l`organizzazione amministrativa gli enti pubblici

INSEGNAMENTO DI
CONTABILITÀ DEGLI ENTI PUBBLICI
LEZIONE III
“L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
GLI ENTI PUBBLICI”
PROF. IVANA MUSIO
Contabilità degli enti pubblici
Lezione III
Indice
1
La Struttura Organizzativa Della Pubblica Amministrazione Alla Luce Dei Principi Costituzionali --------- 3
2
Gli Enti Pubblici Diversi Dallo Stato --------------------------------------------------------------------------------------- 5
3
Gli Enti Del C.D. Parastato --------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4
La Capacità Degli Enti Pubblici (Autarchia – Autotuela - Autonomia - Autogoverno) -------------------------- 9
5
Classificazione Degli Enti Pubblici ----------------------------------------------------------------------------------------- 14
6
Enti Pubblici E Società Per Azioni A Partecipazione Pubblica ------------------------------------------------------ 15
7
Enti Pubblici Economici ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 17
8
Gli Enti Privati Di Interesse Pubblico ------------------------------------------------------------------------------------- 19
9
Enti Pubblici E Stato: Forme Di Collegamento ------------------------------------------------------------------------- 20
10
Disciplina Degli Enti Pubblici ---------------------------------------------------------------------------------------------- 22
11
I Controlli ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24
Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 25
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione III
1 La struttura organizzativa della pubblica
amministrazione alla luce dei principi
costituzionali
La struttura amministrativa della pubblica amministrazione va esaminata alla luce delle
disposizioni costituzionali dettate in materia; in particolare non si può prescindere dal dettato degli
artt. 95 e 97 Cost.
Lo Stato - amministrazione è un soggetto giuridico che agisce per fini propri, al pari degli altri
soggetti pubblici o privati, ed è anch’esso vincolato all’osservanza delle norme giuridiche vigenti.
Lo Stato, tuttavia, non è l’unico ente pubblico dell’ordinamento italiano, ove, infatti, vige il
principio del pluralismo della P.A., per cui, coesistono, accanto allo Stato, altri soggetti che
perseguono fini di interesse pubblico.
La funzione pubblica viene svolta attraverso una posizione giuridica pubblica che è qualificata:
potestà; per potestà amministrativa si intende quel potere di supremazia riconosciuto ad un ente
pubblico al fine di raggiungere gli obiettivi individuati da quegli organi che devono individuare
l’indirizzo politico dell’amministrazione. I fini pubblici predeterminati e che l’ente pubblico ha il
potere-dovere di realizzare sono definiti fini istituzionali dell’ente.
La struttura pluralistica della P.A. trova riscontro nella stessa Costituzione ed in particolare
nell’art. 2 e 5 Cost.
L’art. 2 Cost. parla di formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’uomo e la cui
esistenza è riconosciuta e garantita dallo Stato. L’art. 5 Cost. stabilisce che la Repubblica, una ed
indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, ovvero attua nei servizi, che dipendono
dallo Stato, il più ampio decentramento amministrativo.
Lo Stato rappresenta l’ente pubblico per eccellenza, lo Stato – amministrazione è il più
importante soggetto attivo dell’ordinamento, dotato di caratteristiche esclusive, infatti esso si
configura come:
-
ente sovrano, in quanto è sovraordinato a tutti gli altri soggetti che operano
nell’ambito dell’ordinamento;
-
ente politico, poiché persegue fini di interesse generale;
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Lezione III
ente necessario e ad appartenenza necessaria,
in quanto, da un lato la sua
esistenza è fondamentale per il perseguimento dei pubblici interessi e dall’altro, tutti i
cittadini fanno parte di esso.
Autorevole dottrina1 ha affermato che la personalità giuridica dello Stato – amministrazione
costituisce un dato incontestabile, ciò in base a quanto stabilito da più di un disposto normativo,
ed, infatti: l’art. 28 Cost., ammette una responsabilità civile dello Stato ( e degli enti pubblici);
l’art. 42 Cost. e l’art. 822 c.c. riconoscono la possibilità per lo Stato di essere proprietario di
beni; il D.R. n. 2440 del 1923 parla di contabilità dello Stato; il R.D. n. 1611 del 1933 fa
riferimento alla rappresentanza e alla difesa dello Stato; infine, gli artt. 39- 42 della legge n. 87
del 1953 disciplina i rapporti ed i conflitti di attribuzioni tra Stato e Regioni. Alla luce di
suddette norme, dunque, si evince in maniera chiara che lo Stato è dotato, appunto, di
personalità giuridica.
Con riferimento allo Stato quale ente pubblico si pone anche il problema della sua
soggettività unitaria vale a dire se lo Stato si può considerare un unico soggetto giuridico
ovvero se nasconda una pluralità di soggetti giuridici. La dottrina maggioritaria2 ha risolta tale
disputa sulla base della considerazione che lo Stato risponde verso i terzi come un soggetto
unitario e presenta numerose strutture di raccordo quale l’Avvocatura dello Stato e la Corte dei
Conti, pertanto, sembra preferibile la tesi secondo cui lo Stato costituisce un soggetto unitario,
anche se si tratta di un soggetto dalla soggettività del tutto particolare e ciò è fisiologico, in virtù
della sua struttura.
