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ISSN 1724-1375
Società Italiana di
Medicina Generale
Oggi, il mondo di domani
13
0
2
sostenibile. Per Bristol-Myers Squibb significa innanzitutto sviluppare farmaci che realmente
possano fare la differenza nella vita delle persone per prolungare e migliorare la vita umana. Ma
significa anche avere la piena consapevolezza degli obblighi verso la comunità locale e globale,
trasformandoli in impegno concreto. Il nostro impegno guarda al futuro e alle realtà più lontane
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ma inizia nel presente e dai luoghi a noi più vicini. Oggi, per il domani.
Steatosi epatica non alcolica
Disturbi del sonno
Dolore osteoarticolare
2
Aprile
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Oggi, il mondo di domani è l’impegno ad agire per un presente responsabile ed un futuro
Periodico bimestrale. Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA
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ASCO 2013
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
Direttore Scientifico
Giuseppe Ventriglia
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Società Italiana di Medicina Generale
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Farmaco generico o farmaco brand
Ipertensione arteriosa: farmaco generico o farmaco brand?
La nostra risposta nella pratica clinica
A. Leone, A. Montereggi, F. Montereggi, S. Pisaneschi, M. Ucci, G.F. Gensini....... 19
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2013
Progetto Asco
Asco 2013. Il portale progetto ASCO si rinnova!
I. Cricelli, A. Tognelli........................................................................................ 10
Steatosi epatica non alcolica
Valutazione del rischio evolutivo nel paziente con steatosi epatica
non alcolica in Medicina Generale: Studio VARES (SIMG)
I. Grattagliano, L. Napoli, C.F. Marulli, C. Cottone, C. Nebiacolombo, E. Ubaldi,
P. Portincasa................................................................................................... 12
Marketing Dpt Pacini Editore Medicina
2
Disturbi del sonno
Disturbi del sonno
Relatori: F. Mazzoleni, G. Ventriglia, G. Biggio..................................................... 25
Dolore osteo-articolare
Dolore osteo-articolare
Relatori: A. Toselli, S. Stisi................................................................................ 30
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Redazione
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Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.
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del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Ospedaletto (Pisa).
Medicina Generale
Direttore Editoriale
Alessandro Rossi
Formazione MMG
La formazione continua in Medicina Generale: un “lavoro sul campo”
Esperienza di audit professionale su un argomento pneumologico
(BPCO) di un gruppo di medici di medicina generale della ASL 11
di Empoli (Regione Toscana) nell’anno 2012
G. Susini........................................................................................................... 3
Società Italiana di
Direttore Responsabile
Claudio Cricelli
Giovanni Susini
Medico di Medicina Generale, ASL 11 Empoli, Coordinatore della Formazione Continua in Medicina Generale, ASL 11
La formazione continua in Medicina Generale:
un “lavoro sul campo”
Esperienza di audit professionale su un argomento pneumologico
(BPCO) di un gruppo di Medici di Medicina Generale della ASL 11
di Empoli (Regione Toscana) nell’anno 2012
Introduzione e scelta
dell’argomento pneumologico
Nell’ambito dell’attività di formazione continua in Medicina Generale (MG) dell’anno
2012 della ASL 11 della Regione Toscana si
è formato un gruppo di medici con lo scopo
di portare avanti un’esperienza di “lavoro
sul campo” mediante l’audit professionale
su un argomento pneumologico.
Dopo aver discusso sui principi metodologici e di contenuto di un audit clinico, è
iniziata la discussione che doveva portare
alla individuazione dell’argomento da trattare. Inizialmente sono stati proposti vari
temi, scelti per la loro rilevanza nella pratica
quotidiana del medico di medicina generale
(MMG). Ogni argomento proposto è stato
analizzato sulla base di criteri di larga incidenza nella pratica quotidiana, di semplicità
nella formulazione di obiettivi di studio, di
facile misurabilità dei parametri di valutazione e di possibile estraibilità con mezzo
informatico.
Sulla base di tali criteri è stata scelta la
broncopneumopatia cronica ostruttiva
(BPCO), che costituisce un problema sanitario rilevante per l’alta prevalenza anche
nelle fasce d’età giovanili, per l’elevata
mortalità, morbidità e conseguente disabilità a essa associata e per gli alti costi diretti
e indiretti che comporta 1.
Le linee guida internazionali (LG) per una
corretta gestione di questa patologia, pubblicate da vari anni, sono ancora largamente
disattese da parte dei medici. La malattia è
n.2>>> Aprile 2013
ancora sottostimata ed è carente la diagnosi
precoce con un conseguente notevole ritardo
nell’inizio del trattamento adeguato 3.
Tale criticità è particolarmente rilevante a
livello della medicina generale, perché è a
tale livello che dovrebbe avvenire il riconoscimento tempestivo della malattia specialmente negli stadi iniziali, la prescrizione di
una adeguata terapia e il monitoraggio del
paziente; il tutto svolto in collaborazione,
qualora necessario, con lo specialista di
riferimento 11. Un uso più diffuso in MG delle
LG permetterebbe, inoltre, di testarle nella
pratica quotidiana per farne emergere le
criticità e ottenere così gli eventuali aggiustamenti per una definitiva validazione.
Definizione degli obiettivi generali
• Analisi e verifica della qualità dell’assistenza ai pazienti affetti da BPCO nella
pratica clinica di un gruppo di MMG
della ASL 11 di Empoli, con particolare
riguardo alla diagnosi funzionale, alla
prevenzione e alla terapia,
• identificazione di eventuali barriere che
impediscono la buona pratica clinica;
• proposta di correttivi per il miglioramento dell’assistenza.
Introduzione sull’audit
professionale
“L’audit è una iniziativa condotta da clinici
che cerca di migliorare la qualità e gli outcome dell’assistenza attraverso una revisione
Formazione MMG
Medici di Medicina Generale partecipanti all’audit: Marina Agabiti, Marco Bargiani, Adriana Bellucci, Maria Rosaria Biondi,
Filippo Calcini, Claudia Cinini, Daniela Donzelli, Antonio Fanciullacci, Andrea Ferreri, Fabio Fontanelli, Aleandro Giannanti,
Fabrizio Niccolini, Luca Nocentini, Giovanbattista Santoli, Loredana Tognetto, Flavio Viti (MMG ASL 11 di Empoli)
strutturata tra “pari” per mezzo della quale i
clinici esaminano la propria attività e i propri
risultati in confronto a standard espliciti e la
modificano se necessario” (definizione del
Department of Health, UK, 1996).
È una parola latina (poi ripresa dagli inglesi)
che significa verifica, revisione.
È una metodologia di analisi e revisione
dell’attività professionale che ha lo scopo di
valutare il proprio operato ed eventualmente
migliorarlo. Può essere attuato da gruppi di
medici (medical audit), oppure da un singolo
medico (self-audit). Il medical audit è la metodica più utilizzata. È una valutazione retrospettiva delle prestazioni erogate sulla base
delle informazioni registrate nelle cartelle cliniche; si fa un confronto fra l’assistenza realmente fornita e prestabiliti criteri e standard
intesi come modelli di buona assistenza. Le
sue difficoltà risiedono essenzialmente nella
talvolta scarsa e non omogenea qualità delle
informazioni che si riescono a ottenere dalle
cartelle cliniche dei medici 2 5 6 7.
L’attività va condotta secondo modalità
sistematiche e standardizzate, attraverso
una revisione dei processi adottati e/o degli
esiti clinici ottenuti in specifiche categorie
di pazienti, attraverso il confronto rispetto a
standard concordati ed espliciti.
Esistono diverse fasi in cui si articola il processo di audit:
1. individuazione del problema, selezione
della priorità specifica degli obiettivi;
2. definizione dei criteri di buona qualità
(indicatori, standard);
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
3
Formazione MMG
G. Susini
TA B E L L A I.
Composizione del gruppo di MMG e dei pazienti studiati.
Medici e pazienti
1° rilevamento
Follow-up
a 1,5 mesi
Follow-up
a 6 mesi
MMG iscritti al gruppo
15
15
19
MMG che realmente hanno partecipato alla formazione
14
14
17
MMG che realmente hanno fornito i dati richiesti
12
10
17
Età media di tutti i medici
54,23
Totale dei pazienti in carico ai medici partecipanti alla formazione
18.084
18.369
21.493
Totale dei pazienti dei medici che hanno fornito dati
13.590
13.875
19.956
3. selezione delle fonti dei dati, raccolta,
organizzazione e presentazione degli
stessi;
4. confronto della performance con i criteri, indicatori e standard predefiniti;
5. discussione e identificazione delle
cause di criticità;
6. progetto di miglioramento e introduzione dei cambiamenti necessari;
7. rivalutazione della performance.
Il gruppo di MMG partecipanti
e lo studio di prevalenza
della BPCO nel campione
di popolazione
Dopo una prima estrazione di dati, sono
stati effettuati altri 2 rilevamenti a distanza
di 1,5 e 6 mesi l’uno dall’altro; nel frattempo si è effettuata nel gruppo una formazione specifica sull’argomento, consultando la
letteratura e le LG più recenti.
Il campione dei medici partecipanti non è
stato identico nei 3 momenti di raccolta
dati (come risulta dalla Tab. I) in quanto la
partecipazione non era obbligatoria e alcuni medici che avevano iniziato il lavoro non
l’hanno proseguito, mentre altri che non
avevano partecipato alle prime estrazioni si
sono aggiunti successivamente.
Nei tre gruppi comunque si è mantenuta una discreta omogeneità sia in termini
numerici che di tipologia dei partecipanti,
per cui il confronto dei dati nel tempo è
risultato sufficientemente confrontabile.
Come già ricordato, nell’audit esistono
notevoli difficoltà nella talvolta scarsa e non
omogenea qualità delle informazioni che si
riescono a ottenere dalle cartelle cliniche
dei medici.
La criticità è rappresentata dalla diversa
codifica con cui i medici inseriscono la diagnosi di BPCO nelle loro cartelle cliniche
e dalla conseguente successiva difficoltà
nell’estrazione dei dati.
Si è cercato di supplire a ciò inserendo,
durante l’estrazione, numerose altre possibili diagnosi codificate tutte riferite alla
BPCO e/o ad altre sindromi ostruttive.
Alcuni medici hanno inserito anche il vettore “farmaci broncodilatatori long-acting da
soli o in associazione con corticosteroide
inalatorio (CSI) usati in cronico” per evidenziare possibili casi di BPCO non codificati
o codificati erroneamente con la diagnosi
(Tab. II).
TA B E L L A I I.
Codifiche ICD9 usate come vettori di ricerca della BPCO.
4
Da 491 a 491,9
Bronchite cronica
Da 492 a 492,8
Enfisema
496
BPCO bronchite cronica ostruttiva
R03
Farmaci per disturbi ostruttivi delle vie respiratorie
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
53,82
Eseguendo l’estrazione con tali codici
ogni medico ha estratto un folto gruppo di
pazienti, all’interno del quale erano presenti sia i reali casi di BPCO, ma anche i casi
registrati con diagnosi improprie. Questi
ultimi sono stati esclusi dall’elenco. Ogni
medico ha eseguito, in pratica, un vero e
proprio self-audit scegliendo, all’interno
dell’elenco, la lista dei propri pazienti sicuramente affetti da BPCO, in base ai criteri
clinici e anamnestici che erano stati illustrati
e dibattuti durante le riunioni di formazione
ed elaborati alla luce della letteratura scientifica e delle LG consultate. Abbiamo poi
uniformato le diagnosi sotto l’unica codifica
ICD9 496. Il follow-up della prevalenza della
BPCO è evidenziato nella Tabella III.
Criteri, indicatori e standard
dell’audit
Dopo questo studio preparatorio abbiamo
elencato criteri, indicatori e standard del
nostro lavoro (Tab. IV) secondo la seguente
definizione:
I criteri sono i valori, le condizioni, i comportamenti e le regole specifiche, giudicati di
buona qualità, dalla letteratura o da esperti
(rappresentano il “che cosa dobbiamo fare”).
Gli indicatori sono gli elementi da scegliere per monitorare e “misurare” le attività
professionali dei medici; rappresentano la
fotografia delle prestazioni effettivamente
fornite (rappresentano il “che cosa stiamo
facendo”).
Gli standard corrispondono alla specificazione quantitativa precisa del livello qualitativo di un determinato criterio che ne stabilisce la soglia di accettabilità o il livello di
Formazione MMG
La formazione continua in Medicina Generale: un “lavoro sul campo”
TA B E L L A III.
Il follow-up della prevalenza della BPCO nel campione di popolazione.
1° rilevamento
Follow-up
a 1,5 mesi
Follow-up
a 6 mesi
Casi di BPCO
467
474
630
Casi di BPCO con estrazione dati
409
416
630
Prevalenza totale
3,09
3,83
3,16
TA B E L L A I V.
Criteri, indicatori e standard.
1
MMG con prevalenza della BPCO nei propri archivi compresa fra 3 e 5 nell’80% dei casi
2
Pazienti con prescrizione di almeno una spirometria (PFR) negli ultimi 3 anni nell’80% dei casi
3
Pazienti affetti da BPCO con dato “abitudine al fumo” registrato nell’90% dei casi
4
Pazienti affetti da BPCO con dato “BMI” registrato nell’80% dei casi
5
Pazienti con stadiazione GOLD (2012) effettuata nell’80% dei casi;
verifica dell’aderenza della terapia alle LG internazionali
6
Pazienti con vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica registrata nel 50% dei casi
ottimalità (rappresentano il “livello minimo di
performance che dobbiamo raggiungere”).
La stadiazione di gravità
e trattamento farmacologico
della BPCO
Nell’ultima versione delle LG GOLD
(2011/12) 10 8 la stadiazione di gravità
della BPCO non tiene più conto soltanto del
grado di ostruzione bronchiale (Tab. V), ma
anche, e in maniera combinata, della misura dei sintomi e del rischio di riacutizzazioni
(Tab. VI).
Per quanto riguarda la misura dei sintomi
abbiamo scelto la “Scala di valutazione
della dispnea aMRC” che tiene conto di 5
criteri di difficoltà respiratoria di intensità
crescente contrassegnati con uno score da
0 a 4 (Tab. VII).
L’altra possibilità, sempre per la misura dei
sintomi, è il “questionario CAT”, più complesso, che deriva dalla somma degli score
(da 0 a 5) assegnato a 8 criteri di sintomi
respiratori ognuno di crescente gravità.
