanno totalmente soggiogati e costretti a dare tutto ciò che chiedevano, compreso un nuovo carattere. E noi abbiamo continuato ad accontentarle, convinti di aver fatto bene. In fondo dobbiamo tutto alle canzoni. Se lo meritano. A questo punto verrebbe quasi naturale chiedervi che rapporto avete con certo pop “plastificato” tanto in voga nel decennio di cui si diceva... Siamo affezionati al suono anni 80. Agli eccessi grotteschi e spesso ridicoli che lo caratterizzavano, a un certo uso dell’elettronica. Del resto siamo cresciuti con quel suono di plastica, soprattutto made in Italy. Non è però l’unico periodo musicale che ci interessa. Siamo alla continua ricerca di oscurità discografiche. E' un’attività che stimola i nostri ascolti. Ad esempio nel bagno della nostra sala prove c’è un salmone elettronico che canta Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 le canzoni di Elvis. Un grande. Notevole anche il lavoro sui testi, che in una formula musicale sorretta dai ritmi incalzanti come è la vostra, scandiscono, pur con il consueto surrealismo, metrica e melodia. Che importanza ricoprono questi ultimi nell'economia globale di un vostro disco? Il testo ha la stessa importanza della melodia. Interagisce con essa. L’uno diventa figlio dell’altra in una piccola evoluzione naturale che ad un certo punto si arresta, facendo nascere la canzone. Nella prima fase di scrittura non abbiamo mai chiaro ciò di cui andremo a parlare in un testo. Preferiamo soffermarci molto di più sulla musicalità che possiedono vocali e consonanti. Il linguaggio vocale è anzitutto suono. Poi, come per magia, immerse in altri suoni, quelle sillabe assumono un senso chiaro e, inconsapevolmente, diventano parole. Quanta ironia c'è alla base del progetto Masoko? C’è n’è tanta dicono e forse è vero. Non abbiamo mai deciso di essere ironici a priori, ci siamo espressi da subito come ci veniva, in un modo molto simile a cui ci esprimiamo nella quotidianità. In seguito, sentendo quello che si diceva in giro sul nostro conto, abbiamo scoperto di essere ironici e ci fa piacere perché solitamente chi è ironico viene considerato intelligente. Il disco è co-prodotto da Giorgio Canali. In cosa è stato fondamentale il suo contributo e come mai avete deciso di rivolgervi a lui? Durante le registrazioni abbiamo sentito il bisogno di una figura esterna che sapesse interpretare le nostre intenzioni senza il bisogno di spiegare troppo. C’era la necessita di un deus ex machina sensibile ed autorevole che tirasse le fila del suono. Abbiamo provato a coinvolgere un grande e fortunatamente ci siamo riusciti. Giorgio rappresenta un’autorità musicale. Un importante pezzo di storia della musica italiana. Fidarci di lui è stato molto facile. Quando ti ritrovi a lavorare con qualcuno e perdi più tempo a spiegargli cosa vorresti ottenere che a suonare, c’è sempre qualcosa che non va. La prima cosa che ci ha colpiti di Giorgio è stata la sua capacità di entrare immediatamente nel mood masokista, senza il bisogno di troppe chiacchiere. Per “Musica” avete invece collaborato con gli Amari. Cosa vi accomuna alla band di “Grand Master Mogol”? Molte cose. Prima di tutto il cantato in italiano e la ricerca melodica. In fondo gli Amari hanno avuto un percorso abbastanza simile al nostro. A un certo punto se ne sono sbattuti dello stile da cui provenivano e hanno messo le loro forze a disposizione delle canzoni in un’ottica più libera, propria della musica pop. Se per gli Amari la matrice era l’ hip-pop per noi è stata la new wave. Entrambe le formazioni hanno comunque un amore visibile per la musica italiana. Quando nel 2002 è uscito il nostro demo “No Tanga” eravamo nel pieno della nostra personale era new wave. Abbiamo sorriso quando un paio di anni dopo qualcuno ci considerava figli dei Franz Ferdinand. Eravamo invischiati nel punk-funk da molto prima che tornasse in voga come fenomeno di revival. “C'è chi suona per partire, c'è chi suona per ritornare, c'è chi suona per viaggiare, c'è Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 chi suona per digerire, c'è chi suona per degustare, c'è chi suona per la fame, c'è chi suona per apparire, c'è chi suona per rimorchiare, c'è chi suona per autografare, c'è chi suona e sa suonare, c'è chi suona e non sa suonare, c'è chi suona per suonare”. In che categoria rientrano i Masoko? I Masoko rientrano in ogni singola categoria citata. Crediamo sia un discorso valido per molti di quelli che fanno musica. Uscite per Snowdonia anche con questo secondo disco. Qual è il valore aggiunto dell'etichetta di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti? Snowdonia è un etichetta di culto da sempre dedita a proposte stilisticamente lontane tra loro. È un'etichetta che sa come avvicinare gli opposti. Ogni disco Snowdonia non è mai come il precedente ma in ognuno aleggia un sinistro senso del pop e un divertimento “malato” e contagioso. Basta osservare gli artwork dei loro dischi. La loro estetica è ormai un marchio di fabbrica. Anche la grafica di "Bubù7te" rientrava in questa linea. 
In un primo momento non sapevamo ancora per quale etichetta sarebbe uscito “Masokismo”. Stavamo valutando diverse proposte, ma eravamo indecisi. Poi, per caso, abbiamo conosciuto Michael Venuti, un artista italo-americano che ci ha mostrato i suoi bellissimi lavori. I suoi collage avevano molte cose in comune con l’estetica snowdoniana. Abbiamo creduto che quell’incontro fosse un segno del destino e abbiamo chiamato Cinzia che da subito si è innamorata di quelle immagini. Da lì alla pubblicazione con Snowdonia il passo è stato breve. L’anello mancante per chiudere il cerchio. Contatti: www.myspace.com/masoko Fabrizio Zampighi Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Stearica A disco di (enorme) sostanza, segue intervista di sostanza. Abbiamo lodato come non mai “Oltre” (Homeopathic), il lavoro degli Stearica, inevitabile quindi andare a sentirli. Lo scambio è avvenuto via mail, e Francesco Carlucci ci ha risposto con cura e profondità. Argomenti anche scomodi, prese di posizione forti, ma tutto portato avanti tutti con la forza dei fatti. Mille miglia lontani dall’agitarsi parolaio di alcuni salotti indie. A dodici anni dalla propria nascita come identità artistica, quanto è difficile andare “Oltre”? È difficile abbattere certi muri culturali e vivere liberamente il proprio far musica. Molti pensano ad essere più o meno allineati al sistema, quello stesso che filtra quanto deve arrivare al pubblico di vasta scala. Rapportato alla musica penso sia una maniera di trasformare il piacere di suonare in una professione frustrante. “Oltre” è stato un disco importante nelle nostre aspettative, volevamo produrre un album che fosse bello e unico come la nostra esperienza maturata insieme negli scorsi dieci anni. Ad oggi abbiamo raccolto quasi novanta date con questo lavoro e spiace pensare che appena quattro o cinque siano state suonate in Italia. Provo a cambiare appena la tua domanda e girarla agli italiani: siamo pronti ad andare oltre? Quali sono state le principali innovazioni stilistiche e metodologia di lavoro per questo ultimo album rispetto al passato? Negli anni abbiamo sempre fatto e disfatto mille volte le nostre carte. Non è un caso che questo sia il primo lavoro pubblicato dal gruppo, probabilmente poteva essere almeno il terzo ma è nella nostra natura quella di arrivare ad un punto per poi sentire la necessità di fuggirlo ed esplorarne di nuovi. Questo disco è nato da session di improvvisazione pura registrate in circa otto mesi. C’era materiale per fare un sacco di album destrutturati. Noi abbiamo scelto dei temi, delle figure ritmiche o comunque dei passaggi che ci emozionavano Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 particolarmente e poi abbiamo deciso di divertirci nell’arrangiare questo materiale utilizzando lo studio stesso come uno strumento di composizione. Quale dev’essere il rapporto perfetto, secondo voi, tra musicisti e produttore artistico? La grossa fetta della produzione di “Oltre” l’ho curata personalmente perché per varie ragioni in quel periodo vivevamo in paesi diversi e così gli altri mi hanno dato fiducia e mi hanno incoraggiato nel lanciarmi nel mix e nella produzione in studio che poi è diventata l’occasione per sperimentare questo mestiere e iniziare a produrre altre band. Solitamente i gruppi cercano nel produttore una figura distaccata dal piano della composizione e più vicina all’ascoltatore. Come dire che tu suonando non riesci sempre ad avere la totale obiettività su quanto stai componendo ed hai bisogno di qualcuno che interpreti al meglio la tua musica e la sappia presentare al pubblico. In questo senso noi tre siamo già piuttosto lucidi e la fase di produzione si sposta totalmente sul suono ed i sui colori e sulle diverse direzioni che decidiamo di dare ad un brano. Non è un caso se poi dal vivo lo stesso brano può assumere una connotazione completamente diversa dal disco pur mantenendo la stessa armonia. Nell’elenco dei gruppi e artisti con cui avete collaborato e/o diviso il palco, chi sono quelli che più vi hanno influenzato e più vi hanno insegnato trucchi utili? Negli anni abbiamo cercato di suonare sempre e solo con band che ci piacevano davvero perciò posso dirti che assolutamente tutte ci hanno emozionato ed influenzato. Condividere il palco è un piacere ed un momento importante di scambio, specie quando sei in tour per molto tempo. Non so se abbiamo cercato trucchi, sicuramente siamo appassionati di strumenti ed effetti perciò laddove sentivamo qualcosa che ci incuriosiva particolarmente, ci siamo confrontati e ci siamo scambiati idee e consigli. Ricordo che il tour con i Tarentel ci aveva particolarmente segnati perché loro ci avevano incoraggiato a presentare anche sul palco le nostre capacità improvvisative che notavano durante i soundcheck. Così nel corso dei loro set ci hanno invitati ad improvvisare insieme a loro e da quel momento devo dire che ci abbiamo preso gusto! Chi sono invece quelli umanamente più bizzarri? Beh, in tour è difficile non andare fuori! Considera che noi non arriviamo ai trent’anni ma i più giovani con i quali siamo andati in tour ne avranno avuti minimo trentotto e quando sei a spasso per così tanto tempo, inevitabilmente inizi a dare di matto, provare per credere! In ogni caso con gli Acid Mothers Temple abbiamo vissuto i momenti più divertenti, una squadra italo-giapponese è già tutto un programma e facendo le quattro ogni mattino per più di un mese di concerti, subisci quasi una mutazione genetica! Banalmente: quanto sorprende (o infastidisce) essere ancora sottovalutati in Italia? Sempre ammesso che vi sentiate tali... In realtà questa domanda non è affatto banale, anzi. Non riesco a rispondere senza pensare a tutta una serie di realtà (non solo musicali) che non hanno la possibilità di emergere, semplicemente perché non allineate o non ammiccanti. Gli Stearica sono una band che suona da dodici anni e ha suonato qualche centinaio di concerti in tutta Europa perciò, seppur con immensi sforzi, siamo riusciti a godere e far godere della nostra musica al di là del fatto che questa non ci sostenga stabilmente. E’ vero, nel nostro paese viviamo nel Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 pressoché totale anonimato e sicuramente non è divertente. Abbiamo però raccolto dei consensi, in particolare dal vivo, che ci hanno quasi commosso, e non esagero. Un esempio su tutti lo scorso novembre quando abbiamo suonato all’Hokaben Festival al 93 Feet East Club di Londra, il club dove i Radiohead avevano suonato un concerto annunciato a sorpresa sul loro sito appena poche ore prima (intasando la città per l’occasione!). Uno dei promoter più attivi nella capitale ha poi scritto un resoconto del festival ed in particolare si era soffermato sul nostro live dicendo