Dicembre '09 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Dicembre '09 Numero Dicembre '09 EDITORIALE Scriviamo questo editoriale il giorno dopo la chiusura del MEI, il Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza (RA) rivelatosi, ancora una volta, una vetrina caleidoscopica di suoni e realtà di ogni tipo. Confusionaria, forse, ma anche assai vivace, con qualche momento da dimenticare – la vicenda politico-idelogica ancor prima che musicale dello stand preso d’assalto – e altri che ricorderemo a lungo, dalla serata di apertura al Teatro Masini con tanti bei nomi ad alternarsi sul palco (tra cui Samuel Katarro, vincitore del premio “Fuori dal Mucchio”) all’appuntamento con “Indipendulo”, per molti versi l’apice dell’intera kermesse. Una kermesse che, a detta di molti dei visitatori, quest’anno ha visto prevalere anche solo a livello di impatto la presenza di quanto gira intorno alla musica (festival, società di servizi, riviste, webzine, case editrici, negozi) rispetto a quella delle etichette vere e proprie, quando invece ci piacerebbe vedere a Faenza tutte le principali – e non solo quelle – indie-label italiane e tutti i distributori discografici. Lasciando agli organizzatori il compito di trarre i bilanci ufficiali e pensare a correttivi e migliorie, e ringraziando quanti in questi due giorni sono venuti a trovarci al nostro stand, vi lasciamo con un numero di “Fuori dal Mucchio” ancora più ricco del solito di interviste, così da farvi compagnia anche durante il periodo delle meritate vacanze natalizie. Buona lettura, quindi, buoni ascolti e buone feste a tutti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Brown & The Leaves Arriva da un paesino ai piedi delle alpi friulane Mattia del Moro. Un estremo Nord d'Italia che fa il paio con quella Scandinavia folk marchiata Kings Of Convenience che qualche anno fa si impossessò di critica e pubblico e ora ispira novelli folksters. E' quella la scuola di pensiero a cui si rifà anche il progetto Brown & The Leaves, grazie a “Landscape” (Red Birds/Audioglobe), disco d'esordio che convince, al di là degli evidenti richiami, per una sensibilità musicale forse un po' ingenua ma di sicuro onesta. Ne abbiamo parlato col diretto interessato. Le atmosfere bucoliche del tuo disco sono sintetizzate alla perfezione da una copertina che da sola dice già tutto, come del resto le influenze musicali palesate in brani che parlano senza pudori dei tuoi ascolti abituali. Cosa rispondi a chi vorrebbe rinchiuderti in un triangolo costituito da Kings Of Convenience, Nick Drake e in generale un certo folk alto di scuola nord europea-sudamericana? Non mi sono mai preoccupato di nascondere le influenze, perché ho sempre confidato nel mio modo di interpretarle. Durante le realizzazione del disco c’era però il timore che il mio personale contributo non venisse individuato, provocando una reazione da disco unicamente derivativo. Fortunatamente non è andata così. L’idea generale era quella di fondere le sonorità nordiche di cui parlavi tu con la nostra cultura mediterranea. Non so se ci siamo riusciti, però credo che il risultato sia comunque unico e onesto. Nel disco si rintracciano violoncelli, contrabbassi, trombe, pianoforti, Rhodes, per un suono quanto mai ricco ma al tempo stesso minimale, almeno nella concezione generale. Ti sei occupato tu di tutti gli arrangiamenti? No. Gli archi sono il frutto di una collaborazione a distanza con Fabio Centurione (violoncello) e Ilaria Scarico (contrabbasso, già bassista degli El-Ghor). Un lavoro corale che per qualche mese ci ha visti impegnati in scambi di e-mail e provini. Pian piano, con mia Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 grande emozione, ogni tassello è stato aggiunto al disegno che avevo in mente a grandi linee. Gli altri strumenti sono stati registrati nelle tre settimane passate in studio, grazie alla partecipazione di Vincenzo Zingaro e Lorenzo Gambacorta degli Unmade Bed. Ovviamente sotto la supervisione di Paolo Messere, produttore artistico dell’album. Sei originario di Tolmezzo, un piccolo paese delle Alpi. Quanta influenza credi abbia avuto il luogo in cui sei cresciuto sul tipo di musica che suoni e in che cosa un musicista nato in provincia come te si differenzia da uno che invece cresce in grande centro urbano? Il rapporto con la mia terra d’origine è stato soprattutto conflittuale poiché, come spesso accade agli adolescenti di provincia, mi sentivo lontano dal fermento artistico e culturale che caratterizzava i centri metropolitani e non accettavo di vivere “fuori dal mondo”. Crescendo però, ho capito il valore aggiunto di un luogo fortemente legato alla natura, con i suoi tempi dilatati e gli inverni lunghi, silenziosi ma al tempo stesso sereni. Questo è il mio mondo e so di appartenergli. Qualcuno ha detto che uno scrittore deve scrivere di ciò che conosce. Credo che questo valga anche per un musicista. Esci per Red Birds Records, una sussidiaria della Seahorse di Paolo Messere. Un esordio che è un doppio esordio, in quanto sei la prima produzione ufficiale dell'etichetta. Come sei entrato in contatto con Paolo e perché hai scelto di credere nella Red Birds? Sono entrato in contatto con Paolo grazie a MySpace, come spesso accade. Lui si era dimostrato interessato ai brani chitarra e voce che avevo timidamente messo in condivisione e da lì è nato tutto. Essendo nuovo dell’ambiente musicale, non avevo molti parametri di giudizio e così mi sono buttato, trovando un felice atterraggio. Alla base di un rapporto artistico credo sia importante la stima reciproca e tra me e Paolo non si può dire che non ci sia. Che significato ha il nome che hai scelto per il tuo progetto musicale? “Brown” deriva da un libera traduzione del mio cognome (Del Moro), oltre a essere un colore che mi viene immediato associare alla musica che suono. “And The Leaves” è un omaggio che ho voluto fare alla poesia di G. Ungaretti “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” che fin da ragazzino, a scuola, mi ha sempre colpito per intensità. La fragilità di quell’immagine mi è molto cara e credo sia una buona parabola per la vita stessa, non soltanto un riferimento alla tragica situazione di cui parlava l'autore. Al di là delle similitudini inevitabili che si possono cogliere con altri artisti, il tuo rimane un lavoro molto raffinato, in equilibrio tra folk, atmosfere jazz/bossanova e melodie sussurrate. Eppure l'impressione è che per tirar fuori un disco equilibrato come “Landscape” si lavori molto per “sottrazione”... In studio abbiamo utilizzato diversi strumenti, ma la struttura dei brani è rimasta la stessa di quando suonavo da solo in camera mia. In questo senso, credo che si possa parlare di sottrazione. Ho lavorato per un anno intero solo con la voce e la chitarra. Devo dire che si diventa terribilmente severi e pignoli quando si ha così poco a disposizione ma credo che nel contempo tutto questo abbia semplificato il lavoro in studio. Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Il tuo esordio ha raccolto consensi unanimi e critiche positive pressoché ovunque. Credi che il merito vada ascritto, oltre all'evidente qualità dei contenuti, a una naturale propensione del pubblico indie ad apprezzare certe derive malinconiche o a una formula che nonostante il trascorrere del tempo e dei ricorsi stilistici, continua ad affascinare? Credo che, dopo ogni periodo di sperimentazione e corsa all’innovazione, l’essere umano senta il bisogno di un ritorno alla sua natura, al suono confortante e caldo di strumenti che conosce bene e che gli appartengono. L’elettronica doveva uccidere definitivamente l’approccio acustico e invece ha finito per mescolarsi con esso, dimostrandosi l’avanguardia di un certo nu-folk che qualcuno chiama folktronica. Finché ci sarà l’uomo ci sarà anche una chitarra acustica! Contatti: www.myspace.com/brownandtheleaves Fabrizio Zampighi Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Cheap Wine Da ormai tredici anni i Cheap Wine portano in giro per l’Italia il loro rock fatto di grandi storie, intense ballate e puro divertimento. Dopo tutto questo tempo è arrivato l’album più maturo e difficile, ma allo stesso tempo forse il più importante della loro carriera. Abbiamo incontrato Marco Diamantini per farci raccontare di “Spirits” (autoprodotto/Venus), delle sue atmosfere un po’ diverse dal passato e di quello che significa oggi in Italia andare ancora in giro per piazze e cantine a raccontare, a suonare e a far ballare la gente. Marco, presentaci questo “Spirits”. Un disco che non abbandona il rock ma in cui io ho trovato anche atmosfere molto intimiste, che ricordano addirittura certo jazz di Waits. È un disco molto diverso dai precedenti. Rispetto a “Freak Show”, le ritmiche hanno rallentato e le chitarre elettriche hanno lasciato spazio a quelle acustiche. Le caratteristiche tecniche del nuovo batterista Alan Giannini hanno favorito l’introduzione di queste nuove atmosfere che sono dominate dalle linee ritmiche e melodiche del basso di Alessandro, che in questo album ha un ruolo fondamentale. I fraseggi chitarristici molto raffinati di Michele, uniti alla sua produzione molto attenta alla qualità del suono, hanno fatto il resto. E’ nato tutto spontaneamente, probabilmente anche sulla scia dei concerti degli ultimi due anni: le dimensioni di molti locali, uniti ai soliti problemi con il vicinato, hanno “suggerito” arrangiamenti vicini all’unplugged. Da qui siamo partiti per una ricerca sonora che ci ha condotto verso le radici del folk e del blues e verso atmosfere che tu giustamente definisci più intimiste. “Spirits” è un disco che va ascoltato con calma e attenzione, non può essere consumato velocemente: in un certo senso, ti costringe a fermarti, a rallentare. E’ un disco di cui siamo molto orgogliosi. Tutto il concetto del disco ruota attorno ai due personaggi di Silvio Corbari e Suzanne Valadon. Ce li racconti? Silvio Corbari era un ventenne faentino, con un talento per la recitazione e il travestimento: Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 durante la Resistenza, formò una banda di partigiani che inferse duri colpi alle truppe nazi-fasciste, non solo sul piano militare. L’episodio raccontato nel testo di “A Pig On A Lead” è realmente accaduto e viene narrato nel libro “Ribelli” di Pino Cacucci. Nel 1943, il paesino di Tredozio era occupato da un grosso contingente di milizie fasciste e Corbari non disponeva di forze sufficienti per tentare un attacco. Ma avvertì sprezzantemente il comandante della guarnigione che si sarebbe recato in paese un determinato giorno. I fascisti si disposero per la difesa armati di tutto punto, ma nel giorno stabilito videro entrare a Tredozio solo un vecchio contadino, lacero e malandato, con un maiale al guinzaglio. Lo insultavano e lo deridevano mentre questi si avvicinava all’osteria del paese. Giunto all’ingresso, chiese a due militari se potevano tenergli il maiale mentre lui andava a bere un bicchiere di vino. Poi uscì, ringraziò e se ne andò. L’attacco dei partigiani non ci fu e il comandante della guarnigione disse alla sua soldataglia che Corbari era solo uno spaccone e non avrebbe mai avuto il coraggio di attaccare Tredozio. Il giorno seguente, giunse una lettera proprio al comandante fascista: “Grazie per la gentilezza, potete giusto badare al mio maiale”, firmato Silvio Corbari. Visto che di recente abbondano i tentativi di revisionismo e considerando che nel giro di pochi anni gli ultimi partigiani scompariranno – e con loro gli unici testimoni di quegli orrori – dobbiamo cercare di non dimenticare e di spiegare alle nuove generazioni chi erano gli uomini che hanno combattuto per la nostra libertà. La scelta di una vicenda in qualche modo “leggera” della vita di Corbari, serve a dare un piccolo contributo, sfuggendo alla retorica che di solito circonda questi argomenti. “La Buveuse” di Toulouse Lautrec ritrae Suzanne Valadon, ma in quell’opera il grande artista francese rappresenta il destino tragico di tante donne di quella Belle Epoque che, dopo aver vissuto poche stagioni di gloria come vedette acclamate dei locali notturni parigini, hanno annegato nell’assenzio la frustrazione del loro declino ed hanno terminato la loro esistenza nella povertà più assoluta, dimenticate da tutti. Il momento di riscatto, l’attimo di conforto è rappresentato dalla magia del pittore che dipinge il suo capolavoro: l’arte rappresenta il rifugio della nostra anima. Ci sono due omaggi importanti, a Bob Dylan e a Townes Van Zandt. Perchè proprio loro? Bob Dylan, a mio giudizio, è il più grande musicista popolare del Novecento. Townes Van Zandt un grandissimo songwriter. “Man In The Long Black Coat” e “Pancho & Lefty” si integrano alla perfezione con le atmosfere e le tematiche dell’album. Alessandro ha spinto molto per inserire la canzone di Dylan, io da lungo tempo cullavo l’idea di interpretare quella di Van Zandt. Alan e Michele hanno appoggiato questa soluzione e siamo molto contenti del risultato. Quanto è difficile la vostra autoproduzione rock, oggi, in Italia? Serve una dose smisurata di passione vera. Con quella si supera qualsiasi ostacolo. Ma è necessario avere grandi motivazioni, perché la strada è tutta in salita e non è facile conciliare il lavoro quotidiano con l’impegno artistico. Noi da tredici anni andiamo avanti senza soste e sarà sempre così, perché la musica per noi è una questione di vita, una parte fondamentale della nostra esistenza. Nel nostro cammino abbiamo incontrato molte insidie, ma anche tanta gente che ci apprezza e ci segue con affetto, trasmettendoci una grande carica. Le difficoltà non ci spaventano perché la musica è molto più importante e per noi è una fonte inesauribile di felicità. Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Dicci dei prossimi impegni. Vogliamo fare il maggior numero possibile di concerti, perché “Spirits” ci piace molto e vogliamo suonarlo tantissimo di fronte al nostro pubblico. Nelle previsioni future c’è un disco live, ma non a breve termine. Il tour è appena cominciato e almeno un anno lo dedicheremo solo a “Spirits” e alle sue canzoni. Contatti: www.cheapwine.net Marco Quaroni Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Cosmetic “Non siamo di qui” è la seconda prova per i riminesi Cosmetic, appena uscito per La Tempesta. Un album cantato in italiano nel quale si respira aria di rinascita. Una nuova pagina dopo aver rimarginato le ferite e ripensandoci. Le melodie sono giuste, noise quanto basta, senza strafare e stravolgere. Un album asciutto che si fa apprezzare dopo un po’ però poi si fa strada bene bene e rimane. Ne parliamo col cantante Bart. Quando avete formato il gruppo, cosa pensate sia stato fondamentale, per la vostra unione? I Cosmetic sono una formazione nata da una grande amicizia e una forte passione per la musica almeno dodici anni fa, però poi le cose sono cambiate perché un po’ alla volta, le persone sono andate via passate e tornate, così alla fine oggi siamo una cosa molto diversa da quella che era partita all’inizio, però fortunatamente la passione per la musica e i legami amicali sono quelli che alla fine ti tengono assieme. Ecco, ma pensando anche agli altri della band. Gli ultimi insomma. Che rapporto avete con i vostri strumenti? Li prestereste volentieri, li sbattete contro le cose, o guai a toccarveli? Se uno che suona con noi rompe una corda corriamo a prestargliela subito e poi Simo il chitarrista sbatte un po’ qua e là perché è un po’ scemo però alla fine va bene così lo stesso. Tu invece che sei il cantante che rapporto hai con la tua voce, visto che la voce è il tuo strumento? Ah ah, la mia voce ho sempre fatto fatica a domarla, perché tipo non devi bere sennò stoni. Le canzoni le scrivete assieme o partono da uno di voi? Come funziona? Le canzoni, soprattutto per questo disco, sono nate da me. Quindi tutta la struttura iniziale, dopo, chiaramente li mettiamo su insieme durante le prove. Alcune idee di canzoni non Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 vengono bene come le avevo nella testa, quindi muoiono e spariscono, altre invece prendono piede siccome ognuno inizia a metterci del proprio. In generale comunque io faccio lo scheletro e gli altri arricchiscono, penso sia abbastanza normale e penso tutti facciano più o meno così. Ma quando state lì per