1
In argomento si veda A.M. Sandulli, Enti pubblici ed enti privati di interesse pubblico, in Giur. Comm., 1958, I, p.
1943.
2
V. Cerulli Irelli, Problemi dell’individuazione delle persone giuridiche pubbliche (dopo la legge sul parastato), in Riv.
trim. dir. pubbl., 1977, 2, p. 626 e ss.
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2 Gli enti pubblici diversi dallo Stato
Il termine “ente” deriva dal latino ens e significa ciò che è. Giuridicamente, l’ente indica le
persone giuridiche pubbliche e private ed i gruppi organizzati che l’ordinamento considera
titolari di situazioni giuridiche3. A differenza del diritto privato ove è possibile riconoscere i
gruppi organizzati anche quando non hanno personalità giuridica, essendo centri di imputazione
di situazioni giuridiche, nel diritto pubblico, invece, tale fenomeno non sembra essere possibile
per effetto della c.d. legge sul parastato, legge n. 70 del 1975 secondo cui: “nessun ente
pubblico può essere riconosciuto o istituito se non per legge”. Dunque, l’individuazione della
natura pubblica o privata di un ente è di particolare importanza, in quanto comporta
l’assoggettamento dell’ente stesso e dei suoi amministratori e dipendenti ad un regime giuridico
particolare.
Gli enti pubblici sono soggetti di diritto, che nel quadro generale dell’organizzazione
amministrativa, assumono una dimensione organizzativa formale, in quanto le vicende attinenti
alla loro costituzione, modificazione ed estinzione, sono fissate direttamente da norme
giuridiche , per effetto della riserva di legge contenuta nell’art. 97 Cost.
Gli enti pubblici, in quanto persone giuridiche pubbliche, hanno una personalità giuridica
e possiedono, perciò, una capacità giuridica di diritto pubblico che ne comporta
l’assoggettamento ad un regime giuridico differenziato e derogatorio rispetto a quello comune.
Tuttavia, lo loro capacità giuridica di diritto pubblico, pur diversificandosi da quella di diritto
comune, non la esclude, in quanto è dato ormai pacifico che si tratta di aspetti tra loro non
incompatibili e che i loro fini istituzionali possono essere realizzati sia con atti amministrativi
autoritativi che con negozi giuridici privati.
Fatta questa precisazione, preme sottolineare che se con il termine “capacità giuridica” si
suole intendere l’attitudine all’imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, riferibili sia alle
persone giuridiche che agli enti immateriali, con l’aggettivazione “pubblica” si intende
puntualizzare un aspetto che riguarda il profilo attributivo funzionale dell’essere tali enti
investiti di poteri di cura e di interessi collettivi. Ma ciò che maggiormente rileva ai fini
dell’individuazione dei tratti pubblicistici di tali enti è il particolare regime giuridico, in buona
parte, come detto, derogatorio del diritto comune.
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Dopo l’entrata in vigore della legge n. 70 del 1975 non vi sono dubbi sul fatto che è
considerato pubblico l’ente istituito come tale. Il problema sorge, invece, in relazione agli enti
istituiti prima della legge sul parastato, cioè per quegli enti che non sono qualificati
espressamente, per cui non sono riconosciuti giuridicamente, in maniera espressa, come enti
pubblici.
In questi casi, cioè, con riferimento agli enti istituiti prima della riforma del 1975, per
individuare se si tratta di enti di natura pubblica, si sono utilizzati diversi criteri. Parte della
dottrina4 adotta il criterio del fine pubblico, in base al quale sarebbe pubblica la persona
giuridica che persegue fini pubblici. Tuttavia, tale criterio di riconoscimento dell’ente è stato per
lo più abbandonato per via dello sviluppo degli enti pubblici di carattere imprenditoriale, cioè
slegati dalla realizzazione degli interessi pubblici.
Altro orientamento dottrinale5, invece, per risalire alla natura giuridica di un ente si è rifatto
al criterio dei poteri pubblici, per cui sarebbe pubblico l’ente dotato di generici poteri pubblici,
come, ad esempio, il potere di certificazione, il potere statutario, cioè poteri collegati ad una
determinata competenza. Anche detto criterio, però, ha prestato il fianco a numerose critiche per
un duplice ordine di motivi; in primis perché non mancano enti privati eccezionalmente dotati di
una qualche potestà pubblica (come, per esempio, il potere di certificazione), inoltre, perché
nella moderna organizzazione statuale, molti enti, pur avendo natura pubblica, agiscono nel
campo e con le forme del diritto privato.
Un altro criterio che è stato adottato per dirimere la questione del riconoscimento della
natura giuridica di un ente (se pubblico o privato) è quello della supremazia, secondo cui
sarebbe pubblica quella persona che gode di una posizione di supremazia rispetto ad altri
soggetti. Anche tale criterio, tuttavia, è stato ritenuto inadeguato a seguito del fatto che esistono
molti enti che agiscono in ambito economico alla stregua di quelli imprenditoriali.