Per la misura del rischio di riacutizzazioni
si è tenuto conto del numero totale annuo
di riacutizzazioni adottando la “definizione di
TA B E L L A V.
Stadiazione GOLD: criterio ostruzione.
In pazienti con *FEV1/**FVC < 70%:
GOLD 1: lieve
FEV1 ≥ 80% del teorico
GOLD 2: moderata
50% ≤ FEV1 < 80% del teorico
GOLD 3: grave
30% ≤ FEV1 < 50% del teorico
GOLD 4: molto grave
FEV1 < 30% del teorico
* FEV1: volume espiratorio massimo in un secondo; ** FVC: capacità vitale forzata.
TA B E L L A V I.
Valutazione combinata di gravità della BPCO.
Misura del grado di ostruzione bronchiale
Misura dei sintomi
Misura del rischio di riacutizzazioni
riacutizzazione della BPCO” riportata nelle
LG GOLD 2011/12 (Tab. VIII).
Combinando gli score di questi 3 criteri si
ottengono 4 gruppi di pazienti (A, B, C, D)
nei quali la gravità della BPCO è crescente
(Tab. IX) e, di conseguenza, anche la terapia farmacologico è improntata a una cre-
scente intensità di trattamento con farmaci
definiti di prima scelta, seconda scelta e in
alternativa (Tab. X).
Nonostante l’apparente complessità della Tabella X si può affermare, in
estrema sintesi, che: “la terapia di fondo
della BPCO è costituita essenzialmen-
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
5
Formazione MMG
G. Susini
I risultati
TA B E L L A V I I.
Misura dei sintomi: scala di valutazione della dispnea aMRC.
0
Ho dispnea solo per sforzi intensi
1
Mi manca il fiato solo se corro piano o faccio una salita leggera
2
Su percorsi in piano cammino più lentamente dei coetanei, oppure ho necessità di
fermarmi per respirare quando cammino a passo normale
3
Ho necessità di fermarmi per respirare dopo aver camminato in piano per circa 100 m
o per pochi minuti
4
Mi manca il fiato a riposo, per uscire di casa o per vestirmi/spogliarmi
TA B E L L A V III.
Definizione di riacutizzazione di BPCO.
Evento acuto caratterizzato da un peggioramento dei sintomi respiratori rispetto alla variabilità
quotidiana degli stessi e che richiede una variazione del trattamento farmacologico
te dall’impiego dei broncodilatatori (BD)
a breve e/o a lunga durata d’azione, da
soli o in associazione tra loro, in pazienti sintomatici con FEV1 < 80%. I CSI si
possono aggiungere solo nelle classi di
maggiore gravità della malattia, cioè in
pazienti con FEV1 < 50% con frequenti
riacutizzazioni (C e D)”.
Il follow-up dei risultati degli indicatori sono
illustrati nella Tabella XI, da cui emerge che
lo standard prefissato è stato raggiunto solo
negli indicatori 3 e 4 (somministrazione
dell’anamnesi tabagica e rilevazione del BMI).
Il dato “PFR eseguite negli ultimi 3 anni” si
è attestato intorno al 60% dei casi nel 1° e
2° rilevamento, mentre è calato al 57,56%
nel rilevamento a 6 mesi; ciò è spiegabile
con la variazione del campione in studio (sia
dei medici che della popolazione) come già
evidenziato nella Tabella I.
I dati sulla stadiazione (Tab. XII) ricalcano
sostanzialmente quelli delle PFR essendo
basati sulla presenza e sulla valutazione dei
valori spirometrici.
Buono, anche se non ha raggiunto lo standard, è risultato il dato sulla vaccinazione
antinfluenzale, mentre il dato della prevalenza compresa tra il 3 e il 5% (espressione
del grado di omogeneità della prevalenza
della BPCO nel campione in studio) si è
TA B E L L A I X .
GOLD 2011/12: modello di stadiazione di gravità della BPCO combinando ostruzione/sintomi/rischio riacutizzazione.
Classificazione
spirometrica
Riacutizzazione
per anno
aRMC
CAT
Basso rischio, sintomi lievi
GOLD 1-2
≤1
0-1
< 10
B
Basso rischio, sintomi gravi
GOLD 1-2
≤1
≥2
≥ 10
C
Alto rischio, sintomi lievi
GOLD 3-4
≥2
0-1
< 10
D
Alto rischio, sintomi gravi
GOLD 3-4
≥2
≥2
≥ 10
Tipo
Caratteristiche
A
TA B E L L A X .
GOLD 2011/12: trattamento farmacologico iniziale.
Classe paziente
Prima scelta
Seconda scelta
Alternative
A
SAMA o SABA
LAMA o LABA o SABA + SAMA
Teofillina
B
LAMA O LABA
LAMA + SABA
SABA e/o SAMA o teofillina
C
CSI + LABA o LAMA
LAMA + LABA
SABA e/o SAMA o teofillina inib.
PDE4
CSI + LABA o LAMA
ICS + LAMA o
ICS + LABA + LAMA o
ICS + LABA e inib. PDE4 o
LAMA + LABA o
LAMA + inib. PDE4
Carbocisteina
SABA e/o SAMA
Teofillina
D
SAMA: anticolinergico a breve durata d’azione; SABA: β2-agonista a breve durata d’azione; LAMA: anticolinergico a lunga durata d’azione; LABA: β2-agonista a lunga durata
d’azione; ICS: corticosteroidi inalatori; PDE4: inibitore fosfodiesterasi 4.
6
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
Formazione MMG
La formazione continua in Medicina Generale: un “lavoro sul campo”
TA B E L L A X I.
Indicatori e standard: risultati del follow-up.
1°
rilevamento
Follow-up
a 1,5 mesi
Follow-up
a 6 mesi
Standard
%
Risultato
Prevalenza 3-5
58.33
58.33
64,7
80
Non raggiunto
2
PFR
60,17
60,34
57,56
80
Non raggiunto
3
Fumo
85,01
90,03
92,30
90
Raggiunto
4
BMI
79,23
80,38
84,16
80
Raggiunto
5
Stadiazione
61,12
61,68
57,14
80
Non raggiunto
6
Vaccinazione anti
influenzale
Vaccinazione anti
pneumococcica
71,88
75,00
80
Non raggiunto
27,88
25,00
50
Non raggiunto
N
Indicatore
1
TA B E L L A X I I.
Stadiazione GOLD 2011/12.
Casi di BPCO
Prevalenza
Stadiazione
Gruppi A e B
Gruppi C e D
1° Rilevamento
409
3,09
250 (61,12%)
193 (77,20%)
57 (22,80%)
Rilevamento a 1,5 mm
415
3,83
256 (61,68%)
197 (76,95%)
59 (23,05%)
Rilevamento a 6 mm
630
3,16
360 (57,14%)
288 (80,00%)
72 (20,00%)
dimostrato accettabile, pur non raggiungendo lo standard prefissato.
Verifica dell’aderenza
della terapia alle linee guida
internazionali
All’indicatore numero 5 (Tab. IV), in cui si
doveva valutare la effettuazione della stadiazione di gravità, era correlata la verifica
dell’aderenza della terapia alle LG internazionali; in pratica si voleva verificare se alla
stadiazione seguiva una corretta prescrizione dei farmaci in linea con le raccomandazioni GOLD 2011/12 come esposto nella
Tabella XI.
Come evidenziato nei risultati (Tab. XIII), i
dati hanno fatto emergere alcune importanti criticità meritevoli di un approfondimento
interpretativo.
L’uso dei CSI in associazione con i BD risulta presente in percentuale rilevante nei
pazienti del gruppo A (basso rischio, sintomi lievi) e B (basso rischio, sintomi gravi),
anche se con un trend positivo fra il 1°
TA B E L L A X I I I.
Verifica dell’aderenza della terapia alle linee guida internazionali.
Terapia
NTC
BD
ASS
Follow-up
Gruppi A + B
Gruppi C + D
1° RIL
18,8
0
FU 1,5 mm
19,2
0
FU 6 mm
20,22
0
1° RIL
23,2
8
FU 1,5 mm
26,17
1,56
FU 6 mm
30,61
1,96
1° RIL
34,8
21,6
FU 1,5 mm
30
21,09
FU 6 mm
28,65
18
NTC
Non terapia continuativa
BD
Broncodilatatori
ASS
Associazioni (BD + CSI) estemporanee o precostituite
rilevamento e il follow-up a 1,5 e soprattutto a 6 mesi (dal 34,8% al 30,00% e poi
al 28,65%). Si è osservato cioè un signifi-
cativo e progressivo calo della prescrizione
delle associazioni tra il 1° e il 3° rilevamento nei pazienti meno gravi (A e B).
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
7
Formazione MMG
G. Susini
TA B E L L A X I V.
Follow-up a 6 mesi. Confronto stadiazione vs. terapia tra nuovi medici del gruppo e medici formati in precedenza.
Terapia
Tipo MMG
Gruppi A + B
Gruppi C + D
NTC
Nuovi medici
25,60
0
Medici formati
18,61
0
Nuovi medici
25,60
4,9
Medici formati
32,11
1,09
Nuovi medici
29,26
14,63
Medici formati
27,73
18,97
BD
ASS
Come emerge dalla Tabella XI infatti i CSI
dovrebbero essere prescritti negli stadi più
avanzati della malattia (nei gruppi C e D),
nei pazienti cioè con ostruzione bronchiale
grave, alto rischio di riacutizzazione e presenza di sintomi importanti.
Nei gruppi C e D i farmaci di prima scelta
sono i CSI + LABA o LAMA, da cui si evince peraltro che talvolta è appropriato anche
l’uso del solo BD in questi pazienti, se, ad
esempio, ci si trova di fronte a un paziente con fenotipo a prevalente caratteristica
enfisematosa anziché bronchitica cronica.
Confronto tra nuovi medici
del gruppo e medici formati
in precedenza nel follow-up
a 6 mesi
Il gruppo dei 17 medici che hanno partecipato al follow-up a 6 mesi presentava
più disomogeneità rispetto ai gruppi partecipanti al 1° e 2° rilevamento. Erano presenti, infatti, 5 medici che partecipavano
per la prima volta al lavoro e che, quindi,
sono stati scelti come campione di confronto con i medici che, avendo partecipato al
1° e 2° rilevamento, avevano già ricevuto
una formazione specifica sul tema in studio.
I 12 medici precedentemente formati hanno
presentato, in maniera significativa, una
maggiore appropriatezza prescrittiva che si
è tradotta, relativamente ai gruppi di minore gravità (A e B), in un minore impiego di
associazioni farmacologiche (CSI + BD), un
maggior impiego di BD e un minor numero
di pazienti senza terapia continuativa. Tale
risultato è di particolare importanza poiché
tali gruppi rappresentano non solo la com-
8
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
ponente numericamente più consistente di
tutti i casi di BPCO, ma anche la più rilevante di pertinenza del MMG (Tab. XIV).
Conclusioni
I dati sul “consumo” dei farmaci respiratori in Italia (principi attivi con codice R03) è
assolutamente deficitario, sia dal punto di
vista quantitativo che dal punto di vista qualitativo. Si calcola che solo il 20% di tutte
le prescrizioni possa definirsi “appropriata”.
Il concetto di “appropriatezza prescrittiva
nella gestione della BPCO” si basa sul confronto tra la corretta modulazione dei farmaci BD (essenzialmente LABA e LABA) e
CSI e lo stadio clinico-funzionale di gravità
della malattia, in termini di scelta del principio attivo, posologia, durata del trattamento, aderenza alla terapia e valutazione del
fenotipo 12.
Il nostro gruppo ha ottenuto buoni risultati
sulla formulazione della diagnosi sia clinica
che funzionale dei pazienti con BPCO. Le
criticità più rilevanti sono emerse rispetto
al criterio di studio n. 5 relativo alla stadiazione GOLD 2011/12 e alla verifica dell’aderenza della terapia alle LG internazionali.
È emersa una inappropriatezza prescrittiva
che ha riguardato essenzialmente i gruppi
di pazienti con minor gravità della patologia (A e B); pazienti, peraltro, che sono di
maggior pertinenza della medicina generale.
Dalla discussione nel gruppo è emerso che
talvolta l’inosservanza delle LG anche da
parte degli specialisti si riflette sulle prescrizioni del MMG. Si può ribattere a questa
osservazione, pur vera e in parte condivisibile, affermando che tanto più il medico
sarà formato e sicuro nella materia, tanto
meno sarà un ripetitore supino e acritico di
fronte a prescrizioni rilasciate da altri, talvolta non completamente condivise. In questo
certamente è di fondamentale importanza
una formazione specifica ed efficace.
Un’altra osservazione è emersa nel gruppo
di lavoro: si è evidenziato come frequentemente il MMG ricorra allo specialista
nei periodi di aggravamento del paziente, o addirittura in caso di riacutizzazione
della BPCO. In questi casi lo specialista si
trova davanti a pazienti in condizioni peggiori rispetto alla loro situazione di stabilità e talvolta non può essere in grado, non
conoscendo a fondo la storia naturale del
paziente, di fare una diagnosi differenziale
appropriata tra una riacutizzazione vera e
propria e una situazione in cui si è avuta
una evoluzione stabile verso uno stato di
maggior gravità. Dovremmo quindi riappropriarci prontamente del paziente dopo il
consulto con lo specialista e seguirlo con
accuratezza per essere in grado di rimodulare la terapia in base all’evoluzione della
malattia 4. Il giudizio sull’applicabilità in MG
delle LG non è lusinghiero. Se tali raccomandazioni possono risultare utili in una
attività di ricerca e/o di audit professionale in cui c’è la necessità di rifarsi a criteri
uniformi e sistematici per confrontare i dati
ottenuti, altrettanto non si può affermare per l’attività quotidiana dei medici che,
necessariamente, si devono basare su giudizi prevalentemente empirici e con tempi
decisionali talvolta rapidissimi. Tali raccomandazioni devono però essere ben conosciute e devono servire come riferimento
di massima alla decisione del medico che
La formazione continua in Medicina Generale: un “lavoro sul campo”
rimane comunque il giudice unico di fronte
alla situazione del paziente 9.
Tra gli obiettivi che volevamo raggiungere
c’era anche la “identificazione di eventuali
barriere che impediscono la buona pratica
clinica; proposta di correttivi per il miglioramento dell’assistenza”. Le barriere sono
rappresentate in definitiva dalla scarsa
formazione specifica del MMG, dalla sua
inappropriata metodologia formativa, da
situazioni organizzative del SSN che non
consentono un adeguato scambio di informazioni tra MG e specialista, dalla difficile
applicabilità delle LG nella pratica quotidiana del medico di famiglia.
