riorganizzata la rete di terapia del dolore

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12/02/2016
Pag. 12 N.1 - gennaio 2016
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RIORGANIZZATA LA RETE DI TERAPIA DEL DOLORE
Tre centri di eccellenza a Torino, Novara e Alessandria ed altri sedici centri nel resto del Piemonte è quanto
stabilisce la delibera della Giunta regionale che riorganizza la rete di terapia del dolore all'insegna
dell'appropriatezza delle cure e della competenza clinica in modo da migliorare la qualità della vita delle
persone adulte affette da dolore, riducendone il grado di disabilità e favorendone la reintegrazione nel
contesto sociale e lavorativo. "Lo sviluppo dei centri necessita ora di un ulteriore rafforzamento e
strutturazione all'interno delle logiche di rete e di sistema della Regione - afferma l'assessore alla Sanità,
Antonio Saitta - II provvedimento consente anche la razionalizzazione della spesa, come previsto dalla
normativa nazionale e in coerenza con le norme adottate dalla Regione per rispettare il piano di rientro". I
tre hub sono la Città della Salute e della Scienza di Torino, l'ospedale Maggiore di Novara e l'azienda
ospedaliera SS.Antonio e Biagio e C.Arrigo di Alessandria. All'Istituto di ricerca e cura a carattere scientifico
di Candiolo viene riconosciuto il ruolo di centro monospecialistico per la terapia del dolore oncologico. Gli
altri centri avranno sede presso le Asl TO1, TO2, TO3, TO4, TO5, VC, Bl, NO, VCO, CN1.CN2, AL, AT,
S.Luigi Gonzaga di Orbassano, Ordine Mauriziano di Torino, Santa Croce e Carle di Cuneo. Tutti i centri
lavoreranno in sinergia concordando procedure e linee guida omogenee per la selezione delle casistiche di
pazienti colpiti da tutte le tipologie di dolore, a partire dalle malattie più frequenti. Azienda Ospedaliera
Cannizzaro - Catania
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 15/02/2016
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Piemonte
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Pag. 39 N.1 - gennaio 2016
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Solo il 10% dei pazienti trattato secondo le linee guida
Metà degli ospedali non ha attivo un Servizio dedicato, notevoli le differenze regionali
Nonostante la riconosciuta professionalità degli anestesisti, i modelli di cura individuati dalle Società
scientifiche, le prescrizioni della Legge 38, la disponibilità di trattamenti efficaci e l'esistenza di linee guida
'evidence based', la gestione del dolore post operatorio in Italia risulta ben al di sotto degli standard
europei, e può essere definita subottimale. Lo rileva - suffragando l'allarme con una notevole mole di dati un articolo scientifico realizzato da un'equipe guidata da Flaminia Coluzzi, docente di Anestesia e
Rianimazione dell'Università 'La Sapienza' di Roma, e pubblicato a novembre sulla European Review for
Medicai and Pharmacological Sciences. L'articolo propone un raffronto fra i dati raccolti attraverso due
survey - del 2006 e del 2012, su un campione rappresentativo di oltre il 40% degli ospedali pubblici italiani
(ben 289 le strutture che hanno risposto alla survey del 2012)- realizzate a cura della SIAARTl (Società
Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva). I risultati di queste indagini sono stati
discussi ieri nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Milano lo scorso 14 gennaio. Dal punto di
vista dell'organizzazione, solo la metà degli ospedali analizzati - e con notevoli sperequazioni regionali - ha
attivato un Servizio del dolore acuto post operatorio (Acute Pain Service): un'unità delineata dalla SIAARTl
e inserita nelle linee guida già nel 2010, secondo un modello organizzativo nel quale l'anestesista deve
assumere un ruolo di coordinamento di un team responsabile proprio della gestione del dolore post
operatorio. Dal punto di vista dei servizi, solo il 10% dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico ha
ricevuto un trattamento del dolore post operatorio rispondente alle linee guida, che richiedono un
trattamento personalizzato sul tipo di paziente e sul tipo di dolore. Si tratta di terapie multimodali e
controllabili dal paziente sotto supervisone medica. «Tutti noi siamo consapevoli che nonostante la
riconosciuta preparazione degli anestesisti, i quali hanno il compito istituzionale di garantire l'analgesia in
fase post chirurgica, il dolore post operatorio è trattato nella maggior parte dei casi attraverso presidi a
infusione fissa e continua - afferma Guido Fanelli, Direttore della U.O.C, di Anestesia e Rianimazione e del
Centro Hub di terapia del Dolore dell'A.O.U. di Parma, Direttore scientifico Biogenap del CNR e Direttore
Scientifico di Fondazione ANT -. Ciò significa che l'effetto antalgico non è adeguatamente modulato nel
tempo, né sufficientemente adattato alle caratteristiche specifiche del paziente, come l'intervento cui è stato
sottoposto, la sua massa corporea, il sesso o il metabolismo. Questi presidi non rispondono pienamente
neanche ai moderni standard di sicurezza, perché non sono dotati di alcun sistema d'allarme, ad esempio
per i casi di interruzione del flusso di medicinale. La sfida che dobbiamo affrontare è quindi anzitutto di
natura culturale: tutti i professionisti della salute, dal chirurgo all'anestesista, senza tralasciare l'infermiere,
devono convincersi che l'analgesia personalizzata, che contempli anche il coinvolgimento del paziente, non
rappresenta un maggior dispendio di risorse e di energie, ma al contrario un efficientamento economico e
un'ottimizzazione, in termini di appropriatezza terapeutica, della gestione del paziente post chirurgico».
