educare l`intestino con la mente cenni di anatomo fisiologia cenni di

VIII° CONGRESSO INTERNAZIONALE
DI SCIENZE MEDICHE INTEGRATE
DOTT. ANGELICO BRUGNOLI
CONSULENTE ESPERTO DEl
CENTRO DI RICERCHE IN
BIOCLIMATOLOGIA MEDICA
BIOTECNOLOGIE – MEDICINE NATURALI
DELL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI – MILANO
“EDUCARE L’INTESTINO CON LA MENTE
MAURITIUS 4-11 FEBBRAIO 2003
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EDUCARE L’INTESTINO CON LA MENTE
CENNI DI ANATOMO FISIOLOGIA
CENNI DI PATOLOGIA
L’“INTESTINO INTELLIGENTE”
COME AGIRE CON LA MENTE SULL’ “INTESTINO
INTELLIGENTE” PER EDUCARLO
VARIE METODICHE DI EDUCAZIONE MENTALE
RILASSAMENTO SOMATICO PROGRESSIVO PASSANTE PER IL CORPO
RILASSAMENTO PSICOSOMATICO
TECNICA DELLA DISTENSIONE IMMAGINATIVA
AUTOTRAINING TIPO SCHULTZ
AUTOIPNOSI
AGIRE CON LA VOLONTA’ ATTRAVERSO LA STIMOLAZIONE O
L’INIBIZIONE DELLA “MENTE VISCERALE”
ALLENAMENTO CON IL “MENTAL TRAINING”
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CENNI DI ANATOMO-FISIOLOGIA.
L’intestino comprende la porzione del canale alimentare che inizia dal piloro e che arriva
fino al canale anale.
Per comodità l’intestino viene diviso in intestino tenue con le porzioni duodeno, digiuno ed
ileo e crasso con le porzioni cieco, colon ascendente, trasverso, discendente, sigma e
retto.
La parete intestinale presenta una struttura particolare, a tuniche sovrapposte, ove si
distinguono, a partire dall’esterno, il peritoneo con la tonaca sierosa e sottosierosa; uno
strato di muscoli ed uno di tessuto connettivo, la muscolaris mucosae, e la mucosa vera e
propria rivestita da epitelio cilindrico monostratificato con numerosissimi microvilli.
L’irrorazione sanguigna è data dall’arteria mesenterica superiore ed inferiore nonche
dall’arteria rettale media ed inferiore e dall’arteria rettale media ed inferiore.
Il sangue inoltre refluisce attraverso la vena porta e dal segmento rettale medio ed
inferiore attraverso la vena iliaca interna e la vena cava inferiore.
La struttura a livello della parete dell’intestino tenue si presenta molto complicata con una
rete capillare afferente al villo
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CENNI DI PATOLOGIA.
Disturbi intestinali funzionali:
meteorismo, diarrea sine causa, stitichezza cronica, ileo meccanico, ileo paralitico o
dinamico.
Malattie infiammatorie:
duodeniti, enteriti, morbo di Crohn, malassorbimento, morbo celiaco, coliti, rettocolite
ulcero-emorragica, appendicite.
Alterazioni della parete:
diverticolo di Meckel, diverticoliti, diverticolosi, megacolon.
Malattie su base circolatoria:
angina abdominis, infarto intestinale.
Malattie su base neoplastica:
sindromi da carcinoide, polipi, linfomi, carcinomi, tumori dell’ano-retto.
Altre malattie ano-rettali:
ascessi perianali e perirettali, fistole perianali, ragadi anali, prurito anale, prolasso anorettale.
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L’”INTESTINO INTELLIGENTE”.
Esiste veramente nell’organismo umano qualche organo od apparato che possa essere
definito intelligente?
Ma cosa significa per noi la parola intelligente, aggettivo che deriva dal participio presente
del verbo latino intelligere cioè intendere.
Il Devoto-Oli definisce intelligente “tutto ciò che denota vivacità e sicurezza nell’orientare e
nell’applicare le doti della mente ai vari momenti dell’esperienza e della contingenza”.
L’intestino è in grado di essere classificato tale, è in grado di approfittare di vari momenti
esperenziali contingenti per autoripararsi oppure per autogestirsi secondo la moderna
terminologia in campo tecnologico e psicologico?
In altre parole contiene dentro di sé elementi positivi di tale portata, onde raggiungere, non
diciamo livelli di autoconsapevolezza, ma almeno livelli di autorigenerazione o
autoriparazione di fronte ad insulti di natura fisica, chimica ed ambientale?
Oppure abbisogna sempre, in qualsiasi momento, di essere, per così dire, guidato dalla
mente consapevole, per raggiungere gli obbiettivi di autoguarigione o di autoriparazione?
Se poniamo i quesiti in questo senso si può pensare che sia possibile rispondere
affermativamente proprio per molti motivi, tra i quali i più importanti si possono recepire in
alcuni tipi di disfunzioni, ancora non bene classificabili tra i fattori funzionali od anche di
natura fisica.
Molto spesso si nota che l’intestino od alcune sue parti divengono “organo bersaglio” di
processi psicologici che trovano la loro origine ben altrove e, se non risolti entro un certo
periodo di tempo, vanno a colpire la parte che in quel momento è la più recettiva e la
meno protetta dalle difese immunitarie.
Certe malattie o disfunzioni infatti, anche di vari tratti dell’intestino, dipendono sicuramente
dalla caduta delle difese immunitarie, per cause le più svariate.