Bisogna ricercare con forza una maggiore
appropriatezza nella prescrizione farmacologica e, più in generale, nella gestione del
paziente con BPCO mediante una formazione continua e non più passiva, che permetta di rendere i medici giudici di se stessi.
L’audit professionale rappresenta un mezzo
insostituibile per il raggiungimento di tale
scopo, poiché coinvolge direttamente e attivamente il medico nella propria formazione
facendo emergere, mediante la verifica e la
misura diretta del proprio operato, criticità
altrimenti difficilmente apprezzabili.
Ringraziamenti
Un ringraziamento al sig. Alessandro
Mancini dell’Ufficio Formazione della ASL
11 di Empoli.
Bibliografia
1
2
3
4
5
Scognamiglio A, Matteelli G, Pistelli F, et al.
L’epidemiologia della broncopneumopatia
cronica ostruttiva. Ann Ist Super Sanità
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Latocca R, Pasini E. From continuing medical
education (cme) to continuing professional
development (cpd): a possibility for italian
doctors? Journal of Medicine and Person
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Bettoncelli G. La gestione delle patologie
croniche in Medicina Generale: la BPCO.
Rivista SIMG 2005:(5/6):25-7.
Daghio MM, Gaglianò G, Bevini M, et al.
Auto-percezione del ruolo professionale
in medicina generale nel confronto con il
medico specialista. Recenti Progressi in
Medicina 2005;96:231-23.
Giustini S, Medea G, Brignoli O, et al. Nuovi
strumenti professionali per il self-audit,
Formazione MMG
il governo clinico e la ri-creazione” della
Medicina Generale: il MilleGPG e il SISSI.
Rivista SIMG 2010:(1):7-9.
6
Pasculli D, Medea G. MilleGPG per l’audit
clinico in Medicina Generale, ovvero la
valutazione della qualità professionale
a portata di “click”. Rivista SIMG
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7
Baruchello M, Gottardi G. L’audit clinico in
Medicina Generale anche in Italia? Scenari e
metodi. QA 2011;21:39-46.
8
Bettoncelli G. Nuovi Indirizzi per la
Gestione della la BPCO: il paziente al
centro del processo di cura. Rivista SIMG
2012:(4):34-7.
9
Corrado A, Rossi A. How far is real life
from COPD therapy guidelines? An
Italian osservational study. Respir Med
2012;106:989-97.
10
Sito Italiano Linee Guida GOLD 2011/12 www.goldcopd.it.
11
Bettoncelli G, Berardi M, Calzolari M, et al.
Criteri pratici per la gestione del paziente con
BPCO in Medicina Generale. Rivista SIMG
2009:(3):44-7.
12
Dal Negro WR. La broncopmeumopatia
cronica ostruttiva. Cronicità e territorio nelle
malattie respiratorie 2012:82-100.
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
9
Iacopo Cricelli, Andrea Tognelli*
Progetto Asco
Genomedics; * Medical Project – Marketing Director, Pacini Editore Medicina
Asco 2013
Il portale progetto ASCO si rinnova!
Un’operazione studiata per migliorare un
prodotto già consolidato e renderlo ancora
più accessibile per la consultazione, arricchito di contenuti e integrato con uno strumento di lavoro come MilleGPG.
Le performance raggiunte in questi ultimi
anni sono davvero importanti. In termini
quantitativi per il numero di accessi unici,
ma anche e soprattutto per altri parametri
che evidenziano i tempi di durata e la continuità delle consultazioni. Elementi qualitativi che sottolineano come il medico trova
e consulta effettivamente ciò che interessa
per la sua professione: grafici/tabelle.
ASCO letteratura si diffonde con la newsletter a circa 13.500 medici di medicina generale. Permette una visione continua sull’evolversi della letteratura scientifica con un taglio
calibrato per i medici che hanno bisogno di
ricevere una qualificata sintesi dell’immensa
mole di informazioni e dati tratti dalle più
autorevoli riviste internazionali.
Queste sezioni permettono l’accesso a un
universo d’informazioni, approfondimenti,
moduli di formazione raccolti con razionalità
e finalizzati alla Medicina Generale.
I moduli di formazione sono concepiti con
la metodologia didattica propria delle attività SIMG per lo sviluppo professionale.
Sono inoltre disponibili corsi FaD con crediti
ECM e moduli destinati alla consultazione e
all’aggiornamento.
Convergenza contenuti editoriali
L’editoria della SIMG, l’organo ufficiale, la
rivista Media, la serie editoriale Disease
Management, prodotta negli anni e costantemente aggiornata, è stata archiviata e
strutturata per ricerche tematiche. Un vero
punto di forza per rispondere ai quesiti che
il medico si pone nella routine professionale. SIMG ha negli anni sviluppato molti
prodotti editoriali e un impegno specifico su
Ma cosa cambia?
Struttura d’immediata visualizzazione:
la nuova grafica facilita e velocizza la consultazione delle sezioni e dei relativi contenuti.
Sezioni ricche di informazioni per la
consultazione e lo studio:
• Letteratura (newsletter);
• Formazione a distanza – Formazione a
distanza ECM;
• Editoria;
• Linee Guida.
10
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
n.2>>> Aprile 2013
Progetto Asco
Asco 2013
“fronti caldi”, come quello dell’assistenza
integrata del diabete, con la rivista Media,
in partnership con l’Associazione Medici
Diabetologi (AMD). Tutto questo oggi confluisce automaticamente nel portale ASCO.
Linee guida: anche in questa sezione si
vuole mettere il medico nella condizione
di avere a portata di click i più qualificati
orientamenti clinici, arricchiti di analisi critiche e commenti per conoscere cosa effettivamente applicare nel processo decisionale
della Medicina Generale.
Integrazione con MilleGPG
Il portale ASCO è inoltre integrato con il
Software MilleGPG (circa 3.000 utenti ad
oggi) che lo utilizzeranno quotidianamente
per l’aggiornamento professionale “cucito”
sulle necessità che il software stesso avrà
modo di evidenziare.
Anche su tablet e smartphone
È infine in preparazione una APP per le
piattaforme iOS (Apple) e Android che consentirà ai medici di ricevere notifiche “push”
sugli aggiornamenti e di esplorare i contenuti del portale in mobilità.
L’evoluzione tecnologica e le moderne
dinamiche assistenziali della Medicina
Generale genereranno altre necessità che
sarà importante individuare rapidamente e
rispondere con competenza.
Mese anno
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Gen 2012
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Set 2012
Ott 2012
Nov 2012
Dic 2012
Gen 2013
Feb 2013
Mar 2013
37.036
40.008
51.375
44.189
44.871
38.217
38.996
35.661
40.135
54.570
37.355
47.426
137.763
331.207
245.207
24.441
28.129
29.770
25.713
25.392
21.882
22.476
19.948
25.494
26.494
26.247
27.365
28.547
27.233
31.233
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
11
Steatosi epatica non alcolica
Ignazio Grattagliano, Luigi Napoli, Carlo Fedele Marulli, Carmelo Cottone,
Cristina Nebiacolombo, Enzo Ubaldi, Piero Portincasa*
SIMG, Area Gastroenterologica; * Clinica Medica “A. Murri”, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica,
Università di Bari
Valutazione del rischio evolutivo nel paziente
con steatosi epatica non alcolica
in Medicina Generale: Studio VARES (SIMG)
Premessa
Le malattie croniche del fegato sono condizioni gravate dal rischio di potenziale evoluzione. La loro stadiazione è un momento
diagnostico essenziale per stabilirne la
prognosi. L’applicazione di test non invasivi
per la valutazione dell’entità del danno epatico, inteso come infiltrazione grassa, grado
di infiammazione, presenza ed estensione
di fibrosi, potrebbe essere di grande utilità clinica nell’inquadramento dei pazienti
epatopatici, e tra questi quelli con steatosi
epatica non alcolica (NAFLD), nel contesto
della Medicina Generale.
In particolare, la NAFLD è una condizione
clinica emergente e ad alto impatto sociale (oltre 30% della popolazione generale),
molto spesso associata a obesità centrale,
insulino-resistenza e sindrome metabolica, la cui gestione determina importanti
costi per il SSN. La forma infiammatoria
e pro-fibrotica (NASH), che rappresenta
circa il 10% delle NAFLD, è caratterizzata
dal potenziale rischio evolutivo verso forme
avanzate di epatopatia cronica e pertanto richiede un inquadramento precoce. La
diagnosi definitiva di NAFLD/NASH necessita a tutt’oggi di biopsia epatica e istologia, approccio invasivo non ben accetto dal
paziente e non eseguibile su larga scala.
Identificare pazienti a rischio evolutivo in
modo non invasivo è altamente atteso e
sarebbe di grande utilità per selezionare i
pazienti da inviare allo specialista.
Alcuni score aiutano a predire la severità
12
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
istologica dell’epatopatia cronica fornendo
informazioni sulla probabilità di avere una
steatosi (fatty liver index o FLI) o una cirrosi (rapporto AST/piastrine, APRI) ma difficilmente permettono di definire le forme
intermedie. Inoltre, quasi tutti gli studi clinici
in questo campo, sono eseguiti in ambiente specialistico (secondo e terzo livello)
e pochissimi dati sono disponibili dalla
Medicina Generale.
I dati che di seguito illustriamo sono tratti
dall’articolo di recente apparso su Annals of
Hepatology 1 in cui sono riportati i risultati
dello studio SIMG denominato “VARES” che
ha avuto lo scopo di valutare l’applicabilità del Fibromax (algoritmo basato su dati
antropometrici e bioumorali) nella caratterizzazione non invasiva di pazienti con
NAFLD.
STUDIO VARES (VAlutazione
Rischio Evolutivo Steatosi
epatica non-alcolica)
Studio multicentrico (Bari, Genova, Napoli,
Palermo, Teramo) interamente condotto
nell’ambito della Medicina Generale (SIMG).
Sono stati arruolati 259 pazienti consecutivi
e 23 controlli (18-65 anni). I pazienti presentavano anamnesi, ecografia (immagini
di fegato brillante) e caratteristiche cliniche compatibili con la diagnosi di NAFLD.
A tutti, pazienti e controlli, è stato eseguito
il Fibromax (algoritmo basato sulla determinazione ematica di aptoglobina, bilirubina,
A1-apolipoproteina, alfa2-macroglobulina,
gamma-GT, il cui calcolo è brevettato da
un’azienda francese, www.biopredictive.it)
mediante un prelievo ematico in cui venivano determinati anche i livelli di insulina
basale, transaminasi, colesterolo, trigliceridi. Il Fibromax si compone di 3 test che
forniscono informazioni sull’entità dell’infiltrazione grassa del fegato (Steatotest: score
0-3), sul grado di infiammazione (NASHtest:
assente, borderline, presente) e di fibrosi
(Fibrotest: score 0-4). È stato anche calcolato il FLI che include, in un semplice
algoritmo, i valori di trigliceridi, gamma-GT,
indice di massa corporea (BMI) e circonferenza vita e che stima la probabilità di avere
steatosi epatica. È stato rilevato anche il
grado di steatosi epatica all’ecografia (lieve,
moderata, severa) così come la presenza
di colelitiasi, diabete mellito, ipertensione
arteriosa, sindrome metabolica, coronaropatia, insufficienza renale cronica, tabagismo, consumo medio giornaliero di alcol,
assunzione cronica di farmaci.
Nei sei mesi successivi al termine dello
studio e indipendentemente dal protocollo
stesso, 16 pazienti con ipertransaminasemia sono stati sottoposti a biopsia epatica
su decisione dello specialista.
Analisi dei risultati
Profilo generale e metabolico
I 259 pazienti arruolati presentavano le
seguenti caratteristiche: maschi 165, età
n.2>>> Aprile 2013
Valutazione del rischio evolutivo nel paziente con steatosi epatica
non alcolica in Medicina Generale: Studio VARES (SIMG)
51 ± 10 anni, BMI 30 ± 5 kg/m2, circonferenza vita 103 ± 11 cm nelle donne e
104 ± 11 nei maschi, ipercolesterolemia
nel 45,9% (20,1% assumeva statine),
ipertrigliceridemia nel 31,3%, ipertensione
arteriosa nel 40,9%, sindrome metabolica
nel 29,7%, diabete nel 24,3%, colelitiasi
nel 10,8%, cardiopatia coronarica nel 3,5%
e insufficienza renale cronica nel 1,1%.
Aumento delle transaminasi era presente
nel 60,2% dei pazienti.
Steatosi epatica non alcolica
I pazienti erano normopeso nel 10,8%,
sovrappeso nel 42,7% e obesi nel 46,5%
(classe I = 42,3% e classe II = 4,2% del
totale).
Profilo epatico
In base all’ecografia, il 16,2% dei pazienti
era portatore di una steatosi lieve, il 69,9%
moderata e il 13,9% severa, di questi ultimi
il 16,7% presentava transaminasi normali.
In base al FLI, il 73,4% dei pazienti mostrava un’alta probabilità di avere una steatosi
epatica, mentre il 5,8% erano negativi.
Allo Steatotest, il 29,4% dei pazienti era
S0-S1 (assenza o minima steatosi), il
24,3% S2 (steatosi moderata), e il 46,3%
S3 (steatosi severa). Il Fibrotest indicava
che il 46,3% dei pazienti era F0-F1 (assenza o fibrosi minima), il 40,6% era F1-F2
(fibrosi lieve-moderata), e il 13,1% era
F3-F4 (fibrosi importante), di questi ultimi
Figura 1.
Distribuzione dei pazienti.
Grado di steatosi epatica all’ecografia (A) e allo Steatotest (B); (C) infiammazione (NASHtest); (D) fibrosi (Fibrotest); (E) Fatty liver index (FLI)
(da Grattagliano et al., 2013, adattata) 1.
A
100
Distribuzione dei pazienti (%)
Distribuzione dei pazienti (%)
100
80
60
40
20
0
40
20
S0-S1
Ecografia
100
60
40
20
0
S2
S3
Steatotest
D
80
60
40
20
0
No NASH
Distribuzione dei pazienti (%)
60
Severa
Distribuzione dei pazienti (%)
Distribuzione dei pazienti (%)
C
Moderata
80
100
80
0
Lieve
100
B
E
Borderline
NASH
F0-1
F1-2
F3-F4
Fibrotest
NASH Test
80
60
40
20
0
Improbabile
Dubbio
Probabile
FLI Test
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
13
Steatosi epatica non alcolica
il 26,5% mostrava valori normali delle ALT.