definire la composizione, cosa cercate di evitare? A cosa non deve assomigliare un vostro pezzo per essere una vostra canzone? Beh, non deve essere né troppo cervellotico, né perdersi in inutili cose strumentali e poi non deve finire subito. Un via di mezzo tra strofa ritornello, strofa ritornello e una divagazione insensata. E poi se assomiglia a qualcos’altro non la facciamo. E com’è fatta la vostra sala prove? La nostra sala prove è a casa di Simo. Giù di sotto c’è una scala a chiocciola, poi un’altra scala che va giù, poi entri in una cantina, dentro la cantina c’è una porticina e dentro trovi la nostra sala prove due metri per due. Dobbiamo stare incastrati dentro tipo Tetris. All’ultima riunione di condominio mi ha detto Simo che i condomini non si sono lamentati, anzi uno ha fatto una recensione! Alla luce di questi due album alle spalle per questi dodici anni, rispetto all’inizio cos’è cambiato per voi come gruppo? Sostanzialmente prima facevamo tutto quello che ci passava per la testa ed era un’accozzaglia di robe, invece ultimamente ci auto-regoliamo in una sorta di direzione artistica, se così si può dire. Il primo disco è uscito per Tafuzzy e Cane Andaluso che hanno co-prodotto il lavoro. Questo invece lo produce la Tempesta. Vorrei che ci raccontassi l’accordo per la produzione con Tafuzzy e Cane Andaluso e poi invece adesso con La Tempesta. Con Tafuzzy è andata abbastanza spontaneamente perché l’abbiamo co-fondata: noi Cosmetic insieme a Mr Brace. Poi Cane Andaluso, ovvero Giacomo Spazio s’era innamorato del progetto e diciamo siamo stati insieme per tre quattro uscite. Però chiaramente, quando si è interessata La Tempesta, visto che anche la storia Cane Andaluso e Tafuzzy si era andata a smussare, il fatto che si facesse sentire Enrico con qualche complimenti e un po’ di avance, noi abbiamo ceduto quasi subito e quindi è nato questo rapporto che comunque è un rapporto di amicizia. Non mi risulta che abbiamo firmato niente, contratti o cose. Sono dei grandi. Da quale canzone è iniziata la composizione di “Non siamo di qui”? Le prima è stata “Ehi, Sinfonia”. Dopo l’album “Sursumcorda” c’è stato un momento di silenzio e dopo si è ripartiti da quella canzone che è proprio un episodio molto cantautoriale basato su strofa, ritornello e basta. C’è anche un salto di tono, alla Sanremo. In generale questo pezzo è stato un passaggio da cui ripartire a fare del casino. Qual è stata la canzone più facile da portare a termine, e quale quella più difficile? La più facile “Bolgia celeste”, perché diciamo così com’è nata spontaneamente, vale a dire: “riffaccio”, strofa, ritornello e variazione, così è stata definita, praticamente come l’avevo abbozzata io all’inizio. Mentre la più difficile potrebbe non sembrare ma è “Né noi né Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Leandro” che è nata dalla musica di Simo, poi è passata nelle mie mani, ma abbiamo vacillato, quindi abbiamo fatto fatica. Abbiamo cambiato arrangiamento due, tre volte. Non riuscivamo a capire quale fosse il suo vestito però alla fine siamo molto contenti del risultato finale. C’è un disco che amate ascoltare tutti insieme, che vi mette d’accordo? Se tutti insieme non tiene conto della parte femminile del gruppo sì, i Polvo. Chi ha curato la grafica del CD e perché vi rappresenta? Le ha fatte un nostra carissima amica che è un’illustratrice disegnatrice che stimiamo tantissimo che è Elzevira (www.elzeviraillustrator.com) che ha uno stile molto personale, molto femminile, acuto e ironico, pungente. Di solito fa cose più da commedia pungente americana intelligente però per l’occasione, le abbiamo chiesto di spingersi fino all’horror grottesco, e se guardi la nostra copertina noterai che ce l’ha fatta. Complessivamente, “Sangue+ sole” sembra un po’ la chiave del disco perché racconta di vecchie ferite, ma col sorriso come se le aveste superate. È così? Per fortuna sì. Più succedere di tutto fino a vedere del sangue purtroppo però dopo per fortuna si riparte. Contatti: www.myspace.com/cosmeticmusic Francesca Ognibene Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Did Già al primo ascolto di questo esordio dei torinesi Did ho sentito una bella scossa. “Kumar Solarium”, uscito su Foolica/Audioglobe, è il primo disco sulla lunga distanza dei ragazzi, ma qualcuno se li ricorderà per un EP uscito per la net-label Kirsten’s Postcard o per i loro live incendiari, molto serrati, vero vanto per la band e marchio ormai indelebile della loro presentazione al mondo post punk con mille batterie in aggiunta per farci ballare. Bravi. Ne parliamo con il cantante Guido Savini e con il bassista Giancarlo Maresca. Quando avete deciso di mettere su il gruppo, qual era la vostra idea musicale e come inizia questa storia? Guido: Inizia tanto tempo fa al liceo, come succede quando si è giovani e si vuole formare una band, senza neanche sapere suonare gli strumenti. Questo è stato però all’inizio, negli ultimi due anni abbiamo preso un’altra strada un po’ più seria e professionale; prima era un hobby. Giancarlo: L’idea invece era che i Beatles erano Gesù Cristo, noi volevamo essere i Beatles e quindi da ragazzini quali eravamo, ci siamo messi lì a studiarli, perché volevamo essere meglio di loro, poi però siamo cresciuti e abbiamo capito la realtà. Nel momento in cui componete le canzoni, quali sono le vostre dinamiche: componete assieme, arriva il cantante in saletta con la bozza, o come? Gi: Nasce tutto spontaneamente in saletta. È sempre stato un costruire assieme. Si studia la soluzione migliore per tutti. Nessuno predomina l’altro. Guido alla voce, tastiere e campionatore, io al basso, Andrea Tirone alle chitarre e Andrea Prato alla batteria. Poi, noi abbiamo un set molto particolare. Visto che avevamo bisogno di ampliare la nostra parte percussiva, abbiamo deciso di inserire un secondo set di batteria che suoniamo io e il chitarrista durante i live. Suonando insieme vi sarete fatti un’ idea. Una vostra canzone per soddisfarvi, che Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 cosa deve avere per essere “definita”? Gu: Una nostra canzone deve essere “completa” e quindi deve iniziare e deve finire, deve riuscire ad aprire un cerchio e a richiudersi su se stessa, ed è una parte molto difficile perché noi per fare la composizione partiamo da improvvisazioni molto lunghe e ipnotiche, quindi magari una traccia che è anche abbastanza ballabile dura anche dieci minuti. Per questo album però (poi non so cosa succederà in futuro) abbiamo cercato di fare delle tracce che avessero una forma canzone con un inizio e una fine. Quando voi “perfezionate” il pezzo la tendenza è smussarlo o ammorbidirlo? Gi: Noi cerchiamo di renderlo il più ruvido possibile. Poi ci sono situazioni e pezzi in cui siamo andati nell’esatta direzione opposta, però tendenzialmente questo disco credo che sia un disco che vuole essere ruvido, d’impatto, di certo non delicato. Poi ci sono casi a parte come “Sex Sometimes”o “Babe (Precious Thing)” che sono più morbide, ma sono un piccola parte del disco. Quanto l’elemento percussivo è importante per il quadro generale che rappresenta la vostra musica? Gu: L’elemento percussivo è assolutamente centrale, tanto è vero che nei live tutti quanti usiamo le bacchette. Infatti ne facciamo un uso massiccio, ne usiamo un sacco e ne rompiamo un sacco ed è la nostra spesa più grande. Noi volevamo essere molto densi, ma senza scadere troppo nell’elettronica, quindi un modo era suonare una sacco di percussioni. Le canzoni, prima di registrarle le avete rodate un po’ dal vivo? E come siete dal vivo? Gi: Le canzoni del disco sono frutto di un percorso che è stato per una parte in studio e per una seconda parte frutto dell’esperienza dei live, penso che i live ci abbiano aiutato a capire qual era la cosa giusta da fare in quel certo pezzo, la struttura giusta, che cosa cambiare o che suoni usare. Il live è fondamentale. Gu: Il live è un’esperienza davvero totale, dove suoniamo tutte le tracce dell’album non in quel ordine, ma attaccate in maniera da tenere sempre l’attenzione del pubblico molto alta. Il secondo set di batteria che viene suonato a turno dalla band, ci predispone per una cosa abbastanza fisica e violenta. Se la gente si fa trasportare balla con noi un’ora, intensamente. Finora qual è stato comunque per voi il vostro live perfetto, con il pubblico recettivo e il suono ottimale? Gu: Ne ricordo due con piacere. Uno a Messina, in un Lido, quindi pensavamo l’ultimo posto dove poter esprimere al meglio il nostro suono, perchè la gente in vacanza non si aspetta dei pazzi che fanno noise ballabile e invece s’è creata una situazione fantastica e abbiamo fatto anche due bis, cosa mai accaduta prima. E poi l’altro - che è stata una mini consacrazione per noi torinesi - al Traffic Festival, quindi davanti a non so quante migliaia di persone, perché abbiamo aperto per gli Underworld. Torino è una città che ti giudica sempre e questo da un certo punto di vista è un bene, perché così sappiamo che non dobbiamo mai abbassare il tiro e stiamo sempre molto attenti, però quella sera abbiamo ricevuto davvero un sacco di complimenti. Il disco è stato registrato a Bologna. Com’era l’atmosfera da Bruno Germano? Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Gi: Ci siamo trovati subito bene, perché Bruno è una persona stupenda. Io lo ammiro e lo stimo moltissimo. Abbiamo lavorato veramente bene con lui. L’atmosfera che aveva impostato Bruno era perfetta: provavamo tutto quello che c’era da provare e tutte le nostre idee. Poi ci ha dato un sacco di dritte. Ha risolto molti problemi di registrazione per un particolare suono o altro che non sapevamo come affrontare trovando sempre la soluzione giusta. Come mai Foolica Records e non un’altra etichetta? Gu: Perchè Foolica, senza voler offendere nessuno, credo sia una delle pochissime vere etichette in Italia che lavorano nello specifico sulla promozione e investono soldi sull’artista. Ogni giorno mi stupisco di quanta voglia e di quanto impegno ci sia da parte loro per curare tutto il lavoro d’insieme che sta dietro ad ogni produzione musicale. Chi altro è stato fondamentale per voi affinché il disco venisse fuori così bene? Gu: Beh, chi ci ha registrato quindi prima Maurizio Borgna a Torino e poi Bruno Germano a Bologna. E poi un sacco di persone, un sacco di amici che ci hanno aiutato, che ci hanno visto suonare davanti a venti persone e poi ci hanno rivisto al Traffic, davanti a tutta quella gente. Basti pensare che il nostro video “Time For Shopping” l’ha fatto un nostro amico che veniva al liceo con noi e che in questo momento studia Medicina. Però ha accettato di farlo ed è un videoclip assolutamente professionale e tutti ci stanno facendo i complimenti. Contatti: www.myspace.com/didmusik Francesca Ognibene Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Farmer Sea “Low Fidelity In Relationships” (I Dischi dell’Amico Immaginario) dei torinesi Farmer Sea è stata una delle migliori sorprese dell’ultimo anno in ambito indie-pop italiano. “Sorpresa” per modo di dire, visto che il quartetto aveva già avuto modo di farsi notare (anche all’estero, per giunta da osservatori autorevoli quale, nientemeno, l’NME) con i precedenti due EP, “Helsinki Under The Great Snow” (2005) e “Where People Get Lost And Stars Collide” (2007). L’album di esordio ne ha confermato le qualità, nonostante i tempi di gestazione piuttosto lunghi. Un po’ come questa intervista, fatta quest’estate intorno a una birra in un circolo Arci torinese, con in sottofondo una colonna sonora decisamente “noise” a base di Supertramp e Cindy Lauper. A rispondere alle domande Andy (voce), Cito (chitarra), Cosimo (basso) e Gia (batteria). Raccontatemi la storia dell’NME, tanto per cominciare. Un giorno Davide Combusti (The Niro) ci chiama facendoci i complimenti per la segnalazione sull’NME, chiedendoci come ci sentivamo. La segnalazione su cosa? Ovviamente non ne sapevamo nulla. Volevamo chiamare la redazione del giornale per farci mandare il numero, poi abbiamo lasciato perdere. Ancora oggi non ne abbiamo una copia, aspettiamo sempre che Davide ci passi la sua. Era una recensione del primo singolo di 4 pezzi; sul sito dell’NME c‘era una sezione dove potevi caricare il tuo profilo, ne saranno venuti a conoscenza in quel modo. Parliamo di “Low Fidelity In Relationship”. Dopo un tot di mesi da che lo avete completato, riascoltandolo vi soddisfa pienamente o cambiereste qualcosa? Un “tot di mesi” è riduttivo, in realtà lo abbiamo finito quasi un anno e mezzo fa. Qualcosa lo avremmo già cambiato allora, ma questo è normale. Ognuno di noi ha le sue idee su come avrebbe potuto essere reso migliore, in particolare per quel che riguarda il suono o la produzione. Gli arrangiamenti sono OK, ne eravamo già convinti prima dell’entrata in studio. Forse il disco è stato lasciato decantare un po’ troppo, a forza di ascoltarlo ci trovavamo Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 difetti, oltretutto noi siamo anche pignoli. Il mastering alla fine ha rimesso a posto le cose, ma nei mesi precedenti diverse etichette non si sono mostrate interessate proprio a causa di un missaggio che secondo loro penalizzava le voci, tenute troppo basse. È vero, forse in un paio di casi sono leggermente sovrastate dagli strumenti, ma in generale quella è stata una nostra scelta. Noi ci siamo formati ascoltando un certo tipo di rock americano o inglese nel quale le voci sono sempre un po’ impastate con il suono, mentre in Italia se la gente non sente un cantato alla Ramazzotti non è contenta. Come è avvenuto il contatto con I Dischi dell’Amico Immaginario”? È stata la proposto sta più seria che abbiamo ricevuto. Nella scelta dell’etichetta abbiamo avuto non poche difficoltà, le offerte che arrivavano non erano mai molto chiare. Con l’Amico Immaginario abbiamo avuto carta bianca, libertà totale. Inoltre il fatto di poter lavorare con un’etichetta torinese è stato importante per noi: molto meglio il contatto diretto che la mail o il telefono. Il disco, nella fase pre-mastering, lo abbiamo mandato anche all’estero. Paradossalmente ci rispondevano di più le etichetti indipendenti straniere che quelle italiane, spesso era solo un “grazie, ma non ci interessa” che comunque è già molto di più della mancanza di qualsiasi riscontro. Alla prima esperienza questa è una cosa che ti fiacca, dopo un po’ ti prende male anche se poi capisci che è la norma. Quantomeno, all’estero sono più gentili. Qualche piccola etichetta ha detto di essere interessata, ma di non potercela fare economicamente. All’estero le realtà indie spesso sono ancora più piccole che qua, maggiormente legate al territorio e alle realtà musicali locali. Per una minuscola label svedese era un po’ difficile gestire una band di Torino. La famigerata etichetta “indie” che vi viene fatalmente appiccicata dai recensori alla fine pesa più positivo o in negativo? Ci sta stretta, inutile negarlo. Da un certo punto di vista, quello diciamo così “estetico”, non ci sentiamo affatto indie: non abbiamo la cassa in quattro, non portiamo i capelli con la frangetta, non facciamo esattamente la cosa di tendenza. I nostri riferimenti musicali vengono dagli anni 90, non proprio quel che va di moda nel giro indie italiano. Ce lo siamo sempre posti, questo problema dell’estetica, che peraltro ci auguriamo sia una caratteristica solo italiana. Nei primi due EP un po’ l’abbiamo sfiorata, consapevolmente, perché speravamo che potesse darci una certa visibilità. C’è poco da fare, per farti notare devi entrare in certi giri... Sì, ma questi ambienti hanno davvero l’ importanza che tendono ad attribuirsi? Se guardi i palinsesti dei festival sembrerebbe di sì. È anche vero che se abbiamo suonato in certi contesti è grazie a contatti di quel tipo. Parlando più nello specifico di musica, ci ha un po’ stufato leggere nelle recensioni certi vocaboli che si ripetono: e la “cameretta”, e le “chitarrine plin plin”, e la “canzoncina pop”... A volte pare che l’etichetta “indie” deve essere messa di mezzo per forza, per nobilitare termini più semplici come pop o rock. La realtà è che siamo un gruppo pop, e basta. Ma per voi essere indipendenti, per restare al significato originario, è un valore o un semplice dato di fatto? Indipendenza significa libertà di scelte. Questo è ciò a cui teniamo di più. Siamo andati in studio convinti di quelle canzoni e non ci siamo spostati di una virgola. Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Come lavorate, quando componete i pezzi? Siamo la band più democratica del pianeta. Lo spunto arriva da un giro di chitarra o qualcos’altro, raramente dalle parole. Poi un blocco dopo l’altro si costruisce il pezzo. Se una cosa non convince anche solo uno di noi, la si lascia perdere. È anche per questo che ci mettiamo una vita a scrivere i pezzi. Tipo tre mesi a canzone. Però questo significa anche che i pezzi alla fine escono quasi rifiniti in tutte le parti. Poi c’è la fase delle prove dal vivo, in cui testiamo i pezzi in base alla reazione della gente. Da quando avete lavorato al disco a oggi è cambiato il vostro approccio musicale? E’ ancora presto per dire verso dove ci muoveremo, l’importante è non fossilizzarsi sui suoni dell’album. Uno degli aspetti che vorremmo modificare è il modo di cantare, ci piacerebbe impostarlo su tonalità leggermente più soul. Ci stiamo avvicinando maggiormente alla classica forma canzone pop, anche nella durata: tre minuti e stop. Una delle cose di cui siamo abbastanza sicuri è che vorremmo produrci da soli, in futuro. Non avete un produttore dei vostri sogni? In saletta ne parliamo spesso. Il nome che viene fuori di più è quello di Dave Fridmann. Ci piace quel modo di produrre arioso, gli inserti di elettronica all’interno di strutture molto melodiche, spesso acustiche. Nessuno di noi è un esperto di elettronica, però ci mettiamo lì tutti assieme e ne esce qualcosa, magari naif ma secondo noi interessante. Fondamentalmente quello che vogliamo fare sono sempre canzoni, però ci siamo trovati bene a cazzeggiare con campionatori grezzissimi tipo uno Yamaha degli anni 70. Quelli che nelle recensioni, tanto per tornare sull’argomento, vengono definiti “tastierine giocattolo”. Il Casio SK1 non è affatto una “tastierina giocattolo”. Invece, il Juno 106 che usiamo in pezzi come “Neil Young Is Watching Me” è un chiaro omaggio ai Grandaddy. Cosa fate nella vita, a parte suonare? Lavoriamo tutti, ma la testa è sempre lì, alla band. Per ora non ci pensiamo neanche, a campare di musica. Le vendite sono quelle che sono, per ora è più un feticcio personale: avere un tuo disco fuori, magari passare alla Fnac e vederlo vicino a Franz Ferdinand piuttosto che a Fabri Fibra. La cosa fondamentale, comunque, rimane suonare dal vivo. Cos’è che ti fa svoltare in Italia? Avere la frangia (risate, Ndr). Beh, insomma, ci vuole un po’ di paraculismo. Lo diciamo da ascoltatori prima ancora che da musicisti. C’è tutta una rete, un sottobosco di blogger che fanno gli opinion leader, che serve proprio a questo. A volte comunque è anche un pregio, avere una mentalità imprenditoriale. A proposito di “giri”, com’è Il vostro rapporto con Torino? Non siamo legati più di tanto alla scena torinese attuale. Che poi in realtà non esiste. A volte sono invenzioni estemporanee dei giornalisti, tipo la fantomatica scena del cantautorato di San Salvario, che in ogni caso si è beccata le sue belle pagine su “Rumore”, il che una certa notorietà te la porta. Come sempre, c’è chi si imbuca nelle situazioni e chi non conosce un cazzo di nessuno, tipo noi. Torino è una città difficile, ma da altre parti stanno ancora peggio. Certo, riuscire a trovare concerti per una band locale è complicato. Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Chiudiamo con i vostri dischi della vita. Andy: “Mellon Collie...” degli Smashing Pumpkins e “Yankee Hotel Foxtrot” dei Wilco. Cosimo: “Hai paura del buio?” degli Afterhours Cito: “Spiderland “degli Slint, non c’entra niente con quello che suoniamo ma per me è stato importante, e poi “You’re Living All Over Me” dei Dinosaur Jr. Gia: La sezione ritmica è più kitsch, del resto io sono un ex metallaro. Comunque ti dico “OK Computer”: sarà banale ma mi ha cambiato la vita, facendomi passare dal metallo al pop. Anche se “Roots” dei Sepultura rimane sempre un grande amore. Contatti: www.myspace.com/farmersea Carlo Bordone Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Fine Before You Came Con “Sfortuna” - il loro ultimo album pubblicato in CD per La Tempesta, in vinile per Triste, in musicassetta per Ammagar e messo fin da subito in free download sul proprio sito - i Fine Before You Came attuano una svolta decisiva nel loro percorso artistico lungo quasi dieci anni, decidendo di cantare in italiano. Di questo, di Internet, di promozione e di sfiga abbiamo parlato con i cinque ragazzi di stanza a Milano. Cominciamo dal vostro ultimo album “Sfortuna”, a mio avviso uno dei dischi italiani più riusciti e più importanti del 2009. Com’è nato? E soprattutto come mai la scelta, riuscita aggiungerei, di cantare in italiano?
 Cavolo grazie mille. “Sfortuna” è nato molto semplicemente dalla sfida di provare a fare un disco in italiano e non in inglese come i precedenti, per non ripetersi, per perdere qualsiasi tipo di derivazione musicale e per cimentarsi con la propria lingua. Abbiamo semplicemente pensato “per dio, possiamo farcela anche noi”. E adesso tu ci dici che è andata. Quindi, bene così. Evviva. Non pensate che l’italiano abbia contribuito a fornirvi un’identità più forte, magari facendovi sdoganare da quella morsa derivativa, prima con l’emocore poi con il post-rock, del passato? Sicuramente l’italiano ha aiutato a uscire dai cliché. Anche se molto serenamente ammettiamo che ci sentivamo al di fuori di gran parte dei canoni di certo rock già da un po’. Non pensiamo di tornare all’inglese. L’italiano ci piace anche se è notevolmente più difficile. Però a questo punto dobbiamo quanto meno capire se “Sfortuna” ci è venuto per caso o no. Stiamo già lavorando a dei pezzi nuovi. Per ora pare andare tutto bene ma potremmo anche aver finito le scorte. In quel caso ci inventeremo qualcos’altro. Oltre alla vostra ottima tecnica strumentale, “Sfortuna” evidenzia bene anche un profondo e sentito lavoro sui testi. Nell’insieme, il tutto rende l’idea di un affiatamento Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 di gruppo molto funzionale e di una maggiore maturità raggiunta. Su cosa si basa il vostro processo creativo e come è cambiato negli anni?
 Beh, siamo sempre stati molto affiatati. Pensa che ogni pezzo fatto da dieci anni a questa parte è frutto del lavoro di cinque teste. Mai nessuno arriva in sala con un riff o qualcosa di già pronto. Nasce tutto quando siamo tutti e cinque. Se da una parte rende il processo compositivo lunghissimo questo metodo fa si che ognuno dica la sua in ugual misura. È il motivo per cui non possiamo pensare alla banda senza uno solo di noi. Sarebbe un altro gruppo. Anche i testi prima di essere approvati devono passare il vaglio di tutti noi. Nei prossimi per esempio siamo tutti d’accordo di parlare degli animali della fattoria. A distanza di alcuni mesi dalla pubblicazione di “Sfortuna”, vi sarete fatti un’idea della reazione del pubblico, sia vecchio che nuovo. Com’è stata? Pensate che la scelta dell’italiano abbia contribuito all’ampliamento del vostro pubblico?
 Ha contribuito tantissimo. Ci sono un sacco di facce nuove ai nostri concerti e un sacco di ragazzi giovani. Il fatto che la fruizione della musica sia diventata così semplice grazie a Internet ha molto influito sui testi delle canzoni. Mi spiego meglio. Un tempo compravamo uno/due dischi e li ascoltavamo coi testi alla mano. Oggi ne scarichiamo sette/otto e li ascoltiamo nell’iPod e solo a quelli che ci sembrano più interessanti diamo, forse, in un secondo momento una letta ai testi. Scrivendo in italiano invece salti un passaggio, le parole sono semplici, comprensibili ed estremamente urlabili. La cosa bella di “Sfortuna” è che devi solo urlarlo a squarciagola e il concerto non lo facciamo più solo noi ma chiunque abbia voglia di gridare. È liberatorio e dà una gioia infinita. Guardiamo gli amici che abbiamo davanti e li sentiamo completamente parte della banda. Detta così sembra il delirio di un santone invasato ma ti assicuro che è così. Nonostante l’album sia uscito in cd per La Tempesta, la promozione non ha però seguito un iter tradizionale, convenzionale. Come mai? 
 Enrico de La Tempesta aveva un sacco di dischi da fare uscire in quel periodo. Ci ha detto chiaramente che non era il momento e che non poteva dedicarsi a “Sfortuna” prima di un tot di mesi. Dato che non avevamo voglia di aspettare gli abbiamo detto di farlo uscire comunque e che alla fine della promozione e dell’iter tradizionale non ci interessava granché visto e considerato che il disco sarebbe stato scaricabile gratuitamente fin da subito. Dopo solo una settimana lo avevano scaricato mille persone poi la voce è girata sempre di più. La promozione migliore che si possa desiderare è quella di chi scopre qualcosa che gli piace e lo consiglia agli amici. Quindi con Internet avete un rapporto felice?
 In realtà non siamo mai stati bravi con Internet. Non abbiamo avuto un sito aggiornato fino a “Sfortuna”. E anche adesso, onestamente, il nostro sito è tutt’altro che all’avanguardia. Però ci piace molto l’idea che la musica sia gratuita, che chiunque possa usufruirne e che non venga imposta in alcun modo. Scarichiamo musica regolarmente. Questo non vuol dire che non acquistiamo dischi. Anche a noi piacciono i feticci. Internet dà una possibilità a tutti senza pretendere nulla. A Internet non gliene frega nulla se fai metal o elettropop, se sai suonare o fai paura all’uomo della strada. Internet dà le stesse possibilità a tutti quanti. Se La Tempesta non fa uscire il tuo disco di rap celtico pubblicatelo da solo. Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Ma, per finire, “Sfortuna” è davvero un album che porta sfiga? Visti i risultati, penso proprio di no... anzi. 
La sfortuna è di tutti, tanto quanto Internet. Puoi dare la colpa alla sfortuna tutte le volte che vuoi. E lei è serena. Si prende le colpe e non te la fa pesare. “Sfortuna” non parla di sfortuna ma di quanto spesso non siamo in grado di prenderci la responsabilità delle nostre azioni. Sul sito scherziamo molto. In generale scherziamo molto. “Sfortuna” porta sfortuna se hai bisogno che porti sfortuna. Contatti: www.finebeforeyoucame.com

 Andrea Provinciali Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Hollowblue Terzo capitolo per i livornesi Hollowblue, secondo sulla lunga distanza e primo discograficamente autarchico, “Wild Nights, Quiet Dreams” (aCupintheGarden/Audioglobe) mantiene fino in fondo le promesse dei lavori precedenti aggiungendo alle canzoni qualche dose di elettricità. Ne abbiamo parlato con il fondatore Gianluca Maria Sorace e il chitarrista Marco Calderisi. Pur mantenendo la vostra cifra stilistica abituale, sempre legata a certi colori d'autore e noir, questo secondo album è più compatto e più rock, a tratti più chitarristico e aggressivo (ad esempio in “You Cannot Stop” o “I've Got The Key To Change The World”). C'è un motivo che vi ha spinto a muovervi in questa direzione? Gianluca Maria Sorace: La direzione che abbiamo recentemente intrapreso ha avuto uno sviluppo naturale. Se nei precedenti album – l'EP “What You Left Behind” e “Stars Are Crashing (In My Backyard)” – il mio lavoro è stato predominante e per certi versi ingombrante, dall'anno scorso il coinvolgimento da parte di tutto il gruppo è diventato totale, con inoltre un gran lavoro di improvvisazione in sala prove. Questo ha fatto sì che le nuove canzoni risentissero ancor più delle singole personalità dei musicisti e non di una singola visione. Tutto è diventato più spontaneo e diretto. Inoltre la nostra violoncellista, nel periodo in cui stavamo scrivendo gran parte del nuovo album, aveva deciso di prendere altre strade. Ci siamo così ritrovati a riempire, con le chitarre elettriche, gli spazi normalmente occupati da lei. In seguito abbiamo fatto il solito lavoro di rifinitura e orchestrazione delle parti a cui teniamo molto, ma diverse strutture di base sono composte da un paio di accordi e un approccio energico, quasi punk. Marco Calderisi: Voglia di cambiare, stress, paura, odio, ansia, dolore, la necessità di avere un posto sicuro dove rifugiarsi di tanto in tanto, dove non serva fare compromessi o indossare una maschera per essere accettati ... sentimenti che conosciamo bene ma che nel vecchio lavoro non avevano trovato spazio. Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Nel bel mezzo di “Sigma” ti sentiamo per la prima volta cantare in italiano. Sei tentato dall'idea di muoverti in quella direzione? G: In ognuno degli album che abbiamo pubblicato c'è uno spazio dedicato al materiale un po' più datato. Gli archivi degli Hollowblue, ma anche miei personali, straripano di canzoni. “Sigma” era una di queste, nata per un progetto durato 8 anni che si chiamava Tangomarziano in cui mi “costringevano” a scrivere e cantare in italiano. Esiste quindi una versione completamente italiana di quella canzone. Il bassista Giancarlo Russo, che con me aveva condiviso anche quel progetto, ha avuto l'idea di utilizzare una parte di quel testo nel finale. E' probabile che dal vivo proveremo ad eseguirla, ogni tanto, completamente in italiano. Non ho pregiudizi verso la nostra lingua madre, semplicemente mi diverto molto di più a cantare in inglese. Si crea un senso di distacco tra me e quello che scrivo che per assurdo mi aiuta a meglio interpretare quello che canto. Parlando con altri musicisti notavamo come si stia diffondendo una certa diffidenza verso i gruppi che scelgono l'inglese. Ho sentito lo stesso Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori, che pure stimo e apprezzo, dichiarare che il suo cantare in inglese nei One Dimensional Man era in qualche modo una forzatura. Mi spiace che l'Italia non provi a fare quel salto mentale, che porterebbe a cercare di esportare la musica italiana all'estero. Questo succede nei paesi nordici ad esempio, senza nessun pregiudizio. I gruppi cantano in inglese e la cosa viene accettata. Qui non è altrettanto semplice. Non prevediamo un cambio di lingua a meno che questo non sia divertente e naturale. Ci piace sperimentare e probabilmente qualcosa faremo ma come potremmo farlo un giorno con qualsiasi altra lingua che in quel momento ci sembri appropriata e interessante da utilizzare. La musica degli Hollowblue è fortemente legata alla tua scrittura, essendo l'autore dei brani e dei testi. Nel corso degli ultimi tempi, anche dal momento in cui è stato registrato il disco ad oggi, ci sono stati dei cambi di line up. Posto che, evidentemente, negli Hollowblue finiscono per gravitare musicisti con una sensibilità affine alla tua, mi chiedo quali siano le dinamiche compositive all'interno del gruppo... G: Come dicevo, in “Wild Nights, Quiet Dreams” il coinvolgimento dei membri base (Giancarlo Russo, Federico Moi e Marco Calderisi) è stato totale. Hollowblue è nato come mio progetto solista nel '90. Abbandonato per diversi anni, è diventato un vero gruppo nel 2003. All'inizio veniva inteso, in qualche modo, come il gruppo che mi permetteva di esprimere la mia personale visione della musica, ma nel tempo le cose sono fortunatamente cambiate. E dico fortunatamente perché credo moltissimo nello scambio, in particolare quando le persone con cui si collabora sono sensibili e affini. Ho avuto la fortuna di trovare negli Hollowblue persone di questo genere. Per vari motivi alcuni membri sono nel tempo cambiati, il nucleo base che citavo prima è rimasto però immutato e recentemente si sono aggiunti Enrico Filippi al piano e synth e Sarah Mayer al violino e voce, anche con loro c'è una grande intesa musicale e umana. Se prima i musicisti erano quasi degli esecutori, adesso le cose sono cambiate e, a parte la scrittura dei testi, c'è un rapporto assolutamente paritario. Capita molto spesso di entrare in sala prove, accendere gli amplificatori e ritrovarci dopo mezz'ora con una canzone nuova. M: Io parlerei anche di comunione di intenti e di voglia di stare insieme. Io e Gianluca, ad esempio non siamo così affini musicalmente, riusciamo a scambiarci davvero pochi dischi! Con questo disco l'azione compositiva è stata molto più articolata e distribuita all'interno del gruppo di quanto sia mai stato in precedenza. Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 In “Honeymoon” entrano in gioco quelle atmosfere "di frontiera" che abbiamo incontrato nei vostri lavori già in precedenza: il mexican border, la California di Fante... Pur nella evoluzione musicale, quello resta un punto fermo nella poetica degli Hollowblue, sei d'accordo? G: Si, sono d'accordo. Un disco che ci ha aperto la strada verso quelle atmosfere è stato “The Black Light” dei Calexico, che personalmente mi ha fatto transitare da ascolti new wave ad un modo più intimo e forse meno artificiale di esprimersi musicalmente. Per quanto non sia particolarmente amante della musica americana, gli Stati Uniti di frontiera mi affascinano perché sono un crocevia di razze e mescolanze culturali, di diseredati e grande creatività. Non abbiamo mai programmato in realtà di esprimere certe atmosfere, ma queste emergono sempre con forza e ogni disco ha la propria canzone di frontiera, nel primo EP la canzone “What You Left Behind”, nel primo album “Stars Are Crashing In Mexico” e in quello nuovo “Honeymoon”. M: Nella nostra poetica rientrano però anche altri aspetti: c'è il deserto, assolato e polveroso, ma ci sono anche i meandri bui delle metropoli, e non sempre ci si sente del tutto soli. Il vostro primo album ha ricevuto ottime critiche all'estero, credi che sia una via praticabile, che produca risultati? L'impressione è che l'unico modo per raggiungere determinati obbiettivi sia inevitabilmente affidato all'iniziativa individuale. Insomma: riusciremmo mai ad esportare la nostra scena all'estero? E soprattutto, come hai vissuto questo affacciarti su una realtà diversa? G: Il nostro precedente album ha avuto in effetti ottime recensioni e apprezzamenti all'estero nonostante non sia stato veramente distribuito fuori dall'Italia, se non in forma digitale. Questo ci ha fatto ovviamente molto piacere ma al tempo stesso ci ha creato anche un certo senso di frustrazione. Si è manifestato in modo abbastanza evidente il contrasto tra la potenzialità di questo progetto e la obiettiva difficoltà di esportarlo, non per ragioni artistiche ma per la poca lungimiranza delle strutture discografiche: pochi mezzi, poca voglia ed effettiva possibilità di rischiare. Il mercato italiano, come dicevo, mi sembra si stia chiudendo un po' su se stesso. Ci sono delle fortunate eccezioni ma si continua a guardare, musicisti compresi, all'Italia e non all'Europa. E anche per questo che abbiamo deciso di aprire una nostra label – aCupintheGarden – e seguire ancora più da vicino tutti gli aspetti che riguardano la pubblicazione e la vita di un album. Sinceramente, invece di pensare di cambiare la lingua con cui canto per poter “piacere” all'Italia, vorrei continuare a sentirmi libero di scegliere e di fare piccoli passi verso l'estero dove la musica indipendente, al contrario di quanto sta succedendo qui, non è un hobby, un gioco fra amici, una specie di circolo culturale chiuso. La musica italiana all'estero semplicemente non esiste, così come si sta eclissando, per chi ci osserva dall'esterno, la nostra dignità culturale. Contatti: www.hollowblue.com Alessandro Besselva Averame Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Methodica In dodici anni di attività i veronesi Methodica, con gli inevitabili cambi di formazione, momenti di euforia e sconforto, sono passati da semplice cover band dei loro idoli Dream Theater ad essere considerati uno dei nomi di spicco della scena prog metal internazionale. Un genere per anni prolifico, ma da tempo incapace di rigenerarsi e quindi piegato su sé stesso, vittima dell’eccessivo tecnicismo dei musicisti. Ma con i Methodica questo pericolo è scongiurato, come dimostrano le melodie ariose di “Searching For Reflections”, l’album di debutto – pubblicato dai veterani dell’Underground Symphony – che sta ricevendo consensi unanimi dalla critica internazionale. In un mondo musicale che brucia tutto in pochi mesi, è confortante scoprire che una band arriva all’esordio in età matura e si gode tutto con la giusta dose di entusiasmo. Li abbiamo intervistati anche per capire come si vive un momento come questo e quali sono i nuovi obiettivi. In un mercato discografico caotico e confuso, dove tutti divulgano dischi senza ritegno, vorrei capire come è possibile che una band come la vostra, abbia dovuto aspettare dodici anni per pubblicare l’album di esordio. I Methodica nascono in effetti nel 1996, ma con una formazione quasi completamente diversa rispetto a quella attuale. C’erano altre persone alla voce, tastiere e chitarra; per quest’ultima, poi, si sono avvicendati diversi musicisti. Tutto ciò ha causato notevoli problemi e rallentamenti alla nostra band, ma nonostante tutto siamo riusciti ad avere dei brani pronti già nel 2005. Finalmente l’arrivo del chitarrista giusto nel 2006, Marco Ciscato, ci ha permesso di iniziare a concretizzare i nostri progetti e di dare forma definitiva ai vari pezzi, e grazie allo spirito di gruppo che ci unisce, abbiamo deciso di fare il grande passo: registrare le canzoni e cercare un’etichetta discografica disposta a puntare su di noi. In realtà, quindi, i Methodica come li vediamo oggi sono un combo più recente, è bastato trovare il giusto mix di persone per dare vita a “Searching For Reflections”, il nostro album. I brani che addobbano “Searching For Reflections” sono il frutto di tutti questi anni di Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 lavoro o rappresentano solo i Methodica degli ultimi anni? E il vecchio materiale non utilizzato perché è stato scartato? I brani rappresentano sia i Methodica più recenti sia quelli di qualche anno fa, dopo l’ingresso alle tastiere di Marco Baschera, il primo delle new entry. I vari cambi di line up hanno contribuito, poco o tanto, a modificare e personalizzare lo stile dei brani, ci sono state idee che sono rimaste come segno indelebile del passaggio di questi musicisti. Possiamo dire che il nostro album è un riassunto dei dodici anni di vita della band, e di tutto quello che è avvenuto all’interno. Un riassunto implica quindi di dover tenere delle cose e di toglierne altre. Il vecchio materiale non utilizzato in realtà non è stato scartato, c’è ancora: se l’abbiamo messo da parte è soltanto perché l’abbiamo ritenuto non in linea con lo stile di “Searching For Reflections”; ci sono anche altri brani che sono stati composti per il prossimo futuro, sono gli “ingredienti” per il nuovo album. Voi avete iniziato come cover band, omaggiando i vostri idoli, i Dream Theater in particolare. Oggi suonare cover sembra essere l’unica via possibile o quasi per ottenere degli ingaggi nei locali. Cosa pensate di questa situazione e secondo voi perché il pubblico di massa preferisce ascoltare le solite canzoni, indipendentemente dalla qualità, piuttosto che dedicare attenzione a delle nuove proposte? Punto dolente, quello dei locali che vogliono principalmente cover band, ma purtroppo vero. Se guardiamo la faccenda dal punto di vista dei gestori dei locali, è chiaro che loro preferiscono le cover bands perché assicurano un’affluenza di clientela maggiore rispetto ad una band che propone le proprie canzoni, meno (o per niente) conosciute. A molti gestori non interessa la band in sé, interessa principalmente riempire il locale; a volte il gruppo che suona funziona da sottofondo musicale più che da attrazione della serata. Chiaramente non è sempre così, ci sono titolari di locali sinceramente appassionati di musica, che propongono serate di musica originale con band anche sconosciute, ma sono una minoranza, purtroppo. Per quanto riguarda il pubblico di massa, probabilmente andare alla ricerca di qualcosa di nuovo, ascoltare canzoni mai sentite prima, comporta uno sforzo non indifferente, troppo faticoso. Meglio stare su quello che si conosce già. Per fortuna c’è anche un pubblico che si accosta con curiosità alla musica originale, e speriamo che questo tipo di pubblico ci sia sempre e sempre più numeroso, altrimenti si rimane fermi, non c’è crescita musicale e mentale, né varietà di proposte. Dietro la storia dei Methodica c’è anche un episodio drammatico, ma allo stesso tempo di grande forza emotiva. Il vostro batterista a causa di un incidente in moto nel 2004 ha subito l’amputazione di un piede, ma grazie alla nuova chirurgia e alla sua forza di volontà è
t ornato non solo a camminare, ma anche dietro le pelli delle sua batteria. Come avete vissuto umanamente quel momento e come è stato condividere con lui la speranza di poterlo riavere con voi nel gruppo? Il giorno in cui è successo l’incidente ci saremmo dovuti trovare come al solito in sala prove per suonare, invece ci siamo ritrovati tutti insieme in ospedale aspettando notizie dai medici, assieme ai familiari di Marco. In quel momento l’unica cosa positiva a cui aggrapparsi era il fatto che Marco era ancora vivo, per il resto erano nubi nere, molto nere, non tanto per il futuro della band, anche se non era mai stato così in forse come in quel momento, quanto per la salute e il futuro di Marco. Ci chiedevamo cosa sarebbe successo, non riuscivamo a trovare una risposta. La risposta ce l’ha data Marco, che ha avuto tempi di recupero fisici e Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 soprattutto psicologici che hanno stupito tutti quanti. Pur consapevoli delle difficoltà che ci sarebbero state per lui per tornare come prima, la sua forza di volontà ha dato un’iniezione di ottimismo a tutti noi. Solamente un mese dopo l’incidente è tornato in sala prove, dietro ai tamburi a suonare. È stato un esempio di vita e di coraggio per tutti. Molto toccante è stato il concerto del febbraio 2005 al Moulin Rouge di Verona, prima uscita live dopo l’incidente: Marco, ancora senza protesi, ha suonato con un piede solo. Più che un concerto è stata una festa di bentornato e di un nuovo inizio. Considerando che la vostra non è musica istintiva, ma che invece richiede impegno e condivisione, come lavorate in fase compositiva? Anche per voi vale il motto che vuole la creatività al meglio solo quando in sala prove ci sono litigi e discussioni? Beh, la creatività per fortuna non passa inevitabilmente dai litigi, almeno per quanto ci riguarda. Più che altro, nel nostro caso parliamo e discutiamo di quello che può star bene o meno in un determinato pezzo, lo proviamo per vedere se suona bene, se non si adatta cerchiamo e studiamo qualcos’altro. Tutti sono coinvolti e tutti possono dire la loro, l’idea buona può arrivare da chiunque. Per quanto riguarda la struttura dei brani e le idee iniziali, di solito è il nostro tastierista Marco Baschera che propone i primi riff, se li registra per conto suo in sala prove con midi, tastiera e chitarra in stile heavy metal, poi ce le fa ascoltare. Spesso io e lui ci troviamo per studiare la struttura definitiva del brano, io aggiungo le melodie vocali, e il brano comincia a prendere forma. Gli arrangiamenti e le successive elaborazioni vengono studiate da tutta la band insieme, fino ad arrivare al risultato finale, che per noi deve essere piacevole da ascoltare pur nella sua complessità, e deve mantenere una certa spontaneità. La critica ha speso elogi di ogni tipo per il vostro album. Vi aspettavate un’accoglienza di questo genere e secondo voi perché i Methodica non vengono definiti la solita prog metal band tecnica, ma al contrario a vincere non è la tecnica, ma le canzoni? Siamo rimasti molto sorpresi dai complimenti che ci hanno riservato , sono andati oltre le nostre aspettative. La critica ci definisce diversi dalle solite prog metal band probabilmente per il fatto che comunque le nostre canzoni, come dicevo prima, sono orecchiabili e hanno delle melodie spesso facili da ricordare pur essendo elaborate e ricercate. Spesso i brani presentano un sound Seventies mescolato a suoni più moderni: questo miscuglio nasce dalle nostre molteplici influenze musicali, che passano dal progressive anni 70 al rock e al metal degli 80. A noi interessa fondamentalmente una doppia ricerca, nella composizione dei brani: uno stile ricercato e ricco, ma al tempo stesso melodico, il che non significa comunque poco studiato o poco ragionato. Il risultato che vogliamo ottenere è una musica apprezzabile sia dagli intenditori del progressive sia da chi ascolta altri generi musicali. Noi puntiamo sia sul feeling, sul lato emozionale della musica, sia sulla tecnica, perché secondo noi il giusto equilibrio tra questi due elementi riesce a creare brani che sanno arrivare al cuore dell’ascoltatore Dopo tanti anni di gavetta, finalmente sono arrivate un po’ di soddisfazioni, ma cosa vi aspettate da adesso in poi? Innanzitutto ci godiamo questo momento di soddisfazioni, sperando che duri ancora un bel po’; nel frattempo stiamo organizzando dei concerti per promuovere il nostro disco, sperando Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 di avere un buon riscontro anche di pubblico. Abbiamo appena girato il videoclip di “Neon”, brano di apertura del disco, per la regia di Cristian Biondani, uno dei registi di videoclip più quotati a livello nazionale, che ha lavorato, tra gli altri, con Vasco Rossi, Laura Pausini e Tiziano Ferro. E poi, soprattutto, stiamo già pensando al secondo disco. Le sorprese da parte dei Metodica non sono ancora finite. Contatti: www.myspace.com/methodicaband Gianni Della Cioppa Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Misero Spettacolo Raccontare i Misero Spettacolo non è di certo impresa semplice: la loro musica è un po’ tantrica e un po’ teatrale, impossibile da definire in termini di genere. Per ora possiamo dirvi che vengono da Bologna, che hanno collaborato con i Manetti Bros e che sono apparsi su Rai Due con il brano "La druda e il soldato", colonna sonora de "L'ispettore Coliandro". In occasione dell’uscita del loro secondo lavoro – “L’inconcepibile” (Zeta Factory/Venus) – li abbiamo intervistati per approfondire tematiche, influenze e progetti futuri. Cominciamo. Se dovessi descrivere i Misero Spettacolo con quattro parole quali useresti? E perché? Cantautorato, teatro, filosofia e tantra. Cantautorato perché è il termine più semplice per descrivere la nostra musica. Dice tutto ma non dice nulla. Raccontiamo le nostre storie, le nostre emozioni e le nostre idee tra musica e parole, cercando di sfuggire ad ogni descrizione che potrebbe racchiudere la nostra musica in un genere particolare e preciso. Cerchiamo di percepire e fare musica a 360 gradi, senza alcun filtro o legge di mercato. A volte qualcosa viene fuori è assomiglia ad un rock, altre volte al folk, altre ancora al blues o al jazz e chi più ne ha più ne metta. Quello che conta è che vengano fuori canzoni! Teatro perché ci riteniamo, in particolar modo dal vivo, abbastanza teatrali, viviamo una vita diversa per ogni canzone che eseguiamo, la recitiamo, entriamo nei personaggi e ogni giorno sul palco percepiamo diverse emozioni che ci permettono di vivere sempre in modo diverso le nostre canzoni. Ed è forse grazie a questa visione che i nostri spettacoli sono sempre diversi tra loro! Filosofia perché presuntuosamente, ma del resto anche naturalmente, facciamo un po’ di filosofia con la nostra musica, scavando sempre più a fondo, nelle nostre viscere. Ogni canzone parte da una tesi e si sviluppa sviscerando cause e conseguenze di un dato fatto, seguendo un processo matematico e logico tipico della filosofia. Infine tantra perché viviamo la nostra musica come un’estasi spirituale e corporea che parte dalla realtà e trascende la stessa realtà in un movimento che segue una linea circolare, proprio come la linea spazio-temporale descritta dalla teoria della relatività. Ci sentiamo un po’ come ipotetici Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 astronomi che con un paradossale cannocchiale cercano di vedere il fondo dell’universo e si accorgono di star spiando se stessi, di spalle, la propria nuca, parte anteriore di un volto dinanzi ad un cannocchiale che cerca di intravedere il fondo dell’universo... Un movimento circolare tantrico, appunto! Come nasce il progetto Misero Spettacolo e con quali obiettivi? C’è un episodio particolare (ma puoi sceglierne anche uno banale) che segna la genesi del gruppo? La data di nascita del progetto coincide con la data di nascita di ogni componente che ha deciso di farne parte. E’ come se per noi fosse sempre esistito. Nasce per dar voce ai suoi componenti che un bel giorno si accorgono di poter capire e comunicare emozioni e idee solo tramite la musica e scelgono il nome “Misero Spettacolo” in onore di quel Misero Spettacolo offerto dalla vita e da una società ipocrita che tanto cercano di combattere, per poi accorgersi di farne parte a tutti gli effetti. Ed è per questa ragione che decidono di chiamarsi così. Ricollegandoci alla risposta alla prima domanda... Leggendo un po’ di articoli e recensioni su di voi, sono rimasta sorpresa dalla quantità di generi musicali che vi vengono attribuiti: dal folk al rock, passando per il cantautorato, il jazz e l’indie. Allora, ditemi, è possibile o no definire in termini di genere la musica dei Misero Spettacolo? Francamente spero non sia possibile racchiudere la nostra musica in un genere musicale canonico. Ci piacerebbe non essere incanalati in nessuna corrente perché non sentiamo di appartenere a nessuna corrente in termini di genere. Del resto, come sosteniamo nel nostro primo album, “Tutto è un’opinione”, anche i generi musicali per noi non sono altro che un’opinione. Facciamo musica e per noi è l’unica cosa che conta! Come avete concepito, realizzato e costruito il vostro nuovo album, “L’Inconcepibile”? Si tratta davvero di un concept? Durante la promozione del nostro primo disco “Tutto è un’opinione”, una serie di eventi personali ci ha portato a comporre più di trenta canzoni. Quando il nostro produttore Gabriele “Rusty” Rustichelli, a distanza di un anno dal primo disco ci ha proposto di iniziare a lavorare alla nostra seconda pubblicazione, abbiamo avuto due settimane per scegliere e decidere le canzoni che avrebbero dovuto farne parte. In quelle due settimane ci siamo accorti che le ultime canzoni composte avevano un unico tema conduttore e da qui l’idea di realizzare un concept album che girasse intorno al secondo principio della termodinamica e la sua filosofia naturale. E così naturalmente nasce “L’inconcepibile”, secondo capitolo della nostra storia che guarda caso segue un primo concept album, “Tutto è un’opinione”, costruito invece intorno alla teoria della relatività. Due leggi fisiche che dominano e regolano la vita di tutti i giorni. Successivamente, per quindici giorni, siamo entrati in studio e, sotto la supervisione artistica di Gabriele Rustichelli, abbiamo pre-prodotto sedici canzoni selezionate tra le tante. 