Alla luce di quanto fin qui detto la dottrina maggioritaria6 ritiene che l’unico criterio valido
per accertare la natura pubblica di un ente è quello di guardare il suo regime giuridico, vale a
3
In argomento, tra gli altri, V. Ottaviano, Ente pubblico, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 968 e ss.
In tal senso G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1952.
5
Si veda in merito M.S. Giannini, Diritto amministrativo, I, Milano, 1988, p. 100 e ss., il quale descrive i diversi
orientamenti dottrinali.
6
In tal senso si sono espressi: A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989; V. Cerulli Irelli, Corso
di diritto amministrativo, Torino, 1997, p. 190 e ss.; P. Virga, Gli enti parastatali nella tipologia degli enti pubblici,
Scritti in onore di Costantino Mortati, Milano, 1977, p. 311 e ss.; A. Bardusco, Ente pubblico, in D. disc. pubbl., IV,
Torino, 1991, p. 64 e ss.
4
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dire il complesso di norme e di principi che regolano l’esistenza e l’attività, nonché
l’inserimento nella struttura amministrativa pubblica.
In particolare modo, gli indici di riconoscimento della natura pubblica di un ente sono
individuabili7 nel sistema di controlli pubblici, che sarà meno intenso quanto maggiore sarà
l’autonomia dell’ente; nell’ingerenza dello Stato, o di altra P.A., nella nomina e revoca dei
dirigenti; nella partecipazione dello Stato alla spesa di gestione; nel potere di direttiva dello
Stato nei confronti degli organi, in relazione al conseguimento di determinati obiettivi; nel
finanziamento pubblico istituzionale; ecc.
Dunque, da quanto sin qui detto emerge in maniera evidente che il modo più semplice per
individuare la natura pubblica di un ente resta quello dell’espressa previsione di legge.
Spesso si rinviene in numerosi testi normativi l’espressione “lo Stato e gli altri enti pubblici”; si
suole escludere che l’espressione si riferisca a quegli enti pubblici previsti e catalogati dalla
legge n. 70 del ’75, in quanto questi enti pubblici vengono detti “parastatali”. Ne consegue che
tale espressione “altri enti pubblici” risulta residualmente circoscritta proprio a quell’area di enti
esclusi dall’applicazione della legge n. 70/1975 che investe, tra gli altri, le Università e gli
istituti di Istruzione, gli ordini, i Collegi Professionali e le Camere di Commercio.
7
Così, in particolare, si è espresso A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 115 e ss.
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3 Gli enti del c.d. parastato
Con la citata legge n. 70 del 1975 (c.d. legge sul parastato) il legislatore ha dettato dei criteri
positivi e tassativi per l’esatta individuazione e la classificazione degli enti pubblici.
La legge suddivide gli enti pubblici statali in quattro grandi settori:
-
enti pubblici necessari (soggetti allo statuto del parastato);
-
enti pubblici sottratti allo statuto del parastato,
-
altri enti pubblici sottratti allo statuto ma esclusi da ogni contribuzione statale o potere
impositivo;
-
gli enti inutili.
Importante è l’art. 4 della legge 70/1975, secondo cui nessun nuovo ente pubblico può essere
istituito o riconosciuto se non per legge, tale disposizione normativa introduce un criterio
legislativo di individuazione di enti pubblici. Si tratta, cioè, di una norma che esprime un principio
generale di riserva relativa di legge e rende attuativo l’art. 97 Cost. che statuisce il principio
secondo cui “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”.
In altri termini, sono pubbliche le persone giuridiche che un atto legislativo dichiara tali, mentre
gli altri enti dovranno considerarsi persone private.
Considerando che siamo nell’ambito della riserva relativa di legge (e non assoluta), per
l’istituzione di un ente ad opera del legislatore si intende la creazione dell’ente attraverso la
determinazione delle attribuzioni ed individuazione degli organi fondamentali dell’ente stesso. Gli
interventi del potere esecutivo e l’esplicazione del potere statutario, invece, spettano all’ente stesso.
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4 La capacità degli enti pubblici (Autarchia –
Autotuela - Autonomia - Autogoverno)
Gli enti pubblici che agiscono in regime di diritto amministrativo sono detti enti autarchici e
si distinguono dagli enti pubblici economici, che agiscono secondo la disciplina privatisticoimprenditoriale8.
Gli enti pubblici che hanno le seguenti capacità:
autarchia, autotutela, autonomia; autogoverno.
A) L’AUTARCHIA
Secondo la dottrina più recente per autarchia si intende la capacità degli enti pubblici di
amministrare i propri interessi, svolgendo un’attività avente gli stessi caratteri e la stessa
efficacia dell’attività amministrativa dello Stato.
Altro orientamento dottrinale9, invece, considera l’autarchia come la caratteristica degli enti
diversi dallo Stato di disporre potestà pubbliche. Dunque, si ha autarchia quando ad una persona
giuridica, che ha compiti e funzioni di interesse pubblico, viene riconosciuta la titolarità di
pubblici poteri, attraverso una equiparazione degli atti posti in essere da tale ente pubblico a
quelli posti in essere direttamente dallo Stato.
