I LIPIDI SAPONIFICABILI E
LA LORO IMPORTANZA
NEGLI ORGANISMI VIVENTI
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ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE
A. MEUCCI
Esame di Stato
Relazione Finale
I LIPIDI SAPONIFICABILI E LA LORO IMPORTANZA NEGLI
ORGANISMI VIVENTI
Allievo: Rattin Federico
Classe: 5°A BTS
Anno Scolastico: 2015/2016
INDICE
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Introduzione
Pagina 4
Elementi base dei lipidi saponificabili:
Pagina 5
Acidi grassi
Pagina 5
Piccoli alcol polari e alcol a lunga catena
Pagine 7
Gruppo fosfato
Pagina 8
Monosaccaridi
Pagina 9
Sfingosina
Pagina 10
Cere
Pagina 10
Trigliceridi
Pagine 13
Il sapone
Pagina 14
Fosfolipidi:
Pagina 18
Fosfogliceridi
Pagina 19
Fosfolipidi eteri
Pagina 21
Plasmalogeni
Pagina 21
Sfingomielina
Pagina 21
Sfingolipidi:
Pagina 22
Glicosfingolipidi
Pagina 22
Gangliosidi
Pagina 23
Globosidi
Pagina 23
Cerebrosidi
Pagina 23
Glicolipidi
Pagina 24
Lipopolisaccaridi
Pagina 24
INTRODUZIONE
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In questa tesina parlerò di una classe dei lipidi, quelli saponificabili, che rivestono una grande
importanza tra gli organismi viventi, tra i quali l’uomo, per il loro ruolo strutturale e funzionale.
Questa idea mi è venuta dopo uno stage all’estero l’estate scorsa, a Liverpool, durante il quale ho
avuto la possibilità di lavorare, per un mese, in un laboratorio microbiologico specializzato
nell’analisi batterica delle acque di aziende e di privati. In tale occasione, il responsabile del
laboratorio, ancor prima di illustrarmi le mie mansioni, mi ha spiegato una cosa banale, ma non
scontata: come lavarsi le mani in modo corretto per ridurre ed eliminare il rischio biologico
derivante dalla patogenicità dei batteri che venivano analizzati nel laboratorio. Da quel momento,
mi sono interessato all’importanza di una corretta igiene per evitare, grazie all’uso del sapone, la
proliferazione di batteri e altri patogeni. Studiando i lipidi durante il corso dell’anno, poi, ho scoperto
che i saponi derivano dai trigliceridi, che a loro volta fanno parte dei lipidi saponificabili (da qui il
nome): una grande famiglia che comprende fosfolipidi, glicolipidi, cere e trigliceridi. Quando si pensa
ai lipidi, si immagina subito a qualcosa di dannoso, come può essere l’accumulo di colesterolo nel
sangue o l’aumento di peso, ma questo è vero solo in parte: la loro presenza nel nostro corpo è
essenziale per molti motivi, in quanto essi sono componenti principali della membrana delle cellule
e del sistema nervoso, per fare qualche esempio.
La tesina, essendo multidisciplinare per definizione, deve poter inglobare più materie: la scelta dei
lipidi saponificabili ben si presta a questo scopo, con riferimenti all’igiene per quanto riguarda
l’importanza del sapone in ambito igienico, alla chimica organica per quanto riguarda la struttura
chimica di questi composti, alla biologia per quanto riguarda la presenza di lipidi saponificabili nelle
membrane cellulari degli organismi viventi e in quanto molti organismi producono delle endotossine
di natura fosfolipidica, e infine all’anatomia e alla patologia, in quanto alcuni di questi lipidi
saponificabili fanno parte delle strutture del sistema nervoso e la loro assenza può provocare delle
patologie(come il morbo di Alzheimer). Per quanto riguarda l’origine degli argomenti, ho preso
informazioni principalmente da siti internet (soprattutto in inglese) perché questo argomento è
poco sviluppato nei miei libri di testo, e si trova ben poco materiale in italiano su internet e su altri
libri in mio possesso. In alcuni casi ho attinto delle informazioni dalla rivista Nature, alla quale sono
abbonato e che mi è servita per approfondire qualche trattazione.
Quindi, la mia tesina si presterà alla trattazione di argomenti di materie di indirizzo, in quanto
ritengo necessario completare il mio percorso di studi con le discipline che mi hanno accompagnato
e spero mi accompagneranno in futuro all’università. Infine, essendo la mia scuola un istituto
tecnico, ho voluto integrare la parte teorica con quella pratica: per questo motivo ho voluto
realizzare il sapone nel mio laboratorio scolastico, per argomentare parte della mia tesina e
mostrare di aver sviluppato una competenza manuale al fine del mio percorso scolastico.
Per cominciare a spiegare i lipidi saponificabili, molecole molto complesse dal punto di vista chimico,
occorre partire dai loro elementi base: gli acidi grassi, piccoli alcoli polari e alcoli a lunga catena, il
gruppo fosfato, i monosaccaridi e la sfingosina. Queste molecole sono combinate in molti modi per
formare le varie classi di lipidi saponificabili.
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GLI ELEMENTI BASE DEI LIPIDI SAPONIFICABILI:
GLI ACIDI GRASSI
INTRODUZIONE
Gli acidi grassi sono i più abbondanti componenti dei lipidi saponificabili: almeno un acido grasso è
presente in tutti i lipidi saponificabili. Gli acidi grassi sono composti liposolubili formati da lunghe
catene di atomi di carbonio (da 6 a 36) con un gruppo funzionale carbossilico(COOH), che conferisce
loro proprietà acide. La biosintesi degli acidi grassi avviene soprattutto nel fegato, nella ghiandola
mammaria e nel tessuto adiposo degli organismi superiori. Tuttavia due particolari acidi grassi
polinsaturi, gli acidi linoleico e linolenico, possono essere sintetizzati soltanto negli organismi
vegetali e devono pertanto essere assunti con la dieta, per questo motivo essi vengono definiti acidi
grassi essenziali. Gli acidi grassi possono essere saturi, se non sono presenti doppi legami carboniocarbonio, monoinsaturi, se è presente un doppio legame al carbonio nella molecola, oppure
polinsaturi, se sono presenti due o più doppi legami carbonio-carbonio. I doppi legami sono nella
maggior parte dei casi nella forma “cis” (ogni carbonio del doppio legame è legato a un idrogeno e
a un atomo o gruppo funzionale diverso dall'idrogeno e i due gruppi funzionali si trovano dalla stessa
parte lungo un piano di riferimento). Essi possono esistere anche nella forma trans (opposta alla
cis), anche se in natura prevalgono nettamente gli acidi grassi cis rispetto ai trans, che si formano
soprattutto in seguito a determinati trattamenti artificiali. Negli acidi grassi polinsaturi i doppi
legami sono raramente coniugati, sono infatti separati usualmente da un gruppo metilico(-CH2-). In
presenza di doppi legami infatti risultano facilitate le reazioni di idrogenazione (saturazione),
idrossilazione, con formazione di idrossiacidi, e ossigenazione.
CLASSIFICAZIONE
Agli acidi grassi saturi vengono
assegnati nomi che terminano con la
desinenza
-anoico,
mentre
la
desinenza -enoico viene data gli acidi
grassi insaturi; alcuni acidi grassi
vengono comunemente identificati
con nomi propri, come, per es., gli acidi
oleico, linoleico e linolenico. La
classificazione degli acidi grassi insaturi
è basata sul numero di atomi di
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carbonio e sulla presenza di doppi legami: gli acidi grassi vengono identificati con due numeri
separati da due punti - di cui il primo indica il numero di atomi di carbonio della molecola e il secondo
il numero di doppi legami presenti lungo la catena carboniosa. Successivamente, con la lettera “n”
o “ω” seguita da un numero, si indica la famiglia di appartenenza: il numero rappresenta la distanza
del primo doppio legame dall'estremità metilica (per es. l'acido linolenico viene indicato con C18:3,
n-3). Ciascuna famiglia, o serie, è caratterizzata da una molecola capostipite, dalla quale si originano,
all'interno dell'organismo, altri acidi grassi polinsaturi in seguito a reazioni di allungamento della
catena attraverso enzimi specifici. Le due principali famiglie metaboliche di acidi grassi insaturi sono
quella dell'acido linoleico, detta n-6 o ω6(omega 6), il cui componente più abbondante è l'acido
arachidonico o AA (C20:4, n-6), e quella dell'acido linolenico o n-3, detta anche ω3(omega 3), da cui
derivano per conversione metabolica gli acidi eicosapentaenoico o EPA (C20:5) e docosaesaenoico
o DHA (C22:6).