che era la cosa migliore vista in tutto il festival; se consideri che gli headliner erano ragazzi del calibro di Don Caballero, Sun Ra Arkestra, Kid 606, Fucked Up e via così, immagina quanto potessimo esser felici. Certo, t’incazzi quando media e direttori artistici vari sfruttano il loro “potere” (divertente parola se accostata alla musica ma pur sempre veritiera) per esaltare arte brutta e meschina, nata per esser velocemente consumata ma del resto è la stessa violenza che raccoglie chiunque non stia nel giusto giro o decida di seguire un proprio percorso noncurante delle regole del mercato. Forse basterebbe solo che chi decide avesse più coraggio e preparazione, un po’ come fate voi in questo momento dando spazio anche a gruppi poco noti come noi. Del resto è sotto gli occhi di tutti noi dov’è arrivato il business musicale e non; seguendo questi santoni si sono intasati i cessi. Quali sono i vostri ascolti musicali personali? Assomigliano per lo più alla musica che create? Siamo tre persone profondamente diverse e di conseguenza lo sono i nostri ascolti ed i nostri gusti. Stearica rappresenta il nostro modo di comunicare insieme, abbiamo imbracciato gli strumenti ed imparato ad esprimerci insieme ma abbiamo mantenuto le nostre identità. In ogni caso la musica l’ascoltiamo davvero tutta e da ogni dove, al volo potrei dire da Nino Rota a Quark passando per il gamelan di Giava e i Motorpsycho. Che simpatica zuppa! Nell’ultimo decennio, Torino è stata raccontata alla scena musicale (e non solo) italiana soprattutto dai Subsonica. La “vostra” Torino è simile, o si differenzia? Qual è il vostro rapporto con la città? Torino è il posto in cui siamo cresciuti e abbiamo i nostri amici, è una bella città e geograficamente è stato il posto che più naturalmente poteva proiettarci al di là delle Alpi. A parte questo musicalmente non vedo un movimento coeso come forse emerge dall’esterno. Non abbiamo suonato molto in città ed è abbastanza tipico in Italia dove la maggior parte dei promoter locali ha sempre preferito gruppi che venivano dall’esterno magari dall’estero, così ricordo ad esempio che in un certo periodo suonavamo più a Verona che a casa! Personalmente sono nostalgico di un posto come El Paso di qualche anno fa, teatro libero da certe sciccherie indie ed aperto a sonorità trasversali spesso molto distanti dall’hardcore che forse è stato il genere che più ha reso nota Torino vista la storica scena che ospitava. Domanda finale: qual è il posto nel mondo in cui ancora non avete suonato, e vorreste invece fortissimamente suonarvi? Vorremmo davvero suonare ovunque e credimi lo dico consapevolmente perché nonostante andare in tour sia comunque duro sotto tanti punti di vista, ogni volta che siamo tornati saremmo voluti ripartire dopo pochi giorni. Il prossimo anno probabilmente voleremo in Giappone in vista dell’uscita del prossimo disco che abbiamo registrato insieme agli Acid Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Mothers Temple e che ho appena cominciato a mixare. Questo è il primo posto che vorremmo visitare al di fuori dell’Europa e poi per un motivo o per un altro abbiamo rinunciato ad esibirci in Russia un paio di volte ma contiamo di recuperare prestissimo perché siamo davvero curiosi. Contatti: www.myspace.com/stearica Damir Ivic Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Torpedo Contaminazione tra generi, collaborazioni di prestigio, forme alternative di promozione. Questo è, in poche parole, “TerraStation” (Way Out/Edel), il nuovo disco dei romani Torpedo, un lavoro energico e ricco di nuovi spunti, che arriva dopo una lunga e accurata ricerca stilistica. Ha risposto alle nostre domande Federico Camici, bassista storico del gruppo. I Torpedo ritornano sulle scene con molti legami con il passato e numerosissimi cambiamenti, primo fra tutti l’entrata del cantante Kohra, già vocalist di Kohra'n'Papacalura. Questa novità ha portato a qualche rivoluzione nel vostro stile musicale? Dopo un paio di anni di stop la voglia di ricominciare era molta. Io, David e Giancarlo ci stavamo dedicando ad altri due progetti uno dedito all’hip hop suonato (Junglabeat Acid Orchestra) e uno che tendeva verso la drum’n’bass strumentale (Dojobreakers), ma avevamo da un po’ voglia di tornare alle canzoni, che per noi voleva dire Torpedo. Andrea era in viaggio in Sud America e noi abbiamo iniziato a provare con un po’ di persone un nuovo assetto possibile. Ma la cosa stava risultando noiosa. Trovare una nuova voce si stava rivelando molto più difficile del previsto. Un giorno conoscemmo Kohra ed in fin dei conti era quanto di più lontano cercassimo, ma ci piacque subito. Nel frattempo era tornato anche Andrea. Ci fu modo di incontrarci e decidere di ricominciare assieme e questo è quanto. Il nuovo assetto dei Torpedo era fatto. In quelle prime session non ci siamo posti delle direttive stilistiche. Abbiamo semplicemente deciso di seguire l’istinto. Siamo persone molto diverse e abbiamo pensato che, quando saremmo stati tutti soddisfatti, sarebbe stato il segno che avevamo trovato la strada giusta. E così è stato. Un cambiamento c’è stato, ma in fin dei conti era inevitabile per i quattro anni trascorsi da “L’ingranaggio”, le esperienze maturate e il nuovo assetto. “TerraStation” arriva dopo quattro anni da “L’ingranaggio” e si allontana nettamente Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 dal lavoro precedente, sia nella forma che nei contenuti. Come nasce, quali obiettivi vi siete posti e quali pensate di aver già ottenuto? Guarda. Io personalmente non lo trovo così diverso... anche se devo dire che rispetto al passato, volevamo fare un album di rottura e questo è fuor da ogni dubbio. I gruppi che menzionavamo durante le registrazioni erano Beastie Boys, Rage Against The Machine e Clash. Il periodo storico ci sembrava troppo patinato per non dare un segnale forte. Abbiamo deciso di fare un disco più colorito, un po’ meno sofisticato e magari anche più speziato, purché suonasse come un allarme. Siamo stufi di sentire Berlusconi che parla della magistratura come di “estremisti di sinistra” e nessuno dice niente. Perché? Perché l’abitudine rende tutto normale. La normalità uccide... e noi volevamo fare un qualcosa di anormale. Ma prima di tutto volevamo fare qualcosa. Il nostro obiettivo era tornare con un disco e, in fin dei conti, è quello che abbiamo fatto. Parliamo un po’ del vostro stile compositivo. Come nascono musiche e testi? Quanto contano e come vengono sviluppate le tematiche politico-sociali all’interno di questo nuovo lavoro? Non c’è un iter compositivo vero e proprio. Ogni brano ha una storia a sé, anche se c’è da dire che “Terra Station” è album nato in sala prove. Si è iniziato con delle tessiture sonore e di volta in volta Kohra tirava fuori melodie, iniziando a farfugliare qualche parola che prova dopo prova iniziava a prendere senso. Poi sui brani facevamo anche lavoro di pre e post produzione, ma mai come per quest’album i brani si trovavano ad essere già fortemente connotati. Era come se la loro anima sentisse il bisogno di uscire da sé. Non siamo andati troppo a cercare le tematiche politico-sociali, sono quasi loro che sono venute a bussare alla nostra porta e noi le abbiamo semplicemente assecondate. “TerraStation” è un album molto più sintetico rispetto ai lavori precedenti: sonorità tradizionali, come quelle appartenenti al raggae, si fondono con l’utilizzo di strumenti e tecniche molto sperimentali. Come siete riusciti a coniugare questi due aspetti? Da sempre il nostro percorso è fatto di mescolanze, di crossover. E non poteva essere da meno “TerraStation”. L’incentivo al reggae rispetto al passato viene naturalmente da Kohra, mentre le esperienze di dub, drum’n’bass e hip hop che abbiamo fatto in questi ultimi tre anni sono stati il motore che ci ha spinti ancor di più verso l’elettronica. È stato tutto molto naturale. Il testo de “La musica nel sangue” è stato scritto da Stefano Benni. Che significato ha per voi l’aver collaborato con uno dei più grandi geni della narrativa contemporanea? C’è qualche vicenda particolare, bizzarra o divertente associata a questo incontro? Stefano Benni è per noi una figura importante. Siamo cresciuti con i suoi libri e quando, un anno fa circa ci è stato proposto di sonorizzarlo in alcune letture sul tema delle morti bianche, per noi è stata un’emozione davvero forte. E ancora più bello è stato quando abbiamo scoperto che tipo di persona fosse. E’ davvero favoloso, semplice e aperto. Mentre lavoravamo all’album ci ha spedito quattro testi e uno di questi lo abbiamo inserito nel disco. Ogni tanto abbiamo anche occasione di fare dei veri e propri live con lui... Ed è sempre un grande momento. Nel disco sono numerose le collaborazioni e i featuring. Lee Perry, Banda Bassotti e Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 molti altri: in che modo avete selezionato questi personaggi? E qual è la cosa che vi è rimasta più impressa di questi momenti? Con Lee Perry è successo tutto come nelle migliori leggende della storia del rock’n’roll. Lui faceva un concerto a Roma e noi siamo riusciti ad infilarci nei camerini e a fargli sentire un brano su cui stavamo lavorando. A lui è piaciuto e ci ha chiesto di passare la mattina seguente al suo albergo. E così abbiamo fatto, registrando assieme a lui nella hall, per poi andare a fare un giro per Roma, fare qualche foto blasfema al Vaticano e infine accompagnarlo all’aeroporto. Tornando in macchina pensavo tra me e me che era assurdo: avevamo appena collaborato con il primo produttore di Bob Marley, quello che “Rolling Stone” ha messo tra le cento figure più influenti della storia della musica del novecento. Per quel che riguarda Sandro e Sandokan della Banda Bassotti, loro li conosciamo da anni, così come i Junglabeat, ed è stato naturale chiedere un loro supporto nella realizzazione dell’album. Per la promozione del disco i Torpedo stanno sperimentando l’utilizzo di varie forme di viral marketing e guerrilla marketing, come i blips, l’utilizzo dei social network e i dollari “United States of TerraStation”. Come nascono queste idee e quali risultati state ottenendo? Nascono dal gioco. Ci divertiamo a lanciare messaggi in ogni forma possibile, siamo troppo curiosi e osservare le reazioni è divertente. A volte collaboriamo anche con amici per questo. Nel caso dei blips, ad esempio, li abbiamo realizzati con l’attore Valerio Malorni e il videomaker Diego Glikman. I dollari invece li ha realizzati il brillante Efisio Scanu, regista del videoclip del secondo singolo “Come una cavia” e servivano il realtà come oggetto di scena, ma ci siamo resi conto che il potere del denaro è la seconda calamita più potente dopo il sesso e così abbiamo iniziato a giocare a lasciare in giro per la città banconote. Ma ne abbiamo in serbo ancora delle belle... I Torpedo hanno una grande capacità di padroneggiare il palco e di attirare sempre e comunque l’attenzione del pubblico. Che valore attribuite alla dimensione live? Come giudicate il feedback del pubblico, nel contesto romano e non? I Torpedo nascono come live band. E’ la dimensione in cui senz’altro ci sentiamo più a nostro agio e probabilmente anche quella in cui riusciamo ad esprimerci al meglio. Sarà banale ma il contatto con la gente è una cosa troppo importante per una band come noi. Contatti: www.myspace.com/torpedoweb Federica Cardia Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 33Ore Quando vieni Garrincha Dischi Marcello Petruzzi ha percorso una lunga strada prima di approdare ai lidi della canzone in italiano: componente di post-rocker anomali Caboto, ha dato vita al progetto 33Ore raccogliendo lungo la via della propria educazione musicale spunti eretici e influenze ai margini del rock – una certa indole canterburiana nel far flirtare pop surreale e soluzioni