Lo Steatotest correlava con BMI (r = 0,503),
circonferenza vita (r = 0,412), HOMA
(r = 0,259), trigliceridemia (r = 0,392) e ALT
(r = 0,454). Il Fibrotest invece correlava con il
colesterolo (r = -0,191), trigliceridi (r = 0,146)
e ALT (r = 0,283). In base ad analisi di regressione logistica multivariata, più del 10% dei
I. Grattagliano et al.
L’analisi di regressione ha mostrato che
l’età > 50 anni, il diabete, l’ipertransaminasemia, la circonferenza vita e il BMI sono
fattori indipendenti altamente significativi
per le differenze osservate con il Fibrotest.
Con un cut-off di 0,37, la sensibilità del test
nell’identificare i pazienti con una forma
avanzata di fibrosi (F3-F4) è risultata esse-
pazienti risultava essere probabilmente portatore di fibrosi epatica importante.
Il Fibrotest è risultato in grado di discriminare i pazienti in maniera significativa
(P = 0,01, ANOVA = 0,801), in particolare,
i pazienti F3-F4 risultarono essere significativamente diversi rispetto ai soggetti
controllo e ai pazienti con score inferiore.
Figura 2.
Distribuzione dei pazienti in base ai diversi metodi di quantificazione della steatosi.
(A) Relazione tra la probabilità di avere una steatosi epatica (Fatty liver index, FLI) e lo Steatotest (S0-S1 = 0-5%, steatosi lieve; S2 = 6-32%,
moderata; S3 = > 32%, severa). I diversi simboli identificano i pazienti in base all’estensione dell’infiltrazione grassa all’ecografia:  = lieve,
Ο = moderata,  = severa. (B) Distribuzione dei pazienti in base allo Steatotest e ai diversi gradi di steatosi epatica all’ecografia (da
Grattagliano et al., 2013, adattata) 1.
Improbabile
A
Dubbio
60
30
Probabile
FLI, probabilità di steatosi
100
r = 0,723, p < 0,001
0
0,00
0,56
30
0,68
1,00
S2
S0-S1
S3
Steatotest
B
Steatotest (% distribuzione)
25
20
15
10
5
0
S0-S1 S2
Lieve
S3
S0-S1 S2
S3
Moderata
Ecografia
14
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
S0-S1 S2
Severa
S3
Valutazione del rischio evolutivo nel paziente con steatosi epatica
non alcolica in Medicina Generale: Studio VARES (SIMG)
Steatosi epatica non alcolica
F i g u r a 3.
Correlazioni tra Steatotest e parametri clinico-laboratoristici.
(A) body mass index (BMI). (B) circonferenza vita. (C) HOMA index. (D) livelli sierici di trigliceridi e (E) transaminasi (ALT) (da Grattagliano et
al., 2013, adattata) 1.
A
50
Circonferenza vita (cm)
BMI (kg/m2)
45
40
35
30
25
20
0,00
B
160
r = 0,503, p < 0,001
0,25
0,50
0,75
140
120
100
80
60
1,00
r = 0,412, p < 0,001
0,00
0,25
0,50
Steatotest
Trigliceridi (mmol/L)
HOMA index
8
r = 0,259; p < 0,001
15
10
5
0,75
1,00
D
r = 0,392; p < 0,001
6
4
2
0
0
0,00
0,25
0,50
0,75
1,00
Steatotest
180
1,00
Steatotest
C
20
0,75
0,00
0,25
0,50
Steatotest
E
r = 0,454; p < 0,001
ALT (IU/L)
150
120
90
60
30
0
0,00
0,25
0,50
0,75
1,00
Steatotest
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
15
Steatosi epatica non alcolica
I. Grattagliano et al.
F i g u r a 4.
Correlazioni tra Fibrotest e parametric biochimici.
Livelli sierici di (A) colesterolo, (B) trigliceridi e (C) transaminasi (ALT) (da Grattagliano et al.,
2013, adattata) 1.
Colesterolo (mmol/L)
9
A
r = -0,191; p < 0,002
6
Biopsia epatica e istologia
3
0
0,00
0,25
0,50
0,75
1,00
Fibrotest
Trigliceridi (mmol/L)
8
B
r = 0,146; p < 0,02
4
4
0
0,00
0,25
0,50
0,75
1,00
0,75
1,00
Fibrotest
C
r = 0,283; p < 0,001
150
ALT (IU/L)
120
90
60
30
0
0,00
0,25
0,50
Fibrotest
16
Sedici pazienti con Fibrotest F3-F4 (12
S3 e 4 S2 allo Steatotest, 8 con steatosi
moderata e 8 severa all’ecografia, tutti FLI
positivi) sono stati sottoposti a biopsia epatica. L’istologia ha mostrato fibrosi stadio 3
(n = 14) e stadio 2 (n = 2), steatosi severa (n = 10) e moderata in n = 6 pazienti,
infiammazione grado 3 in tutti.
Commento
6
180
re del 50% mentre la specificità è stata del
94,7%, con un valore predittivo positivo di
0,90 e predittivo negativo di 0,73.
Lo Steatotest è stato in grado di discriminare significativamente (p = 0,001,
ANOVA = 0,892) i pazienti in base all’entità
della steatosi. In particolare, i pazienti S3
differivano significativamente dai controlli
e dai pazienti S0-S2. La sensibilità del test
nell’identificare i pazienti con steatosi severa (S3) è stata del 77% e la specificità del
88% con valore predittivo positivo di 0,92 e
predittivo negativo di 0,80.
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
In Italia e nei paesi occidentali, la prevalenza della NAFLD nella popolazione generale
è di circa il 30%, e raggiunge il 70-80%
nei diabetici e negli obesi. Mentre la steatosi “semplice” presenta una evoluzione
benigna (rischio di cirrosi < 4% in oltre due
decadi di vita), la NASH, al contrario, ha un
rischio di evoluzione in cirrosi del 5-8% in
5 anni. Questo dato determina l’importanza
di identificare i potenziali pazienti NASH tra i
tanti portatori di una semplice NAFLD.
I risultati di questo studio indicano i limiti
dell’ecografia e delle transaminasi nello
screening e nella valutazione del paziente con steatosi epatica e suggeriscono un
potenziale ruolo per test non invasivi, quale
il Fibromax. Infatti, l’ecografia si è dimostrata poco accurata nel definire il grado
di steatosi e l’entità della fibrosi, non permettendo in alcun modo di diagnosticare la
NASH. L’80% dei pazienti con steatosi lieve
aveva transaminasi normali. Al contrario,
l’85% dei pazienti con steatosi severa è
risultato avere transaminasi alte sebbene
il Fibrotest fosse normale o poco alterato.
Pertanto appare evidente che l’estensione
dell’infiltrazione grassa non sia di per sé
un fattore di rischio per infiammazione e
Valutazione del rischio evolutivo nel paziente con steatosi epatica
non alcolica in Medicina Generale: Studio VARES (SIMG)
Steatosi epatica non alcolica
TA B E L L A I.
Dati antropometrici e clinici in pazienti con NAFLD (n = 259). I pazienti sono divisi in tre sottogruppi in base alle immagini ecografiche.
Ecografia Normopeso Sovrappeso
Obesità Obesità Transaminasi
moderata severa
elevate
Ipertensione
Diabete Iperlipidemia
arteriosa
Steatosi
lieve
(n = 42)
42,8
27,4
18,4
11,4
43
31
24
24
Steatosi
moderata
(n = 181)
33,6
30,7
31,8
3,6
60
41
24
52
Steatosi
severa
(n = 36)
3,6
21,9
47,2
27,3
83
50
25
83
Dati presentati come percentuale di pazienti inclusi in ciascun sottogruppo.
fibrosi. Inoltre, il 30% dei pazienti con fibrosi epatica importante (F3-F4) presentava
transaminasi normali. Alla luce di questi
dati sembrerebbe dunque che i livelli di ALT
potrebbero discriminare tra i differenti gradi
di steatosi ma non di fibrosi.
Esaminando i risultati in regressione logistica multivariata è evidente che oltre 10% dei
soggetti steatotici potrebbe essere inconsapevolmente portatore di una NASH. Questi
sono pazienti che hanno una epatopatia
cronica a potenziale rischio evolutivo o già
evoluta, necessitano di essere controllati in
modo più ravvicinato e spesso hanno bisogno di un inquadramento specialistico.
Altro dato importante che emerge da questo studio è la forte associazione tra NAFLD
e fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa, sindrome metabolica,
diabete, obesità), tutti mostranti una prevalenza più alta rispetto a quella riscontrabile
nella popolazione generale. Considerando
la crescita esponenziale di diabete, obesità e sindrome metabolica in tutto il mondo,
la validazione di biomarcatori non invasivi
di funzione epatica potrebbe consentire la
realizzazione di uno screening attendibile di
questi pazienti. Questo diventa ancora più
importante se consideriamo che le transaminasi e l’ecografia non sembrerebbero
avere un’utilità né per screenare i pazienti
con NAFLD/NASH, né per inquadrare la gravità della malattia.
In conclusione, il Fibromax risulta essere un
mezzo promettente nelle mani del MMG per
identificare in modo non invasivo i pazienti
necessitanti di approfondimenti diagnostici
e di consulenza specialistica.
Medici di medicina generale
partecipanti allo studio
Isabella Abbruzzese, Pietro Albanese,
Dionisio Ardito, Giancarlo Bocchino,
Angela Ciaccia, Gaetano D’Ambrosio,
Mario Dell’Orco, Matteo Laringe, Tecla
Mastronuzzi, Lucia Morelli, Domenico
Pasculli, Angelo Ramunni, Antonio Salvia,
Maria Lucia Scardino, Aldo Scotti, Maria
Teresa Simonetti, Dario Viola, Maria
Zamparella.
Bibliografia di riferimento
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non invasive methods for the caracterization
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Portincasa P, Grattagliano I, Palmieri VO,
Messaggi chiave
1.La NAFLD è una patologia che interessa oltre il 30% della popolazione adulta italiana
2.
La NAFLD è associata a diabete, obesità, sindrome metabolica, iperdislipidemie e altri fattori di rischio cardiovascolare
3.
La NASH può progredire verso fibrosi e cirrosi
4.
La diagnosi di NAFLD si avvale di valutazione fattori di rischio, esami biochimici epatici, ecografia, esclusione di altre cause di
epatopatia cronica
5.
La diagnosi e la stadiazione della NASH è a tutt’oggi possibile solo con biopsia epatica
6.
Le transaminasi non sono indici affidabili di gravità della malattia
7.
L’ecografia non fornisce indicazioni sulla severità della malattia e non è sempre precisa nella stima dell’entità della steatosi
epatica
8.
Nuovi test non invasivi (Fibromax, FLI) potrebbero affiancare l’ecografia e le transaminasi nel predire la severità della malattia,
risultando particolarmente utili al medico di medicina generale per individuare i pazienti da inviare allo specialista
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
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Steatosi epatica non alcolica
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Medico di Medicina Generale, Azienda Sanitaria Locale 10, Firenze; * Cardiologia S. Luca, Dipartimento del Cuore e dei Vasi,
AOU Careggi, Firenze; ** Direttore del Dipartimento del Cuore e dei Vasi, AOU Careggi, Firenze
Ipertensione arteriosa:
farmaco generico o farmaco brand?
La nostra risposta nella pratica clinica
Introduzione
La crescente necessità di porre attenzione alle spese dei sistemi sanitari nazionali
ha spinto numerose nazioni a promuovere
la produzione e l’impiego terapeutico di
specialità “generiche” in sostituzione dei
farmaci “brand”, cioè i farmaci originali. In
Italia il farmaco generico è definito dalla
legge 425 dell’8/8/96 come “medicinale a
base di uno o più principi attivi, prodotto
industrialmente, non protetto da brevetto
o da certificato protettivo complementare,
identificato dalla denominazione comune internazionale del principio attivo o, in
mancanza di questa, dalla denominazione scientifica del medicinale, seguita dal
nome del titolare dell’AIC (Autorizzazione
Immissione in Commercio), che sia bioequivalente rispetto a una specialità medicinale già autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa in principi
attivi, la stessa forma farmaceutica e le
stesse indicazioni terapeutiche”.
Fino a poco tempo fa la prescrizione medica di un farmaco generico piuttosto che un
farmaco brand costituiva solo un’opzione
terapeutica. L’entrata in vigore del DL n. 1
del 24/1/12 ha focalizzato l’attenzione sulla
reale sovrapponibilità terapeutica tra farmaco generico e farmaco brand. L’articolo
11 comma 9 della suddetta legge stabilisce infatti che “il farmacista qualora sulla
ricetta non risulti apposta dal medico la non
sostituibilità del farmaco prescritto, è tenuto
a fornire il medicinale equivalente generico avente prezzo più basso, salvo diversa
richiesta del cliente”. La scarsa conoscenza sulla regolamentazione della messa in
commercio dei farmaci generici e la limitata possibilità di confrontare nella pratica
clinica l’efficacia terapeutica delle due
categorie di farmaci hanno forse contribuito
a generare eccessive perplessità e dubbi
Farmaco generico o farmaco brand
Alessandra Leone, Alessio Montereggi*, Francesco Montereggi*, Silvia Pisaneschi,
Mauro Ucci, Gian Franco Gensini**
sull’utilizzo delle molecole equivalenti. Lo
scopo di questo studio è confrontare l’efficacia terapeutica di un farmaco generico
versus un farmaco brand in una popolazione di pazienti ipertesi. La molecola ipotensivante che abbiamo preso in considerazione
è stata il losartan potassico, in quanto primo
bloccante dei recettori dell’angiotensina II
genericato e immesso in commercio.
Materiali e metodi
Abbiamo analizzato un gruppo di 63 pazienti affetti da ipertensione arteriosa (IA), 40
maschi e 23 femmine. Tutti i pazienti erano
in terapia con losartan 50 o 100 mg, generico o brand, da almeno 60 giorni. Le caratteristiche di base dei pazienti sono evidenziate nella Tabella I.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a duplice
monitoraggio ambulatorio della pressione
arteriosa delle 24 ore (MAPA24). Durante le
TA B E L L A I.
Caratteristiche di base dei pazienti analizzati.