PROPRIETA’ CHIMICHE
Gli acidi grassi sono anioni ad un pH fisiologico(5,5), in quanto il gruppo carbossilico dona il suo
protone ad una base, gli acidi grassi di piccole dimensioni nella forma anionica sono leggermente
solubili in acqua. La solubilità diminuisce con l’aumento del numero degli atomi di carbonio. Il loro
punto di ebollizione aumenta con l’aumentare con il numero di atomi di carbonio: a parità di atomi
di carbonio il numero di ebollizione diminuisce con l’aumento del numero di doppi legami.
ACIDI GRASSI ESSENZIALI
I grassi alimentari contengono acido linoleico, conosciuto ormai da alcuni decenni, e linolenico, il cui
ruolo è stato riconosciuto più di recente. La carenza di acido linoleico nella dieta, oltre a provocare
arresto della crescita e sterilità, induce negli animali da esperimento gravi alterazioni della cute e
degli organi interni. Inoltre nei lipidi plasmatici e tissutali si viene ad accumulare acido
eicosatrienoico (C20:3 n-9), normalmente assente nell'organismo, un prodotto di trasformazione
dell'acido oleico che può essere considerato un indice biochimico di questa carenza. L'acido linoleico
dà inoltre origine all'acido arachidonico, il più abbondante tra i polinsaturi a lunga catena, che a sua
volta è il precursore delle prostaglandine e più in generale degli eicosanoidi. L'apporto ottimale di
acido linoleico nella dieta è stato calcolato essere del 3% delle calorie totali, mentre sono stati
individuati fabbisogni più elevati (4-5%) nel neonato e in particolari condizioni quali gravidanza e
allattamento. Più recentemente è stato dimostrato che anche l'acido linolenico e i suoi prodotti di
conversione, EPA e DHA, hanno un ruolo essenziale nell'uomo. Si ritiene, infatti, che l’acido
linolenico deve essere dell’1% delle calorie totali, cioè in quantità 3-4 volte superiore a quella
attualmente consumata da gran parte della popolazione. Gli acidi linoleico e linolenico vengono
sintetizzati esclusivamente nel mondo vegetale. Le alghe marine sono inoltre in grado di formare gli
acidi altamente insaturi (EPA e DHA) della serie omega-3 che si accumulano lungo la catena
alimentare
fino
a
depositarsi
nei
tessuti
e
negli
organi
dei
pesci.
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SINTESI BIOCHIMICA DEGLI ACIDI GRASSI
La sintesi degli acidi grassi è il processo di combinazione di otto frammenti composti da due atomi
di carbonio (gruppi acetilici da acetil CoA) per formare un acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio,
il palmitato. Il palmitato può quindi essere modificato per dare origine ad altri acidi grassi. Tali
modifiche possono includere:
-
allungamento della catena per dare acidi grassi superiori, per esempio l’acido stearico.
desaturazione, dando acidi grassi insaturi.
La reazione di produzione del palmitato, che avviene nel citoplasma delle cellule del tessuto
adiposo e del fegato, ed è la più utilizzata, è:
8 acetil CoA + 7 ATP + 14 (NADPH + H+) -> palmitato (16:0) + 8 CoA + 7 (ADP + Pi) + 14 NADP+ +
6 H2O
Il palmitato
PICCOLI ALCOLI POLARI E ALCOL A LUNGA CATENA
Tra i componenti dei lipidi saponificabili troviamo piccoli alcoli polari, per esempio:
-il glicerolo (1,2,3- propantriolo), che è un triolo, ovvero una molecola a tre atomi di carbonio
caratterizzata dalla presenza di tre funzionalità alcoliche, ed è la molecola più abbondante nei lipidi
saponificabili dopo gli acidi grassi. Viene trasformato nel fegato in glucosio diventando una fonte di
energia per il metabolismo cellulare. Ricavato industrialmente come sottoprodotto della
lavorazione del sapone, trova impiego nella produzione di sciroppi, creme per uso farmaceutico e
cosmetico, nonché come additivo alimentare, identificato dalla sigla E422.
-l’amminoacido serina, acido 2(S)-ammino-3-idrossipropanoico, è un amminoacido polare e chirale.
L’enantiomero L è uno dei 20 amminoacidi, che può essere sintetizzato dall’organismo umano. La
serina può essere destinata alla produzione di energia metabolica, sotto forma di ATP. Per farlo deve
essere prima deidratata in una reazione catalizzata dall'enzima serina deidratasi.
- la etanolammina, è un composto chimico che ha la funzione di ammina e di alcol. Legata ad un
glicerofosfolipide dà la fosfatidiletanolammina, detta anche "cefalina". Quest'ultima ha funzione di
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trasporto degli acidi grassi e contribuisce al loro assorbimento a livello intestinale.
-la colina, è una sostanza organica classificata come nutriente essenziale. Viene denominata
vitamina J e talvolta è accostata alle vitamine del Gruppo B. È un costituente dei fosfolipidi che
compongono
la
membrana
cellulare
e
del
neurotrasmettitore
acetilcolina.
- l’inositolo, un polialcol ciclico con 6 atomi di carbonio. La struttura dell'inositolo gioca un ruolo
fondamentale nei messaggeri secondari in cellule eucariotiche, come inositolo fosfato o come lipidi
fosfatidilinositolo (PI) e fosfatidilinositolofosfato (PIP).
Troviamo poi alcoli a lunga catena, costituiti da 8 fino a 40 atomi di carbonio e una funzionalità
alcolica. Una proporzione di alcoli presenti nei lipidi saponificabili sono gli alcol vinilici: formati
sempre da 8 fino a 40 atomi di carbonio, con un gruppo alcolico al C-1, e un doppio legame carboniocarbonio tra C-1 e C-2.
IL GRUPPO FOSFATO
Il fosfato è un anione con formula PO43-. In questo ione il fosforo assume stato di ossidazione +5.
Consiste in un atomo di fosforo centrale circondato da quattro atomi di ossigeno, formanti un
tetraedro. E’ un componente del DNA e del RNA, dove forma legami fosfodiesterei essenziali per la
formazione del lungo filamento degli acidi nucleici. L'ATP, o adenosina trifosfato, ha tre gruppi
fosfato, ed è la molecola adibita al trasporto di energia chimica; l'energia viene portata nei legami
chimici dei fosfati. I legami tra i tre fosfati sono ad alta energia, il che significa che quando il legame
è rotto, moltissima energia può essere rilasciata per generare lavoro (7 Kcal/mol o 29288 J/mol).
Ecco perché l’ATP viene utilizzato come vettore energetico per tutta la cellula. I gruppi fosfato sono
inoltre utilizzati per fosforilare molecole come proteine: l’aggiunta di uno o più gruppi fosfato
determina una attivazione o una inibizione di una determinata molecola organica. Questo processo
viene utilizzato dalle cellule come meccanismo di controllo, sono un esempio le fibre muscolari dove
l’ATP gioca un ruolo fondamentale nella contrazione e rilassamento del muscolo.
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Un altro ruolo importante, inerente all’argomento della tesina, è che il gruppo fosfato è un
componente essenziale in una classe di lipidi saponificabili, i fosfolipidi.
Da sinistra verso destra: molecola di ATP, gruppo fosfato, nucleotide del RNA
I MONOSACCARIDI
I monosaccaridi sono i più semplici carboidrati e sono comunemente chiamati zuccheri.