complesse, un approccio giocoso alla sperimentazione che in Italia è stato fatto proprio da poche e sparute individualità autoriali. Il risultato, nell'opera prima “Quando vieni” (anticipata lo scorso anno da un EP), ci regala una vena ispirata e una scanzonata indole che sconfina in dimensioni più intime e riflessive. Infiltrazioni etniche (L'oriente immaginato della title track, una specie di Juri Camisasca assalito, oltre che da fantasmi interiori, dal furore espressivo dei This Heat del secondo album, con fiati jazz innestati su una specie di raga acido e postindustriale, davvero impressionante), momenti di maggiore allineamento alle ultime propaggini cantautorali della penisola (“Diventi nuvola”, con un impianto più folk, il Benvegnù più sommesso di “Cerco una ragione”), e in sostanza, nel complesso, una manciata di esperimenti casalinghi che giocano a non fare troppo sul serio e che nella loro presunta “incompiutezza” esprimono tutta la loro grazia. Una novità decisamente interessante, in un panorama mediamente asfittico e autistico. Contatti: www.33ore.it Alessandro Besselva Averame Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Ah,Wildness! Don’t Mess With The Apocalypse Riotmaker/Warner Suonerà strano dirlo, ma questo potrebbe essere il disco più importante per la Riotmaker; suona strano dirlo, perché “Don’t Mess With The Apocalypse” non ci azzecca proprio niente con gli Amari, gli Scuola Furano, i Fare Soldi, eccetera – qua signore e signori c’è prima di tutta una quantità mostruosa di riff rock’n’roll, tra blues e stoner, ci sono i Kyuss, un gruppo che la gente sul treno non la conosce, ma probabilmente ci sputa sopra e rutta in faccia. Così, per dare un’idea. Il punto è che questo è un lavoro dannatamente buono. I riff, oltre a essere tanti in quantità, sono molti pure in qualità, con una fragranza di suono sporco al punto giusto (né troppo, né troppo poco). Non ci sono virtuosismi, c’è impatto, ed è esattamente quello che ci deve essere, ma c’è anche la venatura blues a dare profondità all’impatto suddetto. Quindi ecco: la Riotmaker si ritrova fra le mani un disco davvero ottimo, vediamo ora cosa riuscirà a farne (fermo restando che non è che un’etichetta, da sola, possa fare il successo del disco, ci vogliono mille fattori primo fra tutti il culo), se alla fine gli Ah,Wildness! diventano una realtà consistente della scena musicale ne guadagnano loro, ne guadagna la label che amplia in modo importante la credibilità e i ventagli stilistici, ne guadagniamo noi tutti: più gruppi come questo e i Wah Companion, e l’Italia diventa un posto migliore. Contatti: www.ahwildness.com Damir Ivic Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Bullfrog Beggars & Losers Andromeda Relix/Black Widow C’è poco da fare: con buona pace di tutto quello che è venuto dopo, se si parla di hard rock il decennio di riferimento sono gli anni 70 (e qualcosa di fine ’60); ed è proprio a quel periodo che i Bullfrog si rifanno apertamente, riuscendo nella difficile impresa di suonare rétro ma non vecchio, tali sono la grinta e il cuore che mettono nelle loro composizioni. Del resto non è di un gruppo alle prime anni che stiamo parlando, ma di una band di veterani, o quasi: il power-trio veronese nasce infatti nel 1993, inizialmente come cover band e successivamente con un repertorio di brani autografi, quelli che nel corso degli anni sono confluiti nel debutto “Flower On The Moon” (2001) e nel successivo “The Road To Santiago” (2004), entrambi ottimamente accolti dalla stampa di settore. Una sorte alla quale anche “Beggars & Losers” pare felicemente destinato, perché al suo interno non vi sono particolari punti deboli: le canzoni mostrano infatti fondamenta solide, e mettono bene in evidenza le doti musicali e interpretative dei tre, con menzione dovuta per la voce potente di Francesco Dalla Riva e la chitarra di Silvano Zago. Whitesnake, Grand Funk Railroad e Free sono alcuni dei nomi che vengono alla mente, ma ad arricchire ulteriormente il programma ci pensano l’occasionale presenza di Hammond e percussioni, e qualche lieve tocco southern e qualche pennellata acustica (o acusticheggiante). Risultato: un lavoro per forza di cose di nicchia, o per lo meno indirizzato a un pubblico ben preciso, ma nel suo genere pressoché impeccabile. Contatti: www.bullfrogband.net Aurelio Pasini Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Daniele Brusaschetto Blasé Bosco Rec. Daniele Brusaschetto si ferma a riflettere su canzoni del passato e le rielabora riconducendole a un’atmosfera che rispecchia le movenze di questi suoi ultimi lavori. “Muoversi a ritmo di musica danzare” e “Mi sembra ieri” sono gli unici inediti che rispettivamente aprono e chiudono il disco, non allontanandosi dalle altre canzoni per lo spirito più calmo, più evanescente, come fosse un angelo che ti sussurra piano le “parolacce” e ti fa notare che i sogni possono calpestarti e pretendere di poterti ossessionare. “Trascino la mia barchetta con una grossa e pesante catena, a volte sono l’ancora quaggiù coi relitti di mille generazioni” canta in “Trascino”. Questo disco potrebbe essere ascoltato come una manciata di ricordi rielaborati. Canzoni nate tra il 1997 e il 2007 che andrebbero poi riascoltate anche nella versione pura o estrema. Qui le une attraversano le altre e “Ciao bellissima”- già uscita in “Mezza luna piena” nel 2005 - ti strappa il cuore dal petto, e senza essere sdolcinato Brusaschetto ci racconta in un’immagine nitida, un amore a portata di orecchio. In “Chi ha la faccia scucita”- già presente dentro “Live At The Satyricon” del 2006 - si può sentire anche la duttilità della sua voce ora grave ora sottile. In “Goffo” si affronta un viaggio musicale tenendo per mano i Sigur Rós. Anche l’etichetta statunitense Radon Studio si è accorta del suo talento e ha pubblicato due album del musicista torinese: “Poesia totale dei muscoli” e “Bluviola”, dove sono contenute la prima versione della già nominata “Goffo” e “Forse”, quest’ultima presente anche nel live. Contatti: www.danielebrusaschetto.com Francesca Ognibene Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Ear&Now Eclipse Wallace/Amiranirecords/Rermegacorp L'esordio sulla lunga distanza - un Ep era già uscito per la Mail Series di Wallace nel 2003 degli Ear&Now, ovvero Xabier Iriondo, Paolo Cantù e Alberto Morelli, reca sul retro un marchio che non passa inosservato, quello di Recommended Records. Senza nulla togliere agli altri due marchi, Wallace e Amiranirecords, due oasi coraggiosissime nel panorama italiano dedite contro ogni logica e buonsenso alla pubblicazione di avanguardie di qualità, la presenza della storica etichetta fondata da Chris Cutler è sintomo della credibilità internazionale che ha ormai raggiunto una certa scena nostrana. E questo album dimostra che la fiducia è ottimamente riposta: un contenitore a più sponde dove si rimpallano forme libere, nenie folk ultraterrene che riportano a certe sinfonie postindustriali presenti sul primo disco dei This Heat, quadretti incoerentemente bucolici innestati – con tempismo perfetto tra rovine di civiltà scomparse, il jazz inclassificabile portato in dono dagli ospiti Gianni Mimmo e Federico Cumar, l'etnomusicologia applicata di “Ai moi moi” e “Totenlob”, che utilizzano la voce campionata di Rosa Corn, ultima esponente del canto tradizionale della Valle dei Mocheni in provincia di Trento registrata nel 1969, una presenza inquietante e rassicurante al tempo stesso, e una “Third Ear Dance” inequivocabilmente debitrice della Third Ear Band e del suo rituale folk ancestrale, capace di riportarne impeccabilmente in vita splendidamente lo spirito e l'anima. Un album importante, da accostare con cautela ma con la consapevolezza che al suo interno si trova materiale pulsante e vitale. Contatti: www.wallacerecords.com Alessandro Besselva Averame Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Edo Notarloberti Preludio Yellow Moon Factory Lo scorso 3 aprile, a Roma, ho visto Edo salire sul palco della Stazione Birra intorno alle 20:30 e scendervi quattro ore più tardi, dopo aver suonato con altrettanti gruppi, quasi senza soluzione di continuità, nel contesto dell'"Ethereal Folk Festival". Quando lo conobbi, diversi anni fa, rimasi colpito dalla passione, dalla semplicità e dall'umanità di questo straordinario, infaticabile violinista che - tra un ricevimento di matrimonio e l'altro - faceva vibrare il suo strumento nei concerti e nei dischi degli Argine. Poi sono venute le collaborazioni con gli Ashram, con le Corde Oblique di Riccardo Prencipe e infine - lo scorso anno - il suo debutto da solista, "Silent Prayers", pubblicato dalla Ark Records in poche centinaia di copie. Non sono passati neppure dodici mesi ed ecco uscire "Preludio", gioiellino strumentale in cui sono raccolti alcuni inediti ed altri episodi del precedente CD, riarrangiati con la complicità del chitarrista Fabio Gagliardo, il bassista Fabio Spadaro, il batterista Antonio Esposito e la pianista Martina Mollo. Pur muovendo da un classicismo-contemporaneo à la Wim Mertens, l'artista partenopeo non può prescindere dalla tradizione mediterranea in cui da sempre è immerso; pertanto spazia tra arie malinconiche ("Rose And Air"), irresistibili danze ("My Gogol") e oscure atmosfere cariche di tensione ("Dark Tango"). Un connubio perfetto tra genuino sentimento e accademica integrità. Contatti: www.edonotarloberti.it Fabio Massimo Arati Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Gina Segreto Il Popolo del Blues/Materiali Sonori Reduce da una trionfale affermazione al Premio Ciampi 2008, Gina Fabiani approda, già con il suo esordio, a una dimensione di asciuttezza definitiva alla quale molti artisti affermati ambiscono a lungo. Una cifra di nettezza e sintesi, frutto di controllo compositivo, nonché esecutivo. Tre-strumenti-tre: la voce di Gina, il contrabbasso di Lorenzo Feliciati e la chitarra di Daniele Bazzani (coautore delle musiche). Niente trucco, tutto è consegnato agli ascoltatori nella sua veste nativa. Canzoni acqua e sapone: acqua di fonte e sapone fatto in casa con la cenere. Non cercate in Gina le obliquità di una Carmen Consoli o la raffinatezza di una Cristina Donà. Il nitore di “Segreto” è dato dall’immediatezza. Appassionata o ironica, sensuale o dolente, Gina coi i suoi due angeli custodi imbastisce una romantica rete di undici tracce unplugged: “Le onde” è l’apripista (il rimando è a Nada, specie quella del Nada Trio, e non sarà l’unica occasione); “Guardarti ridere” è un glabro jazz in stile Tenco (e non sarà l’unica occasione); “Rapiti” è un inseguimento in settima tra voce, contrabbasso e chitarra; “Segreto” tambureggia tra Capossela e Buscaglione. Struggente, “Le mie parole” si muove tra (ancora) Tenco e Ciampi, mentre “Isola” volteggia come un tango. Altrove è inevitabile ripensare all’esperienza del duo Petra Magoni & Ferruccio Spinetti. Gina “ubriaca di rimpianti” canta alla luna, e anche se – dice lei – “le parole sono invecchiate”, le canzoni sono invece di quelle che difficilmente vanno fuori produzione. È blues, è musica leggera (magari da camera), è chanson, è “piccola canzone d’amore”, è folk d’autore. Quello che colpisce di Gina & Friends è la capacità di produrre molto con (apparentemente) poco, restituendo significato pieno alle parole e alle note. Contatti: www.myspace.com/ginaesegreto Gianluca Veltri Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 H.U.G.O. Equilibrium Fridge/Goodfellas Ecco un perfetto esempio di quando un gruppo è perfetto e quindi dovrebbe cambiare (quasi) tutto e ricominciare da capo. Sono bravi, gli H.U.G.O.; lavorano molto bene, suonano a puntino, producono con tecnica inappuntabile, addirittura se vai a percorrere il web per la varie info scopri che hanno fatto un sito davvero originale e ben construito, dove per