L’autarchia si esprime attraverso:
-
il potere di agire emanando atti amministrativi equiparati agli atti amministrativi dello
Stato;
-
il potere di certificazione;
-
il potere di autorganizzazione interna;
-
l’autotutela.
B) L’AUTOTUTELA
L’autotutela è la capacità, riconosciuta dalla legge, a favore dello Stato o di un ente pubblico, di
farsi ragione da sé, attraverso l’utilizzo dei mezzi amministrativi a sua disposizione.
8
Tale schema è stato ripreso da F. Garingella - L. Delfino – F. del Giudice, Diritto amministrativo, ult. ed., Napoli,
2007, p. 100 e ss.
9
Questa è la tesi di A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 120.
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Lezione III
Essa si configura come l’insieme di attività amministrative con cui ogni pubblica
amministrazione risolve i conflitti, potenziali o attuali, relativi ai suoi provvedimenti o alle sue
pretese10.
E’ fuori dubbio che la P.A. nell’esercizio dell’autotutela non può agire arbitrariamente né può
servirsi di tale attività per farsi ragione anche quando oggettivamente non ne ha; l’autotutela,
infatti, non è uno strumento di sopraffazione, ma uno strumento di giustizia per cui può essere
esercitata solo quando sia necessaria per attuare l’osservanza della legge.
L’attività amministrativa dell’autotutela si considera un’attività sussidiaria, cioè strumentale, ed
ha lo scopo di verificare la legittimità degli atti posti in essere dall’ente stesso, nonché garantire
l’efficacia e l’esecuzione degli atti amministrativi.
Un’autorevole fonte ha così distinto l’attività di autotutela: autotutela decisoria ed autotutela
esecutiva
1) autotutela decisoria, cioè quella attuata attraverso l’emanazione di una decisione
amministrativa.
Essa può riguardare:
a) atti amministrativi precedentemente posti in essere dalla P.A. ed in questo caso può essere
diretta, quando la P.A. esercita i suoi poteri spontaneamente, o nell’adempimento di un
preciso dovere, come, per esempio, con atti di ritiro di precedenti provvedimenti
amministrativi posti in essere dall’ente pubblico (revoca, annullamento, rimozione,
sospensione). L’autotutela decisoria è, invece, indiretta nei casi in cui il potere della P.A.
trova fondamento in un’azione dell’interessato, cioè in un ricorso.
b) Rapporti giuridici di diritto amministrativo, cioè comportamenti tenuti da soggetti in
rapporto giuridico con l’amministrazione, che non sono conformi a pretese della P.A.
2) autotutela esecutiva cioè quella consistente nel complesso di attività volte ad attuare le
decisioni già adottate dall’amministrazione. Un esempio può essere rappresentato dagli
ordini dati da un organo amministrativo ai propri dipendenti di eseguire, di ufficio, uno
sgombero di abusiva occupazione di suolo demaniale.
10
F. Benvenuti, Autotutela, (dir. amm.) in Enc. dir., IV, 1959, p. 538 e ss.
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Tuttavia la dottrina prevalente ritiene che solo autotutela decisoria deve considerarsi una potestà
generale, mentre l’autotutela esecutiva necessita di una norma specifica che attribuisca alla P.A.
il potere di agire in via immediata e diretta, per attuare i propri provvedimenti.
C) L’AUTONOMIA
L’autonomia consiste nella capacità di un ente di determinarsi da sé, avendo il potere di darsi
una legge regolativa delle proprie azioni. In altri termini, l’autonomia è la potestà riconosciuta
all’ente di provvedere alla cura dei propri interessi e, quindi, di godere e di disporre dei mezzi
necessari per ottenere la soddisfazione degli interessi11.
Autorevole dottrina12 ha ritenuto di potere sintetizzare i tre aspetti fondamentali dell’autonomia:
a) partecipazione degli appartenenti ad un ente alla sua amministrazione;
b) attribuzione all’ente di una notevole sfera di autodeterminazione;
c) alleggerimento dei controlli da parte di soggetti diversi.
Il termine autonomia, quindi, sta ad indicare molteplici fenomeni giuridici; di autonomia si
parla, infatti, con riferimento alla:
capacità politica;
capacità normativa;
capacità organizzativa;
capacità contabile;
capacità finanziaria o gestionale di un soggetto.
In linea di sintesi si può dire che l’autonomia esprime l’indipendenza dell’ente nell’esercizio
della sua attività.
Per autonomia politica si intende l’indipendenza e la libertà di un soggetto nelle scelte c.d.
politiche, cioè nell’individuazione dei fini che l’ente intende perseguire. Tale autonomia è
riconosciuta alle Regioni, oltre che allo Stato.
L’autonomia giuridica indica la capacità dell’ente o dell’organo di agire nel campo giuridico
con un certo grado di libertà. Tale autonomia può assumere varie configurazioni, ed infatti, si parla
di autonomia normativa; autonomia organizzatoria; autonomia finanziaria ed autonomia di
gestione.
11
12
Così si è espresso C. Mortati, Le forme di Governo, (Lezioni), Padova, 1973.
Si veda P. Virga, Diritto amministrativo, I principi, Milano, 1999, p. 100 e ss.