Sono i mattoni per la costruzione(monomeri) di tutti i carboidrati più complessi. I monosaccaridi
hanno formula generale (CH2O)n ,dove n può essere un numero compreso tra 3 e 6. Infatti, possiamo
classificarli come:
n= 3 triosi, per esempio la gliceraldeide
n= 5 pentosi, come il ribosio o il deossiribosio(rispettivamente gli zuccheri di RNA e DNA)
n= 6 esosi, come il fruttosio, il glucosio e il galattosio
I pentosi e gli esosi possono esistere in due forme: ciclica e non ciclica. Nella forma non ciclica la loro
formula di struttura mostrano il gruppo chetonico o aldeidico, che nella forma ciclica non è evidente
perché impegnato nel legame di ciclizzazione della molecola (forma emiacetalica). Comunque, gli
zuccheri si trovano nella maggior parte dei casi nella forma ciclica piuttosto che in quella non ciclica.
La loro caratteristica principale è quella di essere delle sostanze utilizzate come fonti energetiche
per le cellule dove la loro ossidazione produce energia chimica sotto forma di ATP. Sono molecole
polari, visto che possiedono molte funzionalità alcoliche oltra a quella chetonica o aldeidica.
Il glucosio nella sua forma aciclica (a
sinistra) e ciclica (a destra)
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LA SFINGOSINA
La sfingosina un amminoalcol insaturo il cui nome I.U.P.A.C. è trans-D-eritro-2-ammino-4ottadecen-1,3-diolo. La sfingosina è costituita da tre parti: una catena di tre atomi di carbonio
contenente due gruppi alcolici e un gruppo amminico legati a una lunga catena idrocarburica. La
sfingosina è, in pratica, un aminoalcol a 18 atomi di carbonio. Viene generalmente isolata dal
cervello dei bovini e va conservata a bassa temperatura (-20 °C). E’ una molecola molto importante
perché
componente
principale
degli
sfingolipidi
e
delle
ceramidi.
I LIPIDI SAPONIFICABILI
Una volta descritti i principali componenti dei lipidi saponificabili, si può procedere nella descrizione
di questa classe di composti. I lipidi saponificabili, sono definiti come delle molecole che reagiscono
con soluzioni calde e/o alcaline per formare saponi. I saponi sono sali di acidi grassi a lunga catena,
che sono più solubili in acqua rispetto agli acidi grassi senza carica. Il motivo è che i saponi
contengono una parte della struttura molecolare che è polare: questa parte può interagire con
l’acqua, anch’essa polare, per permettere una certa solubilità ad una parte della molecola. Le
soluzioni alcaline idrolizzano esteri, ammidi e legami glicosidici formando acidi carbossilici, aldeidi,
chetoni, alcoli e ammine. Per questo motivo i lipidi saponificabili sono molecole complesse,
costituite da piccole molecole legate covalentemente ad uno o più legami esterei, ammidici e
glicosidici.
LE CERE
Il termine cere è utilizzato generalmente per descrivere un gruppo molto eterogeneo costituito da
miscele di lipidi apolari a lunga catena. La parola cera deriva dall’inglese antico”weax” che significa
letteralmente ”sostanza prodotta dalle api”. In questo grande gruppo troviamo composti insolubili
in acqua ma solubili in solventi apolari, con un punto di fusione che va dai 60 ai 100 gradi. Le cere
sono, in pratica, esteri di un alcol a lunga catena (dai 16 ai 40 atomi di carbonio) con un acido grasso
a lunga catena (dai 12 ai 38 atomi di carbonio). Sono la più semplice classe di lipidi saponificabili,
possono infatti essere saponificati da soluzioni alcaline calde per dare un acido grasso ed un alcol.
Vanno a formare un rivestimento impermeabile in piante e in frutti ma soprattutto in animali (cera
delle api, le cuticole degli insetti, nella pelle, nelle ghiandole dell’uropigio degli uccelli, gli spermaceti
delle balene, deposito di grasso per il zooplancton), nelle alghe, nei funghi e nei batteri. Le cere
vengono inoltre utilizzate nelle industrie cosmetiche per le loro proprietà emollienti (rendere
morbidi i materiali), vengono utilizzati inoltre come lubrificanti, o come riserva energetica per alcuni
organismi viventi. In questo gruppo troviamo inoltre cere di tipo sintetico come la paraffina. Ecco
alcune delle cere più conosciute e più utilizzate dall’uomo o dagli organismi viventi:
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CERE ANIMALI
Cera d’api
Questa è la cera più conosciuta, viene prodotta da una secrezione addominale dalle api (Apis
mellifera). Viene utilizzata per formare le celle dell’alveare, ed è costituita da monoesteri di acidi
grassi come l’acido palmitico, palmitoleico e idrossipalmitico (per circa l’80% del peso totale), il resto
del peso è dovuto a una grande miscela di composti come idrocarburi, steroli e altri esteri etilici. La
cera d’api è facilmente saponificabile ed emulsionabile grazie al contenuto di acidi grassi, dioli e
idrossiacidi. Il suo punto di ebollizione è di 62-65°C. E’ stata usata sin dall’antichità visto la sua
presenza nelle pitture murali della grotta di Lascaux e nelle mummie egiziane. Veniva usata dagli
egiziani per le sue proprietà adesive e di protezione e nella costruzioni di navi. Nel periodo romano,
veniva utilizzata per proteggere le pitture rupestri mentre nel medioevo veniva considerata al pari
di una moneta. Negli ultimi anni, la cera d’api viene utilizzata materiale di modellismo, come
componente di guarnizioni, rivestimenti e candele.
Spermaceti (o sperma di balena)
Lo spermaceti è una cera che deriva dal tessuto adiposo e da una grande cavità nella testa del
capodoglio (Physter macrocephalus). L’organo frontale, usato come un sonar dall’animale, contiene
circa 3 tonnellate di spermaceti. Questa sostanza contiene monoesteri(65-95%), ma anche da
trigliceridi, alcoli e acidi grassi liberi (i monoesteri vengono sintetizzati dal palmitato di cetile). Lo
spermaceti ha un aspetto di un solido bianco cristallino che può essere ridotto in polvere. Il suo
punto di fusione è di 42-50 gradi celsius. Questo prodotto veniva utilizzato in medicina in Inghilterra
(15° secolo) e successivamente in cosmetica, farmacia e nelle candele. In questo momento, non
viene più commercializzato perché il capodoglio è un animale a rischio di estinzione. E’ stato quindi
rimpiazzato da spermaceti sintetico costituito da miscele di acetil-palmitato con altre sostanze.
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Cere negli esseri umani
Possiamo trovare delle cere anche nell’essere umano, soprattutto negli occhi e nella cute: le cere
costituiscono il 25% del sebo negli uomini, che presenta un acido grasso inusuale nella sua
composizione e che è presente in grande quantità, 16:1 n-10 chiamato anche acido sapienico.
Questo acido conferisce alla cera una potente azione antimicrobica. Negli occhi, invece, sono
presenti delle ghiandole, chiamate ghiandole di Meibomio, che secernono varie cere che hanno un
ruolo essenziale nella protezione della superficie dell’occhio dalla disidratazione. Oltre a questa
funzione, sono inoltre antimicrobiche, lubrificanti e hanno proprietà nutrizionali.
CERE VEGETALI E ALTRE CERE
Cera di carnauba
Questa cera è secreta dalle foglie della palma brasiliana (Copernicia prunifera cerifera). Contiene
principalmente esteri grassi, alcoli liberi e acidi grassi. La caratteristica principale di questa cera è
che contiene il 20% di dialcoli e il 10% di acido cinnamico. Questa cera è la più dura tra le cere
vegetali e ha una temperatura di ebollizione di 78-85 gradi celsius. Viene utilizzata dalla pianta per
ridurre la disidratazione della pianta e viene usata industrialmente per creme, rossetti, candele,
nelle pellicola per la carta e nella frutta del supermercato.
Nelle piante la superficie è costituita da una complessa miscela di lipidi (tra i quali un polimero
chiamato cutina) che forma la cera epicuticolare. Questa cera ricopre tutta la pianta ed è un ottimo
mezzo di protezione per la protezione dall’ambiente esterno, evitando la disidratazione della pianta.
