Emma Petrosino Le interpolazioni attoriali nel testo dei tragici

Università degli Studi di Catania
Dipartimento di Scienze Umanistiche
Corso di laurea magistrale in Filologia classica
Emma Petrosino
Le interpolazioni attoriali
nel testo dei tragici
RELATORE Chiar.mo Prof. Paolo Cipolla
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
Società editrice Dante Alighieri
Emma Petrosino
Le interpolazioni attorialinel testo dei tragici
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Prima edizione formato pdf: Aprile 2016
ISBN: 978-88-534-4139-3
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FILOLOGIA CLASSICA
EMMA PETROSINO
LE INTERPOLAZIONI ATTORIALI NEL TESTO DEI TRAGICI
Tesi
RELATORE
Chiar.mo Prof. Paolo Cipolla
ANNO ACCADEMICO 2013- 2014
Indice
Premessa………………………………………………………………………………...4
I CAPITOLO: LA STORIA DEL TESTO .......................................................................8
1. L’autografo e la circolazione del testo ...........................................................8
2. Commercio librario ......................................................................................18
3. L’epoca ellenistica .......................................................................................21
4. La selezione delle tragedie ...........................................................................25
II CAPITOLO: LE INTERPOLAZIONI ATTORIALI ..................................................32
1.L’attore:nascitaesviluppodiunaprofessione.........................................32
1.1.Lasupremaziadell’attore......................................................................35
1.2.GliartistidiDioniso...............................................................................37
2Testoeperformancenegliscolideitragici..................................................40
3.Latragedia“anti-tragica”............................................................................44
4. L’influsso degli attori ...................................................................................48
5. La natura e la genesi delle interpolazioni ....................................................49
5.1. Le prove di interpolazione .....................................................................51
5.2. Le tipologie di interpolazioni .................................................................52
III CAPITOLO: LE INTERPOLAZIONI ATTORIALI NELL’ECUBA........................82
1. Storia dell’Ecuba .........................................................................................82
2. Il testo...........................................................................................................87
Conclusioni ....................................................................................................................135
BIBLIOGRAFIA ...........................................................................................................137
Premessa
Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, nel suo magistrale commento all’Eracle euripideo, pubblicato a Berlino nel 1889, definiva i testi tragici i primi “libri” greci, sulla base
dell’opinione che nell’Atene del V secolo esistesse già una vasta circolazione libraria1.
Nel 1968, Rudolf Pfeiffer ripropose in parte la tesi del Wilamowitz, nella sua History of
Classical Scholarship, sostenendo che il “documento inequivocabile” in tal senso era
l’affermazione di Dioniso ai vv. 52 ss. delle Rane di Aristofane2:
ἐπὶ τῆς νεὼς ἀναγιγνώσκοντί µοι
τὴν Ἀνδροµέδαν πρὸς ἐµαυτόν
“quando leggevo per me a bordo della nave l’Andromeda”3.
Nella commedia aristofanea, il tema di fondo è la crisi dell’arte tragica e la mancanza di “buoni poeti”, tema introdotto proprio da questa scena: Dioniso si identifica
con lo spettatore ateniese che rimpiange la maestria di Euripide nell’elaborare audaci
artifici verbali e concettuali, posizione critica che nel corso della commedia si evolverà
fino alla scelta del poeta con caratteristiche opposte, il più tradizionale Eschilo.
La parodia tragica presuppone una familiarità del pubblico con i testi, che non si può
spiegare soltanto con le repliche dei drammi, tuttavia è molto difficile fissare quando tale diffusione libraria ebbe inizio.
1
G. Mastromarco, “La paratragodia, il libro e la memoria” , in AA. VV. Intersezioni del tragico e
del comico nel teatro del V secolo a. C., a cura di E. Medda - M. S. Mirto - M.P. Pattoni, Pisa, 2006, pp.
137 ss.
2
R. Pfeiffer, History of Classical Scholarship, from the Beginning to the End of the Hellenistic
Age, Oxford, 1968, p. 28: «Tragedies were composed for performance in the theatre of Dionysus, but
were also available as ‘books’ afterwards. The only unmistakable evidence, however, is Dionysus’ confession in Aristhophanes’ Frogs 52 f. (produced in January 405 B.C.)».
3
Traduzione di G. Mastromarco, “La paratragodia, il libro e la memoria” cit., p. 137.
L’Andromeda è una tragedia di Euripide, ora perduta, rappresentata nel 412 probabilmente dall’attore
Molone.
4
Ad Atene, le rappresentazioni delle tragedie, e più tardi delle commedie, avevano
stimolato la circolazione libraria, elemento che si può dedurre sia dalle testimonianze
vascolari 4 , sia dalla crescente importanza della scrittura in prosa, come nel caso
dell’opera storiografica di Erodoto, letta ad alta voce al pubblico di Atene, e ancor di
più di quella di Tucidide, chiaramente destinata a un lettore piuttosto che un ascoltatore5.
Nelle pitture vascolari raramente appare il lettore solitario, rinviando piuttosto alla lettura ad alta voce, propria di una civiltà ancora prevalentemente orale. Tuttavia, in
un frammento dell’Eretteo (fr. 369 K.) di Euripide (databile intorno al 422 a. C.), troviamo la prima testimonianza di un lettore solitario:
(ΧΟ.) κείσθω δόρυ µοι µίτον ἀµφιπλέκειν ἀράχναις,
µετὰ δ' ἡσυχίας πολίῷ γήρᾳ συνοικῶν
ᾄδοιµι κάρα στεφάνοις πολιὸν στεφανώσας,
4
Θρῃκίαν πέλταν πρὸς Ἀθάνας
περικίοσιν ἀγκρεµάσας θαλάµοις,
δέλτων τ' ἀναπτύσσοιµι γῆρυν ᾇ σοφοὶ κλέονται
“resti inoperosa per me la lancia, sì che i ragni possano intrecciarvi attorno l’ordito,
convivendo in silenzio con la grigia vecchiaia,
possa io cantare, cintomi di ghirlande il capo canuto,
avendo appeso lo scudo tracio nel santuario di Atene circondato da colonne,
e possa dispiegare dalle tavolette la voce che celebra i sapienti”6
4
Vd. soprattutto due lekythoi ateniesi a figure rosse, entrambi della prima metà del V sec. a.C.,
Arc. Beazley inv. 1359 e 41025.