«Già nel 2004-dichiara Fabio Rizzi, Presidente III Commissione permanente Sanità e Politiche Sociali di
Regione Lombardia - la nostra Regione ha emanato un decreto che impegnava ogni ospedale a nominare
un proprio 'Comitato Ospedale-Territorio Senza Dolore'. In quel decreto, attraverso un Manuale Operativo
messo a punto in collaborazione con gli specialisti di diversi poli ospedalieri regionali, erano esplicitati
compiti e obiettivi degli ospedali nel contrasto di ogni tipo di sofferenza, incluso il dolore post operatorio. Nel
campo della lotta al dolore, la Lombardia ha mostrato di essere una delle regioni più sensibili e solerti
d'Italia: non solo siamo stati fra i primi a varare le delibere necessarie all'istituzione dei centri Hub per la
terapia del dolore cronico, ma credo che fra gli ospedali lombardi si registri uno dei più elevati tassi di
attivazione di servizi dedicati al trattamento del dolore acuto. I dati diffusi quest'oggi rafforzano il nostro
convincimento che la cura del dolore post operatorio ha bisogno soprattutto di sinergia fra i diversi operatori
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Dolore postoperatorio
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sanitari e di un crescente coinvolgimento dei pazienti, obiettivi per i quali la Regione è già attiva nello
stimolare una formazione continua promossa direttamente dai nostri poli ospedalieri e per i nostri
professionisti». Ma al di là della Lombardia e di poche altre regioni virtuose, ancor più dei dati colpisce il
raffronto fra quanto emerso dalla survey del 2006 e i risultati dell'indagine del 2012: non solo non si rilevano
miglioramenti sostanziali - nonostante le nuove linee guida SIAARTI e la Leg38, entrambe intervenute nel
2010 - ma si nota un calo notevole dell'offerta formativa dedicata al dolore post operatorio: nel 2006 il 57%
degli specialisti che hanno risposto alla survey avevano partecipato ad almeno un evento ECM sul dolore
post operatorio, mentre nel 2012 solo il 37% ha avuto modo di approfondire questi temi attraverso
appuntamenti di Educazione Continua in Medicina. Proprio per questo Grunenthal Italia ha presentato in
occasione della conferenza stampa a Milano la nuova iniziativa Change Pain Acute, iniziativa di formazione
e informazione su tutto il territorio nazionale. «L'attenzione alla qualità di vita e alla dignità della persona
passa anche per l'attenzione al dolore che prova, e questo deve accadere in ogni fase della malattia e della
cura, a tutte le età. Sembrerebbe scontato, ma non lo è. Il Tribunale per i diritti del malato di
Cittadinanzattiva nel 2014 ha condotto un monitoraggio nell'ambito del programma INDOLORE, volto ad
indagare, attraverso la raccolta di dati oggettivi negli Ospedali integrata da interviste ai degenti, l'attuazione
di alcuni aspetti della L. 38/10 e il rispetto del diritto a non soffrire inutilmente. I dati dell'indagine, che ha
coinvolto su adesione spontanea 46 Ospedali, 214 reparti e 711 persone ricoverate, mostrano che nel 31%
delle chirurgie ortopediche non sono presenti protocolli operativi per la gestione del dolore postoperatorio.
Nei reparti di chirurgia ortopedica si usano strumenti per la rilevazione e valutazione periodica del dolore,
ma solo 2 strutture su 10 hanno provveduto a formare sulla gestione del dolore almeno il 90% del
personale. Sul fronte dei farmaci, soltanto metà degli Ospedali ha realizzato una valutazione periodica sul
consumo e sull'appropriatezza d'uso dei farmaci analgesici utilizzati. Il dolore viene registrato quasi sempre
in cartella clinica e trattato tempestivamente con terapie farmacologiche, ma in un caso su due non ne
viene rilevata l'intensità con strumenti ad hoc. Inoltre nel 31 % delle Pediatrie monitorate degli Ospedali
rispondenti non prevede, in caso di interventi chirurgici e/o in caso di esami invasivi, la presenza del
genitore sia in sala preanestesia che in sala risveglio. Dalle interviste ai degenti, il quadro emerso è ancor
peggiore: soltanto nel 59,5% dei casi almeno un genitore era presente al risveglio del bambino (dato
importante per via della connessione tra psiche e percezione del dolore)». Questi alcuni dei dati illustrati da
Rosapaola Metastasio, Project Manager del Progetto di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato.
«Il dolore dopo un intervento chirurgico può e deve essere controllato e ridotto: accelera il ritorno alla vita
ordinaria, migliora la qualità della degenza e in generale della vita. Governo e Regioni sono impegnati
nell'umanizzazione delle cure e lo affermano nel Patto per la salute. L'attenzione al dolore dopo un
intervento chirurgico, è evidente, ne è parte integrante. Per questo serve investire di più nella formazione
dei professionisti, nel miglioramento dell'organizzazione dei servizi e nel monitoraggio costante da parte
delle organizzazioni di cittadini». Durante la conferenza stampa, infatti, è stato ricordato che ogni anno in
Italia sono costretti a ricorrere alla chirurgia circa 4 milioni di pazienti, e più dell'80% di loro riferisce di aver
sofferto di dolore post operatorio. Un numero preoccupante soprattutto in considerazione di alcuni aspetti:
anzitutto l'aumento dei tempi di degenza in presenza di dolore post operatorio d'intensità notevole; in
secondo luogo la considerevole incidenza dei casi di evoluzione di questo tipo di sofferenza in dolore
cronico anche per interventi di modesta entità, basti pensare che in Italia il dolore post operatorio, proprio
perché mal gestito, si cronicizza nell'80% degli interventi di ernia inguinale; e infine la capacità del dolore
post operatorio di contrassegnare negativamente l'esperienza di cura, inducendo i pazienti a non seguire
più la strada chirurgica per successive esigenze terapeutiche, anche quando sarebbe la più appropriata ed
efficace.
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Pag. 45 Ed. Catanzaro
Quando il dolore diventa cronico
Le più recenti scoperte sul versante del trattamento con i farmaci adeguati
Come si cronicizza il dolore? Quali sono i meccanismi che portano da un dolore acuto muscoloscheletrico o
post operatorio al dolore cronico? E, inoltre, ci sono trattamenti capaci di dare sollievo ai pazienti con dolore
cronico? Lo spiega nell'articolo che segue il dottor Francesco Amato, dirigente del Centro Hub di terapia del
dolore dell'Azienda ospedaliera di Cosenza. di FRANCESCO AMATO IL dolore cronico per definizione è un
dolore invalidante, è un dolore che provoca una grave compromissione della qualità di vita sia nei suoi
aspetti fisici come l'autonomia funzionale, sia negli aspetti psicoemotivi, relazionali, sociali ma anche
economici. L'eziopatogenesi è complessa perché ha una componente neuropatica e, quindi, richiede una
terapia che sia multimodale. Quand'è che il dolore cronicizza? I fattori che possono portare alla
cronicizzazione di un dolore sono molteplici, legati alle caratteristiche dei pazienti, all'età, al sesso, al fatto
che il paziente si presenti già con un dolore presente o persistente ad esempio prima di un intervento
chirurgico. Se non si tratta in modo adeguato un dolore si cominciano a innescare una serie di meccanismi
fisiopatologici che possono portare: I° step ad una sensibilizzazione dei recettori periferici quali i TRPV1
(preposti alla trasduzione degli impulsi algogeni in impulsi elettrici Dickenson A. 2015), all'au mento del
numero di suddette proteine recettoriali e di conseguenza l'aumento di impulsi dolorifici ai centri superiori.