24 ore su 24, abbiamo arrangiato i brani in due settimane e abbiamo lasciato fuori una sola canzone dal titolo “L’inconcepibile” che è poi diventato il titolo dell’album. Qual è il vero punto di forza del vostro nuovo disco? E, con un po’ di autocritica, sapreste evidenziare un punto di debolezza? Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Eh! Bella domanda, che rischia di farci cadere nel vortice della falsa modestia! Sinceramente credo che il punto di forza del nostro nuovo disco sia dato da una varietà di stili e composizioni sempre differenti tra loro, che caratterizzano ogni singola canzone, che si intrecciano e regalano al lavoro una varietà di suoni e liriche spero mai scontati. Il tutto ottimizzato da una produzione artistica che ha saputo capire e impreziosire le nostre idee al meglio. Il punto di debolezza?... Perché, c’è davvero un punto di debolezza?... Scherzo! Credo francamente con il senno di poi che il disco sia piuttosto lungo. Del resto avevamo materiale per fare un doppio album e così abbiamo deciso di racchiudere al prezzo di un solo lavoro quello che avremmo potuto racchiudere in un album e un EP. Tant’è vero che il disco si divide in due parti: un album vero e proprio seguito da una “Trilogia” e una bonus track che concludono il discorso del concept album “legato all’intimo disordine dell’ordine individuale”, come qualcuno lo ha definito in una recensione. Un disco lungo può non essere così incisivo ma avevamo troppe cose da dire e abbiamo preferito rischiare! Nei vostri testi parlate del male della società e del male di vivere, affrontando il discorso da varie prospettive e punti di vista. Pensate che la musica possa cambiare, o magari migliorare, il mondo in cui viviamo? Premetto: credo che la musica, come ogni altra forma d’arte, abbia un ruolo fondamentale nella crescita della sensibilità collettiva e individuale. Credo che la crescita sensibile sia un valido concime per accrescere la fertilità della curiosità. A sua volta credo che la curiosità sia la madre della fantasia e quest’ultima la porta della rivoluzione. Se “la storia siamo noi”, intesi come uomini, dipende tutto da noi. Soffriamo, ci lamentiamo, odiamo e sbagliamo, ma siamo sempre e solo noi che possiamo cambiare il corso della nostra vita, perché siamo parte del mondo in cui viviamo. Con la musica, noi personalmente, cerchiamo di render pubblico il nostro contributo e il nostro sforzo per cambiare intanto noi stessi. Partiamo dal nostro microcosmo perché è parte del macrocosmo! Come dicevate all’inizio, c’è qualcosa di teatrale nella vostra musica, come anche qualcosa di filosofico, di ironico, di poetico... A quali modelli vi ispirate, se ci sono? Rispondo con una frase già fatta ma che racchiude il nostro pensiero: “In natura nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”... le nostre influenze sono nascoste in ogni angolo del mondo, in ogni forma d'arte, in ogni essere vivente, in ogni oggetto, dovunque e in nessun posto... Me la sono giocata bene questa, eh? Ho visto il video del singolo "La maculata di Laura", scritto, diretto e prodotto dai Manetti Bros. Come è nata l’idea e qual è stato il percorso di questa collaborazione? Grazie all’universo delle colonne sonore, al quale ho iniziato a lavorare anni fa, sono entrato nel mondo del cinema e ho avuto la possibilità di conoscere questi favolosi personaggi che sono i Manetti Bros. Con loro è nata nel corso degli ultimi due anni un’amicizia sincera. Una sera, durante un aperitivo, davanti ad un buon bicchiere di vino, con i Manetti e una nostra amica in comune, di nome Laura appunto, è nata l’idea di realizzare un videoclip che avesse come protagonista la stessa Laura e la sua caratteristica bicicletta maculata (quella del video) per le strade di Bologna. L’idea c’era ma mancava la canzone. Due giorni dopo ho scritto una prima versione che poi si è trasformata ed è diventata “La maculata di Laura” come la si conosce oggi grazie a diversi avvenimenti che mi hanno portato ad entrare nel personaggio e a diventare io stesso la Laura della canzone. Tra mail, telefonate e aperitivi, Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 abbiamo discusso a lungo del videoclip fino alla sua realizzazione avvenuta lo scorso febbraio. Durante tutto ciò sono nate altre collaborazioni tra le quali la nostra apparizione nel ruolo della band “I banditi” in una puntata della loro fiction “L’ispettore Coliandro”, andata in onda lo scorso Settembre su Rai Due, e per la quale abbiamo scritto e realizzato parte della colonna sonora. La bonus track “La druda e il soldato” che chiude il nostro disco, per esempio, è stata scritta appositamente per la puntata intitolata “Il sospetto”. Passiamo al capitolo Zeta Factory. Questo connubio ha in qualche modo cambiato il vostro modo di rapportarvi alla musica? Che cosa ha aggiunto al vostro lavoro di artisti? Lo Zeta Factory è una meravigliosa realtà nata a Bologna diversi anni fa, capitanata dalla direzione artistica di Gabriele Rustichelli, con l’intento di creare un circuito di artisti che crescono insieme facendo musica e aprendo uno spiraglio nuovo sull’indipendente italiano. Il mondo dei Misero Spettacolo ha iniziato a gravitare attorno allo Zeta Factory circa tre anni fa, dopo una lunga gavetta fatta da oltre trecento concerti e registrazioni casalinghe. Il confronto con la realtà Zeta Factory e tutto ciò che vi gravitava attorno è stato fondamentale per una presa di coscienza di quello che è il mondo musicale oggi in Italia e per una crescita artistica basata su scambi di idee, nottate passate a suonare, a chiacchierare e filosofeggiare dando vita ad una famiglia che ha creduto in noi e continua a sostenerci. Oggi lo Zeta Factory si è spostato a Carpi in una struttura fantastica e con l’intento di allargare sempre di più i propri orizzonti artistici. Certo, se oggi abbiamo due pubblicazioni all’attivo, oltre 250 concerti per il nostro primo disco e tanta voglia e forza per continuare a scrivere e suonare, lo dobbiamo in gran parte allo Zeta Factory e a Gabriele Rustichelli che ormai consideriamo il quinto componente della band, per non essersi mai arreso, per la sua pazienza, per le sue preziosissime idee e per l’amicizia e stima intramontabile che ci lega. Cosa ha in serbo il futuro per i Misero Spettacolo? Come pensate di muovervi, a partire da domani, nell’ambiente musicale? Tanti live, immagino, e poi? Il futuro è sempre un’incognita X come dimostra il discusso “secondo principio della termodinamica”, e perciò stiamo lavorando intanto al presente. Ben detto per i live! In ogni sua forma s’intende. Abbiamo in serbo spettacoli di vario tipo, dall’elettrico all’acustico che ci ha sempre caratterizzato. Mentre è già iniziata una collaborazione con il poeta milanese Mario Moroni per il quale abbiamo musicato una poesia che tratta dal suo ultimo libro “Il primo passo”. La canzone s’intitola “Primo settembre di noie” e presto la pubblicheremo. Abbiamo in programma diverse esibizioni per le sue presentazioni che musichiamo intervallandole a nostri brani e a jam session con un’altra band milanese, i Santajegorah. Presto sarà possibile acquistare on-line anche “L’inconcepibile” mentre “Tutto è un’opinione” è già disponibile su iTunes e molti altri portali. Entrambi sono nei negozi di dischi o perlomeno ordinabili e, naturalmente, sempre disponibili ai nostri concerti o richiedendoli sul nostro sito. Abbiamo in cantiere un nuovissimo spettacolo acustico nella forma teatro-canzone che stiamo ancora scrivendo ed infine un nuovo videoclip per il nostro prossimo singolo che vedrà una preziosa collaborazione con un’interessantissima realtà bolognese. In realtà ci sarebbero ancora un sacco di idee, progetti e collaborazioni che sono in cantiere e che prima o poi si svilupperanno. Teneteci d’occhio. Forse vi stupiremo! Evviva la modestia! Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Grazie mille! Grazie di cuore a te e a tutta la redazione del Mucchio. Un saluto a tutti i lettori e occhio alle leggi fisiche moderne, che anche se regolano l’andamento dell’universo, si contrappongono ad un verso storico: “... ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia...” (“Amleto” - W.Shakespeare) Contatti: www.miserospettacolo.it Federica Cardia Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 (am) Soundtrack autoprodotto Lo hanno capito anche i parrucconi delle major. Per incuriosire il pubblico, alla musica bisogna almeno provare ad offrire un involucro attraente: basta scatolette di plastica anonime, ma digipack, tirature limitate, copertine simil-vinile, cartonati apribili a due e tre ante ed esagerando dei box con gadget e molto altro. Hanno seguito questo percorso gli (am), un duo che dopo aver registrato dodici canzoni che percorrono rigagnoli di elettronica, elettroacustica e – come dicono loro stessi – anche musica sperimentale, hanno racchiuso il tutto in una splendida cornice. Infatti il CD è confezionato in un astuccio rettangolare di cartone rigido, ricoperto di stoffa e il libretto interno è una piccola opera d’arte di disegni, immagini e foto. E tuttavia, nonostante ciò, la custodia è un omaggio alla sobrietà estetica, esattamente come la musica di Michele ed Alessandro, che amano inoltrarsi nei corridoi compositivi di Lali Puna, ultimi Radiohead e, come da tributo della doppia parentesi dove custodiscono il nome, Sigur Rós. In un’altalena di note ricamate da tastiere di ogni tipo e melodie che vagano, fuggono e ritornano, perfette per essere la “colonna sonora” di questo autunno gelido e piovoso che sembra non finire mai, gli (am) ricamano un album delicato e allo stesso tempo corposo. Citare dei titoli sarebbe veramente riduttivo: quello che colpisce tra questi solchi, nonostante qualche ritmo danzante, è quel senso di pacatezza e comunque decisione che traspare dalle melodie, spinte da una reale ispirazione, che si coglie ad ogni ascolto. Se avete letto abbastanza per essere curiosi correte sul MySpace di questo duo, sarà possibile scaricare gratuitamente l’album. Anche se avere la versione fisica è davvero tutta un’altra soddisfazione. Contatti: www.myspace.com/infoam Gianni Della Cioppa Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Alcova Muscolo cuore Stigmata Gli Alcova sono un quartetto lombardo, al debutto su Stigmata Records con questo “Muscolo cuore” (sottotitolo: “Respirare a tempo di musica allevia i sintomi dello scompenso cardiaco”). Un disco attraversato da temi emotivamente alti e senza dubbio sentiti, che tuttavia non riesce a veicolarli con grande convinzione. Peggio, carica le canzoni fino all'inverosimile di una teatralità che pochi riescono a maneggiare senza scottarsi e senza finire nel trash e nell'autoparodia. È evidente che i quattro ci giochino, e non si prendano sul serio, ma il punto è che se, sulla carta, l'universo creato dal gruppo potrebbe essere quello dei primi Litfiba o del primissimo Faust'O, nei fatti poi queste canzoni evocano bizzarri ma non necessariamente riusciti inni emo rock (non nel senso originario però, ma in quello che va oggi per la maggiore) in salsa Frankie Goes To Hollywood. Al di là della presenza vocale di Francesco Ghezzi, costantemente sopra le righe ma dotata di indubbie capacità istrioniche, sono gli arrangiamenti ad essere di una ovvietà disarmante, una miscela di chitarre ordinariamente distorte, cassa dritta, basso new wave e tastiere parasinfoniche. Speriamo che la nostra severità non venga scambiata per snobismo ma, al di là delle evidentemente ottime intenzioni, per chi scrive il risultato stenta a decollare. L'estetica dell'eccesso è, ahimé, una scienza quasi matematica. Basta poco per creare una amalgama che non funziona. Ma basta anche poco, a volte, se si persevera, per trovare la giusta formula. Contatti: www.alcova.it Alessandro Besselva Averame Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Amari Poweri Riotmaker/Warner Sarà uno strano destino, quello di “Poweri”: essere il miglior disco degli Amari così come quello meno considerato. Al di là delle stroncature di “Rockit”, dove ormai con una certa regolarità cadono nell’errore titanista del “io ti faccio, io ti distruggo” esagerando prima nei complimenti per poi far cadere mannaie, questo LP è perfettamente sensato, degno e ragionevole se considerato nel contesto della discografia della band. Non è sicuramente un capolavoro, ma ad ascoltarlo bene segna degli aggiustamenti su alcuni aspetti piuttosto importanti e su cui il gruppo friulano ogni tanto non riusciva ancora a trovare il piglio giusto. Scorre molto di più, musicalmente: si vengono a perdere definitivamente le tendenze a inanellare passaggi un po’ involuti e inutilmente complicati, caratteristica che affliggeva i primi lavori soprattutto, ma in parte presente anche in quelli della consacrazione indie. È molto più maturo, testualmente: gli Amari abbandonano ogni vibrazione esistenzial-malinconico-emo-furba e tirano fuori le migliori liriche della loro carriera. Nitide, talora ironiche, mai autocompiaciute, mai fintamente intimidite. Certo, rimangono ancora margini di miglioramento, talora lo scheletro sonoro resta troppo esile rispetto a quello che potrebbe (dovrebbe) essere, ci sono caduteè sono risultati di solidità artistica a cui gli Amari mai erano arrivati prima, e a cui di sicuro non erano arrivati quando la scena indie faceva a gara adè diversa. Triste una scena dove si è così è – ma questo non è (più) un problema degli Amari. Contatti: www.myspace.com/gliamari Damir Ivic Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Annie Hall Carousel
 Pippola/Audioglobe La situazione è curiosa: da una parte di Brescia i Le Man Avec Les Lunettes con il loro sound alla Lennon e un'attitudine brit fino al midollo; dall'altra i concittadini Annie Hall, affezionati a una concezione di pop che presenta più di un punto di contatto con la tradizione americana (pur citando, nel contempo, quella inglese). Entrambi impegnati a far maturare una musica che disco dopo disco si rivela sempre più indipendente e capace di camminare con le proprie gambe. 