Sappiamo anche che tale caduta dipende spesso da impulsi inconsci che partono dalla
“mente viscerale” sotto lo stimolo di stress ambientali fisici e/o psicologici.
In tal modo ci sembra possibile affermare che la mente, se ben orientata ed allenata,
possa, in certi casi particolari, soprattutto in presenza di disturbi funzionali, interagire con i
tratti dell’intestino coinvolti, in modo da inviare impulsi in senso positivo, cioè atti a favorire
un miglioramento della sintomatologia, a volte fino alla guarigione.
Vedremo già nel capitolo successivo come attuare una simile proposta teorica.
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COME AGIRE CON LA MENTE SULL’ “INTESTINO
INTELLIGENTE” PER EDUCARLO.
E’ possibile agire direttamente con la mente sull’intestino in toto o su di una sua porzione
in difficoltà quando tentativi farmacologici di varia natura oppure anche di medicina non
convenzionale non hanno raggiunto lo scopo prefissato?
La risposta si presenta molto impegnativa, anche perché ancora pochi “addetti ai lavori”
riconoscono che l’intestino possa essere “intelligente” e pertanto possa essere guidato da
metodiche specifiche e particolarmente adatte allo scopo.
Le funzioni intestinali non sono volontarie, dipendono in grandissima parte dal sistema
neurovegetativo e pertanto non sono poste sotto il dominio della coscienza e quindi anche
della volontà.
In base a tali constatazioni risulterebbe dunque che non possono essere influenzabili dalla
“mente consapevole” o dalla volontà in generale.
Solamente da qualche anno qualche autore ha pensato però che forse è possibile
intervenire anche sulle funzioni cosiddette “autonome” con particolari tipi di metodiche
rivolte in modo specifico per questo tipo di intervento.
Nei prossimi capitoli vedremo appunto come utilizzare tecniche particolari e specifiche per
attuare, almeno nei limiti del possibile e per certi tipi di disfunzioni, una “educazione
mentale” di tutto l’intestino o almeno di una sua parte “cosiddetta malata”.
Risulta chiaro che le tecniche presentate non sono certo facili e comode da attuare ma
crediamo di fare cosa gradita all’auditorio, sempre così attento sui temi di attualità, nel
discuterne alcune, in modo che almeno si sappia che esistono e molte volte sono attuabili
proprio dove altri presidi terapeutici non hanno raggiunto lo scopo che si voleva ottenere.
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VARIE METODICHE DI EDUCAZIONE MENTALE.
RILASSAMENTO
CORPO.
SOMATICO
PROGRESSIVO
PASSANTE
PER
IL
Si usa una tecnica che prende le mosse dal rilassamento di Jacobson e che permette di
sperimentare in modo semplice e rapido la differenza fra lo stato di "rilassamento"
contrapposto a quello di "tensione”.
Le caratteristiche del metodo possono così essere riassunte:
In tutti gli esercizi, quello che conta è rimanere completamente spontanei.
Non c’è assolutamente bisogno di fare nulla.
Il quasi imperativo, valido per qualsiasi soggetto, è il “I not doing”.
Per il cliente è necessario seguire solo i suggerimenti del terapeuta, il quale, lentamente,
senza fretta, con voce piuttosto incisiva, accompagna dentro lo stato di rilassamento,
dopo aver sperimentato uno stato di tensione muscolare.
In questo modo si inizia gradualmente a prendere coscienza dei mutamenti del tono
muscolare nei vari distretti corporei.
E’ importante analizzare questi “momenti” di tensione e di rilassamento muscolare e
tendineo per poi utilizzarli come punto di partenza per lo scopo che ci si prefigge.
Questa tecnica inoltre aiuta lo psicoterapeuta ad “avvertire” i cambiamenti che si
sviluppano nel soggetto e ciò si rivela della massima importanza, soprattutto quando si
manifestano forti “resistenze consce ed inconsce” da parte del soggetto.
Solo dopo un certo allenamento queste si allentano, soprattutto se si instaura un buon
rapporto interpersonale, cardine essenziale per una terapia mirata.
In questo modo si possono valutare i vari vissuti che saranno utili, in un secondo tempo,
nel passaggio dalla fase attiva a quell’immaginativa, sia spontanea che guidata.
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RILASSAMENTO PSICOSOMATICO.
RILASSAMENTO SOMATICO CON VARI PUNTI DI APPOGGIO.
Dopo il rilassamento di Jacobson appare utile passare al rilassamento muscolare e
tendineo facendo riferimento ai punti di appoggio del corpo, insistendo soprattutto sui vari
distretti della colonna vertebrale e sui gruppi muscolari dei polpacci, delle cosce e delle
braccia.
Risulta importante spesso nominare anche i restanti distretti corporei, in modo particolare
con i soggetti che presentano disturbi del sé corporeo.
Si nota così che il “rilassamento” diviene via via sempre più completo e profondo, a livello
tendineo, muscolare e nervoso, in modo spontaneo e naturale, derivante dal training
costante e ripetuto.
Il mio parere è che quello che conta non è il ricercare interventi “miracolistici o magici”,
che talora possono anche essere possibili, ma consentire al soggetto una graduale e
progressiva modificazione della sua sintomatologia, nel senso di avviarsi verso una
progressiva diminuzione dei sintomi.