Età media dei pazienti (anni)
64,4
D.S. 12,3
Durata media dell’ipertensione arteriosa (mesi)
65,1
D.S. 65,4
Numero medio di farmaci ipotensivanti assunti
1,9
D.S. 1,1
Pazienti in monoterapia con Losartan
28
-
Pazienti in terapia con Losartan brand al primo MAPA24
37
-
Pazienti in terapia con Losartan generico al primo MAPA24
26
-
MAPA24: monitoraggio ambulatorio della pressione arteriosa delle 24 ore.
n.2>>> Aprile 2013
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
19
Farmaco generico o farmaco brand
A. Leone et al.
fasi dello studio i pazienti sono stati distribuiti nel seguente modo:
• 26/63 (41,3%) pazienti hanno eseguito
il primo MAPA24 in terapia con losartan
generico;
• 37/63 (58,7%) pazienti hanno eseguito
il primo MAPA24 in terapia con losartan
brand.
La casuale distribuzione dei pazienti nell’esecuzione dei due MAPA24 ci ha permesso di
poter trascurare l’errore derivato dall’applicazione del secondo monitoraggio. Come è noto
infatti la ripetizione dell’esame si associa tendenzialmente a più bassi valori pressori.
Dopo il primo MAPA24 tutti i pazienti hanno
modificato la molecola assunta passando
da terapia con losartan generico a terapia con losartan brand o viceversa. Dopo
Analisi statistica e risultati
almeno 40 giorni dalla suddetta modifica
di terapia tutti i pazienti hanno ripetuto un
secondo MAPA24.
I parametri valutati sono stati i seguenti: pressione arteriosa sistolica (PAS), diastolica (PAD),
pulsatoria (PP) media delle 24 ore; PAS, PAD
e PP media diurna; PAS, PAD e PP media notturna; abbassamento percentuale della PAS
media delle 24 ore durante la notte; PAS e
PAD alla ventiquattresima ora dall’assunzione.
Criteri di esclusione dello studio sono stati:
• l’assunzione di losartan in associazione
con diuretico (losartan/idroclorotiazide);
• modifica della terapia ipotensivante
durante il periodo di follow-up;
• l’assunzione di qualsiasi farmaco per
un periodo superiore a 15 giorni durante il follow-up.
Per valutare la presenza di differenze tra i
valori pressori nei due gruppi considerati si
è proceduto con una serie di test di ipotesi
previa esecuzione di test di normalità.
Dai risultati è possibile affermare che, relativamente al campione considerato, non
sono presenti differenze statisticamente
significative fra le due molecole in termini
di PAS, PAD, PP, delle 24 ore, notturne e
diurne, né in termini di calo percentuale
notturno. Analoghi risultati si sono evidenziati per PAS e PAD misurati alla ventiquattresima ora dall’assunzione (p = 0,285;
p = 0,8232) (Fig. 1, Tab. II). Analoghe
conclusioni sono state tratte dai test a una
coda, ossia assumendo come ipotesi alter-
Figura 1.
Box Plot dei monitoraggi pressori (generico versus brand).
Analisi monitoraggi pressori generico versus brand
200
200
150
150
100
100
50
50
0
0
4
S2
PA
en
nd
g
ra
4b
2
S
PA
D
PA
24
en
nd
g
ra
4b
2
D
PA
4
P2
en
nd
g
P
ra
4b
2
PP
S
PA
di
200
40
150
30
100
20
50
10
0
S
PA
a
urn
n
nd
ge
ra
ab
n
iur
Sd
PA
D
PA
di
a
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n
nd
ge
D
PA
ra
ab
rn
diu
PP
a
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di
n
tt
no
g
S
PA
ra
b
ott
n
nd
D
PA
tt
no
en
g
D
PA
nd
ra
n
b
ott
PP
tt
no
en
g
PP
nd
n
PAS: pressione arteriosa sistolica PAD: pressione arteriosa diastolica PP: pressione pulsatoria.
20 Rivista Società Italiana di Medicina Generale
nd
n
ra
b
ott
M
ia
ed
N
G-
%
ge
Me
dia
N
G-
%
bra
ra
ab
n
iur
d
PP
0
en
nd
ge
Farmaco generico o farmaco brand
Ipertensione arteriosa: farmaco generico o farmaco brand?
TA B E L L A I I.
Risultati dei test d’ipotesi.
Variabile
Δ brand-generico
Differenza media (mmHg)
D. S.
(mmHg)
Intervallo di confidenza
(95%) (mmHg)
PAS 24
,779
8,807
-1,439
2,997
,485
PAS diurna
1,140
9,758
-1,293
3,573
,353
PAS notte
,748
10,062
-1,787
3,282
,558
PAD 24
,676
4,979
-,578
1,930
,285
PAD diurna
,889
5,382
-,467
2,244
,195
PAD notte
,737
6,391
-,880
2,353
,366
PP 24
-,519
7,126
-2,314
1,276
,565
PP diurna
,302
6,466
-1,327
1,930
,713
PP notte
,003
5,881
-1,544
1,550
0,997
Media g-n (%)
,667
6,522
-2,309
,976
,420
P-value
PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica; PP: pressione pulsatoria Media g-n: abbassamento percentuale pressione sistolica media durante
la notte.
nativa la superiorità terapeutica di un farmaco sull’altro.
Discussione
L’entrata in vigore della DL n. 1 del
24/1/12 ha sollevato numerose remore
e dubbi sulla reale efficacia terapeutica
dei farmaci generici. L’opinione medica
si è divisa tra sostenitori dell’utilizzo delle
molecole equivalenti, considerate altrettanto efficaci a fronte di un minor costo
rispetto al brand, e medici contrari all’impiego di farmaci generici, ritenuti meno
efficaci rispetto agli originali. È verosimile
che una più ampia conoscenza della regolamentazione sulla commercializzazione
dei farmaci generici potrebbe sciogliere
parte dei dubbi. In tal proposito è opportuno ricordare che il farmaco generico deve
avere “equivalenza farmaceutica” e “bioequivalenza” rispetto al farmaco originale.
L’equivalenza farmaceutica si traduce in
una medesima formulazione farmaceutica
e via di somministrazione. È importante
sottolineare che ciò non impone che due
farmaci abbiano lo stesso tipo di eccipienti.
Quest’ultimo dato implica che l’equivalenza farmaceutica non equivalga necessariamente alla bioequivalenza, dal momento
che gli eccipienti potrebbero modificare il
profilo farmacocinetico. La bioequivalenza
si basa invece su test di farmacocinetica
volti a dimostrare come formulazioni diverse contenenti lo stesso principio attivo
abbiano concentrazioni plasmatiche simili,
sovrapponibile biodisponibilità e siano in
grado di garantire analoghe concentrazioni
nel sito d’azione. Le linee guida impongono infine che le differenze dei parametri di
farmacocinetica rispettino un intervallo di
confidenza del 90%. L’intervallo suddetto
peraltro non è assoluto per tutti i principi
attivi analizzati e può essere ristretto per
principi attivi con basso indice terapeutico
o più ampio per principi attivi con indice
terapeutico elevato 1 2.
Ovviamente non si deve perdere di vista
che la somministrazione dello stesso principio attivo in soggetti diversi o in due diversi momenti può dare due curve diverse di
biodisponibilità, con una variabilità interindividuale che è resa accettabile fintanto si
mantenga in un range di ± 20%. Questa
variabilità quindi appartiene anche ai farmaci brand e non è di pertinenza esclusiva
dei farmaci generici.
Alla luce di queste delucidazioni è evidente
che, se i suddetti test vengono superati,
un farmaco generico è sovrapponibile a
un farmaco brand e può essere utilizzato
in alternativa al farmaco originale senza
differente risposta terapeutica. Il nostro
studio si dimostra in linea con altri dati
presenti in letteratura, dimostrando come
l’utilizzo di Losartan generico non comporti differenze significative in termini di
controllo della pressione arteriosa rispetto
al farmaco brand (Fig. 2). I due farmaci
sono risultati sovrapponibili anche sul profilo della tollerabilità; solo in un caso si è
registrata l’insorgenza di un effetto avverso in termini di ritenzione idro-sodica con
l’assunzione della formulazione generica.
In tal proposito è opportuno sottolineare
come i diversi eccipienti utilizzati nelle
molecole generiche possano effettivamente generare una minor tollerabilità del
farmaco.
Alla luce dei dati ottenuti la nostra opinione in merito all’intercambiabilità tra losartan generico e losartan brand è quindi
favorevole. Ovviamente tale sovrapponibilità non è attribuibile anche a un passaggio tra due diverse specialità generiche. In
quest’ultimo caso infatti il rischio è che il
range di biodisponibilità di ± 20% si dilati
enormemente. Quest’ultima questione è
ancora una lacuna della regolamentazione
vigente in Europa, a differenza degli Stati
Uniti dove l’Orange Book riporta le bioequivalenze di tutti i farmaci generici; in tal
modo è possibile valutare quali generici
siano intercambiabili tra loro.
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
21
Farmaco generico o farmaco brand
A. Leone et al.
Figura 2.
Andamento della pressione arteriosa delle 24 ore generico versus brand.
180
160
140
PA mm HG
120
PAS 24 gen
100
PAS 24 brand
80
PAD 24 gen
PAD 24 brand
60
40
20
0
Pazienti (n. 63)
PA: pressione arteriosa; PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica.
Limiti dello studio
I limiti dello studio sono essenzialmente due:
• l’impossibilità di attuare un wash-out
come negli studi di bioequivalenza. In
questo caso infatti le due fasi dell’analisi sono separate da un intervallo
di tempo durante il quale il volontario
sano, su cui si svolge lo studio, non
assume alcun farmaco per consentire l’eliminazione dall’organismo della
prima molecola. Ovviamente per questioni etiche non è stato possibile attuare questa metodica;
22 Rivista Società Italiana di Medicina Generale
• l’impossibilità di confrontare uno
specifico brand versus uno specifico generico. La scelta della ditta
produttrice infatti è quasi sempre
attuata dal farmacista. Lo studio ha
considerato più marche brand quali
Lortaan®, NeoLotan®, Losaprex®
e più marche di losartan generico quali TEVA, RATIOPHARM Italia,
DOC, MG Mylan, RANBAXY, SANDOZ.
Conclusioni
Il nostro studio, condotto su pazienti ipertesi
in terapia con losartan potassico, sottolinea
la sovrapponibilità tra farmaco brand e il suo
generico in termini di efficacia terapeutica e
tollerabilità. L’utilizzo del farmaco generico
potrebbe essere vantaggioso sia in termini
di risparmio economico, sia come ipotetico
motore per la ricerca scientifica. Sebbene i
nostri dati siano in linea con altre evidenze
scientifiche è opportuno ricordare che vi
sono altri studi, condotti su molecole diverse,
in disaccordo con le suddette conclusioni.
Ipertensione arteriosa: farmaco generico o farmaco brand?
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challenge. The case of clopidogrel. J Am Coll
Cardiol 2013;61:594-5.
Rivista Società Italiana di Medicina Generale 23
Medico di medicina generale/medico di famiglia
Stiamo cercando medici di medicina generale/di famiglia che assisteranno alla diagnosi e al trattamento di pazienti nei nostri pronto
soccorsi, di degenti gravi o in riabilitazione e che svolgeranno anche attività di medicina generica.
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Qualificazione, abilità ed esperienze
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Dettagli opportunità di lavoro
Posizione
Medico di medicina generale/medico di famiglia
Campo di Lavoro
Medicina
Contratto
Qualsiasi
Grado
Medico generico
Specializzazione
Emergenza, Medicina Generale
Paese
Australia, Irlanda, Nuova Zelanda, Emirati Arabi, Inghilterra
Ubicazione
Qualsiasi
Esperienza minima
2 anni
Stipendio annuale
Stipendio e agevolazioni di trasferimento negoziabili
Residenza richiesta?
No
Registrazioni con le seguenti organizzazioni No
GMC/NMC/GDC/PIN/ABA
GSCC/HPC/BPS/RCP
ASSOC/GOC/BSHAA
APTUK/RCPSYCH/BSDHT
RPS/HPCSA/BACP richieste?
Tipo di registrazione?
Non richiesta
Lavoro in turnistica?
No
Livello lingua inglese?
Aver passato il modulo accademico dell’English Language Testing System (IELTS)
Domanda aperta fino al
7 giugno 2013
Sirolli Associates/Europe
sirolli.com
Disturbi del sonno
Relatori: Francesco Mazzoleni, Giuseppe Ventriglia, Giovanni Biggio
Disturbi del sonno
Il sonno: dalla fisiologia
alla psicopatologia nella vita
quotidiana
Francesco Mazzoleni
Società Italiana di Medicina Generale,
Firenze
La fisiologia del sonno presenta un’architettura complessa, nella quale si distinguono
una macrostruttura e una microstruttura.
La macrostruttura del sonno è caratterizzata dalla presenza di 4 stadi: uno stadio di
sonno REM e tre stadi di sonno non-REM
(NREM). All’inizio prevale il sonno profondo
(stadio 3), nella seconda parte prevalgono il
sonno leggero (stadi 1 e 2) e il sonno REM.
L’alternanza ordinata di sonno NREM e di
sonno REM ogni 90-120 minuti costituisce
un ciclo del sonno; una notte tipica contiene
in genere 4-5 cicli completi e la loro organizzazione temporale definisce appunto la
macrostruttura del sonno.
Durante gli stadi NREM sono presenti fasi
di sonno instabile caratterizzato da microrisvegli periodici della durata di pochi secondi, che interrompono la continuità del sonno
senza consapevolezza da parte del soggetto che dorme. La disposizione periodica dei
microrisvegli durante il sonno configura un
ritmo fisiologico fondamentale, che costituisce la microstruttura del sonno (Cyclic
Alternating Pattern, CAP) 1.
Un sonno fisiologico e ristoratore, oltre che
durare a sufficienza, essere collocato nelle
n.2>>> Aprile 2013
ore più idonee ed essere il più possibile
intenso, deve essere continuo e stabile,
con una quantità fisiologica di microrisvegli
periodici. Nella valutazione delle caratteristiche del sonno occorre considerare le variabili individuali, determinando innanzitutto
ipnotipo (breve o lungo dormitore) e cronotipo (allodola, mattutino, che tende a coricarsi
presto e ad alzarsi presto o gufo, serotino,
che tende a coricarsi tardi e ad alzarsi tardi).