Una struttura simile la si può osservare inoltre in alcune alghe, dove offre protezione anche da
parassiti.
Anche i batteri producono cere, che possono essere utilizzate sia come fonte energetica, sia come
protezione dall’ambiente esterno. Mycobacterium spp, per esempio, produce particolari cere
(phthiocerol waxes) che costituiscono parte della parete cellulare o della capsula. Si è visto che
queste cere giocano un ruolo importante nella virulenza del batterio ma anche nella struttura e nella
permeabilità.
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TRIGLICERIDI
Struttura e caratteristiche
I trigliceridi, chiamati anche triacilgliceroli o lipidi neutri, sono delle molecole organiche composte
da tre acidi grassi legati ai tre gruppi ossidrilici di una molecola di glicerolo attraverso legami esterei.
Sono comunemente chiamati grassi (se di origine animale) e oli (se di origine vegetale): sono
facilmente saponificabili in presenza di una base forte e danno luogo ad una molecola di glicerolo e
a sali degli acidi grassi. Questi ultimi sono i comuni saponi che usiamo ogni giorno e che rivestono
una grande importanza (questo argomento verrà trattato nella apposita sezione). I trigliceridi
possono essere costituiti da tre acidi grassi uguali tra loro, e vengono quindi chiamati semplici,
oppure da diverse combinazioni di acidi grassi, e vengono chiamati misti. In realtà, i grassi e gli oli
non sono costituiti da un solo trigliceride: per riuscire a capire quali acidi grassi li compongono si
procede ad una saponificazione per identificare ogni percentuale. Gli acidi grassi che compongono
i trigliceridi possono essere saturi e insaturi. Nel primo caso si ottiene un grasso, che è solido e
spesso di origine animale (con l’eccezione dell’olio di cocco e di palma), nel secondo si ottiene un
olio, spesso di origine vegetale e liquido. La diversa consistenza dei grassi e degli oli è dovuta alla
struttura degli acidi grassi: le lunghe e inerti catene carboniose degli acidi grassi saturi fa sì che
queste si aggreghino facilmente, instaurando interazioni chimiche deboli (forze di Van der Waals),
compattandosi in una forma cristallina e dando così una consistenza solida al grasso. Negli acidi
grassi insaturi, invece, le catene carboniose sono flessibili a causa della presenza di doppi legami e
alla configurazione cis che essi assumono: questo riduce le forze di Van der Waals tra gli acidi grassi
rendendo l’olio liquido. Grazie alle loro proprietà chimiche, i trigliceridi hanno delle caratteristiche
particolari: sono neutre, ovvero non possiedono gruppi chimici caricati elettricamente, per cui sono
insolubili in acqua, hanno una densità minore dell’acqua e hanno temperature di ebollizione basse
(dai 160 ai 260 gradi celsius a seconda del tipo di grasso o olio).
DIGESTIONE E UTILIZZO DEI TRIGLICERIDI NELL’ORGANISMO UMANO
Negli organismi viventi, i trigliceridi vengono utilizzati come riserva di energia visto il loro alto
potenziale energetico: dalla demolizione di un trigliceride otteniamo infatti un glicerolo, uno
zucchero che può essere utilizzato come substrato di partenza nella glicolisi dopo essere
trasformato in gliceraldeide-3-fosfato, e acidi grassi (β ossidazione degli acidi grassi), che possono
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essere trasformati in gruppi acetile per poter poi entrare nel ciclo di Krebs come acetil-CoA. Questa
funzione energetica è condivisa da tutti gli organismi viventi, dai batteri (in quantità minore) alle
piante, ma anche miceti, lieviti e alghe.
I trigliceridi, una volta ottenuti attraverso il cibo, vengono demoliti grazie all’azione di diverse
sostanze: quando raggiungono il coledoco, il canale di transito tra lo stomaco e l’intestino, vengono
emulsionati dalla bile (formata da fosfolipidi e steroli) che permette ai trigliceridi di poter essere
solubili in acqua. Successivamente la lipasi pancreatica, enzima prodotto dal pancreas, rompe i
trigliceridi in monogliceridi, acidi grassi e piccole quantità di glicerolo. A questo punto, gli acidi grassi
e il glicerolo vengono assorbiti dai villi intestinali per entrare nel circolo sanguigno, mentre i
monogliceridi verranno compattati in lipoproteine dette chilomicroni che vengono assorbiti e
immessi nei vasi linfatici del villo (sono troppo grandi per entrare nei capillari del villo). Una volta
dentro le cellule, fungono da riserva energetica attraverso la loro idrolisi. Se è presente una
concentrazione eccessiva di trigliceridi essi vengono immagazzinati negli adipociti, cellula
specializzate per questa funzione, contribuendo a formare il grasso corporeo. I trigliceridi hanno
però altre due funzioni: sono isolanti per la perdita di calore e hanno una funzione protettiva contro
i traumi esterni. Un alto livello di trigliceridi nel corpo può portare a numerose patologie a carico del
sistema cardio-circolatorio: trombosi, angina pectoris, infarto e obesità. Occorre, per una buona
salute, ridurre il consumo di trigliceridi contenenti acidi grassi saturi (contenuti in grassi, come il
burro) ed aumentare il consumo di trigliceridi contenenti acidi grassi insaturi (contenuti in oli
vegetali e nel pesce) in quanto questi sono indispensabili per l’eliminazione degli acidi grassi saturi
e colesterolo nel sangue.
SAPONE
Ho scelto di descrivere il sapone, derivato dai trigliceridi, sia per comprendere meglio la sua struttura
e la sua importanza, sia perché tutti i lipidi saponificabili in presenza di soluzioni alcaline producono
esteri di acidi grassi (saponi) tramite una reazione di saponificazione, dando quindi il nome a questa
classe di lipidi.
Breve storia del sapone
La prima prova dell’esistenza del sapone risale al 2800 A.C nell’antica Babilonia. I babilonesi
scoprirono che mescolando del grasso caldo con cenere di legno e acqua si otteneva una sostanza
pulente, che venne utilizzata nell’industria tessile. Anche gli egiziani, nel 1550 A.C. lo utilizzarono in
medicina, soprattutto per curare piaghe e come misura preventiva per problemi alla pelle. Si crede
che il sapone divenne famoso durante l’impero Romano. Infatti nelle rovine di Pompei, distrutta dal
Vesuvio nel 79 D.C., è stata scoperta una industria di sapone. Nel 1200 D.C. a Marsiglia, Francia e
Savona, Italia, si sviluppò l’industria del sapone. Il loro sapone era costituito da grasso di capra
mischiato a ceneri di legno di faggio (alcaline). Negli stessi anni, anche in altri luoghi della Francia
comincia a svilupparsi l’industria del sapone e dei profumi: da questo momento in poi i saponi
verranno impiegati per lavarsi e profumarsi. Nel 18 secolo, si capì l’importanza dei saponi dal punto
di vista igienico, grazie alle importanti scoperte sulla loro struttura e produzione, come quelle di
Leblanc nel 1791 e Pears nel 1789. Nel corso degli anni lo studio sulla preparazione del sapone si
sviluppò sempre più sino alla scoperta dei saponi liquidi e i detergenti, negli ultimi 100 anni.