A proposito di intervento "miracolistico" è necessario anche puntualizzare come, sin
dall'inizio, non debba essere ricercato il risultato ad ogni costo, ricordando che l'eventuale
miglioramento del soggetto è una conquista che va strutturata e consolidata nel tempo,
usando tutta la perizia e la pazienza a disposizione.
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TECNICA DELLA DISTENSIONE IMMAGINATIVA.
La tecnica della distensione immaginativa si rivela una pratica utile nella cura dei disturbi
somatoformi, naturalmente nel nostro caso specifico quelli intestinali e necessita di una
buona dose di creatività e di carisma.
E’ inserita nel Corso Quadriennale di Formazione in Naturopatia dell’Istituto Riza di
Medicina Psicosomatica di Milano, Sessione di “Tecniche di rilassamento e mediazione
corporea 2” del I° anno di Corso.
La distensione immaginativa è una tecnica sorta dalle esigenze e dalle esperienze
connesse al lavoro clinico, alle esperienze cliniche e didattico formative in ambito
psicosomatico e inizialmente ipnologico presso l’Istituto Italiano Studi di Ipnosi Clinica e di
Psicoterapia H. Bernheim di Verona, da parte di Piero Parietti e della sua equipe di
lavoro, alla quale anch’io ho fornito un lungo appoggio.
Tecnica ulteriormente elaborata ed approfondita nell’ambito dell’attività dell’Istituto Riza di
Medicina Psicosomatica di Milano.
Dalle esigenze del lavoro clinico è emersa la difficoltà del trattamento dei cosiddetti malati
psicosomatici, in cui i sintomi legati a lesioni organiche si intrecciano con manifestazioni di
disagi e conflittualità psicologico-relazionali.
L'esperienza clinica ha evidenziato come il tradizionale bagaglio di conoscenze del
medico e lo strumentario terapeutico fondamentalmente biologico da esso posseduto, non
sia adeguato alle esigenze della terapia.
D'altro canto né la tecnica psicoanalitica 'ortodossa', né la psicoterapia analitica, né le
varie forme di psicoterapia ad impostazione dinamica ed anche comportamentale hanno
prodotto apprezzabili risultati in questo campo.
In ambito psicosomatico, in definitiva, le terapie a livello esclusivamente verbale risultano
altrettanto inadeguate di quelle esclusivamente somato-farmacologiche.
Da tutto ciò è sorta l'esigenza di ricorrere a tecniche in grado di poter agire sia a livello
'somatico', sia a livello “psicologico” anche utilizzando “stati di coscienza modificati” di tipo
diverso a seconda del soggetto, delle circostanze operative e dell’ambiente..
La Distensione Immaginativa è stata elaborata tenendo conto di tali esigenze.
Nella sua struttura operativa la tecnica in questione è stata suddivisa in fasi o momenti, tra
loro articolati secondo la seguente modalità:
Fase della contrazione / distensione agita:
presa di coscienza, da parte del soggetto, del proprio corpo situato in una posizione
comoda: divano-poltrona-lettino, ottenuta attraverso la focalizzazione dell'attenzione sulle
sensazioni collegate ai punti di contatto del corpo col supporto che lo accoglie.
Tutto questo con la finalità di iniziare il viraggio dell'orientamento mentale, spostandolo
dalla percezione dei dati della realtà esterna verso una sempre maggiore soggettività dei
vissuti;
esecuzione programmata di una serie di contrazioni muscolari (attività) in vari distretti
corporei, seguiti da periodi di maggiore durata di detensione muscolare (passività), con la
finalità di addestrare il soggetto a cogliere le differenze tra i momenti di contrazione
muscolare da attività (tensione) e quelli di detensione da inattività (rilassamento).
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Fase della contrazione/distensione immaginata:
Consiste nella ripetizione della fase precedente (contrazione – detensione) senza però
eseguire i movimenti, ma solo immaginando di farli.
Questo per accentuare ed affinare la capacità immaginativa del soggetto.
E’ più facile rappresentarsi mentalmente azioni, atti ecc. compiuti da poco o con cui si ha
familiarità collegata al proprio corpo.
Fase del inventario corporeo.
Si tratta di una “nominazione” delle varie parti del corpo a partire dai piedi) sino a
realizzare una sorta di “passeggiata immaginativa” interessante il corpo in toto sia nelle
sue componenti esterne che in quelle interne.
Non si tratta però di una forma di autoscopia nel senso tradizionale del termine, ma di una
risposta immaginativa ad una formulazione ambigua correlata alla parola “interno” o
“dentro”
Verbalizzazione dei vissuti.
L'esperienza di focalizzazione corporea costituita dalle varie fasi é preceduta e seguita da
momenti di verbalizzazione dei vissuti del soggetto.
Costruzione del testo.
Questa fase (che fa parte della “verbalizzazione” successiva all’esperienza) prevede che
la produzione immaginativa emersa costituisca un 'testo' verbale e/o scritto che verrà
“letto” in riferimento agli aspetti “formale” e “contenutistico” che lo caratterizzano.
La raccolta di detto “testo” può essere effettuata con modalità differenti in relazione alle
diverse condizioni di utilizzazione della tecnica che, inizialmente appresa con la guida del
terapeuta, viene in seguito sperimentata in maniera autonoma dal soggetto come
progressivo allenamento.
Potrà quindi trattarsi di un “testo” verbalmente “raccontato” dal paziente al terapeuta,
oppure registrato in forma scritta.