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L’autonomia normativa è la capacità dell’ente di costituire un proprio ordinamento mediante
norme aventi la stessa natura ed efficacia delle norme statali, anche se ad esse sottordinate13. Le
norme dotate di autonomia possono assumere le forme di legge, Statuti, regolamenti; pertanto
l’autonomia normativa può, a sua volta, essere distinta in:
-
autonomia legislativa;
-
autonomia statutaria;
-
autonomia regolamentare.
Nel nostro ordinamento godono di
autonomia legislativa tutte le Regioni (sia a Statuto ordinario che speciale e le Province di
Trento e Bolzano);
di autonomia statutaria oltre che le Regioni a Statuto ordinario, anche i Comuni, le Province le
Città Metropolitane, ecc.;
di autonomia regolamentare tutti gli enti territoriali (Regioni, Città metropolitane, Province,
Comuni), nonché gli altri enti e d organi cui la legge espressamente la conferisce (per esempio il
Prefetto).
L’autonomia organizzatoria è la capacità di un ente o di un organo di creare o contribuire a
creare la propria struttura organizzativa, e ad essa, di solito, si accompagna anche un’autonomia
regolamentare14.
L’autonomia finanziaria è la capacità dell’ente di imporre propri tributi.
L’autonomia di gestione consiste nella capacità dell’ente di avere un proprio bilancio, diverso da
quello dello Stato.
D) L’AUTOGOVERNO
L’autogoverno deriva da un istituto proprio degli ordinamenti anglosassoni, i c.d. “selfgovernment” e si realizza quando gli organi locali di governo sono composti da elementi scelti
dagli stessi governanti15.
Effettuare nel nostro ordinamento una trasposizione di tale istituto diventa praticamente
impossibile e ciò perché in questi ordinamenti la P.A. non è strutturata in enti dotati di personalità
giuridica, ma in uffici di cui è responsabile il funzionario preposto.
13
Cfr. A. Romano, I soggetti e le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministativo, in L. Mazzaralli, G. Pericu,
A. Romani, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca, Diritto amministrativo, Bologna, p. 261 e ss.
14
Cfr. P. Alessi, Principi di diritto amministrativo, Milano, 1971, vol. I, p. 39 e ss.
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Allora, alcuni autori16 usano il termine di autogoverno per indicare quei casi in cui un ente è
diretto o governato da persone elette da membri che ne fanno parte e ciò si verifica, per esempio,
nei Comuni.
15
16
Così A.M. Sandulli, Enti pubblici ed enti privati di interesse pubblico, in Giur. Comm., cit., p. 1945 e ss.
Si veda A.M. Sandulli, Enti pubblici ed enti privati di interesse pubblico, in Giur. Comm., cit., p. 1948 e ss.
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5 Classificazione degli enti pubblici
La dottrina ha operato diverse classificazioni gli enti pubblici.
-
Corporazioni ed istituzioni. Le prime sono persone giuridiche in cui prevale l’elemento
personale, mentre nelle seconde prevale l’elemento patrimoniale (come per esempio gli
istituti previdenziali).
-
Enti territoriali e non territoriali. Sono enti territoriali quelli in cui il territorio è uno degli
elementi costitutivi, cioè essenziali per l’esistenza dell’ente e non è considerato solo un
ambito spaziale che ne delimita la sfera d’azione. Sono enti non territoriali, invece, tutti gli
altri, denominati anche enti istituzionali, alcuni dei quali a carattere nazionale, mentre altri a
carattere locale.
-
Enti nazionali ed enti locali. Il carattere locale o nazionale di un ente non assume rilevanza
solo ai fini teorici, ma anche giuridici. Tale carattere si riferisce anche agli interessi pubblici
perseguiti dall’ente stesso. Negli enti locali il territorio costituisce non solo il criterio per
delimitare la sfera d’azione, ma anche e soprattutto indica la rilevanza locale dei fini e degli
interessi perseguiti dall’ente. Pertanto, sono enti locali quelli che operano in una determinata
circoscrizione territoriale per perseguire un interesse pubblico proprio di tale circoscrizione,
sono, invece, enti nazionali tutti gli altri, compresi quelli destinati ad operare su un ambito
territoriale limitato, ma per perseguire un interesse nazionale.
-
Enti necessari. Sono detti quelli che devono necessariamente esistere per l’organizzazione
amministrativa del nostro ordinamento.
-
Enti ad appartenenza necessaria o facoltativa. Sono ad appartenenza necessaria gli enti
fra cui quelli territoriali, di cui si fa parte per il solo fatto di risiedere sul loro territorio.
-
Enti autonomi, ausialiari e strumentali.
-
Enti autarchici propriamente detti ed enti pubblici economici. I primi operano in regime
di diritto amministrativo, mentre i secondi agiscono in veste imprenditoriale, attraverso
strumenti privatistici.
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Lezione III
6 Enti pubblici e società per azioni a
partecipazione pubblica
Distinguere gli enti pubblici da quelli privati diventa ancora più difficoltoso se si pensa alla
presenza delle società per azioni a partecipazione pubblica17, le quali non operano sul piano
economico-imprenditoriale, ma svolgono servizi e funzioni pubbliche.