II° step modulazione delle sinapsi nel sistema nervoso a livello del midollo spinale con attivazione di
recettori NMDA, variazione dei paradigmi ionici delle cellule del corno dorsale, e diminuzione dell'ef fetto
antidolorifico dei GABA receptors (Hanack 2015). III° Step variazioni delle modulazioni sinaptiche a livello
dei centri superiori (cervello) Wianny 2016. Se tale processo non viene interrotto allora si va oltre, e la
sinapsi cambia la sua conformazione, si va incontro a una plasticità sinaptica oltre che ionica, con la
formazione di nuove spine dendritiche e di nuovi collegamenti dovuti alla trascrizione di nuovi geni e a
questo punto il sistema è fortemente alterato ed è molto difficile tornare indietro. Quindi dobbiamo iniziare
da subito a bloccare le vie che dal sito del danno si spostano verso il midollo spinale cercando di agire a più
livelli per bloccare la trasmissione nervosa che induce l'alterazione della neuroplasticità sinaptica e quindi a
un dolore che diventa persistente . Si pensava che questa plasticità sinaptica fosse presente solo quando
eravamo di fronte a un danno di tipo neuropatico e, quindi, a una lesione di strutture nervose. Anche in
chirurgie piccole come può essere un'ernia inguinale si può arrivare all'80% della trasformazione del dolore
fisiologico in quello cronico.I nuovidati sperimentalistanno indicando come in presenza di un dolore
puramente infiammatorio, quale un'artrite reumatoide o anche in seguito a un danno strutturale come in
un'osteoartrite, quando il dolore nel sito periferico permanepermolto tempoattivaanche in questo caso tutte
le vie di sensibilizzazione centrale. Quindi, emerge che in linea generale un dolore acuto non trattato in
modo adeguato porta a una sensibilizzazione centrale che diventa estremamente difficile da trattare con i
farmaci . Il perché di questa difficoltà nel trattamento è spiegabile con due ordini di motivi; in primis bisogna
cercare un'appropriatezza terapeutica e, quindi, un farmaco che risponda a un meccanismo fisiopatologico.
Per esempio se il meccanismo è di sensibilizzazione centrale, l'utilizzo dell'antinfiammatorio che agisce in
periferia può non essere indicato. L'altra invece è una problematica che riguarda la tollerabilità perché
sappiamo che gli antinfiammatori sono gravati dauna ridotta tollerabilità gastrica ma anche cardio-vascolare
e, quindi, può essere un problema sesomministrati piùvolte nell'anno soprattutto agli anziani che sono i
soggetti maggiormente affetti da questa problematica. Un aspetto particolare che si è visto eche siè
studiatorecentemente nel dolore muscolo scheletrico è la presenza persistente di un'altera zione delle vie di
controllo discendenti. In una persona sana in genere prevalgono le vie di controllo discendenti inibitorie, in
soggetti con dolore muscoloscheletrico o con un low back pain o durante anche un processo di artrite c'è
una perdita di questo controllo discendente inibitorio eviene invece favorita una via di tipo discendente
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FOCUS Le possibili conseguenze di un episodio acuto non trattato efficacemente
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Pag. 45 Ed. Catanzaro
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facilitatoria. Questo è un aspetto della fisiopatologia sulla quale si potrebbe andare ad agire per cercare con
dei farmaci di ristabilire queste vie discendenti inibitorie noradrenergiche che nel dolore muscoloscheletrico
vengono perse. Trattamentiper ildolorecronico Per i trattamenti dobbiamo basarci su un concetto che è
quello dell'appropriatezza terapeutica, quindi, la terapia del dolore cronico deve basarsi sull'intensità del
dolore e sulla fisiopatologia. Bisogna tener conto, inoltre, di nuovi target terapeutici periferici e centrali
mediantei qualisipossono bloccarela sensibilizzazione dei TRPV1, dei recettori MNDA e tutti quei processi
di iperalgesia legati alla disfunzione ionica a livello del distretto delle corna dorsali. Sappiamo che il dolore
cronico è legato anche ad una sensibilizzazione centrale, quindi,è necessario anche l'utilizzo di farmaci ad
azione centrale quali gli oppiacei. Si può inoltre intervenire con farmaci che possano andare a modulare
quelle vie inibitorie discendenti che vengono modificate in corso di cronicizzazione. Nell' azione di ripristino
di queste vie discendenti inibitorie possiamo agire in diversi modi: associando a un oppioide più classico un
altro farmaco (terapia multifarmacologica) come ad esempio degli antidepressivi che stimolano queste vie
discendenti noradrenergiche oppure possiamo utilizzare nuove molecole farmacologiche che hanno
lacaratteristica di avere un meccanismo duale e quindi sia di attivare i recettori mu degli oppioidi sia di
potenziare le vie discendenti noradrenergiche. In conclusione, il dolore cronico è un problema che oggi può
essere gestito tramite terapia multifarmacologica attraverso farmaci innovativi che possono associare
meccanismi efficaci e sicuri e che, con la possibilità di adattare il dosaggio al tipo di dolore, risulta
estremamente pratico nell'utilizzo per varie intensità di dolore e per i pazienti più fragili come gli anziani. In
un recente passato si consigliava una scelta farmacologica empirica, ovvero "per tentativi". Oggi si cerca si
attuare scelte più ragionate. Si è detto che l'intensità del dolore rappresenta un primo criterio di scelta
relativamente alla potenza deifarmaci analgesicia disposizione, così come il tipo di paziente e le sue
patologie sottostanti. Le criticità della scelta stanno nella personalizzazione del farmaco oppiaceo, nella
definizione del giusto dosaggio e nelle modalità di impiego dei farmaci adiuvanti, che in alcuni casi
modificano il risultato antalgico in modo sostanziale. Per ultimo è fondamentale che il paziente sia seguito
nel tempo all'interno di un piano di cura preciso.
