Sei personaggi in cerca d'autore Scritto da Umberto Rossi Mercoledì 04 Marzo 2015 10:03 - Ultimo aggiornamento Mercoledì 04 Marzo 2015 13:29 Luigi Pirandello (1867 – 1936) scrisse e fece rappresentare I sei personaggi in cerca d’autore nel 1921, al teatro Valle di Roma. Le cronache raccontano che fu un insuccesso così colossale da costringere l’autore a fuggire in carrozza agli spettatori infuriati che lo inseguivano gettandogli monetine e gridandogli Manicomio! Manicomio! Indubbiamente il testo era fortemente in anticipo sui tempi – nel 1925 ci fu una nuova edizione che ottenne un grandissimo successo – e aprì la stagione di quest’aurore etichettata teatro nel teatro e composta, oltre che da questo copione, da Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1928 – 29). Sono tre copioni che hanno profondamente innovato la scena d’inizio novecento e incarnano quel miscuglio di relativismo, psicologismo e filosofia che è alla base dell’intera opera di questo scrittore. In un teatro si sta provando la messa in scena del secondo atto de Il giuoco delle Parti (1918) dello stesso Luigi Pirandello, quando irrompono in platea alcuni personaggi che lamentano di essere stati abbandonati dal loro autore. Ora cercano un nuovo creatore e propongono al regista, inizialmente piuttosto esterrefatto, di assumere questo ruolo per trarli dall’ombra in cui sono precipitati e consentire loro di far vivere sul palcoscenico la vicenda che li ha travolti. Questa tragedia s’incerniera su una figlia che si prostituisce per necessità e che, un giorno, incontra il padre nel ruolo di un maturo cliente. Ne nasce un dramma che causa la morte della sorella più giovane, poco più che una bimba, e il suicidio del fratello. Meglio della vicenda ciò che conta è l’idea di mettere in scena un testo che riflette su sé stesso con le connessioni che ne derivano fra realtà e rappresentazione. Opera di forte rinnovamento della scena, si è detto, e proprio per questo, come capita a molti testi considerati d’avanguardia al momento in cui hanno visto la luce, la riproposizione odierna richiede una precisa idea interpretativa, pena il rischio di trasformare la proposta in operazione vicina all’archeologia. Nell’affrontare questa sfida Gabriele Lavia non ha osato abbastanza, limitandosi a togliere dai dialoghi qualche arcaismo e spruzzare qua e là alcuni soffi d’ironia. Troppo poco per rendere memorabile la proposta. http://www.youtube.com/watch?v=bTX6Q7PAvKM 1/1