giunta nelle note personali scopri con infinito piacere riferimenti musicali non banali (Bugge Wesseltoft in primis, che chi scrive queste righe ama non poco). Tutto perfetto, appunto. Anche “Equilibrium” lo è: lo ascolti, e ascoltando hai a prima vista la nitida sensazione che non ci sia nulla fuori posto, sia nella scrittura che negli arrangiamenti. Ma allora? Quindi? Quindi, non basta. La trappola in cui i quattro H.U.G.O. sono caduti è la stessa in cui sono finiti molti gruppi ispirati dalle vie bristoliane, tutti i figli – diretti o spurii – del trip hop: tutto perfetto, ma in qualche modo poco incisivo proprio a causa di questa apparente perfezione. Succede quando si scambia la levigatezza e la precisione per profondità. Due i consigli: diventare più taglienti ed irregolari (lo sono i migliori Lamb, un riferimento tra l’altro evidente per il gruppo), piazzando degli scarti ritmici e armonici improvvisi nei pezzi; rifinire meglio l’alchimia tra la parte vocale e quella strumentale, giocando anche lì più sui contrasti. Certo però che a scrivere queste cose siamo anche imbarazzati, perché non ci sentiamo a nostro agio nel dare queste lezioni ex cathedra a musicisti che comunque dimostrano di essere assai preparati e che nel produrre questo “Equilibrium” hanno messo la massima cura. Contatti: www.h-u-g-o.net Damir Ivic Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 LEF Mostri Toast/CNI Non ce ne vogliano i diretti interessati, ma non siamo riusciti ad appassionarci a questo “Mostri”. E non tanto per supposte carenze tecnico-interpretative di chi suona – i LEF possono vantare oltre dodici anni di carriera alle spalle – quanto per una difficoltà evidente nel trovare una chiave di lettura efficacie per il disco. Qualcosa che vada oltre il considerarlo soltanto un campionario di new wave mista a psichedelia con tanto di chitarre elettriche compresse e toni monocordi a fungere da biglietto da visita. A nulla valgono i testi in italiano e il cantato à la Giorgio Ciccarelli periodo Sux! che completano il quadro, se non a confermare l'impressione che ci si trovi davanti a un disco poco incline a mostrare una personalità forte. Tanto che pare quasi esclusivamente il mestiere e non la creatività a guidare i passi della formazione salentina, che si parli degli spigoli di “Graal” o dei toni evocativi di “Calice”, dei crescendo di “Camera oscura” o delle inquietudini vagamente à la Marlene Kuntz di “Centro rosso”. Insomma, capacità di contestualizzare, buone conoscenze musicali, suoni curati, ma scarsa originalità. E in un genere come la new wave l'originalità è (quasi) tutto. Contatti: www.myspace.com/thelef3 Fabrizio Zampighi Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Mamamicarburo Barcelona 4T Records Dopo un terzo album che strizzava l’occhio a sonorità più moderne realizzato con il vocalist Luca Ferro, per i Mamamicarburo – tre lustri di storia spesi a suonar rock di pancia e di ironia – è stato praticamente inevitabile ricongiungersi con l’istrionico Matteo Morgotti, l’ugola storica del gruppo (oltre che cantante formidabile), personaggio troppo folle e carismatico perché i fan non ne chiedessero l’immediato reintegro nei ranghi. La band di Correggio – anche in questo quarto capitolo sempre sostenuta dal produttore artistico Fabio Ferraboschi, autentico quinto componente aggiunto – sciorina una tecnica strumentale di valore, e il chitarrista Jonhatan Gasparini recupera tutto l’ardore di un tempo per comporre pezzi istintivi e cantabili, ma fortificandoli di un tocco di maturità che prende le forme di una strana malinconia. Strana perché i Mamamicarburo sono da sempre divertimento, cazzeggio, bevute in compagnia e musica a tutto volume, ma prendiamo felicemente atto che in questo album accanto a brani dal taglio classico il gruppo è capace di sorprenderci con “L’estate è sempre inutile”, un lento sostenuto da una linea di basso in minore in cui appare un velo di rassegnazione, confermata dalla title track, sorta di meta per provare i ricominciare. Naturalmente non mancano i rock ad alto voltaggio, pieni di sarcasmo e sballo, basti ascoltare “Mama Uber Alles”, “Schmerzmittel”, dove Teo gioca ad imitare gli urlatori heavy metal, o l’irruenta “Plaster Caster”. Ma è confortante scoprire che i Mamamicarburo, pur mantenendo inalterata la componente da sballo, abbiano cercato di offrire un volto più adulto, cosa che non intacca minimamente il loro valore. Vale la pena confermare che dal vivo i quattro emiliani sono una delle cose più coinvolgenti che il rock italiano abbia mai offerto. Dispiace solo che non abbiano mai ricevuto attenzione che meritano. Che sia la volta buona? Contatti: www.myspace.com/mamamicarburo Gianni Della Cioppa Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Massimiliano Larocca La breve estate Pomodori Music/Venus Finalmente un giovane rocker che non guarda solo pedissequamente oltreoceano e che mostra tracce della classe dei nostri maestri. Massimiliano Larocca è un trentenne di Firenze che con l’album “La breve estate” si impone come cantautore di livello, sul solco della tradizione italiana ma strizzando l’occhio al sound folk e rock della certamente amata America (nell’album non mancano apparizioni importanti, fra gli altri il fisarmonicista Joel Guzman o il chitarrista Andrew Hardin). Si parte subito bene con “Un’altra città”, ballata chitarra, batteria e piano che precede “Terra di abbondanza” e “L’uomo qualunque”, testi contadino e confidenziale, entrambe narrative e intense, in cui viene esaltata la voce profonda e pulita di Larocca. “I ragazzi del vicolo” è un bellissimo folk basato sull’organetto, mentre “La breve estate” si avvicina alle enfatiche atmosfere del rock americano più classico, con un bel sax finale. Struggente la storia della nonna di “Maria delle montagne”, mentre “Anima mundi” è un’analisi particolare sulle teorie di Giordano Bruno. “La petite promenade du poète”, divertente jazz-swing, è un testo di Dino Campana che testimonia il legame fra Larocca e Massimo Bubola, colui che insieme ai Gang più recenti, sembra essere una sorta di punto d’arrivo per il fiorentino. “Un uomo in rivolta” è vicenda di ribellione basata sulle chitarre acustiche, “Tristessa” omaggia Kerouac, il suo Messico e i suoi amori maledetti. “Svegliati Nino” è una triste storia di emarginazione e povertà. L’allegria torna con il country di “Dimmi tu fiore”, che precede il ricordo doloroso di “Le ceneri di Pasolini” e la conclusiva, corale, springsteeniana “Il nome delle cose”, costruita su un Hammond perfetto. Nel complesso un album di spessore, certamente non di rapida presa e forse un po’ lungo, ma che ci consegna un artista decisamente interessante. Uno di quelli di cui la musica d’autore ha bisogno. Ed è in arrivo un disco che parla di fuorilegge, in cui Larocca collabora con Bubola, Russel e Allen. Sarà una sorpresa. Contatti: www.massimilianolarocca.com Marco Quaroni Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Maya Mountains Hash And Pornography Rocky Rocketz/Go Down/Audioglobe A dispetto di un noto proverbio, a volte l’abito fa il monaco; o, per dirla all’inglese, vi sono casi in cui è possibile giudicare un libro – un disco, in questo caso – dalla copertina sicuri di essere nel giusto. Succede allora che, guardando al disegno sulla cover del debutto dei veneti Maya Mountains, venga subito in mente una parola: stoner. E l’ascolto lo conferma: la musica del trio è tellurica, magmatica, pesante come un riff dei Black Sabbath e furiosa come il punk, incandescente come la sabbia di un deserto sotto il sole e psichedelica nel suo incedere mesmerico. Niente di nuovo, verrebbe da dire, ma fatto davvero bene, con brani che si insinuano nel cervello e lo sciolgono sommergendolo sotto colate di suoni bollenti. Complice la presenza in cabina di regia di due personaggi come Giulio “Ragno” Favero e Manuele Fusaroli (responsabili rispettivamente delle registrazioni e del mixaggio), poi, “Hash And Pornography” suona alla grande, pur conservando quella patina di viscerale sporcizia indispensabile per rendere un lavoro del genere credibile. Insomma: da qualsiasi punto di vista lo si guardi, il disco non ha particolari punti deboli, ed è destinato a conquistarsi un posto nei cuori di quanti – nostalgici, indubbiamente, ma meno passatisti di tanti altri – piangono ancora per lo scioglimento dei Kyuss. Contatti: www.myspace.com/mayamountains Aurelio Pasini Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Mercury Drops Love Is The End Smoking Kills La tentazione di iniziare questa recensione con uno degli incipit più famosi nella storia delle barzellette è forte. Dunque: c’è uno svizzero, un messicano, un serbo e un italiano... Il finale invece va preso un po’ più sul serio poiché è proprio da una tale mescola geografica che nascono i giovani e promettenti Mercury Drops. Di residenza a Milano – perché da qualche parte bisogna pur piantare le tende – la band esce ora con l’album di debutto, “Love Is The End”, un lavoro compiuto ed omogeneo sia a livello compositivo che stilistico, caratteristica assai rara e che nel loro caso emerge fin dal primo ascolto. L’apertura affidata ad un brano convincente come “Boys”, infatti, segna quello che sarà il livello generalmente alto del disco, grazie ad un indie-rock confezionato a dovere. Purtroppo è proprio in questa perfezione che si registrano i punti più sensibili, quelli facilmente attaccabili. Ammettiamolo: ogni giorno si ascoltano misteriosi cloni di gruppi misteriosamente famosi, siano essi americani, inglesi o macedoni. Di questi siamo pronti ad indossarne la spilla prima ancora che scrivano un brano; quando a provarci con medesimi risultati sono i nostri vicini di casa è come se avessero firmato da soli la propria condanna a morte. Peccato. Peccato perché “Mechanical Man”, un po’ electro, un po’ Duran Duran, (un po’ Killers, insomma) è uno di quei brani che potresti ballare tutta notte. Peccato perché quando i Mercury Drops decidono di incidere una cover la scelta non è affatto banale (“Eisbär” dei Grauzone di “quel” Stephan Eicher). E ancora peccato perché la conclusiva title track è una di quelle ballad uptempo che non dicendo nulla di nuovo riesce comunque ad emozionare. Contatti: www.myspace.com/mercurydrops Giovanni Linke Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Metúo Toy Shop Black Candy/Audioglobe Incomincio a pensare che di certa giocattolosità indie, con tutti i suoi pupazzetti di pezza e le sue carinerie fragili non sia più possibile sbarazzarsi. Ma questo è solo il primo impatto, magari troppo pregiudiziale, di fronte all'ennesimo progetto che si propone, almeno esteticamente, su queste direttive: nato una manciata di anni fa dagli sforzi congiunti di Giorgia Angiuli e Tommaso Bianchi, nucleo musicale di Metúo, e dal contributo della parigina Amélie Labarthe, designer tessile specializzata nella creazione di bambole per l'occasione prestata al ruolo di cantante, “Toy Shop” è un lavoro che nella sua parte strettamente sonora riprende un filone abbastanza affollato, quella dell'indietronica, assemblando una specie di terza via tra Client e Isan che convince più nei suoni, nell'integrarsi di tastierame bucolico e orologerie ritmiche che nella scrittura delle melodie vocali, a tratti un poco banali o quantomeno già sentite in migliaia di dischi. Tra i momenti migliori, gli anni Ottanta sminuzzati in frattali IDM della title track, una rievocazione non troppo nostalgica guidata però da bassi digitali dall'inconfondibile sapore. In sostanza, una via di mezzo interessante, non particolarmente innovativa ma assai più solida di quanto la suggestione “di pezza” ci facesse temere. “Toy Shop” è un buon disco. Non irresistibile, ma piacevole quello sì. Contatti: www.myspace.com/metuo Alessandro Besselva Averame Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Microlux