I “contenuti” vengono letti facendo riferimento a tre parametri:
Simbolico: collegato alla traduzione dei contenuti emersi in significati simbolici
comunemente utilizzati .
Ad esempio vaso = contenitore = utero = madre ecc.
Relazionale: permette di collegare i contenuti e la loro traduzione simbolica alla relazione
tra operatore e soggetto, ma anche all’atmosfera della seduta in atto o della terapia in
corso.
Questo aspetto permette di cogliere i vari movimenti transferali che vengono attivati nel
corso del rilassamento, es. vaso = contenitore = utero = madre = tipo di relazione attivata
col terapeuta nella seduta o nella terapia in generale.
Circostanziale o contestuale: in cui vengono considerati i vari elementi che sono connessi
all’esperienza esistenziale del soggetto (la storia, il tipo di rapporti con se stesso e gli altri,
i motivi del suo essere in trattamento, la particolare tecnica terapeutica utilizzata ecc.
Partendo da questi elementi, possiamo ritenere che la tecnica della “Distensione
Immaginativa” può essere utile secondo varie prospettive:
a)
quella di poter disporre di un ulteriore mezzo di intervento tanto a livello diagnostico
che terapeutico in tutti quei disturbi o affezioni in cui appare più accentuata la
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“somatizzazione” delle emozioni, con riduzione delle capacità di simbolizzazione anche a
livello verbale
b)
quella di rendere possibile un allenamento a comunicare sul duplice registro
immaginativo (corporeo/verbale)
c)
quella di fornire al soggetto la possibilità di un progressivo abbandono delle
modalità difensive a livello somatico, tramite l’acquisizione di un progressivo allenamento
al rilassamento
d)
quella di aprire spiragli all’operatore di quanto certe somatizzazioni possano
costituire barriere difensive contro la possibile evenienza di scompensi psicologici.
La Distensione Immaginativa (D/I) può essere considerata come una tecnica a
focalizzazione corporea in cui la “distensione”, intesa come rilassamento muscolare, é
perseguita attraverso un'alternanza programmata di attività/passività: a livello somatico:
contrazione e distensione muscolare;
a livello mentale: attività immaginativa.
Questa componente 'somatica' viene utilizzata a livello terapeutico secondo particolari
caratteristiche del “rilassamento” inteso come:
- attivatore della “funzione trofotropica”, e riattivatore mnestico della primaria “relazione
tonica” madre – bambino.
- elemento di “modificazione” del livello di vigilanza che favorisce l'attivazione della
funzione immaginativa del soggetto.
La componente “immaginativa” é intesa come capacità di “rappresentazione mentale” di
oggetti, persone, scene con le emozioni associate, al momento assenti dal campo
percettivo sensoriale del soggetto ed organizzate secondo sequenze narrative e regole
specifiche e particolari, definibili come “mondo immaginale” – “percezione immaginativa”' –
“coscienza immaginante”.
La
tecnica,
attraverso
le
sue
'fasi':
Contrazione/Distensione
agita
Contrazione/Distensione immaginata – Inventario Corporeo, tende a correlare la
produzione immaginativa ai vissuti del 'corpo in relazione' regressiva del soggetto con
l’operatore.
Questa tecnica, che fa propri, modificandoli, alcuni aspetti di diverse forme di
“rilassamento strutturato” e di “imagerie mentale” viene particolarmente utilizzata in ambito
psicosomatico, ambito che pare caratterizzato da un’ incapacità elaborativa delle
dinamiche affettive, che vengono esiliate nella periferia biologica del somatico.
Il corpo viene “agito”, fase della contrazione/distensione agita e “parlato”, nominato
verbalmente nella fase dell’inventario corporeo a ciò corrispondendo l’attivazione della
produzione immaginativa del soggetto.
In sintesi potremmo definire la “Distensione Immaginativa” una tecnica che utilizza il
ricorso alla distensione (detensione muscolare) per attivare l’immaginazione.
Immaginazione: intesa, a livello operativo,come rappresentazione mentale di eventi ecc...
non presenti, al momento, nel campo percettivo sensoriale del soggetto
Dinamizzazione dell'immaginazione come attivazione dell'immaginario nel senso, ad
esempio della capacità di creare storie (vicende immaginative)
Si può concludere considerando la “Distensione Immaginativa” una tecnica psicoterapica
a “focalizzazione corporea” di derivazione “psicodinamica” che chiamando in causa
funzioni “somatiche” e “psichiche” si colloca nell’ambito delle procedure terapeutiche ad
“impostazione psicosomatista”.
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Tecnica
Basi
della Tipo
relazione
approccio
corporale
Schultz
Induzione
e
controllo;
da
suggestione a
verbalizzazion
e
Controllo
di Progressione
della cura
Segmento dopo due cicli:
segmento verso uno inferiore
Training
l’unità del corpo (6 esercizi)
Autogeno.
uno superiore
(7 esercizi)
Jacobson
“Rilassamento Rilassamento
differenziale”
generale
Rilassamento
segmento dopo profondo;
progressivo
o
segmento
rilassamento
frazionato
differenziale;
decondizionamento
De Ajiuraguerra Analisi
delle Considerazione Ciclo inferiore del
resistenze
dell’immagitraining autogeno
rieducazione
mediante
il nario
e
progressione
tonica
“dialogo
del corpo
della
relazione
tonico”
terapeutica
Sapir
R.I.V.