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Come è fatto un sapone e come funziona
I saponi vengono definiti come sali (nella maggior parte dei casi di sodio o di potassio) di acidi grassi
a lunga catena. La particolare struttura del sapone fa sì che si formi una “coda” idrofoba (non affine
all’acqua) costituita dalla catena carboniosa e una “testa” idrofila (affine all’acqua) costituita dal
gruppo ionico o polare. L’azione del sapone si basa sulla legge chimica “il simile scioglie il simile”:
quando ci laviamo, la parte idrofoba del sapone (la catena carboniosa) va a legarsi allo sporco,
questo perché le molecole di sporco sono tendenzialmente idrofobe. In questo modo lo sporco e
circondato da molecole di sapone, con le code idrofobe delle molecole di sapone legate allo sporco,
mentre le estremità idrofile (spesso anioni) sono all’esterno a contatto con l’acqua. Queste
particolari strutture sono chiamate micelle e permettono di solubilizzare lo sporco. In altre parole
le micelle possono essere considerate delle sferette con la superficie caricata negativamente le
quali, respingendosi fra loro elettrostaticamente, rimangono disperse nel solvente acquoso da dove
verranno allontanate con i risciacqui. I saponi inoltre fanno parte della famiglia dei tensioattivi,
molecole in grado di diminuire la tensione superficiale dell’acqua. Questo permette una maggiore
facilità di solubilizzare lo sporco in acqua e di allontanarlo dal nostro corpo attraverso il lavaggio con
acqua. Essi tuttavia non sono in grado di svolgere la loro funzione detergente sia in acque dure,
ossia in acque ricche di sali di calcio, ferro e magnesio, sia in quelle acide. Nel primo caso danno
luogo a sali carbossilici che, essendo insolubili in acqua precipitano e quindi si depositano sul tessuto
o sulla superficie da lavare (si pensi agli anelli di deposito nelle vasche da bagno); nel secondo caso
la soluzione acida dà origine agli acidi grassi iniziali che risultano anch’essi insolubili in acqua.
Processi di formazione del sapone
Le tecniche per la preparazione dei saponi possono essere di tipo discontinuo oppure continuo. La
prima, di tradizione artigianale, parte da materie prime grezze, per cui l'idrolisi avviene durante la
lavorazione: l'olio e i grassi in miscela opportuna vengono immessi in una caldaia e riscaldati con
vapore diretto; quando la massa raggiunge la temperatura di ca. 80 ºC si immette lentamente, per
non originare una violenta saponificazione, una soluzione di idrossido di sodio al 50%, dopo di che
si effettua la cosiddetta “salatura” per aggiunta di sale (cloruro di sodio) e si lascia a riposo la
soluzione sospendendo l'invio di vapore. Dopo diverse ore si ha la separazione della liscivia,
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contenente il glicerolo, che si raccoglie sul fondo e viene scaricata, e del sapone che si stratifica in
alto. A questo punto il sapone subisce numerosi lavaggi con acqua leggermente salata per separare
il restante glicerolo; infine una successiva bollitura permette la separazione al fondo della caldaia
delle varie impurezze presenti nelle materie prime. Per sapone di bassa qualità si ricorre invece a
una saponificazione a freddo, senza asportazione delle impurezze e della glicerina. I processi
continui, adottati nelle industrie, partono dagli acidi grassi ottenuti per saponificazione e prevedono
la totale automazione del processo. Secondo uno dei metodi più usati, gli acidi grassi, miscelati a
ossido di zinco come catalizzatore, sono inviati in una colonna di idrolisi in controcorrente d'acqua
a 220 ºC, sotto pressione di ca. 40 atmosfere. Dal fondo della colonna fuoriesce il glicerolo e dalla
testa la soluzione salina che viene inviata alla distillazione sotto vuoto e quindi alla neutralizzazione
con idrossido di sodio. I saponi ricavati in modo sia continuo sia discontinuo contengono circa il 30%
di acqua che deve essere in buona parte asportata per essiccamento sotto vuoto; infine essi
vengono additivati con sbiancanti ottici, pigmenti, odorizzanti, profumi, ecc. e quindi confezionati
secondo la richiesta del mercato.
L’importanza del sapone in ambito igienico
Le mani sono un ricettacolo di germi; circa il 95% è rappresentato da microrganismi non patogeni,
che risiedono normalmente sulla cute senza creare danni. A questi, però, possono aggiungersi virus
e batteri che circolano nell’aria o con cui veniamo in contatto toccando le più diverse superfici. I
batteri delle mani possono essere suddivisi in due categorie: transitori o residenti. La flora residente
è formata da microrganismi residenti sotto le cellule superficiali dello strato corneo e presenti anche
sulla superficie cutanea. Staphylococcus epidermidis è la specie dominante e la resistenza
all'oxacillina è straordinariamente elevata, in particolare nel personale sanitario. Tra gli altri batteri
residenti troviamo Staphylococcus hominis e altri stafilococchi coagulasi negativi, i batteri
corineformi (Propionibacteria, Corynebacteria, batteri epidermici e micrococchi). Tra i funghi, il
genere più diffuso della flora cutanea residente è il Pityrosporum (Malassezia) spp. Le mani di alcuni
operatori sanitari possono diventare permanentemente colonizzate da agenti patogeni come S.
aureus, i bacilli Gram-negativi o i lieviti. La cute umana normale è colonizzata da batteri, con conte
totali di batteri aerobi variabili: oltre 1 x 106 UFC (Colony Forming Unit - Unità Formanti
Colonie)/cm2 sul cuoio capelluto, 5 x 105 UFC/cm2 nell'ascella e 4 x 104 UFC/cm2 sull'addome e 1
x104 UFC/cm2 sull'avambraccio. Le conte batteriche totali sulle mani del personale ospedaliero
vanno da 3,9 x 104 a 4,6x 106 UFC/cm2. La possibile presenza di microrganismi patogeni nelle mani
e la facilità di trasmissione di questi nell’ambiente o tra persona e persona rende necessario
adottare delle misure di prevenzione e di asepsi. La più utilizzata e la più semplice è quella di lavarsi
le mani con il sapone. Il sapone, per la sua azione detergente, è molto utilizzato per rimuovere la
flora transitoria che aderisce non troppo fortemente alla cute. Per questo motivo è importantissimo
l’utilizzo del sapone nella vita di ogni giorno, sia in ambiente domestico che in ambiente sanitario:
circa 1/3 delle infezioni associate alle pratiche assistenziali sono prevenibili lavandosi le mani. E’
quindi opportuno conoscere le più comuni modalità di contaminazione e mettere in atto le
opportune misure igieniche.
IL MIO SAPONE
Per completare il discorso sui saponi, ho realizzato nel mio laboratorio scolastico un sapone
partendo da olio di oliva e idrossido di sodio. La reazione che avviene in ambiente caldo è la
saponificazione (già descritta in precedenza) e il sapone che ho ottenuto è solido. Esso è abbastanza
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“morbido” perché non ho separato il glicerolo alla fine del processo e ho effettuato lo sconto di
soda, introducendo una quantità minore di idrossido di sodio evitando così di avere un sapone
troppo aggressivo per la cute.
PROCEDIMENTO
Ho pesato 600 grammi di olio extravergine di oliva, che erano inseriti in un becher da 1000 ml,
utilizzando una bilancia tecnica (sensibilità 0,1 grammo, portata 1000 grammi). Successivamente ho
pesato in un altro becher (da 250 ml) i grammi di idrossido di sodio (NaOH) per la completa
saponificazione dell’olio, che ho ottenuto moltiplicando la massa dell’olio per il suo indice di
saponificazione (ovvero la quantità di idrossido di sodio per saponificare 1 grammo di sostanza
grassa). Una volta pesato l’idrossido di sodio, ho aggiunto 228 grammi di acqua al fine di ottenere
una soluzione acquosa di NaOH. Successivamente, ho travasato la soluzione di NaOH nel becher
contenente l’olio e ho mescolato per 10 minuti circa in modo da ottenere una soluzione il più
omogenea possibile. Una volta fatto ciò, ho posto il becher in una piastra riscaldante. Ho scaldato
la soluzione per circa un’ora e mezza alla temperatura di 40/45° C controllando di tanto in tanto la
temperatura con un termometro e continuando a mescolare per evitare la formazione di grumi.
Quando ho ottenuto un solido pastoso, ho fermato il riscaldamento, ho aggiunto qualche goccia di
essenza di geranio e lo ho versato in stampini in silicone. Ho lasciato quindi riposare il sapone per 5
giorni ed ho ottenuto le forme di sapone solido.