Un sonno fisiologico costituisce una fase di
intensa attività del SNC ed è fondamentale per il trofismo e la plasticità neuronale,
che sono alla base di una regolare funzione
cerebrale 2. I pazienti insonni manifestano
uno stato di attivazione cerebrale (hyperarousal) che determina alterazioni a livello
neurofisiologico e neuroendocrino con una
serie di conseguenze a vari livelli. In effetti, è
dimostrato che l’insonnia aumenta il rischio
di sviluppare malattie psichiatriche (depressione maggiore, disturbi d’ansia), cardiovascolari (ipertensione arteriosa, aritmie),
endocrino-metaboliche (diabete di tipo 2,
obesità). Inoltre, l’insonnia può peggiorare
preesistenti patologie psichiatriche e somatiche; al tempo stesso, molte patologie possono a loro volta essere causa di insonnia. In
queste situazioni si parla di insonnie secondarie, che rappresentano l’80% dei casi,
distinte dalle insonnie primarie che riguardano il restante 20% e che comprendono
l’insonnia idiopatica (15%), psicofisiologica
o condizionata (15%), paradossale o disturbo da mispercezione del sonno (1,5%).
In ambito psichiatrico i disturbi del sonno
vengono spesso sottovalutati e sottodiagnosticati, pur avendo un’elevata incidenza
e un importante significato diagnostico e
prognostico riguardo al disturbo psichiatrico di fondo al quale in genere si accompagnano 3; questo vale in particolare per la
depressione, che ha una prevalenza particolarmente elevata in Medicina Generale
(11,6% della popolazione, secondo i dati di
Heath Search del 2011) 4. Nella valutazione
clinica e terapeutica dell’insonnia correlata alla psicopatologia, occorre considerare
una serie di variabili legate al disturbo del
sonno, al quadro psicopatologico, alla presenza di comorbidità, ai trattamenti pregressi o in atto del disturbo psichiatrico o di altre
patologie. Dal punto di vista clinico, occorre
innanzitutto determinare il tipo di insonnia:
iniziale, con difficoltà di addormentamento,
presente nel 45% dei pazienti ansiosi e nel
58% dei pazienti affetti da DOC; centrale, con sonno frammentato, frequente nel
disturbo post-traumatico da stress e nella
depressione; terminale, con risveglio precoce al mattino, caratteristica delle forme
depressive e sintomo prodromico più frequente delle alterazioni del tono dell’umore.
Un altro dato importante da considerare è
che un disturbo del sonno può rappresentare un sintomo prodromico di varie patologie
psichiatriche. L’insonnia costituisce infatti
un fattore predittivo per l’insorgenza di un
disturbo depressivo in soggetti che non
presentano significative alterazioni del tono
Rivista Società Italiana di Medicina Generale 25
Disturbi del sonno
Disturbi del sonno
Figura 1.
Antidepressivi-insonnia 10.
Antidepressivi
che possono disturbare
il sonno
Antidepressivi
che non disturbano
il sonno
• paroxetina
• trazodone
• fluoxetina
• mianserina
• sertralina
• mirtazapina
• venlafaxina
• amitriptilina
• duloxetina
• clomipramina
• nortriptilina
dell’umore 5: dati della letteratura dimostrano che il rischio di sviluppare un episodio
depressivo è elevato in caso di insonnia
persistente nei 12 mesi precedenti l’episodio (39,8% dei casi rispetto all’1,9% dei
controlli 6); inoltre, nei pazienti depressi con
disturbo bipolare è stata descritta la tendenza al viraggio maniacale in caso di insonnia
protratta. Oltre che un sintomo prodromico,
l’insonnia può rappresentare un sintomo
residuo di un disturbo psichiatrico. Infatti,
dopo la risoluzione dell’episodio depressivo,
in un certo numero di casi persistono anomalie polisonnografiche che sono predittive di un elevato rischio di ricadute 7 e che
possono essere correlate a sintomi somatici
residui presenti in molti casi dopo il miglioramento o la risoluzione della depressione.
Infine, l’insonnia può rappresentare una
manifestazione apparentemente monosintomatica di alcuni disturbi psichiatrici, come
la depressione mascherata, patologia relativamente frequente (4,9% di prevalenza in
Medicina Generale 8) con un quadro clinico
in cui i sintomi caratteristici della depressione dell’umore sono meno evidenti rispetto
a una sintomatologia somatica dominante
priva di spiegazione organica, e la depressione sottosoglia, una forma clinica che, pur
non presentando tutti i criteri diagnostici
previsti, implica una diminuzione significativa del funzionamento sociale 9.
Dal punto di vista terapeutico, nell’insonnia
non correlata a malattie psichiatriche, la
26 Rivista Società Italiana di Medicina Generale
terapia del disturbo del sonno può costituire un intervento di protezione nei confronti
della comparsa di varie patologie, soprattutto di tipo depressivo. Nell’insonnia associata
a patologie psichiatriche, invece, interventi
appropriati sui disturbi del sonno consentono di influire positivamente sul decorso
del disturbo psichiatrico di fondo e di prevenire le ricadute. Nell’insonnia associata
a depressione l’intervento terapeutico può
prevedere l’uso di antidepressivi associati
a farmaci ipnotici, con efficacia variabile in
relazione alla gravità della depressione e al
tipo di insonnia. Gli antidepressivi agiscono,
con modalità diverse, come agonisti o antagonisti sui vari sistemi recettoriali (5HT, NA,
DA, H1) e possono determinare un effetto
positivo sull’insonnia in corso di depressione oppure possono avere un effetto “attivante”, disturbando il sonno.
Tra gli antidepressivi che possono disturbare il sonno ci sono alcuni SSRI e SNRI che,
per evitare o ridurre questa interferenza, è
preferibile assumere al mattino, mentre TCA
e altri antidepressivi non solo non disturbano il sonno ma alcuni di questi, associati o
meno agli ipnotici, hanno un effetto positivo
a dosaggi molto bassi sulle insonnie centrali
e terminali (Fig. 1).
In conclusione, il sonno fisiologico rappresenta una fase di intenso dinamismo funzionale del SNC ed è strettamente correlato al trofismo e alla plasticità neuronale.
L’insonnia protratta può favorire la compar-
sa di patologie psichiatriche e somatiche a
causa del sovvertimento della macrostruttura
e della microstruttura del sonno e la conseguente attivazione cerebrale, che comporta
importanti modificazioni a livello neurofisiologico e neuroendocrino. In ambito psichiatrico
l’insonnia è presente in diversi disturbi nei
quali si può manifestare con varie modalità
e il suo trattamento è importante per una
migliore gestione del disturbo di fondo, per
la prevenzione e le ricadute.
Alla luce delle evidenze scientifiche che
dimostrano l’importanza del riconoscimento e del trattamento dei disturbi del sonno,
è necessario che i pazienti insonni siano
messi in condizione di uscire dal “limbo
gestionale” nel quale sono relegati e in questo ambito il MMG è chiamato a svolgere un
ruolo di primaria importanza.
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1
Disturbi del sonno
Disturbi del sonno
Indagine osservazionale sui
disturbi del sonno in Medicina
Generale: dall’epidemiologia
alla pratica clinica
Giuseppe Ventriglia
Società Italiana di Medicina Generale,
Torino
Il tema del sonno ha sempre interessato
l’umanità ed eccitato la fantasia di scrittori,
poeti, pittori e cineasti.
Un anno e mezzo fa è nato un gruppo di
studio, denominato “White night”, che ha
svolto un’indagine in tutta Italia, in cui oltre
150 medici hanno valutato la possibile presenza di disturbi del sonno in 2886 pazienti
che si erano presentati nel loro ambulatorio
per qualsiasi motivo.
Sia la distribuzione geografica sia quella per
sesso ed età erano rappresentative di tutte
le fasce di popolazione; va tenuto presente
che un terzo di questa popolazione aveva
un’età compresa fra 31 e 50 anni.
Il 64% di queste persone ha dichiarato
difficoltà ad addormentarsi, il 52% aveva
frequenti risvegli del sonno, il 45% aveva
un risveglio unico con successiva incapacità a riprendere sonno (risveglio precoce)
e addirittura il 78% ha dichiarato che al
risveglio non si sentiva bene (Fig. 2). Oltre
il 50% dei soggetti riferiva di avere questo problema da meno di 3 mesi: un dato
importante perché tenendo presente che
esiste l’insonnia psico-fisiologica (cioè
quel disturbo in cui l’insonnia è indotta da
tensione emotiva e in cui l’individuo, avendo sperimentato la difficoltà ad addormentarsi, va a letto temendo di non dormire e
di conseguenza non riesce effettivamente
a dormire) è fondamentale un intervento
tempestivo per far cessare il più presto
possibile il disturbo del sonno.
Bassa la percentuale di soggetti con
insonnia da fattori esterni (eccessivo
rumore, eccessiva luce, letto non confortevole, disturbo da parte della persona con
cui dorme) mentre è emerso che in circa
il 40% dei soggetti con insonnia l’umore è
normale, un quarto ha un disturbo depressivo e quasi il 60% ha evidenza di ansia;
inoltre in oltre il 50% dei casi vengono
assunti farmaci.
In questa indagine l’insonnia è stata solo
nel 56% dei casi uno dei motivi che avevano condotto il paziente a farsi visitare. Già
in un precedente studio (Morfeo 2, 2003)
era emerso che il 76% dei pazienti sottostima l’entità del problema insonnia; inoltre,
secondo i dati di Health Search, la prevalenza di insonnia che emerge dalle cartelle della Medicina Generale è molto bassa
(4,3% nel 2006 su 650.000 soggetti, 3,3%
nel 2010 su 1.000.000 di soggetti), per cui
è evidente che anche i medici tendono a
sottostimare il problema.
Nell’ambito di quel 56% di casi di soggetti in cui l’insonnia era uno dei motivi che
li aveva condotti a consultare il medico, il
68% aveva difficoltà ad addormentarsi,
il 50% aveva frequenti risvegli del sonno,
il 46% presentava un risveglio unico con
incapacità a riprendere sonno ma ben
l’81% al risveglio non si sentiva bene: queste percentuali sono simili a quelle della
popolazione generale dello studio. Anche
in questo gruppo l’evidenza di depressione
era bassa (intorno al 20%) e l’evidenza di
ansia superiore al 50%, così come l’assunzione di farmaci. Inoltre la percentuale di
soggetti che riferivano fattori esterni disturbanti come possibile causa del disturbo era
bassa come nella popolazione generale. In
circa l’80% dei pazienti il medico aveva
consigliato norme di igiene del sonno e in
circa il 70% aveva prescritto farmaci ipnoinducenti.
Molto significativi i dati concernenti la
comparsa nei soggetti con sonno disturbato di un’eccessiva sonnolenza diurna,
che è risultata comparire non solo quando
i soggetti erano rilassati (60%), ma anche
durante i lavori ripetitivi (41%) e persino
durante attività importanti (24%); questo
problema è risultato particolarmente frequente soprattutto nei soggetti che avevano
sia difficoltà ad addormentarsi che frequenti
risvegli o un risveglio unico con successiva
incapacità a riprendere il sonno.
Figura 2.
Caratteristiche del disturbo del sonno.
2.886 soggetti
100%
80%
78%
60%
64%
52%
40%
45%
20%
0%
Difficoltà
ad addormentarsi
Frequenti risvegli
del sonno
Risveglio unico
(risveglio precoce)
Al risveglio
non si sentono bene
Rivista Società Italiana di Medicina Generale 27
Disturbi del sonno
Disturbi del sonno
F i g u r a 3.
Attività fisica e sonno disturbato.
No
Sera
Mattino
100%
80%
60%
40%
20%
0%
Difficoltà
ad addormentarsi
In oltre il 50% dei casi di soggetti con insonnia era presente una difficoltà di addormentamento, spesso associata a uno o due altri
disturbi del sonno.
In menopausa la situazione ha mostrato una
tendenza al peggioramento, per cui l’80%
delle donne aveva la percezione di avere un
sonno non ristoratore: nel 65% dei casi vi
era una difficoltà ad addormentarsi, nel 51%
frequenti risvegli e nel 46% un risveglio
unico con incapacità a riprendere sonno.
Circa un quarto dei soggetti “sani”, cioè
che non avevano malattie in grado di interferire negativamente sul sonno, non assumeva farmaci e non aveva fattori esterni
che potevano disturbare il sonno, riferiva
comunque insonnia, anche in questo caso
con una netta prevalenza della difficoltà di
addormentamento (70%). Circa un terzo
dei pazienti assumeva già terapie per il
disturbo del sonno. Un dato sorprendente è
che non è emersa alcuna correlazione tra il
momento in cui si svolgeva attività fisica e il
disturbo del sonno (Fig. 3), contrariamente
alla convinzione che un’attività fisica serale
possa interferire con il sonno.
In conclusione, questo studio sottolinea
l’importanza per il medico di medicina
generale di inserire regolarmente una
domanda ai suoi assistiti circa l’esistenza di
disturbi del sonno, ricordando peraltro tre
elementi importanti: 1) il potere ristorato-
28 Rivista Società Italiana di Medicina Generale
Frequenti
risvegli del sonno
Risveglio unico
(risveglio precoce)
re del sonno dipende più dalla sua qualità
che dalla quantità; 2) dal sonno dipende il
regolare svolgimento di numerose funzioni
a livello neurovegetativo, emotivo-affettivo
e cognitivo; 3) la gravità dell’insonnia va
valutata non tanto in termini di frequenza
e durata del disturbo, ma soprattutto dal
grado di interferenza sulle attività diurne.
Del resto, come ha detto un importante studioso del sonno (Alan Rechtschaffen), “se la
funzione del sonno non fosse assolutamente vitale, allora si tratterebbe del più grande
errore che l’evoluzione abbia mai fatto”.
Un viaggio affascinante
nella profondità del cervello:
neuroscienza, mediatori,
recettori, terapia
Giovanni Biggio
Dipartimento di Scienze della Vita
e dell’Ambiente, Università di Cagliari
Il farmaco ipnotico ideale dovrebbe avere
una serie di caratteristiche: dovrebbe
avere un rapido assorbimento e un tempo
di dimezzamento ottimale, non dovrebbe
avere metaboliti attivi, dovrebbe determinare una rapida induzione del sonno, dovrebbe avere un’azione duratura nel corso della
notte, dovrebbe indurre un sonno risto-
Al risveglio
non si sentono bene
ratore, non dovrebbe dare una sedazione
residua né alcun rimbalzo di insonnia, non
dovrebbe indurre dipendenza né tolleranza,
non dovrebbe avere effetti sulla memoria e
non dovrebbe deprimere i centri respiratori.