(rilassamento a.
induzioni
multiple
o
variabili
(influenza della
psicoanalisi)
Parietti
Distensione
Immaginativa
Analisi
della
situazione
di
trasferimento
in rilassamento
a
induzione
multipla
Considerazione
dell’immaginario
del corpo
Alternanza di
livelli
di
vigilanza
in
una dinamica
di attività/
passività
(regressione
passante per il
corpo)
Dal
corpo 3 fasi integrate
“reale”
(1 agita
al
corpo 2 immaginate)
“fantasmatico”
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Ciclo inferiore del
training autogeno
e
progressione
della
relazione
terapeutica
Scopi espliciti
della cura
deconnessione
dell’organismo;
stati
autenticamente
suggestivi
In vista di una
“inibizione
corticale”
Ristrutturazione
dell’immagine
del
corpo,
riacquisizione
simbolica
del
vissuto
corporale
Ristrutturazione
dell’immagine
del
corpo,
riacquisizione
simbolica
del
vissuto
corporale
Attivazione
della
produzione
immaginativa
per
acquisire
simbolismi
correlati
alle
funzioni
corporee
e
mobilizzare
emozioni
“radicate”
nel
somatico
AUTOTRAINING.
L’autotraining è molto importante per il trattamento delle sindromi somatoformi, anche a
livello intestinale, dopo essersi allenati al training autogeno di Schultz o metodo di
autodistensione da concentrazione psichica.
Schultz fu dapprima discepolo e seguace di Freud e con lui intraprese un training
psicanalitico ma, dopo circa tre anni, si dedicò a ricercare metodi più semplici e più facili di
terapia distensiva.
Ideò così il training autogeno sui principi dello yoga orientale, adattandoli alle esigenze ed
alla cultura occidentale, ed in modo particolare a quelle della “sua gente”, la popolazione
tedesca.
Nacquero così gli esercizi inferiori, con punto di partenza dal corpo.
Più tardi, con Luhte, ideò anche gli esercizi superiori, che partono invece dalla mente.
La prima serie venne anche chiamata serie inferiore o somatica; la seconda, serie
superiore o psichica.
Appare utile sottolineare come un’attenta osservazione della tecnica riveli chiaramente
negli esercizi anche della serie inferiore un deciso orientamento di matrice tedesca,
vorremmo dire quasi prussiana.
I suoi esercizi, infatti, più che da suggerimenti, partono da “comandi”, dapprima
eteroindotti e poi anche autoindotti, che sono riferiti ai vari momenti del rilassamento.
Sono sempre più dell’avviso, anche per lunga esperienza personale, che presso i popoli
mediterranei sia molto meglio applicare le tecniche in modo più morbido, eclettico ed
elastico, facilitando in questo modo la distensione e, nello stesso tempo, ottenendo
migliori risultati, in modo particolare in quei soggetti che presentano delle resistenze
consce od inconsce ai metodi di rilassamento.
Crosa nella prefazione all’edizione italiana della pubblicazione del Training Autogeno
scrive:
"Con il termine di Training Autogeno, J. H. Schultz definì un metodo di autodistensione da
concentrazione psichica che consente di modificare situazioni psichiche o somatiche.
Training significa allenamento, cioè apprendimento graduale di una serie di esercizi di
concentrazione psichica passiva, particolarmente studiati e concatenati, allo scopo di
portare progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare,
della funzionalità vascolare, dell’attività cardiaca e polmonare, dell’equilibrio
neurovegetativo e dello stato di coscienza; il preciso e costante allenamento a tali esercizi
porta a modificazioni gradatamente sempre più valide, precise, consistenti.
Autogeno significa “ che si genera da se”; ciò differenzia questo metodo dalle tecniche
autoipnotiche ed eteroipnotiche le cui realizzazioni somatopsichiche sono attivamente
indotte dal soggetto o dal terapeuta."
Lo scopo principale degli esercizi inferiori del training autogeno è quello di
"farci raggiungere lo stato autogeno, cioè una condizione di passività assoluta, priva di atti
volitivi, realizzata nell’indifferente contemplazione di quanto spontaneamente accade nel
proprio organismo e nella propria mente”
I punti essenziali da prendere in considerazione per ottenere un buon risultato con gli
esercizi inferiori sono:
Posizione la più comoda possibile nei tre momenti classici: seduti in poltrona, supini a letto
o sul pavimento o a cocchiere in cassetta.
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Ambiente tranquillo con temperatura confortevole, lontano il più possibile da fonti di rumori
molesti.
Abbigliamento adeguato, non troppo stretto od attillato, in modo particolare per chi
indossa jeans.
Chiusura degli occhi.
Atteggiamento psicologico interiore di calma.
Gli esercizi inferiori si dividono in:
Esercizio della pesantezza.
Esercizio del calore.
Esercizio del cuore.
Esercizio del respiro.
Esercizio del plesso solare.
Esercizio della fronte fresca.
Qualche autore parla anche di preesercizio con rappresentazione mentale della calma.
Personalmente posso condividere a tutti gli effetti gli esercizi della pesantezza e del
calore, mentre mantengo certe riserve sugli esercizi orientati sul cuore, respiro e plesso
solare.