Foto: Un'immagine che rappresenta un episodio di dolore
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Maggiore efficacia e flessibilità grazie al nuovo dosaggio del farmaco
Ossicodone /naloxone per il dolore cronico intenso
(M. B.)
Il dolore cronico colpisce 1 italiano su 4 e oltre la metà dei pazienti con tumore. Che sia di natura
oncologica o benigno-degenerativa, quando aumenta di intensità risulta particolarmente complesso da
controllare e, spesso, è gravato dagli effetti collaterali legati agli analgesici assunti ad alte dosi. Oggi, per
curare un dolore severo, medici e pazienti hanno un'arma in più: da pochi giorni è disponibile anche in Italia
il dosaggio massimo giornaliero dell'associazione ossicodone/naloxone a rilascio prolungato (160/80 mg),
approvato a luglio 2015 dall'Ente regolatorio europeo (EMA), sulla base dei positivi risultati emersi dallo
studio OXN 3505. Elevata efficacia sul dolore intenso; ottimo profilo di tollerabilità, anche nell'impiego a
lungo termine e ad alte dosi; maggiore flessibilità, per adeguarsi nel tempo alle diverse esigenze antalgiche
del paziente, secondo l'evoluzione della patologia: questi i principali vantaggi che offre la nuova opzione
terapeutica, indicata sia nelle forme dolorose da cancro sia in quelle di natura degenerativa. Redazione:
[email protected]
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diffusione:113338
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Con i giusti interventi la sofferenza patologica può essere eliminata
Maurizio Fossati
Maurizio Fossati IL DOLORE cronico può e deve essere controllato con un ragionevole e appropriato
impiego di farmaci tradizionali, oppiacei e se non bastasse anche con i pace maker del dolore. Oggi
esistono cure in grado di ridare serenità a molti pazienti. È importante che il malato sia informato e segua
meticolosamente le indicazioni del medico specialista. In definitiva, deve essere rispettata una corretta
aderenza alla terapia. Ovviamente, anche il medico di famiglia e gli altri specialisti devono stare al passo
con i progressi della scienza, consolidando così il rapporto di fiducia col malato. «Esistono,
schematicamente, - dice Paolo Notaro, responsabile del centro Hub di Terapia del Dolore del Niguarda di
Milano e fondatore di Nopain Onlus - due tipi di dolore. Un dolore che potremmo definire utile, acuto, una
sorta di campanello d'allarme che avvisa che c'è qualche cosa che non va (quello, per esempio, che ci
permette di diagnosticare una malattia) e un dolore inutile, cronico. In questo secondo caso, la sofferenza
diventa un sintomo prolungato che lede il benessere. Perdurando nel tempo, il dolore diventa fonte di
disabilità per la persona. Il sintomo dolore si trasforma in malattia e finisce per condizionare ogni aspetto
della vita. La sua durata è imprevedibile, e in alcuni casi può persino estendersi a tutta la vita del paziente.
La sua intensità è variabile, anche se solitamente tende ad aumentare con il passare del tempo, acuita
dagli stati d'animo negativi, dall'ansia e dalla frustrazione che spesso accompagnano la sofferenza. Per
queste ragioni, il dolore cronico è chiamato anche dolore totale. I pazienti, infatti, estenuati dall'instancabile
sofferenza, lamentano disturbi del sonno, depressione, fatica e vedono persino ridotte le loro facoltà
intellettive». Con lo scopo di combattere il dolore cronico e di favorire il benessere del paziente e il suo
inserimento sociale, nel novembre 2014 è stato avviato da Nopain Onlus (Associazione italiana per la cura
della malattia dolore), in sinergia col centro di Terapia del Dolore del Niguarda, il progetto «Punto terapia
del dolore». La finalità dell'iniziativa è favorire l'assistenza della persona con dolore cronico e creare un
processo di rete per il monitoraggio e supporto al percorso terapeutico. La presa in carico dei pazienti è
stata supportata dagli addetti di Nopain Onlus adeguatamente addestrati. I risultati del progetto, a distanza
di un anno, sono molto interessanti e hanno permesso di riscontrare un altissimo gradimento da parte dei
malati con ricadute positive nell'esito della cura. IL «PUNTO Terapia del Dolore» ha monitorato 332
pazienti, effettuando oltre mille telefonate. Ogni paziente è stato chiamato più volte, verificando così
l'efficacia della cura. Una diretta conseguenza del monitoraggio è stato l'aumento dell'aderenza alla terapia:
più alta delle percentuali osservate a livello nazionale e internazionale. Tutti i pazienti sono stati invitati a
riferire al proprio medico di famiglia le indicazioni della cura seguita, favorendo così un collegamento tra
ospedale e territorio che ha messo la persona malata al centro del sistema assistenziale e ha stimolato
alcuni medici di famiglia a contattare il centro di Terapia del Dolore di Niguarda .
Foto: Paolo Notaro
Foto: Anestesista
Foto: Esistono due tipi di dolore. Uno è utile, acuto, una sorta di campanello d'allarme che avvisa che
qualcosa non va, e l'altro è inutile, cronico
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 15/02/2016
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Farmaci, oppiacei e pace maker Contro il dolore l'unione fa la forza
14/02/2016
Pag. 37
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LE CATEGORIE di farmaci contro il dolore sono sostanzialmente due. I Fans (Farmaci antinfiammatori non
steroidei) e i derivati dell'oppio. I Fans, ad esempio l'acido salicilico (aspirina e altre molecole), anche se
molto efficaci, rientrano nella categoria degli analgesici leggeri. Presentano però un grave inconveniente:
possono provocare disturbi gastrici perché riducono la produzione del muco che protegge le pareti dello
stomaco. ANTIDOLORIFICI più forti sono gli oppiacei, il cui capostipite più noto è la morfina. Gli oppiacei
vengono divisi in deboli (codeina, tramadolo, tapentadolo) e forti (buprenorfina, fentanyl, morfina solfato,
idromorfone, metadone e ossicodone). I farmaci che agiscono sui recettori oppioidi dell'organismo,
permettono quasi sempre di controllare il dolore di origine tumorale, ma per il sollievo dei pazienti
andrebbero usati più spesso anche per curare dolori cronici e acuti di origine diversa.