Come accade anche in “Carousel”, secondo disco degli Annie Hall – l'esordio “Cloud Cuckoo Land” risale al 2007 - e passo in avanti deciso nella definizione dell'immaginario del gruppo. Quest'ultimo sempre più vicino alle raffinatezze degli ultimi Wilco - come rivelano brani come “Jelly's Dream” - e in generale teso a una musicalità componibile capace di lavorare sul dettaglio, attratta dalle armonie vocali, persino ricercata nel suo conciliare malinconie su chitarra acustica e voce (“Rainy Day”) a brani più strutturati. Tra gli undici episodi del disco si coglie un Elliott Smith di sghimbescio (“Moening News”), certi Beatles da cabaret cesellati da un country in prestito (“Violet”), rimembranze Mojave 3 (“Here Is Love”), per un'opera che conquista fin dal primo ascolto. Da un lato per l'estrema cura con cui è realizzata, dall'altro per il soppesare ragionato di una scrittura che riesce ad essere equilibrata e creativa al tempo stesso. Contatti: www.myspace.com/unclepig Fabrizio Zampighi Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Appaloosa Savana Urtovox/Audioglobe Sono addirittura quattro gli anni che separano l'eccellente “Non posso stare senza di te” dei livornesi Appaloosa dal successore “Savana”. Ma non c'era pericolo che ci dimenticassimo di loro: gli strumentali di quel disco, riuscitissimi esperimenti a cavallo tra funk mutante, noise, post-rock angolare ed elettronica umana, non erano affatto passati inosservati. Anche questa volta l'energia sprigionata è notevole nonostante risulti, a prima vista, un po' più astratta: non parliamo di pulizia formale però, quanto di una sana attitudine all'utilizzo spregiudicato dello studio di registrazione. I quattro osano infatti di più, lasciandoci spiazzati – ma ben felici di esserlo – con una aliena “Mons Royal Rumble”, una specie di funk piombato lì dagli anni 70, sinuoso e lascivo, immerso in tastiere ambient e lontani echi di fiati, attraversato da chitarre con il groove nel DNA e da una voce perfettamente calatasi nella parte. Altrove la band sembra voler raccogliere l'eredità post-rock dei Trans Am (quelli più creativi degli anni 90), oppure scherza a suo modo con l'etnomusicologia (“Chinatown Panda”). La prova definitiva del coraggio di questo disco, se proprio ne occorresse una, è però “Giù”: il miracolo non è costituito da quattro livornesi che ospitano la voce e la chitarra di un pisano, Appino degli Zen Circus, ma dal fatto che riescano ad imbastardire questi ultimi con gli Zu, trascinando il tutto un vortice di luciferina follia. Contatti: www.myspace.com/appaloosarock Alessandro Besselva Averame Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Beaucoup Fish Lascio tutto Melunera/Venus A tre anni e qualche mese di distanza dall'esordio “Come l'acqua”, i cremonesi Beaucoup Fish tornano con un secondo disco che, senza allontanarsi troppo dal precedente, ne delimita altrettanto bene la proposta e mette ancora una volta in luce doti compositive di tutto rispetto. L'ambito è come sempre quello di un rock-pop (perché è su quest'ultimo macrogenere che va posto l'accento) raffinato e avvolgente, in cui languore e romanticismo abbondano ma non passano mai la misura, allo stesso modo in cui le asperità vengono addolcite e addomesticate senza però che si scada mai nel plasticoso o nell'artificioso. Solo all'apparenza pianeggiante, il terreno su cui si muove la band è invece dei più ricchi di asperità, ché non è affatto semplice coniugare assoluta accessibilità e – sacrosante, in questo caso – velleità commerciali-radiofoniche con uno spessore artistico degno di tal nome. Destreggiandosi con maestria tra dolcezza e malinconia, sussulti ritmici sottopelle e orchestrazioni anche massicce (a cura di Davide Rossi), vibrazioni elettroacustiche e fiati, i cinque danno vita a undici brani che magari diranno poco a chi nella musica cerca sangue, sudore e distorsioni, ma sapranno emozionare chi al mero impatto sonoro preferisce raffinatezza ed eleganza non ostentata. A partire dall'iniziale “Imperfetto”, che evoca con stile i Coldplay senza ricordarli troppo apertamente. Contatti: www.myspace.com/beaucoupfishbeaucoupfish Aurelio Pasini Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Comaneci You A Lie Madcap Collective/Fooltribe/Here I Stay Della formazione che aveva registrato “Volcano”, nel 2007, è rimasta la sola Francesca Amati, voce e chitarra, accompagnata ora dal chitarrista Glauco Salvo: la musica dei Comaneci non ha però perso la sua qualità più evidente, una leggerezza che solo l'orecchio distratto può percepire come impalpabile o poco persistente. La scelta di muoversi in punta di piedi, dicendo il minimo indispensabile, continua ad essere vincente, all'interno di un suono che in qualche misura si è fatto più solido e classico, più cantautorale insomma. Undici brani brevi registrati da Mattia Coletti e prodotti artisticamente da Bruno Dorella che tributano omaggio a una certa scuola statunitense (Cat Power, ma anche i Low, e mille altri luoghi frequentati da un'America che riscopre radici ancestrali) trasformando gli spunti, come abbiamo detto, in una personalissima ricerca dell'emozione sul filo del silenzio, con un banjo che appare improvvisamente, qualche nota di violoncello, le chitarre acide che portano altrove, viaggiando della mente più che nello spazio in “On My Path”, una canzone disperata, lacerante. Sono canzoni di ambientazione rurale, intrise di umori introspettivi e desolazioni paesaggistiche, dotate di una intensità che va ben oltre la semplicità della ricetta base. La maturazione ulteriore di una idea che, se in origine aveva azzeccato il mood al primo colpo, ora ha i mezzi per amplificare il proprio suono e renderlo più udibile. Contatti: www.maledetto.it Alessandro Besselva Averame Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Gerardo Attanasio Vivere lento autoprodotto Napoletano, classe 1983, Gerardo Attanasio arriva con “Vivere lento” all'esordio discografico ufficiale, e lo fa con una raccolta di canzoni all'insegna di un cantautorato che sa essere al contempo classico e moderno. Da una parte, infatti, viene in mente più di una volta il nome di Fabrizio De André, nella costruzione e nella metrica delle frasi e nella scelta delle parole; dall'altra, invece, è innegabile come, pur nella loro innegabile classicità, le sonorità e le soluzioni produttive non hanno davvero niente di vecchio o passatista. Raffinato cesellatore di suoni e di frasi, Attanasio – che oltre a cantare suona chitarra e tastiere – si mantiene in equilibrio tra avvolgenti ballate acustico-pianistico-orchestrali e impulsi rock, dosando di volta in volta le componenti senza che una abbia mai la prevalenza assoluta sulle altra. Vi sono tracce di folk a stelle e strisce, ma anche di canzone d'autore tricolore, schegge di poesia e occasionali esplosioni di rabbia elettrica. E se, al momento di citare qualche titolo, è impossibile non nominare la multiforme “A colei che è troppo gaia”, “Billy The Kid” e “Irene”, anche il resto del programma regala buone soddisfazioni, mettendo in mostra doti di scrittura e di arrangiamento di tutto rispetto (eccezion fatta per una “In video veritas” che vorrebbe esser muscolosa ma si rivela subito spuntata). Davvero un buon inizio, che ci auguriamo sia solo la prima tappa di un cammino pieno di soddisfazioni. Contatti: www.myspace.com/gerardoattanasio Aurelio Pasini Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Giuseppe Cucè La mela e il serpente TRP Music Reduce dal recital-tributo a Luigi Tenco “Oltre le nuvole”, nel quale si è misurato con una quindicina di brani del grande cantautore piemontese, Giuseppe Cucè perviene al debutto discografico. Si tratta di un buon debutto, suonato con sobrietà acustica e bravura, valido quale prima tappa per cominciare un percorso d’autore. Un percorso nel quale – va da sé – il cantautore di Catania dovrà però trovare e mettere a punto il proprio tono, una voce (d’autore) più personale che si erga su tanghi e bosse. In questo senso “La sposa” (qualche debito verso la concittadina Carmen Consoli) e “Ghiaccio sul fuoco” sono buoni esempi di canzone d’autore che potremmo definire “del ripensamento”, con il bel violoncello di Alessandro Longo sugli scudi. Dove convince meno Cucè è nei brani più tambureggianti, come “Offese” e la title track “La mela e il serpente”, che possono risultare un po’ stereotipate: in esse quella “voce” si avverte meno. È davvero rimarchevole la “pillola tenchiana” offerta in coda all’album, tratta dal progetto “Oltre le nuvole”: “Vedrai vedrai” rifatta così è una delle più belle cover di Tenco mai sentite. Tradisce l’originale quanto basta, con le chitarre elettriche sghembe e i violoncelli sovrapposti, prendendosi le sue licenze armoniche, per poi restituirci, forse, la maniera in cui Tenco la rifarebbe. È questa la strada che Cucè deve seguire, a nostro avviso. Quasi tutti i brani sono composti a quattro mani con la cantautrice e chitarrista classica Gabriella Grasso che risulta infine un vero e proprio alter-ego del titolare. Al cantautore siciliano potrà soltanto giovare in futuro un pizzico di malizia compositiva in più. Contatti: www.giuseppecuce.it Gianluca Veltri Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Helena Verter Questione di ore Sana/Venus L'aggressività musicale, la forza delle parole (nulla di sconvolgente, ma enunciato con convinzione), e anche una certa ingenuità riconducibile, nella mente del recensore, a certe pagine degli Üstmamò degli inizi, o ancora agli Scisma di “Negligenza” nella introduttiva “Squali avvoltoi buffoni voyeur” (ingenuità nel senso di immediatezza e assenza di costruzioni cervellotiche, di movimenti calcolati), non mancano affatto agli Helena Verter. Quello che li penalizza, a dispetto della potente ed espressiva voce della cantante Caterina Trucchia, che se a volte è un po' sopra le righe riesce comunque sempre a farsi ascoltare, sono arrangiamenti e produzione, quest'ultima affidata ad Andrea Mei, collaboratore di Gang e Nomadi. Canzoni anche interessanti e melodicamente avvolgenti come “Brividi” sprecano per strada un bel po' di potenzialità a causa della scarsa fantasia in fase di assemblaggio, foggiando certi suoni da rock radiofonico italiano che ci auguravamo fossero da tempo superati, salvati in corner, qua e là, da qualche abbellimento elettronico che però risulta puramente decorativo. A volte ci sono spiragli di originalità, in “2:00 PM” ad esempio, il ritmo saltellante dalle lontane ascendenze rockabilly puntellato da un piano elettrico jazzato, in generale però la proposta ci sembra riuscita a metà. Senza cadute clamorose, ma anche senza punte di eccellenza. Contatti: www.helenaverter.splinder.com Alessandro Besselva Averame Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 La Sindrome L’arena del peccato autoprodotto Ma che bella sorpresa. Finalmente un album di rock in italiano che gioca bene le sue carte, niente che non sia belle canzoni tessute su melodie avvincenti, con un cantante che non fa niente se non cantare bene. Cosa apparentemente logica, ma in questi tempi di originalità a tutti i costi e di confini da spostare per abbagliare, anche ascoltare del rock cantato decentemente è diventata una conquista. Il trio milanese è in giro dal 2007 con il nome di The Sin Drome, ma dopo un tour abbandona l’inglese per abbracciare l’italiano: scelta vincente, perché la voce del chitarrista Luca Salmaso pare costruita per arrampicarsi sulle strofe in lingua madre. Lo dimostrano i ritornelli delle prime due tracce, “Risvegliami” e “Indietro no”, che suonano attuali e vibranti. Ma l’intero CD poggia su un suono potente e coinvolgente, merito anche del lavoro in studio di Vincenzo Canini e Marco Barusso (uno che ha revisionato gente come Lacuna Coil ed Elio e le Storie Tese) e, ripeto, delle canzoni, vera carta vincente del gruppo, che si completa con il batterista Fabio Vicidomi e il bassista Simone Pellizzari. Spunta, vagamente ma spunta, qualche richiamo ai Negramaro, penso a “La mia vita senza me” e “Portami via”, ma si tratta di lievi ombre, peraltro non negative, mentre “La mia terra” è dedicata all’Abruzzo. In questi giorni musicalmente – e non solo – confusi, i La Sindrome giocano di chiarezza e attitudine, elargiscono riff, ritornelli, energia e melodie, cose che il rock sembra aver perso. Tutto funziona tra questi solchi, manca solo un pubblico attento, perché se canzoni come “L’arena del peccato” e la bellissima “Vertigine”, riuscissero a scovare uno spazio radiofonico, ve lo garantisco, proietterebbero i La Sindrome nel cerchio della notorietà. Per le invenzioni proseguire oltre, ma per un rock moderno, sudato e appassionato, questa è la fermata giusta. Contatti: www.lasindrome.it Gianni Della Cioppa Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Leg Leg Manta Wallace Nuovo progetto dell'instancabile Mattia Coletti, autore alcuni mesi fa dell'ottimo “Pantagruele”, un ispirato disco acustico che riuniva sotto lo stesso tetto anima folk e fingerpicking irrequieto e sperimentale, Leg Leg è, come già erano stati i Sedia, altro progetto del musicista marchigiano, una creatura a tre teste. Brani strumentali in cui la chitarra di Coletti è accompagnata dalla batteria di Riccardo Ceccacci e dal basso di Andrea Giommi, composizioni che si costruiscono per sovrapposizioni di spigoli, ritmiche dispari e figure ripetute come nella migliore tradizione math rock, con momenti che possono far pensare ai Battles (“Ibis”, la title track) ma, soprattutto, un lato ombroso, umano, organico, che alimenta la creazione di stati d'animo ben poco matematici. Una caratteristica che salta fuori tra gli interstizi delle architetture millimetriche, tra un break e un’improvvisa quanto effimera melodica; ad esempio nel ronzio che si sedimenta sul fondo della iniziale “A Roof In Spring”. È un'anima riflessiva che, nella bizzarramente intitolata “Telephone Rings From The Hand Of Summer” – a fine partita – lievita in una architettura parossistica arrivando a dissolversi in mille frammenti. Non sappiamo quanto questo disco potrà aggiungere alla tradizione che lo precede (più o meno rispettata e più o meno tradita, come deve essere), di sicuro questi ventitré minuti privi di qualsivoglia momento di risacca, lucidi, tesi e ben costruiti, sono davvero un gran ben sentire. Contatti: www.wallacerecords.com Alessandro Besselva Averame Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Lemmings Lemmings La Grande Onda/Self Spiace essere cattivi e malmostosi, ma ogni tanto è bene esserlo. Quella che state per leggere è una recensione non positiva; spiace doverla fare per un disco come questo, che in realtà ha una sua dignità, è fatto con più passione e per molti versi con anche più idee ed originalità rispetto alla media di quel che si produce in giro. Prima di scrivere abbiamo fatto tuttavia una cosa che facciamo in modo abbastanza episodico: abbiamo dato un’occhiata in rete per vedere le altre recensioni che erano già apparse. Ecco, è salito lo sconforto. Senza fare la pagella dei buoni e dei cattivi, è oggettivo che in moltissimi casi si tratta di recensioni cortesemente inutili in cui, non sapendo bene non cosa scrivere del disco, ma più precisamente non sapendo giudicare la musica, si va avanti per discorsi di circostanza. Già: il punto è che stilisticamente i Lemmings sono sfuggenti, amano mescolare faccende diverse (rock, reggae, ska, folk) e lo rivendicano orgogliosamente. Troppo complicati, per alcuni, e quindi te la cavi dall’impiccio scrivendo cose prudentemente descrittive e prudentemente elogiative. Il sospetto è questo. Al momento di raccogliere la loro rassegna stampa, i Lemmings avranno un buon gruzzolo di articoli, tutti moderatamente positivi, ma (quasi) nessuno da cui trarre qualcosa di utile. Noi, scusateci, proviamo invece a fare quello che dovrebbe essere il nostro lavoro, per quelli che sono i nostri gusti, le nostre competenze, le nostre capacità. E diciamo quindi che in questo modo la band capitanata da Ra-B non troverà mai una strada che faccia la differenza. Non ci sono colpi d’ala, non ci sono scarti improvvisi, non ci sono soluzioni più gustose o corpose di arrangiamento, ci sono testi che se hanno una buona intuizione poi infilano dieci banalità di fila; c’è una valida backing band che scarrozza in giro per stili, stando attenta ad affrontarli tutti con innocua prudenza, essenzialità e superficialità. Ogni anno escono migliaia di dischi peggiori di questo, attenzione; ma se vedi che qualcuno le capacità le avrebbe, devi essere esigente. Sennò siam qua a farci i complimenti a vicenda, senza sapere perché. Contatti: www.myspace.com/thelemmings Damir Ivic Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Luminance Ratio Like Little Garrisons Besieged Boring Machines Far collassare la chitarra acustica in liquidità ambient, field recordings, profondità sommesse e avvolgenti. Un tutt'uno ragionato e lontanissimo, in cui si mescolano suoni caldi e ribollire sintetico, strumenti analogici e freddi patterns da laptop. La creatura di Andrea Ferraris (UR, Ulna, Airchamber3, Sil Muir), Gianmaria Aprile (Ultraviolet Makes Me Sick) ed Eugenio Maggi (Cria Cuervos) lavora con lentezza, si lascia trasportare da un'indolenza aliena, svolge un tema sull'improvvisazione che vorrebbe arrivare al bilanciamento perfetto tra le parti. In una cascata di sei corde, elettronica, microfoni a contatto, vibrafono, glockenspiel, piatti, percussioni, synth, inquieta ma non inquietante, espansa ma non dispersiva. 