Esistono infatti soggetti che somatizzano a livello cardiaco o respiratorio per cui spesso si
trovano in difficoltà a rivolgere l’attenzione proprio sugli “organi bersaglio” e
paradossalmente sviluppano tachicardia, palpitazioni e cardiopalmo, nonché sensazione
spiccata di “respiro corto” oppure di tensione intestinale con meteorismo accentuato ecc.
L’esercizio della fronte fresca pur di difficile realizzazione, può essere utile nella cura
della cefalea muscolotensiva e meno nella cefalea vasomotoria.
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AUTOIPNOSI.
“Stato di coscienza modificato, ottenuto attraverso un lungo, serio, costante, impegnativo
e motivato allenamento a rivolgere la mente dall’esterno verso l’interno, anche con l’uso di
vari metodi di rilassamento, praticando l’introspezione, senza giungere con questo a
realizzare sempre e comunque una vera e propria “autoanalisi”, oppure un “processo di
individuazione” alla Jung”.
questo stato si possono ottenere esperienze di grande interesse e valore, in modo
particolare nel campo della psicologia sintetica ma ancor più transpersonale con
comparsa di vari tipi di crisi di identità oppure evolutive, come episodi di consapevolezza
non presenti nello stato di veglia vigile, esperienze legate all’anima, allo spirito, al cosmo,
a processi mistici.
L’allenamento all’autoipnosi diventa più facile se si seguono i ritmi personali del respiro,
senza doverlo accelerare, come con la tecnica di Grof e senza doverlo diminuire, secondo
molte tecniche indiane.
Un po’ alla volta, seguendo un allenamento giornaliero, tutto diviene automatico e ci si
inoltra via via verso le esperienze già elencate.
Dal punto di vista strettamente personale però devo aggiungere che, mano a mano che
l’allenamento prosegue, il respiro diviene via via sempre più lento e profondo ed infatti, in
certi momenti, mi sono ritrovato con un ritmo di respiro molto diminuito, fino a raggiungere
una inspirazione ed una espirazione nel tempo di un minuto, quando di norma le
respirazioni complete sono di almeno dieci al minuto.
Dopo la mia definizione vediamo anche ciò che dicono altri.
Cheek e LeCrohn in “Clinical Hypnotherapy” nel 1968 ad esempio sostengono che in fin
dei conti “ogni ipnosi è essenzialmente autoipnosi”.
Wolberg ancora nel lontano 1948 in “Medical Hypnosis”, Vol. I° definisce l’autoipnosi “una
vera e propria trance indotta dal paziente per effetto delle suggestioni ipnotiche dategli dal
medico”.
Al giorno d’oggi riveste notevole importanza, per le conseguenze a volte disastrose che
comporta, lo stato ipnotico che compare più spesso in autostrada, specie durante la
pioggia con il movimento delle spazzole sul vetro anteriore oppure nelle giornate assolate
estive, in modo particolare se si guida subito dopo un lauto pranzo con libagioni profuse,
oppure, specie di notte, se si è costretti ad osservare la linea continua spartitraffico per
molti minuti di seguito, oppure anche il seguire per molto tempo, specie in caso di nebbia,
le luci di posizione del veicolo che precede.
In tutti questi casi si parla di “ipnosi” ma io sono piuttosto dell’avviso che le condizioni che
abbiamo riferito possano più spesso portare verso un “vero stato autoipnotico” che sfocia
sovente in quei caratteristici e funesti “colpi di sonno” tanto pericolosi per chi è al volante
ad anche purtroppo per gli sfortunati che in quel momento si trovano sulla traiettoria di
impatto del veicolo.
Ad ogni modo l’autoipnosi si può realizzare partendo sia da qualche tipo di rilassamento,
sia dall’ipnosi che da eteroindotta diviene poi, in un secondo tempo, con l’allenamento
autoindotta, oppure anche a volte allenandosi a prolungare gli stati ipnagogici con il loro
imprevedibile ed irrazionale corteo di sensazioni, immagini, vissuti esperenziali di tipo
fantastico e di norma irreale, cioè senza agganci con la realtà normale di tutti i giorni.
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Nell’interesse specifico di questo lavoro può essere utile conoscere che in autoipnosi
diviene molto più facile “parlare” alla zona interessata, in modo da allenarla a comportarsi
a livello autonomo, come per molti settori dell’intestino, invece che passarla, anche se per
qualche momento, sotto gli impulsi della volontà, che, in questo caso, agisce solamente
come “disturbante” di tutte le funzioni autonome.
Vedremo più ampiamente nei capitoli seguenti come rimediare a tutto questo apparente
paradosso.
AGIRE CON LA VOLONTA’ ATTRAVERSO LA STIMOLAZIONE
O L’INIBIZIONE DELLA “MENTE VISCERALE”.
Esiste una “mente viscerale” autonoma in tutte le sue funzioni, dipendente dal sistema
neurovegetativo, che però può essere per così dire “disturbata” nelle sue funzioni da
stimoli avversi interni ed esterni.
La stimolazione o l’inibizione della “mente viscerale” che invia i suoi impulsi all’ ”intestino
intelligente” si possono ottenere attraverso gli allenamenti che abbiamo proposto.
Ma a volte, per vari motivi che possono dipendere da molte cause individuali ed ambientali
anche di difficile reperimento, essi non sono sufficienti ad ottenere lo scopo prefissato.
Certe forme intestinali infatti necessitano di stimolazione, come quando l’intestino si
presenta pigro, poco attivo, e non risponde bene agli stimoli usuali; altre volte invece esso
è troppo attivo, la peristalsi è di grado elevato ed il transito troppo veloce.