Weiße Videodrome Sound design, ambient-song, musica da film. Sono alcune delle categorie a cui si può pensare ascoltando il primo album dei Microlux, band di pop elettronico di stanza in Campania. La cantante e compositrice Linda Edelhoff vinse un vecchio “Arezzo Wave” e fu finalista a un Recanati; il bassista Fabio Colasanti proviene dall’arte visuale, mentre il chitarrista Peppe Biondi si è dedicato alla musicoterapia. Il trio italo-tedesco è espressione di un minimalismo electro di stampo nordeuropeo, grondante glitch, un po’ trasognante, che giunge al suo debutto discografico dopo anni di attività. Mi esprimo in minimale”, dice in un brano la Edelhoff, che canta in italiano, tedesco e inglese. “Weiße” (in tedesco significa bianco, pronuncia “vàisse”) è un disco dai toni chiari, che a tratti confina con una new-age dai toni aperti, costruito su cellule iterative, su micro-fraseggi chitarristici e sul canto multilingue della Edelhoff. Colasanti è anche il responsabile della programmazione dei suoni, che è infine la cifra più cospicua dell’album. Biondi ha un passato wave, e dalla somma di queste specificità si coglie anche il motivo di un possibile accostamento ai Cocteau Twins, specie quelli della fase finale di carriera. Menzione speciale per “Die Rosen sind gesprossen” (‘le rose sono germogliate’) e “B. Yoshimoto”, che indica uno dei possibili punti cardinali nell’estetica del gruppo, mentre “Sono cattiva”, dalla melodia accattivante e circolare, è graziosamente addobbata dai suoni del glockenspiel. Contatti: www.myspace.com/microlux Gianluca Veltri Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Minnie’s L’esercizio delle distanze Sangue Disken È un disco scomodo questo nuovo dei Minnie’s, perché ti sbatte in faccia le cose senza filtri, così come stanno: il disagio, la tensione, la disillusione... Sentimenti e sensazioni che la formazione milanese traduce in musica con rara efficacia, facendo incontrare la tradizione punk con l’indie-spleen smithsiano, l’emo-tività dei Get Up Kids con il power-pop dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Batte forte il cuore tra queste tracce, non però per lo stupore – tanto per citare Ruggeri – bensì per le emozioni forti che si susseguono al loro interno, tra chitarre spigolose, ritmiche muscolose e un cantato intenso e al tempo stesso accattivante. E, anzi, proprio la capacità di creare melodie (relativamente) orecchiabili senza scendere ad alcun compromesso musicale pare essere una delle armi vincenti del quartetto lombardo, capace di convincere tanto nei momenti più rabbiosi e potenti (“Per cosa si uccide”, un potenziale inno) quanto in quelli più notturni e di atmosfera (la prima parte di “Mai più fiori scuri”). Non dispiace la cover di “Death Or Glory” dei Clash, ribattezzata “Dentro o fuori” e posta in chiusura della scaletta, anche se forse mal si inserisce nel clima dell’album. Poco male, comunque, perché tutto sommato si tratta di una nota a margine di un lavoro maiuscolo, che meriterebbe tutta la visibilità possibile. Contatti: www.minnies.it Aurelio Pasini Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Nicker Hill Orchestra All The Different Deaths... And Rebirths In The Bottle Inizia con un intreccio di arpeggi chitarristici che si compenetrano fino all'interpolazione. Termina con un carillon e una sensazione di calma e fragilità disarmante. In mezzo, in cinque tracce mai singolarmente inferiori ai sette minuti, esplosioni e implosioni ora acustiche, ora distorte trascinano l'umore come l'amo infilzato nel labbro di un pesce di dimensioni considerevoli, su e giù dal pelo dell'acqua a ogni strattone, il continuo rituale del dare e togliere lenza all'animale. “All The Different Deaths... And Rebirths” dei Nicker Hill Orchestra è un disco post-rock inteso nella sostanza attuale del termine, ovvero Mogwai-Tortoise-Explosions In The Sky, ma che sovente infrange i limiti del genere grazie all'esperienza di chi ha fatto gavetta in piccoli locali del Nord-Est, centri sociali dispersi nella provincia, circoli ARCI dalla metratura irrisoria e privi di palcoscenico. Si arriva quasi a sovvertire le regole del sistema nella quarta traccia, “Shit You!”, che parte deflagrando distorta per poi acquietarsi verso il quinto minuto, e dove una voce cantilenante si tramuta nel quinto strumento dell'orchestra (l'unica altra voce è nella seconda traccia, e produce più o meno lo stesso effetto). Sale la voglia di provare i Nicker Hill Orchestra dal vivo. Farsi catturare all'amo dalle prime note e lottare a ogni strattone, esplosione o implosione, dondolando le testa insieme alle loro con gli occhi rigorosamente serrati, nel continuo rituale post-rock del dare e togliere lenza all'ascoltatore. Contatti: www.myspace.com/nickerhillorchestra Marco Manicardi Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Norman La rivolta dei bambini blu Fosbury/Audioglobe Massimiliano Bredariol, già nei Virna, negli Artemoltobuffa e attualmente batterista dei Valentina Dorme, ha creato un progetto nuovo, un gruppo con Redi Buonaventura, Matteo Battirossi, Stefano Papandrea e Simone Zaffalon. Tutti musicisti “navigati” che si sono messi assieme per questo primo capitolo che parte con un loro background nella composizione delle canzoni in italiano, rappresentante già di per sé una buona base. Aggiungendo a questa base la loro anima compositiva con dei testi ben scritti che definirei elettrizzanti e degli ottimi arrangiamenti delle musiche: ecco allora che “La rivolta dei bambini blu è fatta”. Bredariol ha il volto malinconico e attanagliato dalle emozioni che lo assalgono ogni minuto, come succede a tanti di noi, con la differenza che le sue manine le sanno riportare in musica tramite delle note buone e le sue parole devastanti che in modo candido ti parlano di morte, di nodi in gola, della fine di una storia, delle disillusione. “Adorandoti per lo più all’aperto ora ti senti a tuo agio e mi sento a mio agio, ma le cose sbagliate non cambiano, ma poi”, Max canta nella stessa canzone “salirò”, quindi non tutto è perduto. Un cantante da tenere amato, Max. La sua fragilità che riaffiora dalle parole ci parla e non mente. La musica è una folata gigantesca di fiori che ci copre di colori e prende le parole e le nasconde nella loro crudezza e le conclusioni delle canzoni danno l’idea di una grande festa di note e dopo una spennellata di blu al momento buio, lo stesso diviene nuovo di pacca, giusto quello che ci serviva per ricominciare daccapo. Contatti: www.myspace.com/nnormann Francesca Ognibene Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Ofeliadorme Sometimes It’s Better To Wait autoprodotto Sono un quartetto gli Ofeliadorme, ma nascono come duo acustico; non è quindi un caso che, senza nulla togliere al contributo comunque interessante e non banale della sezione ritmica, siano gli intrecci di plettri e corde, sovente con la spina staccata, a caratterizzare maggiormente le canzoni contenute in questo EP d’esordio. Quelli, e la voce di Francesca Bono, efficace nel tratteggiare paesaggi interiori chiaroscurali e ricchi di sfumature. Sei le canzoni qui contenute, che convincono dal punto di vista sia compositivo che degli arrangiamenti, all’insegna di una cura notevole per i dettagli e gli incastri senza però che questa vada mai a discapito dell’onestà e dell’intensità del tutto. Dalla filo-radioheadiana “To Wait” ai sussurri di “The Ballad Of The Bitter End”, passando per i progressivi riempimenti della lunga “New Pieces Of Science” e il fascinoso intimismo di “6:17 PM”, il dischetto – la cui scaletta è completata da “Bells” e “This World”, non da meno dei titoli citati poc’anzi – mette in luce idee e soluzioni davvero notevoli, a dimostrazione di come l’ensemble bolognese abbia potenzialmente un futuro roseo di fronte a sé. Sia che si ami l’indie-rock sia che invece si preferisca il cantautorato – non necessariamente al femminile – più introspettivo, il nostro consiglio è di segnarsi il nome degli Ofeliadorme, in virtù non soltanto delle soddisfazioni che potrebbero riservare in futuro ma anche di quelle che già oggi sanno regalare. Contatti: www.ofeliadorme.it Aurelio Pasini Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Omparty L’isola della pomice Picanto Nuova avventura per Leon Pantarei, alias Leo Vulpitta, immaginifico percussionista. Chiusa l’esperienza dei Pantarei, alfieri d’una stagione indie-etno che svoltava verso un neotribalismo elettronico, Leon è ora leader di un trio che annovera Roberto Cherillo alle tastiere e Pasqualino Fulco alle chitarre (entrambi bravissimi). Lunghe suite, d’atmosfera, che si nutrono della loro stessa dilatazione: espongono il tema, se ne allontanano, poi vi fanno riapprodo, sfibrate. Lui, Leon, lo chiama “folklore immaginario”. Se Miles Davis e Nusrat Fateh Ali Khan sono i dioscuri di questa traversata misterica, Toni Esposito e Robert Fripp stanno appena dietro. Ma anche Henry Mancini (la sorniona title track “L’isola della Pomice”) e Bernard Herrmann (“Sempre sei”) danno conto di una vocazione che da sciamanica e mantrica sa farsi visionaria, cinematica. A cinque delle sette tracce prestano i loro fiati d’autore il trombonista Joseph Bowie (fratello d’arte) e l’ottimo Luca Aquino, che lascia, quest’ultimo, tracce di tromba sabbiosa, terrosa, quasi si muovesse circospetto in un “quarto mondo” di Jon Hassell. Pantarei sa come alternarsi coloristicamente tra bendir e darbuka, tamburi del Niger e djembe, cimbali e conga, regalando anche sprazzi di scat e brevi versi in calabrese. Non è più tempo di cartoline dal Sud, di un meridionalismo patinato di sudore e tramonti. Vulpitta e i suoi Omparty guidano una nuova release del folk, un etno-jazz, se volete, “immaginario”. Contatti: www.myspace.com/omparty Gianluca Veltri Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Paolo Cattaneo Adorami e perdonami Eclectic Circus/Venus Trame jazz alla Marco Parente, intensità e timbro Paolo Benvegnù, morbidezze evocative Radiohead seconda maniera. Paolo Cattaneo è questo e molto di più. Tra musica leggera, inflessioni colte e canzone d'autore. Quest'ultima, verrebbe da dire, di scuola romana, anche se il Nostro arriva da Brescia. Almeno a giudicare da alcune suggestioni sparse e dalla presenza di Riccardo Sinigallia tra i crediti del disco. Uno che con certe cadenze notturne traffica dai tempi dei Tiromancino e che qui si occupa di co-produrre assieme al fratello Daniele e allo stesso Cattaneo. Ne nasce un'opera intrigante, crepuscolare, quasi onirica, capace di sottendere un fascino sottile tra Rhodes e chitarre elettriche, elettronica di contorno e vibrafoni, archi e ottoni. Uno scorrere sottopelle etereo e difficilmente classificabile, tuttavia complementare alla poetica intimista e “volatile” dell'autore. Unico difetto di questo terzo episodio a nome Paolo Cattaneo, l'involontario abusare di qualche cliché formale e melodico proprio del contesto musicale che si citava in apertura. Particolari, per intenderci, strettamente legati al lavoro e allo stile musicale di Sinigallia. Per un disco che comunque mostra classe da vendere e ha il pregio di mantenersi interessante anche dopo ascolti ripetuti. Contatti: www.myspace.com/paolocattaneo Fabrizio Zampighi Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Paolo Spaccamonti Undici pezzi facili Bosco Rec. Paolo Spaccamonti è al suo esordio discografico e già ci offre una prova molto lucida. Le chitarre elettriche e acustiche sono le protagoniste di “Undici pezzi facili”, ma la guest star è l’arte del rumore. Un progetto strumentale quale è questo dovrebbe aver bisogno di una forza sovrannaturale per competere con la forma canzone, con le parole che attizzano o irrompono, poetizzano e puntualizzano, con discorsi amorosi o disordini emotivi. Ebbene, il disco in questione ha tutto