Al risveglio al mattino, il picco di produzione
di cortisolo, oltre a determinare l’attivazione
di tutta una serie di processi metabolici, a
livello cerebrale induce l’attivazione delle
sinapsi, soprattutto di quelle glutamatergiche, legate all’apprendimento; la riduzione
dei livelli di cortisolo alla sera prepara il
cervello al sonno, durante il quale la produzione di melatonina spegne le sinapsi
eccitatorie e stimola la sintesi di fattori trofici che servono a rigenerare l’energia dei
neuroni. Quando il cortisolo è troppo elevato, la melatonina non è in grado di inibire
le sinapsi eccitatorie e quindi è necessario
stimolare le sinapsi inibitorie GABAergiche
tramite i farmaci (ad esempio con le benzodiazepine). Purtroppo nessuno dei farmaci
a nostra disposizione ha tutti i requisiti di
un ipnotico ideale. Due farmaci a emivita breve (2-3 ore) e senza metaboliti attivi
sono il triazolam e lo zolpidem; altri farmaci a emivita relativamente breve, come
il flurazepam, hanno molti metaboliti attivi,
che ne prolungano l’effetto fino a 40-250
ore. La breve emivita del farmaco riduce la
probabilità di una presenza di effetti indesiderati al risveglio. Triazolam e zolpidem,
Disturbi del sonno
Disturbi del sonno
Tabella I.
Affinità (K1, nM) per recettori GABAA ricombinanti.
Farmaci
a1b2g2
a2b1g2
a3b1g2
a5b3g2
a6b2g2
Triazolam
1,2 ± 0,4
1,2 ± 0,2
1,2 ± 0,3
1,2 ± 0,4
> 10.000
Zolpidem
13,6 ± 0,8
131 ± 54
270 ± 62
> 20.000
> 20.000
Lorazepam
2,8 ± 0,8
3,2 ± 0,5
2,5 ± 0,6
9,9 ± 8,8
> 20.000
simili dal punto di vista farmacocinetico,
hanno notevoli differenze dal punto di vista
farmacodinamico: lo zolpidem ha un’affinità per i recettori GABA a1 (la cui stimolazione selettiva induce un effetto sedativo)
maggiore rispetto a quella per i recettori
a2 e a3 (la cui stimolazione induce l’effetto ipnotico) e praticamente assente per
i recettori a5 (che determinano gli effetti
mnesici) (Tab. I); al contrario, il triazolam
non presenta selettività per nessun sottotipo recettoriale, possedendo un’affinità ele-
vata per tutte le sottopopolazioni recettoriali
(Fig. 4). Non vi sono differenze in termini di
dipendenza fra queste due molecole, perché ambedue possono indurre dipendenza e tolleranza in soggetti particolarmente
sensibili. L’uso di questi farmaci che inducono l’attivazione dei recettori GABA nel
trattamento dell’insonnia dovrebbe essere
limitato ad alcune settimane: se l’insonnia
continua dopo quel periodo, vuol dire che
le benzodiazepine non rappresentano il farmaco giusto; per l’insonnia di lunga durata
è più corretto utilizzare altri farmaci, come
gli antidepressivi, eventualmente associando le benzodiazepine per ridurre i possibili
effetti eccitatori iniziali (1-2 settimane). Se
tuttavia il paziente assume una benzodiazepina da anni, questa non va sospesa,
perché alla sua interruzione il recettore non
è in grado di ripristinare la sua funzione
normale, in quanto l’effetto di stimolazione
del recettore da parte del farmaco induce
un segnale sul genoma, di tipo epigenetico,
sostanzialmente irreversibile.
F i g u r a 4.
Triazolam: meccanismo d’azione.
Rivista Società Italiana di Medicina Generale 29
Dolore osteoarticolare
Relatori: Antonella Toselli, Stefano Stisi
Dolore osteoarticolare
Il dolore osteoarticolare:
indicazioni alla pratica clinica.
Il punto di vista del medico
di medicina generale
Antonella Toselli
Medico di Medicina Generale, SIMG
Il dolore osteoarticolare può essere acuto,
generalmente da causa conosciuta, o cronico (con durata > 3 mesi), che può avere
una causa sconosciuta. Il dolore presente
a riposo, spesso accompagnato da rigidità
mattutina, è tipicamente un dolore di tipo
infiammatorio e ci orienta verso una diagnosi di artrite; il dolore indotto dal movimento e che migliora con il riposo è di solito
di origine degenerativa ed è espressione di
una patologia artrosica; il dolore cronico,
presente ovunque e associato ad abnorme
dolorabilità alla palpazione può avere un’origine funzionale e può orientare verso la
diagnosi di fibromialgia.
Le malattie osteoarticolari rappresentano il
secondo motivo di consulenza in Medicina
Generale dopo quelle respiratorie, secondo i dati di Health Search (2009). In Italia,
quasi un cittadino su quattro soffre di
dolore cronico, con una durata media di
7 anni: in effetti, secondo i dati Istat del
2010 circa 13 milioni di abitanti (con una
prevalenza del 21,7%) soffrono di dolore
cronico. Secondo una ricerca canadese, il
medico di medicina generale (MMG) visita
ogni anno 1/4 dei suoi assistiti per disturbi muscolo-scheletrici e nel 73% dei casi
30 Rivista Società Italiana di Medicina Generale
il paziente continua a essere seguito dal
MMG senza essere inviato allo specialista 1. In uno studio italiano condotto nelle
Marche, 16 MMG hanno rilevato una prevalenza del 27,6% di patologie muscoloscheletriche su 3.664 pazienti consecutivi 2. Il 41% dei pazienti con dolore cronico
dichiara di non aver ricevuto un adeguato
controllo del dolore 3.
Per quanto riguarda i compiti del MMG,
bisogna tener conto che anche nel caso
in cui non si possa modificare in modo
sostanziale la storia naturale della malattia,
si possono comunque perseguire alcuni
obiettivi, quali ridurre il dolore, ritardare il
peggioramento della malattia nel tempo,
ridurre la disabilità, migliorare la qualità di
vita e raggiungere un equilibrio tra le aspettative del paziente e le strategie terapeutiche. Esistono varie tipologie di pazienti con
dolore cronico: alcuni vanno sempre dallo
specialista (per lo più un ortopedico), altri
continuano a cambiare specialista perché
non trovano soluzioni, altri sono grandi frequentatori dello studio medico a causa del
dolore, altri ancora alternano medicina convenzionale e alternativa.
Gli obiettivi da raggiungere, delineati nelle
linee di indirizzo dell’Emilia Romagna per
il trattamento del dolore in area medica,
sono costituiti innanzitutto dalla rilevazione
dell’intensità del dolore tramite l’utilizzo di
scale validate; in secondo luogo dal trattamento del dolore attraverso l’adozione
di protocolli terapeutici basati sull’evi-
denza; infine, dalla promozione di percorsi di integrazione ospedale-territorio.
Nella gestione diretta del paziente, oltre
all’intensità del dolore tramite apposite
scale visive, la cui rilevazione è importante anche per la terapia, devono essere
individuati l’esordio del dolore (quando e
come è iniziato), la sede e la descrizione
qualitativa, i fattori che lo aggravano o lo
alleviano, il tipo di farmaci utilizzati anche
come automedicazione. La scelta della
terapia dipende innanzitutto dalla gravità
del dolore, che secondo la scala dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
viene distinto in lieve, lieve-moderato e
moderato-severo (Fig. 1). Un altro aspetto
importante del lavoro del MMG nei pazienti con dolore osteoarticolare è l’analisi e
il controllo delle terapie proposte da altri
medici, come FANS e coxib, paracetamolo
e oppioidi, acido ialuronico e cortisone per
via intra-articolare, miorilassanti e FANS
topici. L’invio del paziente allo specialista
(ortopedico, fisiatra, reumatologo, algologo, ecc.) è indicato in caso di dolore cronico senza diagnosi di malattia causale,
insuccesso della terapia, monitoraggio e
condivisione delle strategie terapeutiche,
presenza di segni clinici di dolore cronico
che diventa “malattia”. Gli interventi psicologici (psicoterapia; biofeedback; training
autogeno; colloqui di supporto al paziente
e ai familiari; gruppi di gestione del dolore, stress e depressione) possono rivelarsi
molto utili. Per la gestione del paziente
n.1>>> febbraio 2013
Dolore osteoarticolare
Dolore osteoarticolare
Figura 1.
La terapia: scala OMS.
Morfina, ossicodone,
Fentanyl ± paracetamolo,
opp. FANS
(ibuprofene, diclofenac)
Codeina,
tramadolo ±
paracetamolo,
opp. FANS
Analgesici, antipiretici ±
paracetamolo, opp. FANS
(ibuprofene, diclofenac)
Dolore lieve
Non oppioidi
1
2
Dolore
moderato-severo
Dolore
lievemoderato
Oppioidi minori
Oppioidi
maggiori
± Non oppioidi
3
4
5
± Non oppioidi
6
7
8
9
10
cm
con dolore esiste la scheda informatizzata “Pain”, che contiene tutta una serie di
indicazioni che ci possono aiutare a rilevare le caratteristiche del dolore e il suo
andamento nel tempo (Fig. 2).
Nel caso di una sospetta patologia infiammatoria (artrite) è indicato l’invio precoce
al reumatologo per valutare lo stadio di
malattia, i fattori prognostici e la terapia
indicata; è importante conoscere gli effetti
collaterali dei farmaci utilizzati e valutare
l’andamento della malattia, anche perché
spesso si tratta di soggetti relativamente
giovani. Per ridurre il processo infiammatorio abbiamo a disposizione 4 classi di farmaci: FANS, COXIB, cortisonici e DMARDs.
I FANS sono un’importante causa di mortalità e rappresentano il motivo di ricovero
più comune per eventi avversi 4. I FANS,
infatti, hanno effetti deleteri su tutti i sistemi di difesa gastroduodenale; le lesioni da
FANS compaiono generalmente durante
i primi 2 mesi di trattamento, anche se
il rischio è già presente fin dalle prime
assunzioni 4. Tra i fattori che aumentano
la probabilità di un effetto gastrolesivo
da FANS vi sono la co-somministrazione
di ASA anche a basse dosi, l’assunzione
contemporanea di più FANS, un’anamnesi
positiva per ulcera peptica, l’uso di anticoagulanti orali o corticosteroidi, la positività
per H. pylori, il fumo, l’alcool, lo stress,
l’età. Negli ultimi anni è emersa anche
l’enteropatia da FANS, che può manifestarsi con dolore, microsanguinamenti,
anemia e sindrome proteino-disperdente.
Gli inibitori della COX-2 hanno un’efficacia
simile ai FANS tradizionali, con un rischio
più basso di complicanze gastroduodenali,
peraltro simile a quello che si può ottenere associando a un FANS un inibitore di
pompa. Nel dolore di tipo infiammatorio
i cortisonici rappresentano un presidio
importante, in quanto dimostrano “effetti modificanti la malattia” anche a basso
dosaggio e, in associazione ai DMARDs,
possono essere utili per ridurre rapidamente l’attività della malattia e migliorare
la prognosi.
Nella patologia artrosica è necessario
rompere l’automatismo artrosi-terapia sintomatica. In questo caso, poiché si tratta
di una popolazione generalmente anziana,
non va sottostimato il grado di disabilità,
ansia e depressione. È utile impostare
anche altre strategie importanti, come
controllare il peso corporeo, far svolgere
attività fisica, evitare posture improprie,
ridurre sforzi e traumi meccanici durante
l’attività lavorativa. Le sedi articolari più
colpite sono la colonna lombare (33%),
la colonna cervicale (30%), il ginocchio
(27%), l’anca (25%), il rachide in toto
(24%). Il trattamento non farmacologico
consiste nell’educazione e nel supporto psicologico, nella chinesiterapia (con
potenziamento muscolare e allenamento
aerobico, soprattutto per anca e ginoc-
Figura 2.
Scheda Pain Millewin.
Rivista Società Italiana di Medicina Generale
31
Dolore osteoarticolare
chio), nell’intervento di uno specialista di
riferimento (fisiatra, ortopedico); non vi
sono dati sicuri in letteratura per la terapia
fisica (ultrasuoni, TENS, Radar, ionoforesi),
ma la scelta va negoziata con il paziente. Per quanto riguarda la terapia farmacologica, secondo le linee guida 2012
dell’American College of Rheumatology, il
paracetamolo è il farmaco di prima scelta
nella coxo- e gonartrosi, anche perché ha
un buon rapporto costo-beneficio, importante soprattutto nel trattamento del dolore lieve; in caso di dolore moderato-severo
è più opportuno utilizzare un FANS. Va
tenuto presente che il paracetamolo è un
ottimo antipiretico e un buon antidolorifico, ma ha uno scarso effetto antiflogistico;
per avere un’efficace attività antiflogistica
è necessaria l’inibizione della COX-2. Gli
inibitori selettivi della COX-2 producono
minori effetti indesiderati gastrointestinali
rispetto ai farmaci non selettivi più vecchi. Bisogna tuttavia considerare che gli
inibitori della COX-2 hanno un effetto protrombotico e quindi sono controindicati nei
pazienti con cardiopatia ischemica o ictus.
Alcuni effetti collaterali, come la ritenzione idrica, l’aumento della pressione arteriosa e i problemi renali sono comuni sia
ai FANS che ai COXIB. Nella gestione del
dolore va tenuta presente l’età del paziente: la prevalenza dell’artrosi nell’anziano è
del 25-50% e nei soggetti ospedalizzati
varia dal 45 a oltre l’80%; tra l’altro, la
popolazione anziana residente in struttura
è quella più a rischio di ricevere un inadeguato trattamento del dolore. Gli anziani
sono meno consapevoli delle strategie per
alleviare il dolore e hanno maggiore timore di aggiungere analgesici alle terapie
già in atto. Inoltre occorre ricordare che,
contrariamente a quanto alcuni pensano,
non esiste una riduzione della percezione
e dell’intensità del dolore con l’avanzare
dell’età. La legge 38/2010 ci impone di
tutelare il diritto del cittadino ad accedere
alla terapia del dolore e alle cure palliative.
In conclusione, nella gestione farmacologica dell’artrosi, se si utilizzano i FANS e
i COXIB va sempre valutato il rischio individuale del singolo paziente, sia per quanto riguarda l’apparato gastrointestinale
che per quello cardiovascolare e renale.