ATTENZIONE
-L’idrossido di sodio utilizzato è corrosivo e può provocare gravi ustioni cutanee e gravi lesioni
oculari (GHS05)
-La reazione tra NaOH e acqua è fortemente esotermica
CALCOLI EFFETTUATI E DATI
Grammi di olio pesati= 600 grammi
Massa idrossido di sodio=๐‘š๐‘Ž๐‘ ๐‘ ๐‘Ž ๐‘œ๐‘™๐‘–๐‘œ × ๐‘†๐ด๐‘ƒ = 80,4 g
76,4 g con sconto di soda 5 %
SAP olio extravergine d’oliva= 0,134
Massa acqua= 228 grammi
Da sinistra verso destra: soluzione di idrossido di sodio, becher con olio d’oliva, becher olio+NaOH e sapone ottenuto
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FOSFOLIPIDI
La famiglia dei fosfolipidi comprende fosfogliceridi, plasmalogeni e sfingomieline ed è una delle più
importanti famiglie che compongono i lipidi saponificabili. Sono così chiamati per la presenza di un
gruppo fosfato nelle loro molecole. I fosfolipidi compongono buona parte delle membrane cellulari,
per cui prima di andare a descrivere i diversi fosfolipidi, spiegherò brevemente cos’è una membrana
cellulare:
LA MEMBRANA CELLULARE (O PLASMATICA)
La membrana plasmatica è presente sia nelle cellule eucarioti che eucarioti, ed è composta da un
doppio strato di fosfolipidi, dello spessore di 50 nm, che fungono da barriera che separa l’ambiente
cellulare dal mondo esterno. Oltre ai fosfolipidi sono presenti anche proteine che permettono il
mantenimento del potenziale elettro-chimico, le funzioni di riconoscimento, la comunicazione tra
le cellule, offrono stabilità alla membrana e permettono il passaggio di molecole o ioni all’interno o
all’esterno della cellula. La membrana plasmatica delle cellule animali contiene 4 fosfolipidi
(fosfatidilcolina, fosfatidiletanolammina, fosfatidilserina e sfingomielina), che insieme formano più
della metà dei lipidi di membrana. Questi fosfolipidi sono disposti asimmetricamente tra le due metà
della membrana a doppio strato. Lo strato più esterno consiste principalmente di fosfatidilcolina e
sfingomielina, mentre fosfatidiletanolammina e fosfatidilserina compongono lo strato più interno.
Un quinto fosfolipide, il fosfatidilinositolo, è localizzato tra i due strati fosfolipidici e gioca un ruolo
importante nella trasduzione del segnale (come vedremo). Altri componenti di membrana sono il
colesterolo e i glicolipidi (2%), in cui la loro porzione zuccherina è esposta sulla superficie della
membrana cellulare. La struttura dei fosfolipidi è responsabile per la funzione della membrana nel
separare due compartimenti acquosi: i fosfolipidi (similmente ai saponi) sono costituiti da una testa
polare idrofila e due code apolari idrofobe. Quando posti in ambiente acquoso, questi si dispongono
in doppio strato, con le teste polari rivolte all’interno e all’esterno della cellula a contatto con acqua,
mentre le code polari sono rivolte verso l’interno del doppio strato, dove l’acqua non è presente.
Per questo motivo la membrana è impermeabile a molecole idrosolubili, mentre sono solubili
composti piccoli e apolari. Gli acidi grassi dei fosfolipidi contengono uno o più doppi legami, questo
fa sì che non si compattino e possano muoversi liberamente nella membrana cellulare, rendendo la
membrana cellulare flessibile e morbida (modello a mosaico fluido). Recenti studi dicono che non
tutti i lipidi possono muoversi liberamente nella membrana plasmatica. Sono presenti, infatti, dei
microdomini dove sono presenti elevate concentrazioni di sfingolipidi e colesterolo. Questi blocchi
di sfingolipidi e colesterolo formano delle “zattere fosfolipidiche” (lipid rafts) nello strato
fosfolipidico che possono muoversi e sono associate a specifiche proteine di membrana. Anche se
le funzioni dei lipid rafts non sono ancora del tutto conosciute, si pensa siano implicate nei processi
di segnalazione cellulare o nei processi di trasduzione del segnale (Nature, Functional rafts in cell
membranes, volume 387, 5 June 1997, Kai Simons & Elina Ikonen).
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FOSFOGLICERIDI
I fosfogliceridi sono simili ai trigliceridi: sono infatti esteri del glicerolo,
ma contengono solo due acidi grassi al posto di tre. Gli acidi grassi sono
legati ai gruppi ossidrilici 1 e 2 del glicerolo attraverso legame estereo.
Il terzo gruppo ossidrilico del glicerolo è legato ad un gruppo fosfato
tramite legame fosfoestereo (doppio legame ossigeno-fosforo). E’
inoltre presente un amminoalcol complesso legato al gruppo fosfato
attraverso un secondo legame fosfoestereo. Il complesso amminoalcol
può essere la colina, la etanolammina o l’amminoacido serina
Tutti i fosfogliceridi derivano dall’acido fosfatidico: questa molecola contiene due acidi grassi legati
attraverso legame estereo con i gruppi ossidrilici 1 e 2 del glicerolo. Una molecola di fosfato è legata
al gruppo ossidrilico del carbonio 3 del glicerolo. Gli organismi viventi contengono poco acido
fosfatidico, ma questo composto è il precursore di tutti gli altri fosfogliceridi: aggiungendo uno
amminoalcol si ottengono tutti gli altri fosfogliceridi. Fra i più importanti è utile ricordare la lecitina,
le cefaline e la cardiolipina.
La fosfatidilcolina o lecitina è una molecola
che si forma quando una molecola di colina
è esterificata ad un fosfato dell’acido
fosfatidico. La fosfatidilcolina è molto
abbondante nelle cellule, in quanto forma
circa metà delle membrane cellulari di
origine animale. Questa molecola si dispone
spontaneamente in doppio strato, quindi è
ideale per la formazione del doppio strato
fosfolipidico della membrana cellulare.
Viene generalmente estratta dai semi di soia ed è il fosfolipide più presente nel citoplasma cellulare.
Costituisce la maggior parte del surfactante, il liquido che impedisce il collasso degli alveoli più
piccoli e l’eccessiva espansione di quelli più grandi, ed è la fonte principale di colina, molecola
essenziale per la formazione di un importante neurotrasmettitore, l’acetilcolina. La fosfatidilcolina
è inoltre un costituente importante delle lipoproteine che trasportano il colesterolo e i trigliceridi,
soprattutto delle HDL, contribuendo a mantenere il livello di grassi nel sangue. Per questo motivo,
negli ultimi anni viene utilizzata in chirurgia estetica con iniezioni sottocutanee per rimuovere il
grasso in eccesso, senza ricorrere ad un intervento chirurgico quale è la liposuzione.
Le cefaline sono composti organici che si riscontrano in concentrazioni elevate soprattutto nel
cervello e nel midollo spinale e comprendono la fosfatidiletamolammina, la fosfatidilserina e il
fosfatidilinositolo. La fosfatidiletanolammina è un fosfogliceride ottenuto legando una
etanolammina al gruppo fosfato dell’acido fosfatidico tramite legame estereo. E’ uno zwitterione a
un range di pH tra 2 e 7 prende è nella forma anionica in un range tra 7 e 10. Nei batteri è il principale
fosfolipide di membrana e sembra inoltre giocare un ruolo importante nella trasformazione e
differenziamento delle cellule. Si pensa che la fosfatidiletanolammina eserciti una pressione laterale
nella membrana cellulare stabilizzando le proteine di membrana nella loro conformazione ottimale.