Spesso si tratta di forme difficili da comprendere, di forme che si presentano “borderline”,
cioè al limite tra fisiologico e patologico, di forme classificate come “oscure”, “misteriose”,
di “diagnosi difficile” anche con ricerche mirate, ecc.
Sono sempre più dell’opinione che anche “l’intestino intelligente”, come del resto molte
altre funzioni dell’organismo umano, vada educato anche e soprattutto con la “forza di
volontà”, quell’”energia vitale” che ognuno di noi possiede ma che di norma non sa usare
oppure addirittura usa male e fuori posto.
Sarebbe perciò utile conoscere in termini fisiologici e psicologici come allenare questa
“forza di volontà” per ottenere risultati estremamente significativi in tutti i campi
dell’umano.
Vediamo intanto cosa si intende per volontà.
Enciclopedia Encarta. “Volontà (psicologia) Termine che nell’uso comune indica
l’intenzione di un soggetto di raggiungere un certo risultato. In ambito psicologico è
piuttosto controverso, anche per le problematiche implicazioni filosofiche, e nella storia
della psicologia scientifica si è il più delle volte preferito usare il termine motivazione”.
Dizionario della Lingua Italiana Devoto-Oli. Volontà.
1)”Facoltà propria dell’uomo di tendere con decisione e piena autonomia alla realizzazione
di fini determinati”.
2) “Con riferimento allle singole deliberazioni in cui si determina e si risolve tale facoltà”.
3) “Con senso attenuato si accosta all’idea di disposizione, inclinazione, con una maggiore
sottolineatura consapevolezza interiore nei riguardi di “voglia”.
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Secondo le definizioni riportate sembra di comprendere che per allenare la forza di
volontà sia prima di tutto necessario essere motivati al raggiungimento di uno scopo. Ma
potrebbe non essere ancora sufficiente.
L’aumento progressivo della forza di volontà sembra anche essere sotteso ad una forte
emozione che si rivela più indispensabile che utile per ottenere un obbiettivo ben preciso.
Ma forse ancora si rivela estremamente utile una forte, chiara, costante determinazione
verso una méta che l’intuizione, più che la ragione, sente, avverte e considera realizzabile.
E l’intestino essendo intelligente può capire questo linguaggio che parte più dal cuore che
dalla ragione ma che porta sempre a risultati molto efficaci anche in quella patologia che
di norma è molto poco aggredibile, non solamente con i sempre nuovi farmaci a
disposizione, ma anche con mezzi cosiddetti tradizionali od non convenzionali, di cui si
parla sempre più in questo periodo.
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ALLENAMENTO CON IL “MENTAL TRAINING”.
Tutte le tecniche di rilassamento che abbiamo appena citato mirano ad accrescere le
risorse del soggetto, allenandolo a confrontarsi, in modo corretto, con la situazione critica
del momento ed aumentare quindi il suo senso di controllo dell’ambiente circostante
oppure di situazioni somatiche, come particolari sindromi relative all’intestino, che lo
disturbano anche in senso ansiogeno.
Durante la seduta di rilassamento viene lentamente modificata la realtà percettiva con il
mondo esterno attraverso una progressiva distensione dell’apparato muscolo scheletrico
la più profonda possibile per quel determinato soggetto.
In queste condizioni esso vive il rapporto col proprio corpo e nel caso specifico con
l’intestino in modo diverso dall’esperienza quotidiana in funzione della limitata
partecipazione dell’Io.
Durante l’induzione del rilassamento l’operatore terapeuta, attraverso la tecnica usata,
insegna al soggetto uno stato di coscienza modificato, che attraverso una realtà percettiva
diversa, lo aiuta ad elaborare situazioni di adattamento a stimoli stressogeni per lui fonte
di ansia continua e poco controllabile.
Molte sono le tecniche usate per ottenere un buon rilassamento psicosomatico:
Una delle più usate, anche perché di relativa facile realizzazione, è quella della
contrazione-distensione, tenendo presente il modello utilizzato
da Jacobson, un
neurofisiologo del secolo scorso.
La contrazione-distensione si ottiene addestrando il soggetto ad apprendere la differenza
tra “tensione”, legata all’attività connessa alla contrazione muscolare e “rilassamento”,
collegato all’assenza di attività muscolare. Il motto dell’autore è infatti il “not to doing” cioè
“non fare nulla”, lasciarsi andare senza più movimenti di nessun tipo, seguendo solo i
suggerimenti del terapeuta e cercando di sgomberare progressivamente la mente da
elementi ansiogeni muscolo-tensivi.
Questa prima fase viene usata come iniziale approccio all’esperienza di rilassamento ed
anche come allenamento mentale a riconoscere gli stati di tensione muscolare nei vari
distretti corporei.
Un secondo metodo, sempre però di derivazione Jacobsiana, è quello che si attua, molto
spesso anche come successivo al precedente, con contrazione-distensione visualizzata.
Il soggetto viene istruito in momenti successivi a rappresentare il suo corpo visivamente
nella mente, senza effettuare alcuna contrazione muscolare volontaria, anche come
allenamento agli “esercizi” di contrazione- distensione appresi nella fase precedente.
Lo scopo di questa esperienza è quella di allenare il paziente ad attivare potenzialità e
capacità immaginative personali che possono essere di grande aiuto proprio per vincere
l’ansia anticipatoria, quel determinato tipo di ansia che si proietta verso gli eventi previsti
in un futuro più o meno prossimo.