Sei tracce – una è un remix del disco ad opera di Paul Bradley – per cinquantacinque minuti di musica in bilico tra domeniche piovose (“Sunday Is Grey”) e fissità ancestrali (“Sullespalledellepietre”), disturbi su reiterazioni ad libitum (la title track) e droni (“Solid State Tuners”), risultato di una sensibilità estremamente variabile applicata a minimal e dintorni. Tanto che i giudizi di merito sul disco non convergeranno facilmente, tra chi ci leggerà un' autoreferenzialità spinta e chi invece – e noi siamo tra questi – riiconoscerà negli spaccati in scaletta ambienti sonori affascinanti. Contatti: www.myspace.com/luminanceratio Fabrizio Zampighi Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Mo Machine Prequel Rock Over Il prequel di solito viene dopo l'episodio principale per spiegare gli antefatti dell'intreccio. Mo Machine è quindi ciò che viene idealmente prima de La Macchina Ossuta di Francesco Bottai e Alessio Colosi, con l'aggiunta di Pino Gulli, già alle pelli di C.S.I e PGR. Il backrgound quindi è stoner, classic e hard rock; il risultato è un impasto pulito di generi radiofonici che sfociano nel nu-prog. La chitarra è la padrona di tutto, dai riff granitici agli assolo ghignanti in primo piano, con batterie rigorose e cambi di tempo precisissimi. Ci sono poi alcuni flash come ammiccamenti ai Police sul finale di “Masterpiece”, le atmosfere U2 nel seguito di “Lazarus”, jazz e lounge in “Princess Bag”, ma soprattutto Pink Floyd post-barrettiani che attraversano il disco intero e chitarre wah-wah come se piovesse. I testi non disturbano, anche se la pronuncia inglese rimane dubbiosa, non tanto per l'imprecisione, che non c'è, quanto per la poca teatralità con cui viene ammaestrata (un amico cantautore mi dice sempre che per cantare in inglese si deve recitare). I Mo Machine sono musicisti di prim'ordine, ma è emblematico come l'episodio migliore dell'album sia “Disaster Pt.1 – Once Upon A Time”, l'unica traccia essenzialmente strumentale dove i fiorentini si lasciano andare alle sperimentazioni e il sax ospite di Alessandro Bosco accompagna il viaggio svisando rock e jazz a piacere. Forse è lì che si dovrebbero concentrare i Mo Machine. Perché tutto il resto è suonato benissimo ma, come dire, la tecnica a volte appiattisce l'anima. Se questo è il “Prequel”, speriamo in un sequel migliore. Contatti: www.myspace.com/lamacchinaossuta Marco Manicardi Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Pipers No One But Us Materia Principale La cosa difficile, quando si vuol fare musica pop riferita ad un certo periodo particolare, è risultare credibili. I Pipers fanno brit-pop. E lo fanno molto bene. Sarebbe facile elencare i difetti di “No One But Us” proprio alla luce di questo. Ma la band non si vergogna, anzi. Il punto di forza dell’esordio di questa four-piece band è proprio la mancanza – se così si può dire – di ambizioni “alte” e di concentrarsi a fare il tipo di musica che vorrebbero ascoltare. Farsi forti delle proprie influenze con onestà non è mai una cosa facile, nel circo di pazzi che cerca l’originalità a tutti i costi. Ed essere sinceri e semplici è il metodo migliore per evitare di coprirsi di ridicolo. Insomma, le canzoni dei Pipers hanno dei limiti e possono essere tutte ricondotte ad un particolare album della “seconda ondata” del brit-pop (tipo “Golden Sound” e “Eveline” potrebbero stare benissimo in un album degli Embrace, “Save The Tears” e “Tonight Goodbye” sono invece figlie di un Verve minore) ma sono gradevoli, si ascoltano bene, non infastidiscono e funzionano. Qual è quindi il problema? Nessuno. O meglio, rispondere alla domanda: “A che o a chi serve un disco del genere?” non ha più molto senso perché aprirebbe troppi discorsi che qui non abbiamo il tempo di affrontare. Mascheriamoci da fatalisti e accontentiamoci delle belle canzoni. “No One But Us” è un sussidiario efficace, un manifesto programmatico di una band che vuole, con onestà, rendere omaggio alle proprie ispirazioni regalando quaranta minuti assolutamente gradevoli. Contatti: www.myspace.com/pipersonline Hamilton Santià Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Raven Sad We Are Not Alone Lizard/Eventyr/BTF/MP Non sono trascorsi nemmeno dodici mesi e siamo di nuovo qui a raccontarvi di un altro album dei Raven Sad, che con l’esordio di “Quot” avevano centrato il bersaglio con un prog (rock) psichedelico capace di cullare con i suoi tappeti di tastiere e le sue altalene melodiche. Per questo nuovo capitolo Samuele Santanna, di fatto l’unica figura titolare dietro al timone del progetto Raven Sad, è riuscito a fare ancora meglio, tracciando nelle undici canzoni dell’album un ideale percorso tra i Pink Floyd e quelli che per molto sono gli eredi naturali, ovvero i Porcupine Tree. C’è un tocco di struggente drammaticità tra i solchi di “More Life Forms” e “Meteor”, ma anche le impressioni magnetiche di “Fluttering Flags” e “To Write Me A Song”, con un incidere acustico che è poesia, emanano radiazioni suggestive che rapiscono ad ogni ascolto. Ascoltare questo album è un fluttuare di sensazioni, collegate da un'unica sensibilità, riportare la musica ad uno stadio quasi primitivo, dove le note avanzano tiepide per scavare solchi enormi dentro di noi. Ed è intrigante il fatto che il brano forse più bello del dischetto sia “Are We Alone?” che ribalta in termini interrogativi l’affermazione del titolo e del brano di chiusura, quasi a voler ribadire che niente è così certo come sembra. Anche nei passaggi cantati la sensazione è che la volontà sia quella di lasciare aperte più possibilità, infatti non ci sono ritornelli o vibrazioni definite, ma suggestioni armoniche, racchiuse in passaggi delineati anche dall’organo e dal mellotron, strumenti antichi che ben si amalgamano con più attuali tastiere e sintetizzatori. Il booklet cita una bellissima frase di Carl Sagan “Se ci fossimo solo noi, sarebbe un grande spreco di spazio”. Contatti: www.myspace.com/ravensadband Gianni Della Cioppa Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Roberto Ciambella È così che si fa Edizioni H La storia di Roberto Ciambella meriterebbe un film di Pupi Avati. Una sequela di sbalorditivi flop, insuccessi memorabili: un disco di cazzeggio disco-nipponico del 1983 dal titolo “Yokopoko Mayoko” che sfondò... il bidone della spazzatura in cui finirono le copie invendute. Musica in cantina a tutte le ore, gruppi a iosa nel circuito milanese – Cogito Ergo Sum, Magazzino dei Ricordi, Irriducibili – e un’amicizia professionale nonché personale antica con Rocco Tanica. Ma anche esibizioni memorabili, ovunque, che testimoniano un amore non comune per la musica. Peter Pan non pentito, Ciambella è giunto alla bella età di 46 anni. Ha sognato per vent’anni che si presentasse il super-produttore folgorato che, riconoscendo la sua maestria, gli dicesse: «cercavo proprio un grande artista come te, dai facciamo un disco mitico». Non è andata esattamente così, ed è per questo che Roberto ha impiegato decenni per uscire con un album suo, che lo rappresentasse. Il titolo – “È così che si fa” – dice che in fondo non era tanto difficile. Quando talento e passione sono così incoercibili, la musica è quasi una religione; vivere di musica è un obbligo, e rinunciarvi un delitto. Sotto la produzione del bassista e tastierista Massimo Spinosa, Ciambella ha messo insieme dieci composizioni chiuse nei cassetti, la cui datazione fluttua tra il 1982 – “Puerto Escondido”, non memorabile per la verità, ma vestigia della partnership con Tanica – e il 2005 (“Senza un motivo logico”, ottima). Lo stuolo dei collaboratori è a dir poco eccellente: oltre al citato Spinosa, Lucio Bardi alle chitarre, Rocco Tanica al piano, Saverio Porciello alla chitarra solista, Lola Feghali splendida corista e una magnifica sezione fiati che fa molto rhythm and blues. Il disco scorre tra goliardia e tenerezza, groove e bravura, Storie tese milanesi e Steely Dan newyorkesi. Inizia così la seconda parte della carriera del musicista. Non ci saranno da aspettare altri 46 anni, vero? Play it again, Rob! Contatti: www.myspace.com/robertociambella Gianluca Veltri Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Rodolfo Montuoro Lola – Mythologies 3 Believe È già da alcuni anni che Rodolfo Montuoro si sta costruendo un’aura personalissima nel panorama del nuovo cantautorato italiano. I suoi lavori sono sempre a tema, contenuti dentro cornici narrative e ambientazioni unitarie, e seguono tracciati fascinosi. Il nuovo cimento di Montuoro si chiama “Nacht” – “notte” in tedesco, la lingua del romanticismo – ed è una saga rock a puntate, finora edita solo online, dedicata alle mitologie della notte. Si sviluppa in tre uscite, di cui “Lola” rappresenta il secondo atto (il primo EP, apparso qualche mese fa, è “Orfeo”). Nel prossimo appuntamento, atteso per il 2010, tutto confluirà in un CD che conterrà i primi due EP più le nuove composizioni. Montuoro è un pifferaio magico, e infatti la parola-chiave di questo seconda puntata di “Nacht” è “incantamento”; la seconda traccia “Per incantamento” è la trasposizione della dantesca “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo e io”. L’estrema libertà creativa conduce il musicista dal ritratto enigmatico che apre il lavoro, “Lola”, una donna persa in una notte enorme e quindi degna eroina di “Nacht”, al tuffo minaccioso in un futuro sospeso in mezzo alla storia di “Mondi e popoli”, fino alla rilettura del mito del Minotauro con un’Arianna dai capelli abbaglianti (“Labyrinth”). Una tensione scura e visionaria pervade le tracce, suonate e arrangiate comme d’habitude da Gennaro e Giuseppe Scarpato, responsabili della maggior parte dei suoni insieme alla violoncellista Naomi Berrill e al bassista Carlo Romagnoli. Montuoro è capace di creare, in un mini-CD di quattro tracce, la medesima intensità e densità, la stessa somma di stimoli e sollecitazioni di un album full-length. Forse perché non ha mai paura di osare, nelle formule, nei versi, nelle scelte. Anche qui, in “Mythologies 3”, troviamo un nuovo lotto di parole e immagini da conservare: segreti che raggelano il cuore, zebre che scolorano nel nulla, ricerca di cieli e di oceani, un cuore spacciato che s’interroga e occhi che non brillano più. Contatti: www.myspace.com/rodolfomontuoro Gianluca Veltri Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Shout Manuale per non suicidarsi 42/Halidon Un disco di rock'n'roll cantato in italiano, per un’etichetta che fino a ora ha pubblicato dischi indie rock in inglese (o al limite le partiture strumentali di Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo), è, se non un azzardo (stiamo pur sempre parlando di un mercato piccolissimo, ahimé), quantomeno una bella scommessa. Sembrerà banale dirlo, ma quelli di 42 ci hanno visto giusto anche questa volta, perché il debutto degli Shout, quartetto di Frosinone, è uno di quei dischi che, al di là della qualità del repertorio (comunque buona, in questo caso, con appena qualche – comunque divertente - riempitivo), funziona soprattutto grazie all'attitudine e alla capacità di comunicare attraverso la fisicità del suono. Rock'n'roll abbiamo detto, con uno spirito garage che attraversa l'intera scaletta: l'attacco alla Radio Birdman della bukowskiana “L'amore è un cane che viene dall'inferno” basterebbe da sola a spiegare quanto teorizzato qualche riga fa, ma tra le maglie di un suono compatto e crudo come pochi (perlomeno in questo momento, in questo luogo) c'è anche spazio per una ballata come “Oh My Darlin'”, o per i coretti beat de “Il mio amore nel frullatore”, una divertente storiella di amore cannibale, o ancora, per la travolgente schiacciasassi iniziale, “Cloro nel naso” monotona e tribale come i Monks che suonano Celentano. Se apprezzate i Tre Allegri Ragazzi Morti degli esordi o gli Altro, questo potrebbe essere il disco incosciente (ma niente affatto sprovveduto) che fa per voi. Contatti: shout.bandcamp.com Alessandro Besselva Averame Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 The Bastard Sons Of Dioniso In stasi perpetua RCA/Sony La storia è nota: dopo un paio di autoproduzioni e con una discreta attività live alle spalle, specie a livello locale, i Bastard Sons Of Dioniso approdano alla corte di “X Factor”, dove con la benedizione di Mara Maionchi ottengono un notevole successo, tale da sfociare in un contratto con una multinazionale e in un Ep, “L'amor carnale”, composto in prevalenza da cover. Abbastanza da far sentir puzza di bruciato anche agli ascoltatori meno prevenuti. Tante, quindi, le domande a cui “In stasi perpetua” deve fornire risposte; prima fra tutte: il trio trentino è da considerarsi un gruppo vero o un fenomeno artefatto? La prima delle due, per quel che ci riguarda, e non è comunque poco date le premesse. Ciò detto, però, è il caso di precisare alcune cose: il disco naturalmente suona alla grande, potente al punto giusto e curatissimo nei dettagli (a partire dalle voci e dai cori), a metà strada tra il punk di area major meno offensivo (quello dei Green Day pre “American Idiot”, per capirci) e il pop chitarristico più muscoloso; all'altezza, insomma, delle migliori produzioni d'Oltreoceano con un piede (e mezzo) nel mainstream e l'altro nell'alternative, non facendosi neppure mancare qualche intermezzo acusticheggiante. Tutto molto ben fatto, insomma, ma pure eccessivamente pulito, senza la benché minima macchiolina di fango – vorremmo dire di sangue, ma non ci sembra il caso di esagerare – a intaccare la lucentezza di una carrozzeria fin troppo perfetta. Abbastanza per conquistare un pubblico giovanissimo, superficiale e facilmente impressionabile; gli altri, invece, giustamente pretenderanno di più, e sono inevitabilmente destinati a rimanere delusi. Meglio di tante altre schifezze che i media di massa propinano, certo, ma per potersi definire davvero “rock” i tre dovrebbero avere il coraggio – sempre ammesso che i discografici glielo lascino fare – di sporcarsi davvero le mani, ché qui di “bastardo” o di “dionisiaco” non c'è davvero niente: fin troppo spesso, dietro le chitarrone e gli assalti ritmici non si nasconde altro che un facile pop da consumo. Anche se, lo confessiamo, “Io non compro più speranza” non ci dispiace del tutto. Contatti: www.tbsod.com Aurelio Pasini Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 The Philomankind All Things Philos autoprodotto Fossero usciti a metà anni novanta quando in giro c'era tutto il revival brit-pop, i Philomankind avrebbero certo ricevuto maggiori attenzioni. Ascoltati ora, invece, suonano un po' datati, come potrebbe esserlo un gruppo che si rifà palesemente a chi si rifaceva palesemente a Beatles e dintorni, Kula Shaker in testa (“Yogi Dananta”). C'è da dire però che nonostante l'impianto derivativo dei suoni, la formazione pisana non se la cava affatto male in questa mirabile operazione di taglia e cuci, mettendo in mostra una scrittura che se da un lato non nasconde le influenze, dall'altro riesce a suonare in qualche modo fresca e di sicuro appeal. 