Si pensa inoltre che abbia un ruolo importante nelle membrane batteriche nel diluire la densità
cariche negative dei fosfolipidi in forma anionica. E’ una molecola in grado, nel batterio E.coli, di
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permettere il trasporto attivo del lattosio tramite l’enzima lattosio permeasi, in quanto determina
la corretta struttura terziaria della proteina. Nei tessuti animali, la fosfatidiletanolammina è molto
importante nel cuore durante una ischemia: essa è componente principale del sarcolemma (la
membrana cellulare delle fibre muscolari), questo è in grado di riorganizzare il suo contenuto
fosfolipidico andando a eliminare la fosfatidiletanolammina in caso di ischemia o inibizione
metabolica, riducendo il danno provocato da queste condizioni. Un'altra molecola importante che
fa parte della famiglia delle cefaline è la fosfatidilserina: fosfogliceride ottenuto aggiungendo un
amminoacido serina al gruppo fosfato della molecola di acido fosfatidico. Questo fosfogliceride è
presente raramente in natura, con una concentrazione minore del 10% nelle membrane cellulari.
Nel tessuto del cervello, la mielina contiene
le concentrazioni maggiori di questa
molecola. Questa molecola è un
componente chiave nell’attivazione delle
chinasi (enzimi appartenenti alla famiglia
delle fosfotransferasi in grado di trasferire
gruppi fosfato da molecole donatrici ad alta
energia (come l'ATP) a specifici substrati) e
del processo di coagulazione del sangue. La
fosfatidilserina è interamente localizzata
nello strato più interno della membrana
cellulare: questa normale distribuzione è
alterata durante l’attivazione delle piastrine e l’apoptosi cellulare. L’ultima molecola appartenente
alle cefaline è il fosfatidilinositolo, ottenuto aggiungendo una molecola di inositolo al gruppo fosfato
dell’acido fosfatidico. Questa molecola è presente in minima parte nella membrana cellulare di
cellule procarioti ed eucarioti, e si pensa abbia un ruolo nella trasduzione del segnale.
La cardiolipina, detta anche difosfatidilglicerolo, è un
fosfogliceride presente per il 20% dei lipidi
mitocondriali. E’ stata isolata nel 1906 da Wasserman
nel cuore di manzo, da cui il nome, ed è stata poi
utilizzata per il test sierologico di riconoscimento di
Treponema pallidum, l’agente eziologico della sifilide.
La cardiolipina è composta da due molecole di acido
fosfatidico legate al carbonio 1 e 3 di una molecola di
glicerolo. La cardiolipina dei mammiferi contiene oltre
il 90% di un acido grasso, l’acido linoleico, anche se sono state identificate oltre 100 specie
molecolari. Questo fosfolipide è associato all’enzima citicromo ossidasi nella catena di trasporto
degli elettroni nella membrana interna dei mitocondri, nella membrana dei tilacoidi e nelle
membrane batteriche. La cardiolipina, infatti, è un fattore regolatore di molte proteine di
membrana essenziali, andando a regolare numerosi enzimi indispensabili per l’ossidazione e la
riduzione dei citocromi. Oltre a ciò, è in grado di indurre l’apoptosi della cellula, andando a dissociare
il citocromo c dalla membrana interna del mitocondrio e a permeabilizzare della membrana esterna
del mitocondrio. Possiamo trovare la cardiolipina in moltissime cellule procarioti, ad esempio in
batteri come Bacillus subtilis (che ne contiene il 38%), Streptococcus (59%) e Staphylococcus aureus
(79%). Un composto analogo è stato identificato anche nelle membrane dell’archebatterio
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Halobacterium salinarum. Una sua assenza nell’organismo umano può essere provocata dalla
sindrome di Barth (scoperta nel 1983): una malattia rara legata ad un disordine del cromosoma X
che provoca un alterato metabolismo dei fosfolipidi, in particolare della cardiolipina. Provoca gravi
danni al cuore, con miopatie e diminuzione di leucociti con rischio elevato di setticemie e polmoniti.
Essendo legata ad una mutazione del cromosoma X interessa solo il sesso maschile ed è una malattia
genetica legata al sesso.
Le restanti famiglie che compongono i fosfolipidi sono i fosfolipidi eteri (ether lipids) e la
sfingomielina. I fosfolipidi eteri contengono un alcol a lunga catena legato al gruppo ossidrilico del
carbonio 1 del glicerolo tramite legame etereo. In pratica, al posto di un acido grasso legato al
gruppo ossidrilico tramite legame estereo, è legato un alcol tramite legame etereo. Questi composti
sono sintetizzati dalla fosfatidilcolina o dalla fosfatidiletanolammina con una reazione di
sostituzione. Questi composti sono presenti in minima quantità nelle membrane cellulari del nostro
corpo, ma sono molto presenti nelle membrane dei neuroni. Questi composti hanno un gruppo
polare che risulta meno polare rispetto ai fosfogliceridi per la presenza del legame etereo, questo
causa, nei neuroni, un alterazione delle proprietà della membrana: aumento della permeabilità degli
ioni, membrana più sottile, diminuzione del potenziale di membrana. Sono inoltre indispensabili per
la regolazione della permeabilità e per mantenere ottimali i recettori di membrana e i canali ionici.
Si pensa inoltre che questi composti abbiano una azione antitumorale, perché offrono protezione
contro le radiazioni e possiedono proprietà antitumorali. In questo gruppo troviamo i plasmalogeni,
che contengono un alcol vinilico attaccato al carbonio 1 del glicerolo tramite un legame etereo e
una colina legata al fosfato tramite un legame estereo. Questi composti sono molto presenti nelle
membrane delle cellule del cuore, infatti circa il 50% dei lipidi di membrana di queste cellule sono
plasmalogeni o fosfolipidi eteri. I plasmalogeni sono presenti inoltre nelle cellule immunologiche
come i macrofagi ed i neutrofili. Un particolare plasmalogeno (composto da 1-ottadecanolo in
legame etereo con il gruppo ossidrilico del C-1 del glicerolo, un gruppo acetato legato al gruppo OH
del C-2 del glicerolo tramite legame estereo e fosfocolina legata all’OH del C-3 del glicerolo)
chiamato fattore attivante le piastrine, è contenuto in queste cellule, in particolare dai basofili, ed
è la molecola responsabile dell’aggregazione delle piastrine e permette il rilascio della serotonina,
un vasocostrittore, dalle piastrine. La sfingomielina, invece, fa parte della famiglia degli sfingolipidi
(che verrà descritta nelle prossime pagine) ed è costituita da un gruppo fosfato legato al C-1 della
sfingosina. Una molecola di colina o di etanolammina è spesso legata al gruppo fosfato tramite
legame fosfoestereo. Questo composto è
presente nelle membrane delle cellule eucarioti
per il 2-15% dei fosfolipidi totali, ma è
specialmente presente nelle membrane dei
neuroni e della guaina mielinica. Questa
molecola presenta un basso grado di
insaturazione degli acidi grassi ed è una molecola
asimmetrica: queste proprietà le permettono di
donare certe caratteristiche alla membrana
cellulare, come formare lipid rafts oppure
mantenere l’omeostasi del colesterolo.
21
SFINGOLIPIDI
Un’altra classe dei lipidi saponificabili sono gli sfingolipidi che consistono in sfingomielina, le
ceramidi e glicosfingolipidi. Gli sfingolipidi sono stati scoperti nel 1870 e vennero così chiamate
riferendosi alla sfinge, una figura mitologica che rappresentava l’enigmatica natura di queste
molecole. Si è dimostrato che questi composti sono
presenti in alcuni lieviti, come Saccharomyces
cerevisiae e Candida albicans, dove risultano
composti molto importanti nel regolare la
endocitosi, la proteolisi, il movimento del
citoscheletro ed il ciclo cellulare. I più semplici
sfingolipidi sono le ceramidi: le ceramidi sono costituite da una molecola di sfingosina legata ad un
acido grasso tramite legame ammidico. Questa molecola è poco presente negli organismi viventi,
anche se le sue funzioni biologiche sono importanti: è il componente principale di tutte gli altri
sfingolipidi ed inoltre possono formare rafts, sono quindi presenti nelle membrane cellulari e sono
coinvolte nella trasduzione del segnale. Sono inoltre importanti perché coinvolte nel processo di
morte cellulare programmata (apoptosi) e sono molto presenti nello strato corneo della cute: le
ceramidi formano infatti, insieme ad altre sostanze, una pellicola protettiva che previene l’eccessiva
perdita d’acqua dall’organismo. I glicosfingolipidi sono inglobati anche in un’altra classe di lipidi
saponificabili: i glicolipidi. I glicosfingolipidi sono una grande famiglia di composti contenente più di
150 varietà, 50 delle quali sono state identificate nella struttura dei gangli nervosi. Sono distribuiti
principalmente nella superficie delle cellule, partecipando in molti modi alla regolazione della
interazioni cellulari con l’ambiente. Chimicamente sono formati da un saccaride legato ad una
sfingosina. Questi lipidi sono dei marker di distinzione cellulare e mediano il riconoscimento con
cellule esterne e la loro comunicazione. Sono inoltre essenziali per lo sviluppo e la crescita
dell’organismo e sono stati implicati in numerose patologie come il cancro, infezioni virali e
microbiche. La grande quantità di gruppi saccaridici che emergono dalla cellula suggerisce che esse
siano implicate nella trasmissione di segnali tra cellula e cellula nel processo chiamato glicosinapsi.