Nella terapia cronica è opportuno tenere
32 Rivista Società Italiana di Medicina Generale
Dolore osteoarticolare
in considerazione i COXIB, gli oppioidi e il
paracetamolo. Oppioidi e analgesici sono
fortemente raccomandati nei pazienti con
controindicazioni all’artroplastica totale
dopo il fallimento della terapia medica. Se
il paziente non risponde adeguatamente
alla terapia iniziale, possono essere raccomandate le iniezioni intra-articolari di
acido ialuronico. La terapia deve essere comunque personalizzata, valutando
attentamente il rapporto rischio-beneficio
nel singolo paziente.
Bibliografia
Flook NW. Primary care physicians and
musculoskeletal disorders--the challenges
increase. J Rheumatol 2006;33:4-5.
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impact on daily life, and treatment. Eur J Pain
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Grattagliano I, Ubaldi E. Il danno
gastrointestinale da farmaci antinfiammatori
non steroidei: fisiopatologia e valutazione.
Rivista SIMG 2012;(1):88-95.
1
Il dolore osteoarticolare:
indicazioni alla pratica clinica.
Il punto di vista
dello specialista
Stefano Stisi
SSD Reumatologia, Azienda Ospedaliera
“Gaetano Rummo”, Benevento
Le malattie reumatiche costituiscono un
gruppo eterogeneo di circa 200 patologie.
La diagnosi deve partire da una corretta
anamnesi, basata soprattutto sulla tipologia
del dolore: pensiamo alle differenze tra un
dolore infiammatorio, che in genere è presente al mattino al risveglio ed è accompagnato da rigidità, e il dolore meccanico tipico dell’artrosi, che si manifesta dopo un’attività fisica. Un accurato esame obiettivo è
anch’esso fondamentale, in quanto la palpazione dell’articolazione interessata, oltre
alla presenza dei segni di infiammazione,
ci consente di misurare il dolore evocato
dal movimento. Tuttavia, al di là dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, non possiamo
prescindere da due gruppi di metodiche
diagnostiche, quelle di imaging e quelle di
laboratorio. La possibilità diagnostica dell’imaging è enorme, spaziando dalla radiologia convenzionale alla TAC, alla RMN, all’ecografia, alla scintigrafia, alla densitometria
ossea, alla videocapillaroscopia. Nello
stesso quadro clinico possiamo utilizzare
metodiche strumentali diverse, a seconda
dell’aspetto che vogliamo evidenziare. Per
esempio, una cartilagine articolare interessata da una sinovite passa attraverso
varie fasi, in cui il quadro infiammatorio che
interessa la membrana sinoviale fa sì che
progressivamente essa invada, sotto forma
di “panno”, la cartilagine e l’osso subcondrale e lentamente li eroda, impossessandosi dello spazio articolare fino a chiuderlo
completamente determinando un’anchilosi.
Al fine di fare una diagnosi precoce bisogna
cogliere le fasi iniziali della patologia, in cui
il versamento articolare, l’ipertrofia sinoviale e l’osteoporosi iuxta-articolare sono
le caratteristiche principali che devono
essere individuate, attraverso metodiche di
imaging sensibili e altamente specifiche. La
radiografia e la TAC non riescono a cogliere le fasi iniziali, se non quando siano già
presenti delle zone di erosione ossea o vi
siano alterazioni tipiche delle fasi ancora
più avanzate della malattia, in cui le lesioni
sono ormai irreversibili. L’ecopowerdoppler
riesce invece a individuare fasi più precoci
di malattia, evidenziando un versamento
articolare anche modesto e, con il powerdoppler, eventuali segni di infiammazione
locale, come ad esempio una tenovaginalite. Per poter cogliere un quadro veramente
precoce di patologia la metodica migliore è
la RM, che può farci rilevare la presenza di
un versamento o di una iperplasia sinoviale, o addirittura un edema della spongiosa,
che è il primo segno radiologico di infiammazione (Fig. 3); le capacità diagnostiche
della RM possono essere aumentate grazie
a mezzi di contrasto che vengono iniettati
all’interno dell’articolazione. Con la RM è
possibile fare una diagnosi di “early arthritis”, che nel caso dell’artrite reumatoide è
una sinovite della durata di 3 mesi (oppure, secondo altri, di non oltre 6 mesi) e più
genericamente è considerato il periodo che
Dolore osteoarticolare
Dolore osteoarticolare
F i g u r a 3.
Edema spongioso (edema midollare o osteite focale, come proposto da Peterfy), altamente
predittivo per un’evoluzione erosiva dell’artrite.
early
in un’artrite precede la comparsa dell’erosione.
Dal punto di vista della diagnostica di laboratorio, è possibile ricercare gli indicatori
generici della flogosi (VES, PCR) e gli indicatori specifici dell’autoimmunità (fattore reumatoide, anti-CCP, ANA, ecc.). È importante
fare anche un’analisi del liquido sinoviale,
per differenziare ad esempio un’artrite da
microcristalli da un’artrite reumatoide.
Tra i farmaci a disposizione nel trattamen-
to delle patologie articolari infiammatorie,
visto il limitato tempo a disposizione, vorrei
soffermarmi sull’etoricoxib, che ha indicazioni specifiche e una maneggevolezza tale
che lo rende ben gestibile in un ambulatorio
di medicina generale. In uno studio clinico
controllato 1 2, condotto per 12 settimane in pazienti affetti da artrite reumatoide
in wash-out da qualsiasi FANS, etoricoxib
(90 mg/die) rispetto al naprossene (1000
mg/die) ha ridotto il numero delle articola-
zioni dolenti (p < 0,001) (Fig. 4), il numero
delle articolazioni edematose (p = 0,03) e
l’attività della malattia (p < 0,001). Anche
nella spondilite anchilosante, che colpisce
prevalentemente giovani di sesso maschile
e fino all’avvento dei farmaci biologici era
relativamente resistente alla terapia, l’etoricoxib si è dimostrato più efficace rispetto al naprossene, sia per quanto riguarda
il dolore che la risposta globale, tanto da
essere uno dei pochi farmaci ad avere l’indicazione per questa patologia 3. Nell’artrite
gottosa acuta, etoricoxib (120 mg) ha la
stessa efficacia dell’indometacina (150 mg)
(Fig. 5), con effetti indesiderati nettamente
inferiori 4.
Etoricoxib ha ottenuto di recente l’indicazione per il trattamento a breve termine del
dolore acuto associato alla chirurgia dentale. In uno studio clinico che ha valutato
il dolore dentale post operatorio confrontando etoricoxib 90 mg una volta al giorno
con ibuprofene 600 mg e paracetamolo
600 mg/60 mg, sull’endpoint primario sollievo dal dolore a 6 ore*, etoricoxib 90 mg
* TOPAR6: sollievo totale dal dolore a 6 ore
F i g u r a 4.
Etoricoxib ha ridotto il numero di articolazioni dolenti nell’AR.
Conta delle articolazioni dolenti (in totale 68 per ciascuno studio)a
5
US (n = 816)
0
Variazione media
dal basale (± ES)
Variazione media
dal basale (± ES)
5
-5
-10
b
-15
c, d
Internazionale (n = 891)
0
-5
-10
-15
e, f
-20
-20
S
R
2
4
8
12
S
R
2
4
8
Settimane in studio
Settimane in studio
Matsumoto et al., 2002 1;
dati d’archivio MSD.
Collantes et al., 2002 2;
dati d’archivio MSD
Placebo
(n = 323 US; n = 357 Int)
Etoricoxib 90 mg
(n = 323 US; n = 353 Int)
12
Naprossene 1000 mg
(n = 170 US; n = 181 Int)
Valutazione del ricercatore; b p = 0,005 per naprossene vs. placebo; c p < 0,001 per etoricoxib vs. placebo;
p < 0,001 per etoricoxib vs. naprossene; e p < 0,001 per etoricoxib e naprossene; f p = 0,779 per etoricoxib vs. naprossene
a
d Rivista Società Italiana di Medicina Generale 33
Dolore osteoarticolare
Dolore osteoarticolare
F i g u r a 5.
Etoricoxib vs. indometacina nell’artrite gottosa acuta: valutazione del paziente sul dolore a
(da Schumacher et al., 2002, mod.) 4.
Etoricoxib ha fornito un miglioramento sostanziale
vs. basale a 4 ore a
Variazione dei minimi quadrati
medi (± ES)
0,0
Studio 1 b, c
-0,5
ha mostrato potenza antalgica superiore
all’associazione paracetamolo e codeina e
pari a ibuprofene (Fig. 6, nostro dato).
Per concludere, etoricoxib risulta molto efficace, almeno quanto i farmaci più comunemente utilizzati, come naprossene, ibuprofene o tramadolo.
Bibliografia
Matsumoto AK, Melian A, Mandel DR, et
al. A randomized, controlled, clinical trial of
etoricoxib in the treatment of rheumatoid
arthritis. J Rheumatol 2002;29:1623-30.
2
Collantes E, Curtis SP, Lee KW, et al. A
multinational
randomized,
controlled,
clinical trial of etoricoxib in the treatment
of rheumatoid arthritis. BMC Fam Pract
2002;3:10.
3
van der Heijde D, Baraf HS, Ramos-Remus C,
et al. Evaluation of the efficacy of etoricoxib
in ankylosing spondylitis: results of a fiftytwo-week, randomized, controlled study.
Arthritis Rheum 2005;52:1205-15
4
Schumacher HR Jr, Boice JA, Daikh DI, et al.
Randomised double blind trial of etoricoxib
and indometacin in treatment of acute gouty
arthritis. BMJ 2002;324:1488-92.
5
Etoricoxib – Riassunto delle Caratteristiche
del Prodotto.
6
Ibuprofene – Riassunto delle Caratteristiche
del Prodotto.
7
Paracetamolo + Codeina – Riassunto delle
Caratteristiche del Prodotto.
1
-1,0
-1,5
-2,0
-2,5
-3,0
R4
2
ore
3
4
5
6
7
8
Settimane in studio
Etoricoxib 120 mg
(n = 72, studio 1)
Indometacina 150 mg
(n = 71, studio 1)
R = randomizzazione; ES = errore standard; C = intervallo di confidenza
Scala Libert da 0 a 4 punti (0 – assente, 1 – lieve, 2 – moderato, 3 – severo, 4 – estremo);
Variazione dei minimi quadrati medi dal basale 4 ore dopo la dose iniziale – -0,94; 95% IC, -1,11;
-0,76; c Differenza dei minimi quadrati medi dall’indometacina – 0,09 (-0,14; 0,33) dal giorno 2
al giorno 8.
a
b
F i g u r a 6.
Potenza antalgica superiore a paracetamolo + codeina (da RCP dei rispettivi prodotti) 5-7.
** Dosaggio massimo giornaliero.
34 Rivista Società Italiana di Medicina Generale
Trixy:
la vera sinergia
per un metabolismo in equilibrio
Il mix vincente di 3 principi
naturali nella modulazione
delle vie metaboliche
di colesterolo, trigliceridi
e zuccheri
Le patologie a carico del cuore e del sistema circolatorio rappresentano la causa più
importante d’invalidità e mortalità tra la
popolazione dei Paesi occidentali. I fattori
di rischio legati all’eziopatogenesi di queste
malattie sono diversi (stile di vita, alimentazione, tabagismo, ipertensione, obesità,
diabete, ecc.), ma sono tutti modificabili
nell’ottica di un’azione preventiva contro le
malattie cardiovascolari.
Il principale fattore di rischio di MCV è il
colesterolo elevato. Studi clinici ed epidemiologici hanno infatti dimostrato che
alti livelli plasmatici di colesterolo legato
alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL),
soprattutto in condizioni di elevato stress
ossidativo, sono correlati al rischio di sviluppare malattie coronariche e che una
riduzione del colesterolo determina un
rallentamento della progressione dell’aterosclerosi e contribuisce alla regressione
delle placche aterosclerotiche.
Un’alimentazione corretta, la costante attività fisica e un adeguato stile di vita sono
i primi provvedimenti da adottare per prevenire le malattie cardiovascolari, insieme
all’assunzione di principi naturali che aiutano a controllare le dislipidemie come quelli
presenti in Trixy.
Trixy è il nuovo integratore alimentare di
Nathura, a base di Berberina, Tocotrienoli e
Caffè verde decaffeinato, che favorisce il controllo del colesterolo e dei trigliceridi plasmatici.
La berberina, un alcaloide di origine vegetale, riduce la concentrazione plasmatica di
colesterolo e ne aumenta la conversione in
acidi biliari, aumentando la quota che viene
eliminata attraverso le feci. L’attività della
berberina si completa con la diminuzione
della sintesi dei grassi, colesterolo e trigliceridi.
I tocotrienoli sono sintetizzati dalle piante e
da altri organismi fotosintetici e fanno parte,
insieme ai tocoferoli, della famiglia di composti delle vitamine liposolubili. Sono efficaci nel ridurre la concentrazione plasmatica
di LDL e di colesterolo totale, agendo sulla
sintesi di colesterolo endogeno, e possiedono un’attività antiossidante.
Il caffè verde è il caffè così come si ritrova prima della torrefazione, ancora ricco
di antiossidanti e, in particolare, di acido
clorogenico, il principale responsabile delle
sue proprietà benefiche. L’acido clorogenico inibisce, infatti, l’ossidazione delle LDL e
agisce su diverse vie del metabolismo glucidico e lipidico.
Quindi, questi tre particolari componenti
agiscono in modo sinergico nell’abbassamento del colesterolo LDL poiché, da un
lato, si ha la diminuzione della sintesi di
colesterolo, mediata soprattutto dai tocotrienoli; dall’altro, grazie alla berberina,
viene aumentata la degradazione di quello circolante. Il caffè verde, inoltre, agisce
sia sul metabolismo lipidico, diminuendo la
produzione di trigliceridi, che su quello glucidico, modulando la produzione e l’assorbimento intestinale del glucosio.
Pertanto l’utilizzo continuativo di Trixy, in
associazione a una terapia nutrizionale
adeguata, è in grado di prevenire i fattori
di rischio cardiovascolari e della sindrome
metabolica.
Bibliografia
Hu Y, Ehli EA, Kittelsrud J, et al. Lipid-lowering
effect of berberine in human subjects and
rats. Phytomedicine 2012;19:861-7.
Vasanthi HR, Parameswari RP, Das DK.
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cardioprotection supports their structure:
function relation. Genes Nutr 2012;7:19-28.
Natella F, Scaccini C. Role of coffee in modulation
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2012;70:207-17.
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