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 15/02/2016
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Farmaci, oppiacei e pace maker Contro il dolore l'unione fa la forza
14/02/2016
Pag. 13 Ed. Rimini
diffusione:113338
tiratura:156629
Il dolore non ha età
«IL DOLORE non ha età», é il tema del pubblico incontro che si terrà domani sera alle 21 nella Casa
Colonica del Parco della Resistenza a Riccione, in Via Montebianco, 21. In cattedra il professore William
Raffaeli che, oltre a essere specialista in anestesia, rianimazione e farmacologia applicata, nonché esperto
in terapia del dolore, è docente all'Università degli Studi di Parma e anche fondatore e direttore della prima
Scuola riminese di perfezionamento in Terapia del dolore per i clinici, multiprofessionale Isal (Istituto di
Scienze Algologiche). La serata, aperta a tutti, è organizzata dall'Associazione «Ex dipendenti Enti pubblici
di Riccione», che ha già proposto altre serate di medicina e storia.
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 15/02/2016
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INCONTRO
16/02/2016
Pag. 1 Ed. Torino
diffusione:289003
tiratura:424634
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ECCO COME E A CHI PUÒ ESSERE PRESCRITTA
Cannabis per uso terapeutico arriva il via libera della Regione
SARA STRIPPOLI
IPIEMONTESI potranno usare la cannabis per uso terapeutico.
Tuttavia, non per tutte le patologie il farmaco a base di cannabinoidi sarà rimborsabile: le malattie per cui
sarà pagato dalla Regione sono quelle indicate dal ministero.
Per altre, come alzheimer, Parkinson, epilessia, malattiea di CrohN, Sla ed epatite C il farmaco può essere
prescritto da medici di base e specialisti ma chi vorrà farne uso dovrà pagarselo. A PAGINA IX
IPIEMONTESI potranno usare la cannabis per uso terapeutico.
Tuttavia, non per tutte le patologie il farmaco a base di cannabinoidi sarà rimborsabile: le malattie per cui
sarà pagato dalla Regione sono quelle indicate dal ministero. Per altre, come alzheimer, Parkinson,
epilessia, malattiea di CrohN, Sla ed epatite C il farmaco può essere prescritto ma chi vorrà farne uso dovrà
pagarselo. Dopo il via libera del consiglio regionale e un lungo dibattito in commissione, la giunta regionale
ha deliberato gli indirizzi per la somministrazione (ospedali, o anche in ambito domiciliare) messi a punto
dall'assessorato alla sanità guidato da Antonio Saitta.
La cannabis potrà dunque essere prescritta dal medico in caso di dolore da sclerosi multipla o lesioni del
midollo spinale resistente alle terapie convenzionali e per il dolore cronico il cui trattamento con
antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace. Potrà essere
usato come effetto stimolante dell'appetito nella cachessia, anoressia, e perdita dell'appetito in pazienti
oncologici o affetti da Aids e nell'anoressia nervosa per chi non risponde ai trattamenti standard. Sono
considerati efficaci come effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali e per la
riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette. Sono utili
anche in caso di nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per Hiv.
La fornitura di questi medicinali sarà fatta direttamente dalle farmacie ospedaliere. Per ottenere un
medicinale a base di cannabis sarà necessaria una prescrizione del medico specialista o di medicina
generale. Un passo avanti fondamentale dopo anni di lotta.
Il consigliere regionale di Sel Marco Grimaldi, in prima linea per l'approvazione della legge insieme con il
consigliere della lista Monviso Mario Giaccone, ritiene tuttavia che la lista possa essere estesa anche ad
altre patologie: «Il ministero non le ha inserite e questo in contrasto con i risultati delle più recenti ricerche
mediche e scientifiche. Quel che può succedere è che ci sia un'improvvisa richiesta del farmaco come
analgesico». Sel chiede anche che si avviino azioni sperimentali e progetti pilota per la produzione di
medicinali cannabinoidi non solo con lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze ma anche con
altri soggetti autorizzati. Anche per i Radicali la legge è troppo morbida «Ci siamo adeguati al decreto
Lorenzin che è molto restrittivo», dice Giulio Manfredi.
Nei prossimi giorni, spiega Saitta, dall'assessorato partirà un'informativa a tutte le aziende sanitarie e a tutti
i medici di famiglia per diffondere tutte le informazioni corrette sulla prescrizione dle farmaco e le modalità
di rimborso. E la commissione ha strappato anche la promessa sulla disponibilità ad istituire una
commissione scientifica per ampliare gli studi e le ricerche sull'impiego e sugli effetti dei farmaci a base di
cannabinoidi.
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Foto: Un farmaco alla cannabinoide
Foto: L'ASSESSORE Antonio Saitta guida l'assessorato alla sanità della giunta di Sergio Chiamparino
MEDICINALE La cannabis sarà ammessa per uso terapeutico dietro prescrizione medica
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Ecco come curarsi con la cannabis
REBECCA ANVERSA In Piemonte via libera all'uso terapeutico coi derivati della piante Pubblicate le linee
guida e le patologie CITTÀ Adesso in Piemonte ci si può curare ufficialmente e legalmente con prodotti
derivanti dalla cannabis. L'ok è arrivato ieri dalla giunta regionale che su proposta dell'assessore alla Sanità
Antonio Saitta h a approvato le linee guida dell'uso. Ci sono quindi delle regole precise da rispettare con
paletti rigidi su chi h a diritto a questo tipo di terapia. In particolare i medicinali cannabinoidi possono essere
somministrati ai pazienti, in ambito ospedaliero (oppure in strutture simili, o in ambito domiciliare) solo a
seguito della prescrizione del medico specialista o di u n medico di medicina generale. Definite, inoltre, le
patologie che u n paziente deve avere per avere accesso a questo tipo di terapia: si tratta del dolore da
sclerosi multipla o legato a lesioni del midollo spinale, resistente alle terapie convenzionali. Oppure il
dolore cronico il cui trattamento con antinfiammatori n o n steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia
rivelato inefficace. I derivati della canapa possono essere utilizzati anche per indurre u n effetto stimolante
dell'appetito nella cachessia, nell'anoressia, o in caso di perdita dell'appetito in pazienti oncologici o affetti
da Aids e nell'anoressia nervosa che non può essere ottenuto con trattamenti standard. Infine, è stata
inserita la possibilità di utilizzare questa tipologia di medicinali per ottenere u n effetto anticinetosico ed
antiemetico nella nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia o terapie per Hiv che n o n può
essere ottenuto con trattamenti tradizionali.