questo e anche di più. Intanto con un cognome così non potrà non avere un futuro radioso ma il talento c’è e lo respiriamo quando arriva con un crescendo che s’innalza a nuove prospettive - quelle che magari ci dimentichiamo di vedere – in “Fine della fiera pt. II”. Alla fine della canzone il passo tranquillo sembra trovare la via più tortuosa e si autofrantuma come spesso avviene per le belle notizie che diventano illusioni. E dietro i paraventi battuti dal basso robusto di “Drones” mi sembra di immaginare un uomo sopraffatto dai suoi piccoli sbagli che, unendosi, diventano un grande errore e portano allo sfacelo. Queste comunque sono le mie emozioni e per voi che lo ascolterete saranno di certo diverse; possiamo comunque dire che è un disco di chiari e scuri, di speranza e fine dei giochi. Un disco che si adatta alla lettura emotiva di chi l’ascolta, come in “Tex” con il violoncello dell’ospite Beatrice Zanin che sembra girare velocemente l’album dei ricordi e il contrabbasso dell’altro ospite Marco Piccirillo che segna il sospiro malinconico ripensando a vecchie ferite. Un disco che vi leggerà dentro. Contatti: www.myspace.com/paolospaccamonti Francesca Ognibene Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Posi I Like Posi! Electronoplectro/Self Buon disco per Posi – una delle persone che negli anni più si è data da fare per emergere nello scenario del rap italiano, senza trascurare strade che esulano dal circuito autentico e tradizionale (e talora troppo autoreferenziale) delle faccende italiche di hip hop; scelta talora rischiosa, che alla fine fa comparire sul tuo comunicato stampa cose tipo “È diventata l’icona per eccellenza della comunità gay lesbo italiana” o anche “Chiambretti stravede per lei”, frasi che potrebbero da un lato essere ottime scorciatoie promozionali dall’altro degli autogol mica da ridere, in fatto di credibilità. Ma Posi comunque la statura artistica (ed anche umana) ce l’ha, e riesce quindi a venire fuori dalle secche dell’esser più fenomeno di costume che altro. Anzi: le consigliamo di insistere nel produrre più pezzi come “Esaurimento” che quelli come “I Like Paris”, anche se col secondo guadagni più attenzione mediatica nel breve periodo. Può diventare una voce davvero importante nel panorama musicale italiano, ora che ha affinato il suo rap, calibrando bene le sillabe e sfrondando i verbosismi, e che ha trovato degli ottimi partner musicali – il lavoro di Mace (aiutato talora dall’ex Casa Del Fico Zizzetto) è infatti molto valido, sintonizzato sulla contemporaneità (tra Diplo e i Crookers, per dare una descrizione molto a spanne) e con suoni ben rifiniti. Basi su cui Posi si adagia alla perfezione, come accenti e piglio. Lavoro molto solido, insomma, e piuttosto interessante. Contatti: www.myspace.com/poskee Damir Ivic Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Roots Connection Animystic Bagana/Edel Sul connubio tra voci blues ed elettronica uno come Moby ci ha costruito un impero economico. I Roots Connection – giunti con “Anymistic” al secondo capitolo della loro avventura discografica, a sei anni dall’esordio omonimo – fanno all'incirca la stessa cosa, con uno spirito più artigianale, rustico e vicino, come indica inequivocabilmente la ragione sociale del progetto, alle radici afroamericane. E, se perdonate l'ardire, più interessante, forti anche della presenza del navigato bluesman Enrico Micheletti. Rispetto ai lavori precedenti il trio emiliano – oltre a Micheletti, Ezio Ferraboschi e una vecchia conoscenza del rock italiano, l'ex Acid Folk Alleanza Fabrizio Tavernelli – osa di più e rende la ricetta ancora più meticcia, inglobando bassi dub (“Hard Time Killing Floor” di Skip James), innestando una voce femminile – quella dell'ospite Lucia Tari – su ritmi vagamente sudamericani (“I'm Going To Live The Life I Sing About In My Song” di Tommy Dorsey), mescolando dub e oriente in una “Dream Baby Dream” dei Suicide resa quasi irriconoscibile. Chiude la scaletta un altra vecchia conoscenza, Alberto Morselli ex Modena City Ramblers, la cui profonda voce si presta ad una rilettura solenne e convincente di “Ring Them Bells” di Bob Dylan. Un’ibridazione convincente, a cui manca probabilmente ancora qualcosa, ma dotata dell’umiltà necessaria per ispirare innumerevoli ascolti. Contatti: www.myspace.com/rootsconnectionblues Alessandro Besselva Averame Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Sinclair Electronic Black Sheep Disco Dada/Venus Questioni di beat, di tocchi, di rintocchi. L’orologio che segna il tempo nel panorama musicale non conosce regole che non siano le proprie. Un gruppo può suonare la stessa sequenza di accordi di quaranta anni fa e apparire tremendamente attuale, così come un altro può arrivare sulla scena cavalcando l’onda e sembrare irrimediabilmente fuori tempo massimo. Nel mezzo, ci sono gruppi come i Sinclair di Silver Verdicchi e Marco Rossi, coacervo di electropop ed electroclash, di nuovo e di vecchio misto insieme. Intendiamoci, i dieci brani in scaletta del loro “Electronic Black Sheep” non sono affatto disprezzabili, ma ubriachi di un certo citazionismo (voluto, mai gratuito o scontato) rischiano seriamente di sembrare (non volutamente) anacronistici. È il caso di “Instability” o di “Thermodynamic Ego”, che per certi versi sembrano produzioni minori di Metro Area e Faithless o ancora “Fake”, che ci presenta un gustosissimo “What If...?”: “Cosa sarebbe successo se Jo Squillo avesse lasciato le Kandeggina Gang per unirsi ai Kosheen?”. Il materiale dunque - e spero non ci siano dubbi a tal proposito - è di qualità elevata, ma al collettivo di cui fanno parte anche Federico Ingoli e Daniela Castellucci, va rimproverata la mancanza di coraggio, il non volere fare una scelta stilistica realmente originale, preferendo rimanere in un pericoloso limbo creativo, tanto vasto quanto appiattente. I Sinclair hanno in mano ottime carte (“The Routine Song” ed “Ethanol” sono brani grandiosi e con un ottimo tiro) ma è evidente che non le stanno giocando molto bene. O forse la posta in gioco non sembra essere così eccitante. Contatti: www.myspace.com/thesinclair Giovanni Linke Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Spasulati Band Kilometrando MK Records È ormai ben più di un decennio che la Spasulati Band macina chilometri. Nata dall’esperienza peculiare dell’emittente indipendente Radio Epiro, la formazione calabra si è sempre caratterizzata per essere l’espressione linguistica e culturale - quasi il prolungamento musicale - di un’enclave, quella arbereshe. Nell’antico albanese parlato dalle comunità della diaspora, la Spasulati rilascia il suo terzo album, registrato tra le montagne amiche e poi missato a Torino dall’amico Madaski. Si muove sempre (prevalentemente) a ritmi in levare la poetica della band di Santa Sofia d’Epiro, anche se nel frattempo qualcosa è cambiato. L’ensemble, sempre guidata dal Zalles alias Fabio Guido, fa a meno dell’intera sezione fiati, ch’era stata in passato uno dei segni distintivi del suono. E, sia detto per inciso, la rinuncia non è indolore. La patchanka spasulata si situa su frequenze ska-rock e mondialiste che passano da Manu Chao e Tonino Carotone. Se col primo è rimasto nella mitologia del gruppo un concerto milanese davanti a un enorme pubblico pogante, del secondo va segnalata la partecipazione proprio nel pezzo che dà il titolo al nuovo album, la rilassata “Kilometrando”. Non solo reggae, comunque, ma anche l’elettricità rock di “Ndëse nge di” e “Rencontre”, poi riproposta nella lentezza riverberante del dub nella “Madaski version”; il western tarantellato di “Thiken e Bárkun”, e un’incursione maghrebina in “Oj ná”, che si avvale della partecipazione al canto e al flauto di Hocine Hadjali. Contatti: www.spasulatiband.it Gianluca Veltri Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Straulino Fedele Vescovo Straulino Fedele Vescovo Suns/Nota Ovvero, come ti declino il Friuli in West Coast. Del resto, che Lino Straulino fosse il più californiano dei nostri songwriter non è certo una grossa notizia. Se tante volte lo abbiamo definito il Crosby di Carnia, è assai consono accostare questa uscita a ditta triplice, insieme a Stefano Fedele e Loris Vescovo, al mondo di Crosby Stills & Nash. I tre friulani mettono insieme undici pezzi, ognun d‘essi ne firma tre; un altro è “Blowin’ In The Wind” a pianoforte e tre voci in versione “sanctified”; infine, il traditional “La biele stele”, che è un po’ il “Find the Cost Of Freedom” del disco. Voci, chitarre e pochissimo altro, tutto registrato in presa diretta. Conta lo spessore emotivo, quel che batte nel petto; il resto è armonia allo stato puro, di intrecci canori (in friulano, inglese, italiano) e di corde risuonanti. “Il cîl” (di Vescovo) è una perla rarefatta, una canzone come si facevano quarant’anni fa nelle baie del Pacifico, piena di sospensioni e ripensamenti; sulla medesima lunghezza d’onda “Why Don’t You Need Me Anymore” (a firma Straulino), che potrebbe essere stato composta da Crosby all’indomani dell’estate dell’amore. “Dentri” è resa più preziosa e suggestiva da una crepuscolare e rossastra armonica. Più FM rock oriented e rilassate le composizioni di Fedele, che dei tre, per restare al gioco dei rimandi west-coastiani, potrebbe essere Nash. È atteso un capitolo secondo. Visto l’universo di riferimento del trio, poco importa che le registrazioni risalgano a un paio di anni fa. Questa è musica senza carta d’identità. Contatti: www.nota.it Gianluca Veltri Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 The Fire Electro Cabaret Bagana Negli anni abbiamo imparato a seguire sempre con una certa attenzione tutto quello, ed è parecchio, che è uscito dalla mente del vulcanico Olly. Dopo un album d'esordio molto interessante, e in attesa del nuovo previsto per la fine di quest'anno, i Fire spezzano la routine disco-tour con un questo “Electro Cabaret” EP: sei brani che vengono resi disponibili in maniera inconsueta. Non è infatti in vendita nei negozi ma solo ai concerti o presso il sito, ed è gratis, o meglio chi vuole può scegliere se e quanto pagarlo, aggiungendo le eventuali spese di spedizione. Soldi, pochi o tanti, comunque ben spesi, perché i Fire dimostrano di esser tra i migliori in grado di coniugare il rock vero, quello che non si perde in pose e mode, con la melodia. Una title track che lascia ben sperare per il lavoro prossimo venturo, ma anche la divertente reinterpretazione dell'inconsueta “New York, New York” e la ripresa di “Noir”, già nel repertorio degli Shandon e qui valorizzata se possibile ancor meglio, così come una nutrita schiera di ospiti pronti ad aggiungere benzina al Fuoco.