Le società per azioni a partecipazione pubblica, infatti, sono cosa ben diversa dagli enti
pubblici economici privatizzati, che seguono, invece, la disciplina civilistica, ex artt. 2247 c.c. e ss.
Le società per azioni in mano alla P.A. sono difficilmente inquadrabili giuridicamente18 ed,
infatti, creano problematiche qualificatorie di non poco conto. Non è chiaro se la veste societaria
calata su un’organizzazione assimilabile agli enti statali, possa escludere la natura pubblicistica di
dette società. Inoltre tali società creano anche difficoltà sotto il profilo della legittimità
costituzionale, con riferimento all’art. 97 Cost., in quanto ai sensi di detta disposizione gli uffici
pubblici devono essere organizzati secondo uno schema pubblicistico19.
Lo stesso problema definitorio sorge anche con riferimento alle società per azioni deputate
alla gestione dei servizi pubblici locali, previste dall’art. 113 del d.lgs. 267/2000 (Testo unico
degli enti locali).
Si registra, inoltre, un dibattito non dissimile anche per quanto riguarda le società
residuanti dal processo di privatizzazione di enti pubblici economici e aziende autonome, cioè
si pone il problema se si tratta di società di carattere privatistico o se trattati di enti pubblici operanti
in veste societaria. Con riferimento alle aziende autonome, preme sottolineare che l’analisi della
loro organizzazione e del loro regime, richiede, in via preliminare, un accenno al problema della
loro soggettività. Trattandosi di imprese-organo dell’ente di pertinenza, essi si strutturano come
organismi che, pur dotati di autonome potestà organizzative, gestionali, finanziarie e contabili, oltre
che di propri mezzi, sono privi di personalità giuridica, salvo rare ipotesi di attribuzione espressa da
parte dell’ordinamento.
17
In argomento si veda, tra gli altri, anche M. Cammelli, Le società a partecipazione pubblica, Rimini, 1989; S.
Cassese, Partecipazioni pubbliche ed enti di gestione, Milano, 1962.
18
Cfr. F. Coltelli, La trasformazione in s.p.a. degli enti pubblici economici e il controllo della Corte dei Conti ai sensi
dell’art. 100 Cost., in Cons. Stato, 1994, II, p. 512 e ss.; C. Marzuoli, Le privatizzazioni tra pubblico come soggetto e
pubblico come regola, in Dir. pubbl, 1996, p. 393 e ss.
19
In argomento V. Cerulli Irelli, Problemi dell’individuazione delle persone giuridiche pubbliche (dopo la legge sul
parastato), cit., p. 628 e ss.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione III
Si consideri, tuttavia, che, specie con riferimento alle aziende municipalizzate, è discusso se,
esse pur essendo prive di personalità giuridica, possono considerarsi dotate di soggettività giuridica.
Secondo l’opinione dominante, l’assenza di personalità giuridica non esclude soggettività che si
manifesta sia in ambito organizzativo nei rapporti interorganici, sia in ambito ordinamentale, in
quelli intersoggettivi.
Passando, poi, all’esame dei caratteri peculiari e del regime giuridico delle aziende
autonome, è necessario rilevare come il loro patrimonio, cioè l’insieme dei beni e dei mezzi di cui si
avvalgono per l’esplicazione della propria attività imprenditoriale, viene costituito dall’ente di
appartenenza, cioè un c.d. patrimonio separato.
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Lezione III
7 Enti pubblici economici
Sono detti enti pubblici economici quegli enti che operano nel campo della produzione e dello
scambio di beni e di servizi svolgendo attività prevalentemente o esclusivamente economiche, in
una situazione di parità o di concorrenza con le altre imprese private20.
L’ente pubblico economico è un istituto di cui si avvale lo Stato per intervenire nel sistema
economico e si caratterizza per il fatto di essere misto in quanto agisce in concorso tra imprese
pubbliche e private21.
Tali enti si pongono, infatti, in concorrenza, appunto, con i soggetti economici privati, ma
realizzano fini pubblici.
Lo scopo di lucro non è un elemento essenziale, tuttavia è necessario che l’ente pubblico
economico agisca secondo un criterio di economicità, cioè di correlazione di costi e ricavi, nel
senso che l’impresa venga esercitata in modo tale che dall’attività si ricavi almeno quanto occorre
per coprire i costi dei fattori di produzione impiegati.
L’ente pubblico economico, pertanto, deve coprire i propri costi di produzione e gestione
attraverso quelle che sono le tariffe applicate per le prestazioni erogate.
Detti enti hanno la finalità, tra l’altro, di assolvere ad altre funzioni, come, per esempio, quella
di operare interventi economici di controllo, proponendosi come calmiere dei prezzi di una merce di
mercato, producendola e vendendola ad un costo inferiore rispetto a quello dei beni analoghi
prodotti da imprenditori privati.22
Fino al 1993 tutti gli enti pubblici economici facevano capo ad appositi enti di gestione delle
partecipazioni statali (IRI, ENI, EFIM, ENEL), posti sotto il controllo del Ministero delle
Partecipazioni Statali.