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dolore oscuro
Bruciori insopportabili e spasmi. Se per alcune donne fare l'amore è una tortura, non è detto che il
problema sia nella testa. Ma per fare la diagnosi giusta e trovare la soluzione servono l'aiuto della
ginecologa e le terapie giuste. Senza rinunciare al sesso
MARIATERESA TRUNCELLITO
"se proprio e proprio le fa e proprio le fa così così tanto male, non faccia più sesso». Come vi sentireste v
sentireste voi se a 23 anni un ginecologo vi dicesse che l'unica solu l'unica soluzione a rapporti che
assomigliano più a una tortura che tortura che all'amore è non averne per il resto della vostra vita? A stra
vita? Anch'io mi sono sentita così: disperata. E brucia ancora, cia ancora, perché è successo solo tre anni
fa. Mi chiamo Elena, sono Elena, sono un medico ospedaliero specializzando, vivo a Torino e f a Torino e
finché non ho avuto la fortuna di incontrare una gineco una ginecologa attenta e competente ho sofferto per
una "malat una "malattia fantasma" a cui nessuno sapeva dare un nome: la ve nome: la vestibolite vulvare,
un'infiammazione cronica della vagin della vagina con ripercussioni sui muscoli del pavimento pelvico e to
pelvico e conseguenti dolori. Nonostante studiassi medicina e fossi abbastanza informata, della vestibolite
non avevo mai sentito parlare. In verità, in materia di sesso, non sono stata certo una ragazzina precoce: a
differenza di alcune mie amiche, non mi passava nemmeno per la testa di liberarmi al più presto della
verginità con qualcuno con cui non fossi troppo coinvolta in modo da non fare una figuraccia quando
sarebbe arrivato l'uomo giusto. Io fantasticavo sulla prima volta come un momento magico, aspettavo il
grande amore ed ero convinta che sarebbe stato il primo e l'ultimo: ero una romanticona! Quando è arrivato
il momento, l'ho vissuta come una cosa importante. Avevo 18 anni, lui 19 e stavamo insieme da quasi un
anno. L'abbiamo fatto con tutta la calma del mondo, senza forzature, senza traumi: con mia mamma avevo
sempre parlato di tutto, anche della sessualità e quindi non avevo tabù, né particolari paure. È stato bello. i
primi s E gn A li n E g A tivi Ma già la seconda volta ho cominciato ad avvertire dolore. Non avevo mai
sentito parlare di una eventualità del genere: forse un'infiammazione ? O c'entrava in qualche modo con il
fatto che anche le mie mestruazioni erano da sempre dolorosissime, senza sollievo né con antinfiammatori
né con antidolorifici per spasmi lancinanti che mi costringevano a letto per tre giorni, fino a impedirmi, a
volte, di mangiare, di andare al bagno da sola e mi obbligavano ad azzerare la mia vita sociale, l'università,
lo sport? Quello che è certo, è che andava sempre peggio: ogni volta un bruciore, all'inizio della
penetrazione, poi anche in alcune posizioni, poi sempre più profondo, e via via sempre più forte. Fino a
diventare insopportabile. Fare sesso non era più un piacere. Non mi tiravo indietro, perché amavo il mio
ragazzo, lo desideravo e volevo che almeno lui fosse felice. Ma io mi sentivo atrocemente. Non è che non
avessi mai sentito parlare di rapporti sessuali dolorosi: avevo letto qualcosa sul vaginismo, quella
"chiusura" del corpo femminile che impedisce il rapporto, ma lo associavo a violenze, educazione
repressiva, mancanza di informazione, paura della sessualità. Tutte cose che non mi riguardavano, e poi
nel mio caso la penetrazione non era impossibile. A un certo punto ne ho parlato con una mia amica che
soffriva di endometriosi: era stata operata, ma continuava ad avere dolori al ciclo e durante i rapporti
sessuali. Mi riconoscevo nei suoi sintomi e così mi autodiagnosticai la sua stessa malattia. Per avere la
conferma, ho cominciato a peregrinare da un ginecologo all'altro: ma per lo più mi sentivo dire che "ero
fatta così", che assomigliavo a mia madre che pure aveva sofferto di mestruazioni dolorose e quindi avrei
dovuto tenermele fino alla menopausa. E per quanto riguardava i dolori connessi ai rapporti sessuali?
