Invervista al regista - Teatro Verdi

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Si confronta con uno dei dittici più rappresentati nei principali teatri d’opera, due capolavori che
aprirono una nuova epoca per il melodramma. Cosa l’affascina maggiormente delle due opere?
Sono due lavori che amo molto, due opere che portano in scena spaccati di vita quotidiana con
un’espressività portata all’eccesso, basata su sentimenti elementari e violenti. Storie di tragedie e
di amori che si consumano tra tradimenti ed omicidi. Non amo, comunque, definirle opere veriste
perché credo che il verismo in musica non sia esistito. Musicalmente assistiamo, piuttosto,
all’esasperazione del romanticismo ed alla conseguente innovazione che, in ambito
drammaturgico, prevede tinte più cupe e fosche, e dà vita ad intrecci torbidi di temi più
drammatici che si snodano in nuove configurazioni drammaturgiche che puntano alla forte
suggestione delle melodie cantabili. Sono due racconti struggenti e potentissimi ma con differenze
sostanziali.
Quali?
Quella di Pagliacci è sicuramente una storia più elaborata e complessa e ha un valore
drammaturgico più intimo mentre Cavalleria è sicuramente più epica. Sono due storie che si
svolgono nell'Italia meridionale, ma mentre Cavalleria non può che svolgersi in Sicilia, Pagliacci è
una storia decisamente aspaziale,che potrebbe svolgersi in qualsiasi parte del mondo.
Infatti, nell’omonima novella di Verga, da cui fu tratto il libretto, agiscono personaggi
profondamente calati nell’ambiente siciliano, intriso di comportamenti atavici; il loro margine di
iniziativa è pressoché nullo e riflette la convinzione che l’ambiente influisca deterministicamente
sulla psicologia individuale. Nell’opera di Mascagni i ruoli drammatici sono perciò più rigidi e
corrispondono a veri e propri stereotipi; ciò comporta una drammaturgia semplificata,
caratterizzata da violenza gestuale e passionalità spinta.
Invece Pagliacci?
Sebbene Pagliacci si ispiri ad una storia di cronaca realmente accaduta, a cui l’autore aveva
assistito da bambino nel paesino calabro dove il padre lavorava come magistrato, io porrò
l’attenzione non sul fatto di cronaca, ma sul percorso psicologico che lo aveva generato. Al centro
c’è il teatro con i suoi crudeli meccanismi. Una storia del teatro nel teatro. Un racconto
introspettivo e profondo, un dramma la cui fonte generatrice è la miseria del teatro. Un racconto
di straordinaria modernità, rappresentato attraverso il tema dello scambio tra vita e teatro,
attraverso l’ambiguità del rapporto uomo-attore e l’ambivalenza della finzione scenica in
contrapposizione all’autenticità dei sentimenti. Insomma, un dramma tipicamente teatrale.
In quest’allestimento metterò in scena le ombre, il lato più intenso ed oscuro della precaria vita
dei teatranti che non vive solo di applausi, successo e lusso, ma molto più spesso si nutre di
polvere, miseria e promiscuità.
Come saranno i protagonisti dell’opera di Leocavallo?
Anche i personaggi dell’opera sono maggiormente caratterizzati rispetto a quelli di Cavalleria,
tant'é che per loro utilizzerò dei veri e propri alter ego, delle maschere. La mia ispirazione per
quest’allestimento parte da lontano, da un’immagine che mi ha accompagnato negli anni della
fanciullezza. Si tratta di un dipinto di mia zia, che avevo in casa. In scena cinque anime dalla
struggente malinconia pronte a rinascere ad ogni nuovo spettacolo.
E in cavalleria quale aspetto metterà in luce?
Mi ha sempre affascinato il tema della religione come valore sociale e folkloristico oltre che,
naturalmente, come regola di fede. Cavalleria si svolge nel giorno di pasqua e proprio i riti della
processione pasquale caratterizzano tipicamente la terra siciliana, anche perché sono diversi di
borgo in borgo. Nella nostra Cavalleria assisteremo ad una sorta di cerimonia vivente, non statica
come spesso viene rappresentata. Gesù risorto esce dalla chiesa in cerca della madre che vestita di
nero in compagnia di Giovanni, è in cerca del figlio. Il loro incontro profondamente emozionante,
avviene all’uscita della messa di mezzogiorno e Maria nell’atto di abbracciare il figlio perde il velo
nero che indossa e scopre quello azzurro.
Dal punto di vista femminile sono due opere tremende.
In scena si muovono tre donne straordinarie.
Nedda una giovane anima dai tratti infantili, aspira ad una nuova vita, una nuova libertà, un
nuovo amore e vorrebbe sottrarsi all’esistenza grama a cui è costretta; la sua necessità di fuga, é
così intensa da essere evidenziata anche dalla musica. La sua vita è talmente insopportabile che
la morte per lei potrebbe essere una sorta di liberazione.
Santuzza è una donna forte che vive con consapevolezza la sua situazione di emarginata da una
società di cui condivide i pregiudizi pur essendo la prima a subirli, seppur con grande dignità. Un
sentimento atavico che lega tutte quante le donne é proprio la dignità: la dignità delle donne
siciliane è la dignità delle vedove vittime di mafia, é la dignità delle vedove dei carabinieri.
Ed infine una grande mamma Lucia che vorrei omaggiare in particolar modo, facendole
pronunciare l’ultima frase dell’opera cambiandola in “hanno ammazzato me figlu Turiddu”.
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