Per sua stessa concezione, l'extended play è un formato interlocutorio, capace di rivelare la direzione che riserva il futuro molto più di tante dichiarazioni. E se le promesse che qui sono cantate saranno mantenute ne sentiremo davvero delle belle . Contatti: www.thefiremusic.com Giorgio Sala Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 The June Magic Circles Teen Sound Dalla Londra del 1967-68 alla Parma del 2009 il salto è meno lungo di quello che sembrerebbe. Non serve neanche una macchina del tempo: basta mettere su il disco dei June, e improvvisamente vi ritroverete catapultati in un’epoca più felice e colorata di questa che ci è toccata in sorte. Il vostro taxi di giornale è lì ad aspettarvi sotto un cielo marmellata, da una cabina del telefono sbuca Doctor Who, in televisione Patrick McGoohan urla “non sono un numero, sono un uomo libero!” mentre una bellissima ragazza con gli occhi caleidoscopici esce da un negozio di dischi (vi ricordate cos’erano?) con sottobraccio un disco dalla copertina disegnata con filamenti in bianco e nero. Forse è “Revolver”, o forse è questo “Magic Circles” (che tra l’altro ha un pezzo che si chiama proprio così, Revolver). In fondo che differenza fa? La capacità dei tre ragazzi parmigiani di ricreare lo spirito e il suono di un’era così lontana, eppure così vicina, è strabiliante. Pari quasi a quella dei compagni di etichetta A’dam Sykles, dei quali ci siamo da poco occupati. Anche in questo caso le spezie d’epoca – chitarre al contrario, sitar, 12 corde, armonie vocali, trombette alla “Penny Lane” – sono dosate con la sapienza dello chef navigato, e basta ascoltare un pezzo fenomenale come Daisy per capire quanto i June sappiano maneggiare la materia. Che poi non si limita al floreal-psichedelico ma sconfina nel freakbeat più duro stile Attack/Action/Open Mind (“Rolling Desperate”) così come nel power pop di qualche anno dopo (“Better Than You”). La qualità dei pezzi e il ventaglio di influenze hanno fatto venire in mente al sottoscritto i Bronco Bullfrog, altro trio, in quel caso inglese, che ha scaldato i cuori degli appassionati di questo genere di musica. Delizie che non passano mai di moda. E come dimostra la bellissima cover di “Makes Me Feel Good” di Pete Ham, sfortunato leader dei Badfinger, quando ci sono buon gusto e amore sincero per certi suoni l’“attualità” è l’ultimo dei problemi. Contatti: www.myspace.com/thejuneband Carlo Bordone Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 The Lure The Lure EMI Sin dalla presentazione biografica e dal supporto promozionale si intuisce che questi Lure non sono l’ennesima band italiana che si getta in pasto a un mercato discografico impazzito solo per incrementare il fattore numerico e poco altro. E l’ascolto dell’esordio che porta il loro nome dimostra che tanti sforzi non sono stati fatti inutilmente, infatti l’album suona bene e si ascoltano ottime canzoni, che poi è l’obiettivo di ogni rock band che si rispetti, ovvero comporre melodie che piacciano. Sarebbe interessante capire che cosa resta a livello stilistico di quelli che erano i primi passi della band emiliana dopo il trattamento subito a Los Angeles durante le registrazioni negli studi Big Brothers e di Matt Malley, sotto la guida la produttore Thomas Lang. Un’esperienza americana che si è riflessa anche nelle composizioni, visto che i pezzi vedono le collaborazioni di Thomas ed Elizabeth Lang e di Dan Monti, già ingegnere del suono per Metallica e Guns N’Roses e tra i coristi troviamo persino il batterista Nick D’Virgilio (Genesis tra gli altri). La band si presenta come un sestetto, sezione ritmica, doppia chitarra e doppia voce, maschile e femminile. Ma non aspettatevi una replica in tono minore dei Lacuna Coil: i Lure suonano più immediati e comunque meno aggressivi e le parti cantante si intrecciano raramente, preferendo dividersi gli spazi. Un rock energico e vagamente dark, per tredici canzoni, con qualche pausa di troppo, ma di cui almeno cinque, su tutte “Let Your Eyes Talk” e “The Crow” due potenziali singoli se ben veicolati, che dimostrano una personalità ben definita. Il tour di supporto al CD con date anche all’estero, dovrebbe dare maggior sicurezza ai Lure e svelare le loro reali ambizioni. Contatti: www.myspace.com/thelurethomaslang Gianni Della Cioppa Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 The Snipplers Nipple Hypotron/Irma Quanto è (può essere) faticoso divertirsi... Ci viene questo pensiero ogni volta ormai che sentiamo ciò che ora va per la maggiore nei dancefloor, ovvero l’artiglieria di sintetizzatori contundenti propagandati da tutti gli epigoni dei Crookers (che a loro volta discendono un po’ dai Justice, i quali sono la figliazione dei Daft Punk): bello, sì, ma che fatica. Dopo un po’, questi fiotti di adrenalina in servizio permanente effettivo stancano, a dirla tutta. Ci spaventa quindi un po’ la prospettiva che nei prossimi due, tre anni ci sarà una crescente ondata di prodotti come “Nipple” degli Snipplers; se però fossero tutti ben lavorati come l’album in questione, la faccenda potrebbe essere più sostenibile. Nulla da dire infatti sulla resa sonora di questo LP: potente, efficace, curata. Ciò che non ci convince sono gli interventi vocali, dove, suvvia, un po’ di cura in più come testi ed interpretazione ce la si poteva mettere, pur partendo dal presupposto che è la classica voce effettata che è più un orpello del brano che una linea-guida; e poi, in un mondo migliore (meno faticoso, appunto) ci piacerebbe che gli Snipplers esplorassero più divagazioni stilistiche (le infiltrazioni dub di “Green Lead” sono davvero promettenti) senza accodarsi eternamente al carro dell’head banger. Il mondo però, si sa, non è un bel posto. Quindi per ora va bene così. Contatti: www.myspace.com/thesnipplers Damir Ivic Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Ultimo attuale corpo sonoro Memorie e violenze di Sant'Isabella Manzanilla/Audioglobe Quando si ha coraggio artistico ci si butta senza troppo pensare a dove si andrà a finire. Partendo naturalmente da una idea forte, e dalla convinzione di ciò che si fa ha una profonda valenza per se stessi ancor prima che per gli altri. In questo senso, l'esordio degli Ultimo attuale corpo sonoro è un disco coraggioso, assolutamente incosciente nel voler affrontare quel connubio tra reading e rock che hanno frequentato pochi temerari, dai CCCP agli Offlaga Disco Pax passando per i Massimo Volume. E infatti chi è arrivato primo a cimentarsi con la formula emerge in queste canzoni, ci sono echi ferrettiani nei brani ma la vera differenza sta nella figura dell'autore degli scritti musicati dal gruppo, Gianmarco Mercati, il quale è di volta in volte voce narrante e cantante dalle doti notevoli, che emergono già in una “Ultima lettera al 1975” che nasce dagli ultimi fuochi della morte di Pasolini evocata al principio dell'album (le ossessive e disperate parole di “Empirismo eretico”, che ricuce il rapporto con l'atto d'accusa ultimo dell'intellettuale friulano), in uno strano abbraccio originato da un cantilenare ferrettiano, sconfinante in seguito nella solenne poesia acustica di Andrea Chimenti e sfociante infine in un canto che lambisce il timbro di Francesco Di Giacomo del Banco, riprendendo dal gruppo romano certe coloriture progressive. La bravura del vocalist è tale che le giunture non si vedono, neanche nei brani successivi, caratterizzati da competenti riletture letteraria. C'è ancora qualcosa da sistemare, un minimo di rodaggio per far fluire ulteriormente il tutto, ma la qualità letteraria e civile della parola scritta e cantata, un impianto strumentale eclettico e personale e il coraggio della proposta hanno già percorso una buona - se non decisiva - parte di strada. Contatti: www.manzanilla.it Alessandro Besselva Averame Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Unòrsominòre Unòrsominòre I Dischi del Minollo Kappa non ha modificato il suo nome d’arte nemmeno per questo suo esordio solista, mantenendo quell’alone di mistero che aveva contraddistinto la sua avventura nei veronesi Lecrevisse, alfieri dell’indie nostrano nei primi anni duemila e autori di due ottimi album che avevano fatto innamorare la critica. Terminata quell’avventura, Kappa non ha mai smesso di seguire aspirazioni musicali, con questo progetto, ma anche con una tribute band dei Beatles, con cui ha allestito un magnifico omaggio a “Sgt. Peppers” in occasione del suo quarantesimo anniversario. Questo esordio, che come scena indie insegna è accompagnato da una copertina indegna, è zeppo di buone canzoni. Una cosa che può sembrare scontata, ma spesso nel rock odierno a latitare sono proprio le canzoni; magari funziona tutto il resto fatto di suoni, produzione, tecnica e compagnia bella, ma manca l’elemento base, i pezzi. Invece Kappa e il suo Unòrsominòre (una band a tutti gli effetti) edificano un ricettacolo di quell’indie rock oggi tanto in voga, tuttavia riescono a varcare i confini del già sentito con una scrittura agile, che guarda con intelligenza e variegato gusto tanto al rock tricolore quanto a quei cantautori di frontiera, attenti alle parole e ai suoni: diciamo gli Afterhours che inseguono il sogno di apparire Ivano Fossati, con echi di Dinosaur Jr. e Wilco. Se in “La coscienza di meno”, “Gagarin” e “Non sono tranquillo” a farla da padrone sono snelli ritornelli pieni di melodie svelte, in “Di passaggio (gli scheletri)” e “Rochet # 1”, poste alla fine, c’è voglia di lasciarsi andare a chitarre dilatate, che sul palco assumono forme ogni volta nuove, ma la vetta è l’ipnotica versione di “Discanto”, di cui sarebbe fiero anche l’autore Ivano Fossati. In generale piacciono la cura del particolare, alcune intuizioni compositive, i testi mai banali e il senso di sicurezza che traspare da ogni brano, lenti compresi; inoltre la voce di Kappa ha qualcosa di magico, che tutti dovrebbero ascoltare. Una delle migliori realtà della scena italiana. Contatti: www.myspace.com/unorsominore Gianni Della Cioppa Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 X-Mary Tutto Bano Wallace/Audioglobe Quarto disco “vero e proprio” per gli X-Mary, che hanno una storia ultradecennale di idiozia controllata ma non ponderata alle spalle. Solo in vinile, stavolta. Vinile corredato da CD (da ascoltare in macchina, la tendenza moderna è questa) suddiviso in “Lato A” e “Lato B” in modo da rendere impossibile lo skip delle tracce da parte dell'utente. San Colombano in copertina saluta l'ascoltatore prima dell'incipit techno (sarà anche outro) di “Explosion”. Il resto è il caleidoscopio di sempre, dove si scimmiotta con rigore o sregolatezza pungente certa attitudine melodica italiana (“Voglio Gatto Panceri”) e spaghetti-funky (“Gin Tonic”, “Stasera (La luna)”, “La playa” e “Black Power”), tra acustiche stralunate stile Ex-Otago (“Magù”, “Tu non canti più con noi”, “Stai scherzando con la droga”), distorsioni punkeggianti (“Antiagonistmo”, “Piccolo molle”, “Joshua”) ed elettronica schizofrenica (“Robot Dance”), senza mai superare il consueto minutaggio irrisorio per ogni singolo brano. Nel CD veniamo infine sorpresi da una bonus track degna dei migliori Skiantos anni 70. Quindi folk, pop, hardcore, punk e funky, e rispettive prese in giro di folk, pop, hardcore, punk e funky, in assenza di punti di riferimento a parte un arco ritorto verso gli stessi X-Mary e la loro storia. Peggio del secondo album (anti)capolavoro “A tavola con il principe” del 2006, meno strabiliante di “Al circo” del 2008, “Tutto Bano” è un album... difficile. E nella sua difficoltà sta lo splendore spicciolo di un gruppo di scriteriati. Contatti: www.xmary.net Marco Manicardi Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Zenerswoon Frames Nowherez/Audioglobe Mancavano da cinque anni i toscani Zenerswoon, e ora ritornano con un disco e un nuovo batterista (Stefano Tamborrino prende il posto di Francesco Frilli), “Frames”, che ne ribadisce l'irruenza genuina e ne incrementa la bravura compositiva. Il punto di partenza è, come in passato, la musica prodotta da un power pop trio che ha le radici nell'indie rock americano anni Novanta e nelle sue progeniture (certo hardcore melodico) ma che ha saputo personalizzarne le necessità espressive. Quello che salta agli occhi maggiormente è il suono della chitarra, sporco ed energico ma capace di raffinatezze non deteriori (l'apertura di “Spiders” setta le direttive dei brani successivi con estrema efficacia), ma a fare un gran lavoro sono anche le linee melodiche (“Freedom Now”, per dire, con sinuose scale extra-occidentali che si mostrano timidamente all'ascolto) che si amalgamano perfettamente con l'impianto strumentale, mentre le distorsioni macinano terreno con grazia e i ritornelli girano a pieni giri. A tratti vengono in mente i Motorpsycho, altrove la matrice power pop prende il sopravvento, in altri momenti vengono in mente i mai abbastanza considerati Nada Surf. Che dire di questo “Frames”, in sostanza? Che si tratta di un disco che porta avanti