Peggio: nessuno sapeva darmi una spiegazione, come se non ci fosse una ragione. non È un A m A l A tti
A imm A gin A ri A Ed è stata proprio mia mamma a trovare l'esperto giusto. Documentandosi, aveva
navigato nel sito della Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna
(www.fondazionegraziottin.org), dove si parlava anche della vestibolite. E, di nuovo, mi sono riconosciuta
nei sintomi descritti. Così, ho innanzitutto seguito un corso extrauniversitario proprio dedicato a questa
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patologia, in un ospedale ginecologico. Ma è stata una perdita di tempo: il succo era che la vestibolite non
esiste. O meglio, al massimo è tutta nella testa di chi ne soffre e quindi va curata da uno psichiatra, non da
un ginecologo. Ma come, non esiste? Io ero certa che quello che sentivo mentre facevo l'amore con il mio
ragazzo non era affatto immaginario! E per quanto champagne avessi bevuto, non sarei mai riuscita a
rilassarmi, come era stato ironizzato nel corso. Per l'ennesima volta, mi sono sentita sola, non capita e
senza una via d'uscita. E così sono approdata nello studio della professoressa Graziottin. Dopo aver
raccontato i miei sintomi, la dottoressa mi ha detto: «So che stai tanto male». Per la prima volta avevo di
fronte un medico che non minimizzava, che non mi guardava con scetticismo dicendomi che forse
esageravo un po' o che avevo una soglia del dolore molto bassa. Ho sentito la comprensione del mio
dolore. E, subito dopo, il sollievo: «Ci vorrà un po' di impegno, ma vedrai che ne usciamo». p E r gu A rir E ,
ni E nt E pizz A E zucch E ro Per cominciare, la visita, gli esami di laboratorio e i test clinici hanno
confermato che avevo una crescita anomala di tessuto endometriale nel cavo del Douglas e sui legamenti
pelvici, accompagnata da vestibolite, infiammazione e ipertono del pavimento pelvico, aggravati da candida
e cistite. La terapia è consistita in una revisione del mio stile di vita: anche se non ero in sovrappeso e ho
sempre fatto sport, dovevo ridurre lieviti e zuccheri semplici - quindi pizza solo una volta ogni tanto, e
fruttosio come dolcificante - portare solo intimo di cotone bianco, no ai jeans e leggings se non
occasionalmente. Non sono stati grandi sacrifici: ho scoperto che con la gonna mi trovo benissimo, è
comoda e femminile. Mi è stata di grandissimo aiuto la fisioterapia del pavimento pelvico: esercizi di
stretching da praticare a casa (per esempio, contrarre e rilasciare i muscoli della vagina, massaggi del
perineo...) e biofeedback con una ginecologa esperta nella tecnica e l'ausilio di una sonda vaginale
collegata a un macchinario che, con una tecnica di elettrostimolazione, aiuta a rilassare i muscoli e a
prendere coscienza di contrazioni e spasmi involontari che favoriscono l'infiammazione. E poi farmaci e
integratori su misura per il mio caso: pillola senza pausa - ho le mestruazioni solo tre volte all'anno - per
tacitare i dolori dell'endometriosi, antimicotico per la candida, cranberry (mirtillo rosso americano) per la
cistite, un modulatore dell'infiammazione e poche gocce di valium miorilassanti. Mi sono dovuta anche
astenere dai rapporti sessuali per qualche mese. Ma non è stato un problema: il mio ragazzo mi è stato
molto vicino, voleva conoscere ogni mio progresso e non ha mai insistito sul sesso. Abbiamo continuato a
vederci e ad amarci. E comunque in tre mesi sono guarita. La morale? Se vivete una situazione che
assomiglia anche vagamente alla mia, cercate aiuto da un vero esperto. Non rassegnatevi a chi vi dice che
il dolore è nella vostra testa, che siete fatte così e non c'è nulla che si possa fare. Il sesso deve essere una
bella cosa, non una sofferenza. Non è normale neppure avere la cistite o la candida tutti i mesi, e le
mestruazioni non possono essere una malattia. Il dolore è un campanello d'allarme, ma non dobbiamo
lasciarlo suonare indisturbato». Testimonianza raccolta da Mariateresa Truncellito TRUNK ARCHIVE
la psiche non c'entra: colpevoli sono i nervi
«A rendere complessa la diagnosi di patologie come la vestibulopatia è la presenza di sintomi che vengono
facilmente etichettati come psicosomatici», spiega Paolo Marchettini , direttore della Terapia del Dolore del
Centro Diagnostico Italiano di Milano che ospita un servizio specificamente dedicato ai dolori pelvici.
Marchettini è autore di un Manuale di medicina del dolore (Publiedit) nel quale anche al dolore psicogeno
viene applicato l'approccio clinico riservato ai disturbi di origine organica. «Certamente il dolore psicogeno
è in aumento esponenziale, al punto da costituire, per esempio in Germania, il 30 per cento degli accessi al
pronto soccorso, con un considerevole aggravio dei costi sanitari», spiega Marchettini. «Esistono però
patologie delle mucose genitali in cui il bruciore intenso non è affatto conseguente a disturbi psicosomatici,
bensì a disfunzioni delle terminazioni nervose, curabili con farmaci che ne riducono l'eccitabilità. In
particolare, se i bruciori vaginali compaiono in concomitanza a bruciori della bocca si tratta quasi
certamente di una malattia dei nervi».
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Il vaginismo è un disturbo sessuale caratterizzato da una contrazione involontaria dei muscoli che
circondano la vagina, associata a paure del rapporto. Colpisce circa l'1 per cento delle donne (e il 5-7 per
cento nelle coppie sterili che non hanno figli perché non riescono ad avere rapporti). Spiega Alessandra
Graziottin , ginecologa e presidente della Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna: «Il
vaginismo è primario se compare fin dall'inizio della vita sessuale; secondario, quando compare dopo un
periodo di mesi o anni con normali rapporti sessuali, per varie cause (infezioni urinarie, vestibolite vulvare,
dolore post parto, eventi traumatici, interventi chirurgici, problemi relazionali, menopausa, patologie genitali
o pelviche)». Se il vaginismo non è così grave da impedire la penetrazione, il rapporto è possibile ma causa
dolore, bruciore e un senso di prurito pungente (dispareunia). Nei casi più gravi, invece, la penetrazione è
impossibile, e alcune donne non riescono nemmeno a usare gli assorbenti interni e hanno difficoltà durante
la visita ginecologica. «La causa è la contrazione involontaria ed eccessiva del muscolo pubococcigeo che
chiude l'entrata della vagina». I ripetuti microtraumi e le microabrasioni della mucosa vaginale, causati dai
tentativi di penetrazione, possono poi favorire uno stato di infiammazione cronica della mucosa dell'entrata
vaginale (vestibolo): la vestibolite vulvare. Come si cura? «Con una terapia sessuale comportamentale
breve con rilassamento del muscolo pubococcigeo e farmaci. Con il training respiratorio o lo yoga, il
terapeuta aiuta la paziente ad acquisire consapevolezza dei propri livelli di somatizzazione dell'ansia. Altre
cure sono lo stretching, l'automassaggio, la fisioterapia o il biofeedback di rilassamento. Nei casi ancora più
gravi, è in studio anche una terapia con la tossina botulinica. Può essere di supporto anche la psicoterapia
individuale o di coppia». M.T .
Foto: l'infiammazione cronica della vagina può compromettere la vita sessuale della donna.
17/02/2016
Pag. 37 Ed. Cosenza
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Una scoperta in grado di rivoluzionare la terapia del dolore
Franca Ferrami Si apre uno spiraglio di speranza nel trattamento terapeutico del dolore cronico.