Un momento ancora successivo può essere anche quello di addestrare il soggetto ad
orientare la mente, dopo il rilassamento del proprio corpo, alla visualizzazione di luoghi o
situazioni rilassanti, auto ed eteroindotti, sperimentando possibilità immaginative di vario
tipo, atte ad aumentare il vissuto individuale di controllabilità dello stimolo stressogeno nel
tempo..
Quest’ultima metodica non intende l’immaginazione come sinonimo di fantasticheria,
termine dell’uso corrente, bensì come mondo dell’immagine che è ontologicamente reale
quanto quello dei sensi e dell’intelletto.
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Questo mondo ha una sua realtà percettiva che si identifica nel potere immaginativo
dotato di una specifica funzione cognitiva.
Tutto questo favorisce i vari processi di simbolizzazione e di interiorizzazione, che si
rivelano molto efficaci per vincere lo stato di ansia, in modo particolare quella anticipatoria.
In questo modo l’immagine diviene espressione sia della situazione inconscia, sia di
quella cosciente del momento ed è una unione irriducibile e completa di forma e
contenuto.
Realtà percepita e realtà rappresentata.
Con il termine “rappresentazione mentale” si fa riferimento, in psicologia cognitiva, al
modo in cui acquisiamo e memorizziamo momenti di conoscenza.
I substrati neuronali e cognitivi delle nostre percezioni producono “rappresentazioni”:
rappresentazioni del sé che conducono a concetti come quello di coscienza e
rappresentazioni con cui il sé viene a contatto con la coscienza.
Il prodotto principale del nostro cervello è quindi un mondo rappresentativo parallelo al
mondo percettivo, che permette all’individuo di interagire con la realtà che lo circonda,
mediante rappresentazioni del sé, dell’ambiente e del sé che vi agisce.
La funzione che ci permette di trattenere e di manipolare con gli occhi della mente una
rappresentazione quando il suo substrato non è più presente, si identifica con il concetto
di “memoria che lavora”, la “working memory” degli anglosassoni.
La working memory è un modello cognitivo che comprende molte componenti tra loro
eterogenee, che concorrono tra l’altro a favorire la comprensione e la rappresentazione
mentale dell’ambiente che ci circonda.
Sull’efficienza della working memory e delle immagini mentali si basa la nostra creatività
intesa in senso ampio come quella che ci permette di eseguire uno scanning mentale per
decidere la strada più breve per andare da un luogo all’altro; oppure quella che ci fa
evocare immagini di una realtà appunto rappresentata e cioè un indimenticabile luogo con
percezioni, profumi, sensazioni già percepiti ed ora rappresentati in modo vivo e reale.
Che rappresentazione e percezione condividano lo stesso substrato biochimico neuronale
è una tesi che si è diffusa a partire dagli inizi degli anni ’90.
Per sostenerla, ci si è basati soprattutto su alcuni esperimenti che avevano lo scopo di
studiare il tempo di scansione visiva ed immaginativa. (Shepard e Metzler, 1971; Kosslyn,
1983).
Il nostro cervello trasforma quasi istantaneamente i messaggi sensoriali in percezioni
consapevoli con la partecipazione collettiva di milioni di neuroni (W. J. Freemann).
Il cervello cerca l’informazione percettiva.
Questa ricerca è il prodotto di una attività che si organizza autonomamente e si svolge nel
sistema limbico cioè la parte del cervello che include la zona che si ritiene interessata
anche negli stati emotivi della memoria, il quale trasmette un ordine di ricerca ai sistemi
motor
Quando l’ordine viene trasmesso, il sistema limbico emette un cosiddetto messaggio di
riafferenza, che pone in stato di allerta tutti i sistemi sensoriali affinché si preparino a
rispondere alla nuova informazione. Ed essi rispondono alla raffica di impulsi con una
attività neuronale collettiva di diverse aree cerebrali.
Questa attività è quindi ritrasmessa al sistema limbico dove si combina nuovamente con
segnali provenienti da altri sistemi sensoriali, analogamente attivati, per formare un
concetto vissuto ricco di molti significati.
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Nel nostro caso specifico è importante sottolineare il fatto che con questi metodi la realtà
percepita viene sostituita dalla realtà rappresentata, la quale, opportunamente allenata,
favorisce la riattivazione di facoltà autonome intestinali perdute nel corso del tempo per
varie cause di tipo stressogeno, delle quali l’ansia e soprattutto l’ansia anticipatoria è di
norma il motivo principale.
Le varie parti dell’intestino dunque, come tenue con duodeno, digiuno ed ileo, e crasso
con le porzioni cieco, colon ascendente, trasverso, discendente, sigma e retto, attraverso
tutte queste metodiche, possono essere singolarmente o collettivamente visualizzate ed
allenate a ritornare alle proprie funzioni di base, proprio passando gradualmente dalla
realtà percepita alla realtà rappresentata.
Con queste metodiche dunque, apparentemente anche piuttosto semplici, si rieduca
l’intestino a rimettere in moto, in modo spontaneo e quasi autonomo, tutte le sue
caratteristiche che non riguardano solamente la digestione e l’assorbimento delle
sostanze nutritive, ma anche l’espulsione delle sostanze tossiche, in modo particolare i
radicali liberi che invecchiano il corpo e forse anche la mente.
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