Nei quaranta minuti del disco si mescolano beat e soul sotto forma di refrain uncinanti (“Womanizer” e “I Can't Believe”), si citano gli Who in versione rock-opera (“Benjamin”), si migra oltreoceano dai Beach Boys di “Pet Sounds” (“Goodbye Everybody”), si azzarda una psichedelia quasi hard (“Short Of Money”), si richiamano i quattro baronetti di Liverpool (“I'm Gonna Wait For The Time”), riuscendo tuttavia a mantenere un profilo basso e un approccio per nulla supponente. Il tutto gratificato da buone armonie vocali, una certa perizia strumentale e in generale una sensazione di déjà vu che riporta si alla Londra dei Sessanta, ma per strade sufficientemente traverse. 
Alle spalle un esordio del 2005 sulla falsariga di questo “All Things Philos” ma meno a fuoco (“Ask”), per una band che non sarà il massimo dell'originalità ma rappresenta di sicuro un comodo palliativo per tutti quelli che di “swinging”, nell’attualità musicale, non trovano più nulla. Contatti: www.myspace.com/philomankindband Fabrizio Zampighi Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 The Strange Flowers Vagina Mother Go Down/Audioglobe Ridendo e scherzando sono ormai vent’anni che, alla guida degli Strange Flowers, Michele Marinò declina alla propria maniera il verbo psichedelico. Un percorso che lo ha visto guardare ai classici degli anni 60, certo, ma anche ai loro epigoni degli anni 80 e, allargando ulteriormente gli orizzonti, all’indie-rock degli ultimi decenni. Tale processo di organica evoluzione raggiunge il pieno compimento con “Vagina Mother”: prodotto da Federico Guglielmi, il disco è un distillato di un rock chitarristico acidulo e variegato, in cui la componente psichedelica è sempre presente, e a tratti fondamentale, ma non si propone mai con prepotenza, limitandosi – si fa per dire – al ruolo di trait d’union discreto ma indiscutibile tra una traccia e l’altra. Vi sono accenni al garage, avvolgenti ballate acide, brani dal piglio più urticante e altri in cui è la melodia a prevalere, e persino una cover di “Hollywood” di Madonna. Il tutto all’insegna di un livello qualitativo costante e decisamente soddisfacente, tanto da fa sì che non vi sia un brano che spicchi in maniera decisiva sugli altri. Volendone citare qualcuno, optiamo allora per quelli meno “allineati”, dall’iniziale “Intro (A Welcoming Mandala)”, originale pizzica lisergica, a “Polvere”, unico brano in italiano del lotto (presente anche in versione inglese, “Powder Tears”). Anche se, ripensandoci, almeno il crescendo esplosivo di “The Insect And The Fish” deve assolutamente essere menzionato. Un buon lavoro, quindi, solido e ben riuscito nella veste come nei contenuti. Contatti: www.strangeflowers.net Aurelio Pasini Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 The Styles Newrante RCA/Sony Secondo capitolo per la creatura di Guido Style, che pur essendo ora affiancato da due nuovi collaboratori continua a fare tutto da solo – o quasi – in studio. e a muoversi fra generi e stili con fare sbarazzino. Se un paio d’anni fa “You Love The Styles” era collocabile più o meno dalle parti del rock chitarristico, ora “Newrante” calca maggiormente la mano sulle contaminazioni elettroniche, e al contempo vede il passaggio nei testi dall’inglese alla lingua italiana. Formalmente ineccepibile e curatissimo, il disco non risulta del tutto credibile nel suo tentativo di strizzare l’occhio alle radio commerciali sbandierando però il proprio essere “alternativi”. E se la title track è l’esempio lampante di questa dicotomia (“Non ho il ciuffo da fighetto, non ho il papi importante / Non mi vesto da coglione perché siete già in tanti / Io non devo niente a MySpace, non esco coi DJ”, su una base che tutto è tranne che ostica nel suo saltabeccare gommoso e ad alto volume), anche altrove l’impressione è che Guido senta di avere qualcosa da dimostrare, distaccandosi a ogni occasione da un mondo plastificato e modaiolo che tuttavia le musiche richiamano abbastanza apertamente. O, per lo meno, lo fanno quando è la componente sintetica a dominare, perché quando invece sono le sei-corde e le distorsioni ad avere la meglio (è il caso di una “Rock band” quasi metallara), le cose si fanno più dure e rocciose. Un disco caratterizzato da dicotomie profonde, quindi, da un punto di vista sia concettuale che musicale; non stupisce, allora, che è nei momenti in cui ci si allontana dagli estremi che si trovano i momenti migliori, come nel caso di una “Amsterdam” attraversata da una sottilissima vena psichedelico-orchestrale. Divertente l’idea di “Credits”, in cui le note di copertina dell’album diventano canzone, ma difficilmente la si ascolterà più di una volta. Riassumendo: nella forma, un disco pop ben fatto; nella sostanza, un lavoro con momenti interessanti, ma che nel complesso non riesce a convincere. Contatti: www.thestyles.net Aurelio Pasini Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Uncode Duello Tre Wallace Il terzo disco del duello musicale che ormai ci siamo abituati ad accogliere a braccia aperte nella persona dell’illustre Paolo Cantù e del celeberrimo Xabier Iriondo è sempre una rivelazione. Quando ci si approccia a dei suoni che sembrano difficili all’ascolto, spesso ci si interroga se valga la pena contenerli su di un disco o se debbano rimanere nell’ottica live, accostati ed equiparati alla musica improvvisata. Quando però hai la musica che ti pulsa da qualsiasi interstizio del corpo, come questi due signori, puoi anche registrare i dischi, tanti dischi, e suoneranno bene quanto i live. Ascoltare gli Uncode Duello anche questa volta è un’esperienza sonora, perché ci si fa trasportare dal loro viaggio, dalla loro comunicazione che arriva chiara ed efficace. Dopo la parentesi con gli ospiti - per il secondo album - che si sono aggiunti al loro linguaggio, per “Tre”, la formazione è tornata alla storia iniziata con “Ex Aequo”, un rapporto quasi simbiotico, quasi studiato: in effetti i due musicisti sembrano fatti degli stessi ingredienti, o meglio sembrano cercare lo stesso suono. “Le stesse cose che ho fatto” con cui titolano il brano iniziale sembra dedicata al loro percorso. Le note di copertina, ritagliate e storte, raccontano la loro versione della storia che non va bene con i tasselli al posto e il due dopo l’uno: bisogna guardare/ascoltare bene e anche leggere le note e ascoltare la natura piena di umana sarà più facile. Un disco che merita almeno tre ascolti di seguito. Contatti: www.myspace.com/uncodeduello Francesca Ognibene Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Verner Il mio vestito La Pupilla Questo ragazzo “ragiona”, e i suoi pensieri li ha scelti bene per mettere insieme le sue complicazioni, le sue ossessioni, i rimproveri della vita e della coscienza, le donne che ti vogliono cambiare e che arrivate a farlo tutto fanno finire. È questo il suo “vestito”, che si cambia di canzone in canzone, mai uguale dall’una all’altra, mai piatto. L’ascolto è sempre un movimento sinuoso che si fa strada tra le pieghe dell’anima. A cominciare da “Indifferente”, brano che apre il disco: si entra in un vortice emozionale che ti cattura subito. Lui che viene lasciato, cerca di rialzarsi, di riacquistare la sua libertà cambiando tutto da un momento all’altro ma lei ne è indifferente e quando il ragazzo se ne accorge ritrova i suoi limiti, le sue ferite e il dolore. “Lei”, un minuto e poco più tutti cantati con il fiato corto e asciutto, tutto voce e chitarra acustica in una cantilena romantica che ti si stringe il cuore. Verner, il cui vero nome è Gianandrea Esposito, ha origini napoletane ed è bolognese d’adozione; questo è il suo debutto dopo anni di studi del canto, della chitarra classica e poi elettrica e un’importante esperienza da busker per l’Europa. Forse proprio quest’ultima gli ha procurato le stimolanti espressività di una voce che racconta vite che si toccano con mano e con le parole e le musiche. Canzoni che hanno un controllo quasi rassicurante. Il senso di liberazione che porta la sua scrittura compositiva è commovente e rende felici perché i suoi come li chiama lui - "punti deboli" no riconoscibili, condivisibili e anche un po’ nostri. Grazie Verner. Contatti: www.verner.it Francesca Ognibene Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Walter Marocchi Mala Hierba Impollinazioni Ultrasound “Impollinazioni” amabili: esattamente come i processi riproduttivi dei fiori non cambiano da quando il mondo esiste, quelli sono e quelli resteranno, non sarà la “hierba” di Walter Marocchi a segnare e segnalare rivoluzioni stilistiche e sorprendenti novità d’approccio, però almeno garantirà un’ora di gradevole fragranza. Con l’aiuto di Fabrizio Mocata, Carlo Ferrara e Stefano Lazzari, il chitarrista disegna una decina di gradevoli acquarelli etno-jazz che risentono tanto, tantissimo di quello che si suonava negli anni 70 in Italia, una fusion immersa nel jazz ma vogliosa di seguire paste sonore vicine (anche) al pop. Approccio a cui ricondurre cose meravigliosamente selvagge, gli Area ad esempio, ma anche il miglior Pino Daniele, quello degli esordi. Certo, Walter Marocchi arriva giusto con un ventennio di ritardo, ma non sempre arrivare per primi o fra i primi è una necessità. C’è una bella proprietà di linguaggio in questo album, lo standard compositivo dei temi e dei cambi è più che discreto (vedere per esempio “Ciriò”), e questo ci fa perdonare invece la poca, pochissima cura nel trovare arrangiamenti particolari (non basta mettere qualche richiamo etno-socio-latino all’interno di una “mezcla” jazz per essere originali; anzi, da anni e anni è spesso un modo perfetto per non esserlo). Manca l’impeto e la gioiosa irruenza di certo Daniele Sepe, manca il coraggio di andare davvero fuori dagli schemi ed avventurarsi in territori musicalmente poco esplorati, ma se ci si vuole dare un ascolto tranquillo, moderato e morigerato e magari si vuole un primo approccio alle modalità compositive del jazz, “Impollinazioni” fa il suo dovere. Contatti: www.cinemarocchi.it Damir Ivic Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '09 Laura Mars Un bel piano elettrico introduce le tre tracce del nuovo mini-cd della reggiana Laura Mars, “Nel mio scrigno” (Nest Records), a tre anni da “Nido dove riposano parole”. Specifichiamo che si tratta di un lavoro della durata ridotta soltanto per limiti produttivi. Tradotto: non che mancassero le risorse dell’ingegno e dell’ispirazione, anzi. Ma l’investimento che si poteva mettere in gioco non andava più in là di un Ep. Ed è un peccato che, dopo il terzo brano (“Nel mio scrigno”), un avvolgente pezzo di rock acustico ricamato dallo scivolare di una steel guitar, cali il sipario. L’elegante Laura Rebuttini, alias Laura Mars (i cui celebri “occhi” erano interpretati da una splendida Faye Dunaway in un film del 1978 su soggetto di John Carpenter), si è fatta aiutare dagli ex Üstmamò Luca Rossi e Simone Filippi. Ne è venuto fuori il soul mascherato di “Promesse”, la morbidezza tardo-Cocteau Twins di “Mio caro diario”, la title track di cui s’è detto. Ottimo antipasto. Per il resto non bisognerà aspettare troppo, ma sarà qualcosa di un po’ diverso: un progetto di musica chill out-jazz-house, che uscirà per la Molto Recordings agli inizi del prossimo anno. Contatti: www.lauramars.it Gianluca Veltri Trivo Trivo è un fenomeno abbastanza strano e potenzialmente in crescita. Quando suona sembra uscito dalle B-side di “Yoshimi Battles The Pink Robots” dei Flaming Lips passate nel tritacarne (se possibile); quando canta in italiano fa un po' il verso a un Beck mugolante senza riverbero e sotto la doccia. Ma i quaranta minuti scarsi delle 17 tracce di “Emoterapia”, primo disco casalingo del cantautore foggiano, possono riassumersi nel quarto brano “Ho bisogno di qualcosa di cui non ho bisogno”. Il primo problema di Trivo è la voce, poco incisiva rispetto alle parti stralunate, dove frasi registrate e rumori montati a regola d'arte si sposano alla grande con il suono spaziale. Il secondo problema di Trivo sono le strofe troppo ricercate e zeppe di termini desueti per competere con ritornelli perfetti, come nella fulciana “Ho un gatto nel cervello”. Trascurabili i siparietti glitch-pop e lo-fi come “Nero”, encomiabili gli stravolgimenti trasognati e le esaltazioni rabbiose, meglio se strumentali. Le mani nervose di Trivo sono piene di potenziale, sono mani alle prese con chitarre, pianole, synth, percussioni, batterie elettroniche e mille aggeggi assortiti lanciati all'unisono. Solitamente recensioni del genere si chiudono con: ci sono enormi margini di crescita. Contatti: www.myspace.com/elephantsuicide Marco Manicardi Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it