Visto l’elevato numero di molecole organiche che compongono questa famiglia di composto, ho
deciso di descrivere le 3 classi più importanti: i gangliosidi, i cerebrosidi e i globosidi. I gangliosidi
sono il gruppo che vanta la struttura molecolare più complessa: questi composti, infatti, sono
composti da ceramide legata attraverso un legame glicosidico ad un oligosaccaride contenente unità
di acido N-acetilneuraminico ed altri esosi. I gangliosidi si trovano principalmente nel tessuto
nervoso degli organismi vertebrati (costituiscono il 6% del
peso del cervello) e sono stati identificati per la prima volta da
Ernst Klenk nel tessuto del cervello. Queste molecole sono
implicate nella adesione cellulare, nella crescita e motilità
delle cellule neuronali oltre che interagire con specifiche
proteine e nella trasduzione del segnale. I gangliosidi sono
inoltre coinvolti nell’inibire i recettori del fattore di crescita
epidermale e interagire quindi nel ciclo cellulare. Le tecniche
Un cerebroside
molecolari hanno permesso di capire meglio questi composti:
sono essenziali nel mantenere l’integrità di assoni e mielina
(la struttura che riveste i nervi) e sono coinvolti nella
22
trasmissione del segnale. Stabilizzando i circuiti neurali potrebbero inoltre essere implicati nella
memoria. Questi composti sono implicati in molte patologie, per esempio nel cancro, nella sindrome
di Guillan-Barrè, nell’Alzheimer e nella corea di Huntington: particolari gangliosidi sono stati
individuati in particolari cellule tumorali, la loro liberazione nell’ambiente può influenzare quindi
altre cellule tumorali, inducendo cellule tumorali benigne a diventare maligne. Nella sindrome di
Guillan-Barrè, un patologia infiammatoria acuta che colpisce il sistema nervoso periferico, anticorpi
umani sono prodotti contro i gangliosidi, questo provoca un danneggiamento degli assoni che può
portare alla paralisi. Si ritiene inoltre che i gangliosidi si leghino a specifiche tossine virali o batteriche
come quella botulinica, tetanica e colerica mediando le interazioni tra agente patogeno e cellula
ospite durante l’infezione. Un altro aspetto molto importante dei gangliosidi è che sono uno dei
responsabili dei gruppi sanguigni AB0: nelle membrane degli eritrociti sono presenti questi
gangliosidi che espongono la porzione saccaridica all’esterno determinando il tipo di gruppo
sanguigno di un individuo. Un altro tipo di glicerosfingolipidi sono i cerebrosidi, molecole che
contengono un singolo monosaccaride legato al gruppo idrossilico del C-1 della ceramide (il
monosaccaride legato può essere glucosio o galattosio). Queste molecole sono il principale
glicosfingolipide nel tessuto cerebrale, da cui il nome, con un peso del 2% di tutta la sostanza grigia
e il 12% della sostanza bianca. Sono i maggiori costituenti degli oligodendrociti nel cervello. Sono
tendenzialmente presenti nelle membrane cellulari dove formano i cosiddetti “rafts”, dove legano
proteine, enzimi e recettori. Sono molecole essenziali per il trasporto intracellulare, nella
proliferazione cellulare e hanno numerose funzioni nel sistema immunitario. Queste molecole sono
inoltre essenziali per la sopravvivenza delle cellule tumorali
e sono quindi implicate all’insorgenza di tumori. L’ultima
classe di glicosfingolipidi sono i globosidi, molecole formate
da due a 5 residui di monosaccaridi legati tra loro al gruppo
ossidrile del C-1 della ceramide. Gli zuccheri possono essere
una combinazione di glucosio, galattosio e/o Nacetilgalattosammina. Questi composti sono presenti nelle
membrane di molte cellule nervose e hanno una struttura
molto simile a quella dei cerebrosidi con funzioni biologiche
affini: sono infatti la porzione lipidica degli antigeni A, B e 0
insieme ai cerebrosidi e la loro assenza nell’organismo può
provocare una rara condizione patologica chiamata malattia
di Anderson–Fabry, causata dalla carenza dell’enzima alfa
galattosisadi. Questo porta all’accumulo di glicosfingolipidi,
in particolare globotriaosilceramide (un globoside) nei
tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto
l’organismo con danni a livello renale, cardiaco e del sistema
nervoso centrale tali da compromettere qualità e aspettativa di vita.
Un cerebroside
23
I GLICOLIPIDI
L’ultima famiglia di lipidi saponificabili che tratterò sarà quella dei glicolipidi. I glicolipidi sono un
gruppo eterogeneo di componenti della membrana cellulare che si trovano in organismi che vanno
dai batteri all'uomo. Sono definiti semplicemente come dei derivati dei lipidi semplici legati ad un
carboidrato. Anche in questo caso la famiglia è molto ampia e complessa per cui mi soffermerò sulle
molecole che più hanno importanza per gli organismi viventi. Tra questi composti troviamo
glicolipidi basati sulla ceramide, chiamati anche glicosfingolipidi (già descritti in precedenza),
lipopolisaccaridi e glicolipidi basati sul glicerolo (mono o oligosaccaride legato al gruppo ossidrilico
di una molecola di glicerolo che può essere alchilato da uno o più acidi grassi. Tra i composti appena
citati, particolare importanza per i batteri assumono i lipopolisaccaridi. Questi composti complessi
(LPS) vengono chiamati anche antigeni O endotossici e si trovano principalmente nella membrana
esterna di batteri gram-negativi, ma anche in alcuni miceti. E’ formata da una porzione lipidica,
denominata lipide A, che rappresenta l’endotossina vera e propria: il lipide A è un glicolipide formato
da glucosamina (un disaccaride) fosforilata, esterificata con una serie di acidi grassi saturi da 12 a
16 atomi di carbonio. Legata al lipide A c’è una corta catena di zuccheri, chiamata core, che forma
la parte centrale della molecola ed è caratterizzata dalla presenza di due zuccheri particolari: l’acido
chetodeossioctonoico ed un eptoso. C’è poi una lunga catena polisaccaridica con spiccate proprietà
antigeniche, che rappresenta l’antigene O dei batteri Gram-negativi, formata dalla ripetizione di una
serie di subunità tri-, tetra- o pentasaccaridiche che comprendono zuccheri diversi. L’insieme delle
catene polisaccaridiche presenti alla superficie dei batteri Gram-negativi, insieme ai cationi ad esse
legate, è efficace per conferire la polarità che permette di escludere composti idrofobici in grado di
danneggiare la membrana plasmatica. Quando i batteri si moltiplicano e poi muoiono, si rompono
e liberano il lipopolisaccaride nell’ambiente esterno: questo rappresenta una endotossina,
soprattutto il lipide A, in quanto questo glicolipide interagisce con le cellule del sistema immunitario
(monociti, macrofagi, neutrofili e cellule dendritiche) stimolandole a produrre citochine
infiammatorie. Questo provoca febbre alta, minore frequenza del battito cardiaco e nel peggior caso
può portare a morte dovuta a danni al fegato e ai reni.
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