Con il referendum del 19 aprile 1993, però, il Ministero della Partecipazioni Statali è stato
soppresso, avviando un processo di privatizzazione di tutti gli enti pubblici economici e delle
aziende statali. Tale processo di privatizzazione23 ha portato dapprima alla trasformazione degli
20
Così P. Virga, Gli enti parastatali nella tipologia degli enti pubblici, cit., p. 145 e ss.; A.M. Sandulli, Enti pubblici
ed enti privati di interesse pubblico, cit., p. 45.
21
C. Maugieri, Il controllo della Corte dei Conti sugli enti pubblici economici trasformati in s.p.a., in Dir. amm., 1995,
p. 203 e ss.
22
P. Saraceno, Il sistema delle imprese a partecipazione statale nell’esperienza italiana, Milano, 1975.
23
In argomento, tra gli altri, si veda R. Perna, Privatizzazione formale/sostanziale e controllo della Corte dei Conti, in
Foro it., 1993, I, p. 285 e ss.; S. Cassese, Le privatizzazioni in Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, p. 32 e ss.; G.
Amorelli, Le privatizzazioni nella prospettiva del trattato istitutivo della Comunità economica europea, Padova, 1992;
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Lezione III
enti pubblici economici in società per azioni con attribuzioni allo Stato dell’intero pacchetto
azionario e, successivamente, alla collocazione sul mercato delle azioni stesse. Tanto ciò è vero che
per le attività che gestiscono attività di interesse generale, lo Stato può conservare una
partecipazione azionaria che, però, non superi il 5% (c.d. golden share).
E. Freni, La complessa riforma degli enti pubblici nazionali tra nuovi e vecchi interventi, in Giorn. dir. amm., 2000, p.
535 e ss.
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Lezione III
8 Gli enti privati di interesse pubblico
Gli enti privati di diritto pubblico sono quegli enti che, pur avendo natura di enti di diritto
privato, esplicano attività di particolare rilievo sociale e, proprio in virtù di questo presupposto, a
tali enti viene adottata una disciplina giuridica di particolare favore, attraverso il riconoscimento di
sovvenzioni, esenzioni tributarie, ecc.
Sono considerati enti privati di diritto pubblico:
-
gli istituti di patronato, gestiti dalle associazioni sindacali e finalizzati
all’ottenimento da parte degli aventi diritto delle prestazioni previdenziali ed
assistenziali.
-
Gli istituti di assistenza e beneficenza, enti associativi con finalità assistenziali.
-
Gli enti lirici e le istituzioni concertistiche.
Alla disciplina delle agevolazioni tributarie degli enti privati senza scopo di lucro (c.d. enti
non profit) è dedicato il d.lgs. n. 460 del 1997, che subordina la concessione di tali agevolazioni
all’iscrizione in una particolare registro anagrafe tenuto dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze. Per poter richiedere tale iscrizione è necessario che gli enti in questione24:
a)
non distribuiscano, in nessuna forma, neanche indiretta, utili o avanzi di gestione;
b)
destinino tali utili od avanzi ai loro fini istituzionali;
c)
devolvano, in caso di scioglimento, i loro beni ad altre istituzioni non lucrative di
utilità sociale.
24
Ripreso da F. Garingella - L. Delpino - F. del Giudice, Diritto amministrativo, cit., p. 115.
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Lezione III
9 Enti pubblici e Stato: forme di collegamento
Autorevole dottrina25 individua tre modi di organizzazione dei rapporti tra Stato ed enti: il
decentramento autarchico, il policentrismo autarchico ed il pluralismo autonomistico.
-
il decentramento autarchico si ha quando lo Stato affida ad enti diversi da esso stesso il
perseguimento di fini propri ed esclusivi.
Poiché si tratta di fini propri dello Stato, il collegamento tra ente e Stato deve essere strettissimo
e l’autonomia dell’ente particolarmente limitata. Il fenomeno del decentramento autarchico si
realizza attraverso i c.d. enti strumentali, i quali sono legati allo Stato da veri e propri vincoli di
soggezione.
-
Il policentrismo autarchico, invece, rappresenta il fenomeno degli enti ausiliari dello Stato.
Sono tali quegli enti pubblici che perseguono fini dello Stato, ma non esclusivi di esso
perché, generalmente, non essenziali.
-
Il pluralismo autonomistico si realizza, infine, in tutti quei casi in cui si creano gruppi
spontanei o enti esponenziali i quali esprimono esigenze sociali autonome e sono, come tali,
riconosciuti dall’ordinamento dello Stato, che li individua quali “centri di potere
amministrativo”.
Occorre, da ultimo, ricordare anche le forme di collegamento che legano gli enti pubblici tra
loro. Una particolare forma di collegamento è rappresentata dalla conferenza dei servizi, criterio di
collaborazione tra enti introdotto con la legge 241 del 1990 (e succ. modifiche).
Il Consiglio di Stato26 ha ritenuto che la conferenza dei servizi “rappresenta lo strumento per
realizzare il giusto contemperamento tra le esigenze di concentrazione delle funzioni in un’unica
istanza ed il rispetto delle competenze delle amministrazioni preposte alla cura di un determinato
settore, consentendo la contestuale valutazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti in una
determinata operazione amministrativa”.