Recentemente presso la Ucl (University College London) di Londra, utilizzando diversi modelli sperimentali
di dolore cronico, la dottoressa Maria Maiarù, ricercatrice presso il dipartimento di Cell & Developmental
Biology, insieme alla dottoressa Sandrine Geranton, group leader, hanno dimostrato il coinvolgimento della
proteina Fkbp51 nei meccanismi di dolore cronico, aprendo la strada per lo sviluppo di nuovi strumenti
terapeutici. Il dolore cronico è ormai un problema globale: le stime riportano che un adulto su 5 soffre di
dolore cronico e che per un adulto su 10 viene fatta ogni anno una nuova diagnosi. Tutto ciò si traduce in
enormi costi per la società in termini di spese sanitaria, assenze dai posti di lavoro, senza considerare la
riduzione della qualità della vita dei soggetti affetti. Al momento le terapie farmacologiche disponibili sono
palliative dei sintomi, data la ancora purtroppo limitata conoscenza dei meccanismi molecorali alla base di
questo disturbo. Questa proteina è coinvolta nella regolazione dello stress ed è stato dimostrato come
mutazioni nel gene Fkbp5 nell ' uomo siano collegati con un maggior rischio di sviluppare disordini da
stress post-traumatico, cosi come depressione e disturbi dell ' umore. I ricercatori della Ucl hanno scoperto
che topi che non esprimono questa proteina sviluppano una stato di dolore cronico ridotto rispetto ad
animali normali, in diversi modelli sperimentali. «L ' inibizione di Fkbp51 - ha dichiarato la dottoressa Maiarù
- ha un potente effetto in animali con dolore cronico non solo riducendo il dolore in seguito ad un danno, ma
soprattutto perché migliora la capacità di movimento degli animali stessi. Ciò che rende tutto molto più
eccitante - ha inoltre rimarcato la ricercatrice calabrese - è la collaborazione con il Max Planch Institute of
Psychiatry di Monaco, dove è stato sviluppato un composto chiamato Safit2 che blocca Fkbp51: bloccando
la proteina solo a livello del midollo spinale, la dottoressa Maiarù ha osservato una sostanziale riduzione
del dolore cronico». La dottoressa Maiarù dice d ' essere partita per Londra «con una valigia carica di sogni
e di speranze». Andando via dalla Calabria, ha aggiunto, e «correndo il rischio di non poter più tornare
indietro. Sono partita - ha rimarcato - rischiando tutto. Non è mai facile ricominciare in un posto nuovo, in
una terra straniera, dove tutto a cominciare dalla lingua è diverso rispetto a ciò a cui sei abituata. Ma amo il
mio lavoro, amo farlo al meglio, e questo mi ha aiutato a superare tanti momenti difficili».
Focus Una straordinaria esperienza di studio Orgoglio calabrese l La dottoressa Maria Mairù ha un
contratto di ricerca fino al 2017 con l ' University College London. Si occupa dello studio dell ' espressione
genica in vari modelli di dolore cronico, di tipo infiammatorio e neuropatico, per l ' identificazione di nuovi
target farmacologici. Nel recente passato vanta un dottorato di Ricerca in Biochimica Cellulare ed Attività
dei Farmaci in Oncologia nell ' Università della Calabria.
Foto: Maria Maiarù. Dopo l ' esperienza all ' Unical è partita per l ' Inghilterra
TERAPIA DEL DOLORE - Rassegna Stampa 17/02/2016
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La dottoressa Maria Maiarù è protagonista della ricerca nella prestigiosa University College London
19/02/2016
Pag. 22
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tiratura:278795
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MILANO, NUOVO PROGETTO VIDAS PER I PICCOLI MALATI ONCOLOGICI
Tanti testimonial eccellenti per la Casa sollievo bimbi
SARA RICOTTA VOZA MILANO
Una giostra d'altri tempi con i cavalli che vanno su e giù al rallentatore, fra cui si perdono Silvio Muccino e
Vittoria Belvedere , Linus , A l e & Franz, Teresa Mannino. E poi le foto di tanti altri testimon i a l co n i g i o
c at t o l i a m at i quando erano bambini: Fedez con la chitarrina, Philippe Daverio col bolide d'epoca,
Ferruccio de Bortoli con l'aeroplanino, Dolce & Gabbana con le Barbie fashion. È la campagna tv e stampa
firmata Armando Testa che vediamo in questi giorni in tv e sui giornali per promuovere la «Casa sollievo
bimbi», il nuovo progetto di Vidas, l'associazione fondata da Giovanna Cavazzoni che da oltre trent'anni
dona assistenza completa e gratuita ai malati terminali e ora metterà a disposizione di bambini e
adolescenti (e delle loro famiglie) la sua esperienza nelle cure palliative. Una grande campagna di raccolta
fondi - G ood Heart Challenge - che è un grande dono collettivo: dell'agenzia p u b b l i c i t a r i a co s i co
m e d i ogni singolo testimonial e del fotografo Stefano Babic che ha scattato i ritratti. Tutti convinti dal
lavoro fatto da Vidas in tanti anni e dalla bontà di questa sfida. «È un grande progetto di civiltà», spiega
Ferruccio de Bortoli, presidente Vidas, «perché questa si misura anche dal modo in cui la società si
rapporta con la sofferenza fino all'ultimo, stando vicino ai malati e alle loro famiglie, dando contenuto e
forza a ogni momento». Un progetto che è un inno alla vita, e che per questo ha conquistato tanti amici e
testimonial. «Ci siamo uniti per dare una cosa bella», ha motivato Marco Testa il contributo creativo donato
dalla sua agenzia; «Una società si giudica da come tratta l'infanzia, i malati e le persone che stanno per
morire» ha detto Silvio Muccino, aggiungendo che a convincerlo è stato il fatto che qui «si punta sulla vita,
anche se nell'ultima sua parte». La nuova «Casa del sollievo sarà di sei piani con spazi di degenza e day
hospital, centro di ricerca su bambini e adolescenti, giardino d'inverno, sale da gioco, palestre e un teatrino.
La differenza la faranno anche le dimensioni delle stanze di degenza - 35-70 metri quadri pensate per poter
unire la famiglia, fratellini compresi, in momenti tanto delicati. I tempi? A fine marzo si conclude il progetto,
ad aprile la gara d'appalto, a settembre il cantiere e a marzo 2018 il sogno si farà realtà. c
Foto: Solidale Anche Linus, direttore artistico di Radio Deejay e conduttore radio e televisivo testimonial di
Vidas
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