una tradizione consolidata, ma con una capacità non comune di far trapelare la propria scrittura. Un lavoro di genere, dannatamente solido e godibile però. Contatti: www.zenerswoon.com Alessandro Besselva Averame Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Handmade Festival #3 The Cleb, Guastalla (RE), 1 maggio 2009 Dodici ore, dalle 14 alle 2, in una cascina isolata nelle campagne di Guastalla, equidistante da Reggio, Mantova e Parma con un miscuglio amalgamato di idiomi tra i quali, tuttavia, spicca il bolognese. È la “scena” del capoluogo a farla da padrone, l'indie-pop esterofilo che la contraddistingue è presentato da alcune delle migliori band italiane del genere, le quali si susseguono sul tappeto della stanza interna del The Cleb che funge da palco. Capienza ridotta per la marea di spettatori che dalle 14 in poi non fa che aumentare, due casse da pochi watt per l'amplificazione, fumo di carne grigliata e vasto assortimento di spille sul vestiario dei presenti. Questa, più o meno, la situazione ambientale. Si parte con Captain Jack And His Tunas e la loro versione acustica di canzoni dalla tradizione marinara anglosassone. Seguono i Super Going – J dei Disco Drive e M dei Drink To Me – con due tastiere, balafon, xilofono e una voce dilatata da un delay abissale. Poi è la volta dei Buzz Aldrin, piccola rivelazione, che stregano la folla con una carica danzereccia odorante di Liars e Supersystem. Cambi di palco serrati, turni stretti per i musicisti e la fame incombente all'ora di cena fanno sì che l'indie-pop edulcorato degli Arnoux e il brit-pop melenso dei padroni di casa Seebha ci arrivino da lontano mentre siamo in cerca, o in attesa, di cibo. Non ci lasciamo scappare, tuttavia, il set filosvedese dei The Calorifer Is Very Hot!, i quali in poco più di mezzora riempiono il locale di teste traballanti. Finale tiratissimo con lo show dei Blake/e/e/e in stato di grazia e Paolo Iocca con le vene del collo a fior di pelle nella “Time Machine” conclusiva. Infine il trittico bolognese per eccellenza: A Classic Education leggermente sotto tono, My Awesome Mixtape e il loro (hip)pop giovane e sghembo in continua evoluzione, e il ritorno acclamato sulle scene degli Yuppie Flu coi capelli imbiancati, prole al seguito e il pubblico intero che canta i primi singoli come non capitava nemmeno dieci anni fa. Al termine, vuoi per la calura di un primo maggio estivo, vuoi per la calca e l'affollamento di una stanza di dimensioni irrisorie, il sudore è una patina che ricopre chiunque indistintamente, pubblico e musicisti, organizzatori e avventori. Dopo le 2 rimangono nel Cleb soltanto alcuni cadaveri danzanti, cestini stracolmi di bicchieri e qualche DJ, mentre le auto si infilano per la campagna reggiana in direzioni varie, con prevalenza Bologna. Non c'è nemmeno bisogno di rievocare i consigli dei vecchi di famiglia per capire che spesso le cose fatte meglio sono quelle “fatte a mano”. Marco Manicardi iFest Parco Nuovo, Santarcangelo di Romagna (Rn), 1 maggio 2009 All'iFest di Santarcangelo c'erano un po' tutti. Famiglie coi figli al seguito in gita fuori porta, vecchietti in libera uscita e giovani del paese capitati lì per caso. Pochi, tuttavia, gli affezionati dell'indie-rock nostrano. Complici, forse, la gratuità dell'evento e la location, comunque, pubblica, oltre alla scarsa promozione riservata a una manifestazione musicale Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 alla sua primissima edizione.
Un peccato, direte voi. Forse. O forse no. Da un lato, certo, il dispiacere per un tasso di “addetti ai lavori” e “persone competenti” piuttosto basso. Soprattutto in orario serale, coi turisti occasionali già in viaggio di ritorno verso casa. Dall'altro, tuttavia, l'occasione ghiotta di proporre a un alto numero di persone – quasi da tutto esaurito lo splendido parco alle pendici delle vecchie mura cittadine che ha fatto da scenario giornaliero al festival – una musica abituata a contesti fin troppo autoreferenziali. Un rischio, insomma, e al tempo stesso un atto di coraggio. Bypassare le “scene” locali – il contemporaneo Handmade Indie Festival di Guastalla non faceva altrettanto, chiamando a raccolta gran parte di quella bolognese e, per rifrazione, il suo pubblico – per sfidare un modello culturale uso a ben altre forme di intrattenimento. Un'impresa quasi impossibile, ne conveniamo, ma la strada ci è parsa quella giusta. Del resto diffondere certa musica in ambiti generalisti prevede un prezzo da pagare e gli organizzatori hanno dimostrato di essere disposti a farsene carico sostenendo l'evento con un programma di assoluto valore. 
E allora viene da citare il set dei Grimoon, saliti sul palco per ultimi ma convincenti oltremisura con il loro folk-pop francofono; un Adriano Modica, puntuale e decisamente a suo agio, pur nelle ristrettezze emozionali di un luogo che per caratteristiche morfologiche spazio aperto enorme, con conseguente dispersione del suono - si è rivelato poco adatto alla sua musica; degli Uochi Toki stellari, capaci di catturare anche l'attenzione del pubblico più ingessato con la profondità degli interventi in rima (nonostante la comparsata sul palco di una band hip hop di ragazzini che, in pieno “gangsta style”, sfida il gruppo – per fortuna senza successo - a una gara di freestyle); Il moro e il quasi biondo, analitici e impeccabili con il loro sperimentalismo cifrato; i Bachi da pietra, al solito generosi e intensi. Unica nota stonata, l'esibizione dei Morose, poco convincente e meno catartica del solito. Anche se la scelta discutibile di posizionare i toni crepuscolari della band spezzina ancora in fase diurna ha penalizzato non poco l'impatto finale del loro set. 
Nel complesso, comunque, un bel festival. Coi bambini piccoli sul prato a correre, giocare a pallone, ridere e scherzare, e quelli “con le rughe” sul palco a cantare. Di più, non si poteva proprio chiedere. Fabrizio Zampighi MArteLive TPO, Bologna, 22 e 23 aprile 2009 MArteLive, la finale bolognese del concorso per gruppi emergenti giunto alla terza edizione, ha decretato i vincitori regionali, ovvero i Tubax di Bologna il cui premio sarà l’accesso alla finalissima nazionale che si svolgerà a Roma a fine giugno. Venerdì 22 e sabato 23 al nuovo super accessoriato Teatro Polivalente Occupato di Bologna, in via Casarini, si è svolta la due giorni dedicata non solo alla musica ma anche al teatro, alla fotografia, alla pittura, al cinema e alla letteratura. Un calderone di eventi con artisti che mostravano il loro estro creativo agli astanti. Con un andirivieni di ragazzi tra dentro e fuori le numerose stanze del TPO si è svolta la festa piena di energia. Bancarelle, fumi e profumi invitanti per le salsicce sul fuoco e le patatine da girare. Infopoint, banchetti con CD e vinile, le solite facce dei concerti e altre mai viste. Del resto i gruppi emergenti hanno un pubblico a seguito molto giovane, ad essi Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 coetaneo. Il venerdì ad animare la serata ospiti speciali i Jolaurlo che hanno trasformato il concerto in una doccia di sudore elettro rock molto liberatoria. I super ospiti del sabato i Marta Sui Tubi chiaramente commossi di essere tornati nella loro città adottiva dove fanno riempire i luoghi più grandi e la gente canta in coro e ama tutte le loro canzoni. Prima dei Marta hanno suonato i Nobraino il cui cantante sembra la versione fredda di Benvegnù e per giunta riccio: decisamente bravi e coinvolgenti anche se una scena tristissima in cui il cantante umiliava il chitarrista per avergli dato la nota sbagliata mi ha fatto riflettere sulla differenza tra l’avere sensibilità musicale e sensibilità umana. I Tubax (che poi hanno vinto) si sono esibiti la prima sera. Sono insieme solo da un anno e mezzo, eppure sono già molto in sintonia con una presa molto magmatica, coinvolgente, con dei ritmi ossessivi si passavano lo scettro e riuscivano a destare alta l’attenzione. I Laradura, anch’essi di Bologna, hanno schematizzato una struttura precisa e spedita delle loro linee di chitarra e della melodia, ma forse hanno bisogno di un’impronta più chiara o di un po’ più di tempo. Ricordiamo anche i Silvia’s Magic Hands orgogliosi delle loro due chitarre acustiche e con due voci a caratterizzare le melodie delle canzoni cantate in inglese con delle timbriche soul molto interessanti. Il sabato hanno suonato gli Etnia Super Santos, vincitori del secondo premio di MarteLive ovvero il booking per un anno offerto da La Fabbrica. Questi ragazzi molto corali dalle suggestioni etniche mediterranee, a quanto pare in autostrada se in possesso di strumenti e in occasioni di lunghe code potreste vederli in mezzo ad un slargo fuori dal furgone improvvisare un live. Coinvolgenti e “umani” attraggono gli astanti con le loro sonorità festose come una banda in introspezione. E infine non posso non parlare delle Tette Biscottate. Ragazze intrise di teatralità musicale (quello che manca agli altri gruppi) ma non è tutto qui. Da qualche anno godono di un certo seguito, dopo che nel 2007 durante una serata di cabaret all'Arteria, hanno mostrato la loro empatia e molti che quella sera erano presenti, sono tornati a vederle per le semifinali e poi per le finali. Se il pubblico avesse avuto più del venti percento di possibilità di incidere nelle votazioni avrebbero vinto loro, ma la giuria ha votato la tecnica dei gruppi, ridendo lo stesso per l’allegria che Le Tette apportavano. Speriamo migliorino anche solo un pochino la parte musicale, poi non avranno rivali. Francesca Ognibene Pagina 62 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Giugno '09 Blue Silk Interessante progetto a due con protagonisti l'arpa elettrica di Raoul Moretti e la chitarra di Matteo Giudici, aumentato a trio in occasione di “Ea” (EP a tema autoprodotto e scaricabile gratuitamente) dal violoncello e dalle percussioni di Mattia Scarpolini, i Blue Silk si muovono, in questo breve saggio di quattro brani ispirati alla divinità sumera delle acque, tra territori folk e ambient, innescando una serie di evocative proiezioni musicali a più direzioni. Pezzi strumentali che riescono a non scivolare nel piattume new age conservando una sobrietà cameristica, ricchi di soluzioni e idee, fluide ma ancorate a idee forti. In una parola, un esordio eccellente che merita assolutamente di trovare vie più ufficiali per affermarsi. Contatti: www.bluesilk.it Alessandro Besselva Averame Buzz Aldrin Il trio bolognese dei Buzz Aldrin spunta quasi dal nulla all'inizio dell'anno in corso, e già dopo cinque o sei mesi diventa un nome ricercato sulle locandine dei live tra l'Emilia e la Romagna. Al termine di un concerto folgorante a Guastalla li vediamo smerciare a destra e a manca il loro primo demo, di quelli casalinghi con tanto di numero di telefono e tracklist segnata a penna all’interno. Chitarra tagliente, basso imbottito di groove, batteria come un elicottero e una voce svogliata e sovente in loop sugli stessi lembi di testo ci portano con la mente, in poco meno di diciotto minuti, a un connubio ben organizzato tra Wire (in tutte le incarnazioni, dal ‘77 a oggi), Liars ed El Guapo. Cinque pietre preziose dai nomi animaleschi e surreali (“Giant Rabbits Are Looking At The Sun”, “Small Badtalk With Koala Friends” e “Cooking Dog Eggs” sembrano titoli usciti dalla testa di Lewis Carroll) che diverrebbero altrettanti singoli di successo se fossimo all'epoca dei 45 giri. I tre bolognesi si affermano prepotentemente come una delle sorprese più gradite del 2009: converrà mantenere, da qui in avanti, un occhio di riguardo sui loro spostamenti. A dispetto del nome, i Buzz Aldrin in quello che fanno potrebbero non essere secondi a nessuno. Contatti: www.myspace.com/angelocasarrubia Marco Manicardi Pagina 63 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it