La conferenza di servizio viene disposta quando risulta opportuno effettuare un esame
contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo; è sempre indetta
quando l’amministrazione procedente deve acquisire nulla osta, assensi, intese, concerti di altre
amministrazioni pubbliche e non li ottenga entro quindici giorni dall’inizio del procedimento, pur
avendoli formalmente richiesti.
25
26
Cfr. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit. p. 100 e ss.
Cfr. C.d.S., sez., IV, 24 febbraio 2000, n. 1002.
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Secondo la dottrina dominante27, la conferenza di servizi non costituisce un organo a sé,
autonomo, ma, piuttosto, uno strumento per realizzare la simultanea manifestazione di volontà delle
diverse amministrazioni che vi partecipano, nell’ambito delle rispettive competenze. Pertanto, una
volta che la conferenza di servizio si scioglie, ognuna delle amministrazioni partecipanti rimane
competente per l’adozione dei provvedimenti conseguenziali.
27
Così P. Virga, Diritto amministrativo, I principi., cit., p. 89.
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Lezione III
10 Disciplina degli enti pubblici
Ai sensi del citato art. 4 della legge n. 70 del 1975, così come si è detto, in materia di enti
pubblici vige una riserva di legge, per cui l’unico modo per costituire o riconoscere un ente
pubblico, è la previsione normativa. Detta riserva è relativa, nel senso che è contenuta in una
legge ordinaria, per cui non solo essa va riferita sia alla legge statale che alla legge regionale,
ma, soprattutto può essere derogata da un’altra legge ordinaria, così come è già avvenuto, ad
esempio con la legge n. 142 del 1990, che ha consentito agli enti locali territoriali di istituire,
con atto amministrativo, aziende speciali o consorzi con natura di enti pubblici.
La natura dell’ente pubblico comporta l’assoggettamento dell’ente ad una particolare
disciplina giuridica, i cui aspetti salienti sono dati da:
a)
Sottoposizione alle regole contrattuali proprie dello Stato e, quindi,
esclusione, almeno in via principale, della contrattazione a trattativa privata;
b)
Acquisto della qualità di pubblico ufficiale dei funzionari, con conseguente
applicazione della relativa disciplina, anche penale;
c)
Assoggettamento alle regole di responsabilità proprie dei dipendenti dello
d)
Assoggettamento delle entrate alle regole della tesoreria unica.
e)
Limitazione della pignorabilità delle somme giacenti presso il tesoriere che
Stato;
abbiano avuto una specifica destinazione.
f)
Assoggettamento ad un particolare regime esecutivo in caso di dissesto.
Per quanto riguarda l’estinzione dell’ente pubblico va detto che esso si estingue così
come si è costituito, vale a dire con legge se la sua costituzione è avvenuta attraverso
disposizione normativa, con atto diverso, invece, se la sua costituzione è avvenuta con atto non
legislativo.
L’estinzione dell’ente può avvenire o per il venir meno di uno degli elementi essenziali o
per sopravvenuta impossibilità di raggiungere il fine.
Una volta che si estingue l’ente occorre soffermare l’attenzione sul problema della
successione nei rapporti che facevano capo ad esso.
In tal senso occorre fare una distinzione a seconda che si tratti di enti territoriali oppure no.
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Lezione III
In caso di enti territoriali, i rapporti facenti capo all’ente territoriale estinto si trasferiscono
all’ente che ha acquistato il territorio.
Nel caso, invece, di enti non territoriali occorre distinguere:
-
se le funzioni esercitate dall’ente estinto vengono trasferite in toto ad un altro
ente, quest’ultimo acquista tutti i rapporti facenti capo al vecchio ente (successione a titolo
universale).
-
Se le funzioni sono trasferite solo parzialmente, all’ente che le acquista
vengono trasmessi solo quei rapporti inerenti alla parte di funzioni trasmesse, mentre gli altri
passano al soggetto costituito per la liquidazione.
-
Se all’ente estinto non ne subentra un altro, tutti i rapporti ad esso facenti
capo vengono devoluti ad un apposito ente incaricato della liquidazione e ciò che resta dopo
tale liquidazione passa allo Stato.
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Lezione III
11 I controlli
La legge istitutiva degli enti pubblici prevede, tra l’altro, che tali enti sono assoggettati
alla vigilanza del Ministero che presiede all’attività da esso esplicitata.
Detta vigilanza si esprime attraverso un controllo di legittimità sugli atti di gestione e
nella nomina degli amministratori.
Inoltre, con la legge n. 259 del 1958 si prevede che la gestione finanziaria di tutti gli enti
dello Stato è assoggettata al controllo di legittimità della Corte dei Conti .
Infine, ai sensi della legge n. 20 del 1994 anche la gestione del bilancio e del patrimonio
di tutti gli enti parastatali, siano o meno sovvenzionati dallo Stato, è assoggettata al controllo
successivo della Corte dei conti, che deve verificare la legittimità e la regolarità della gestione.
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Contabilità degli enti pubblici
Lezione III
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