5
B.M.W. Knox, Books and Readers in the Greek World, in Cambridge History of Classical Liter-
ature I, pp. 7-9.
6
Salvo diversa indicazione, la traduzione è nostra. Secondo E.G. Turner, I libri nell'Atene del V e
IV sec. a.C., in: G. Cavallo (ed.), Libri, editori e pubblico nel mondo antico. Guida storica e critica, Bari
1992, pp. 3-24, «Il pìnax o dèltos dei greci consiste in una tavoletta incorniciata, la cui parte interna è
riempita con una pasta a base di cera inscurita con pece, màltha, sulla quale si scrive poi con uno stilo appuntito [...]. Varie tavolette di questo tipo possono essere tenute assieme da una cinghietta di pelle,
5
Il passo frammentario, che ha lo scopo di esaltare una vita lontana dalle armi, pone al
centro l’atto della lettura come esperienza contemplativa contrapposta all’attività del
guerriero, in particolare, è stato sottolineato come questi versi veicolino un’«apertura
verso un modo di vita in cui la 'cultura' tende a diventare l'elemento essenziale»7.
Un’altra testimonianza ci è offerta da Pl. com., fr. 189 K.-A.:
(A) ἐγὼ δ' ἐνθάδ' ἐν τῆι ἐρηµίαι
τουτὶ διελθεῖν βούλοµαι τὸ βιβλίον
πρὸς ἐµαυτόν. (B) ἔστι δ', ἀντιβολῶ σε, τοῦτο τί;
(A) Φιλοξένου καινή τις ὀψαρτυσία.
5
(B) ἐπίδειξον αὐτὴν ἥτις ἔστ'. (A) ἄκουε δή.
ἄρξοµαι ἐκ βολβοῖο, τελευτήσω δ' ἐπὶ θύννον.
“(A) E io, qui, nel deserto, voglio leggermi proprio questo libro. (B) Ti supplico, qual è
questo libro? (A) un certo nuovo trattato di cucina di Filosseno. (B) Fammi vedere qual
è. (A) Ascolta allora. Comincerò dalla cipolla e finirò col tonno”.
Questa testimonianza dimostra l’uso di portare con sé i libri per una lettura ricreativa,
una pratica che ha il suo rappresentante più illustre in Alessandro Magno, secondo
quanto racconta Plut. Alex. 8, 2:
ἦν δὲ καὶ φύσει φιλόλογος καὶ φιλοµαθὴς καὶ φιλαναγνώστης, καὶ τὴν
µὲν Ἰλιάδα τῆς πολεµικῆς ἀρετῆς ἐφόδιον καὶ νοµίζων καὶ ὀνοµάζων,
ἔλαβε µὲν Ἀριστοτέλους διορθώσαντος ἣν ἐκ τοῦ νάρθηκος καλοῦσιν,
εἶχε δ' ἀεὶ µετὰ τοῦ ἐγχειριδίου κειµένην ὑπὸ τὸ προσκεφάλαιον.
polýthyroi diaptychài. La tavoletta è principalmente destinata ad accogliere appunti [...]. In quanto tale,
essa può risultare particolarmente appropriata per il poeta». Il verbo
ναπτύσσω qua indica propriamente
il “girare” delle tavolette (πτυχαί) che legate assieme formano il δέλτος.
7
V. Di Benedetto, Euripide: teatro e società, Torino 1971, p.150.
6
“Era per natura amante della letteratura, dell’apprendimento e della lettura, e ritenendo e
chiamando l’Iliade viatico della virtù bellica, portava quella che aveva corretto Aristotele, che chiamavano «della cassetta», e la teneva sempre insieme al pugnale posta sotto il
cuscino”.
Il tardo IV secolo a. C. fu un periodo di grande diffusione delle copie di “libri”
dei più grandi autori; tuttavia, nel momento in cui queste copie cominciarono a circolare,
l’autore perse qualsiasi controllo sull’opera stessa. In particolare, il testo delle tragedie
correva i più alti rischi di “manipolazioni”, a causa delle libertà che le compagnie teatrali erano solite prendersi nelle repliche di tragedie antiche. Questo stato di cose divenne a
tal punto intollerabile da indurre il legislatore ateniese Licurgo, nel 330 a. C., a emanare
una legge che controllasse tali eccessi e stabilisse un testo definitivo per le opere dei tre
grandi tragici, Eschilo, Sofocle ed Euripide8. Di questa copia ufficiale, conservata
nell’Archivio di Stato di Atene, riuscì poi a impossessarsi Tolomeo Evergete, sostituendola alle copie degli attori nella Biblioteca di Alessandria9.
Ciononostante, l’esemplare ufficiale di Licurgo non interruppe le corruzioni dei
testi tragici: le opere dei tre “grandi” furono più volte replicate nel corso degli agoni
drammatici, cosa che comportò, sia per lo scarso rispetto degli attori nei confronti del
testo, sia per l’ampia diffusione libraria, lo sviluppo delle “interpolazioni”.
Il grande periodo delle interpolazioni attoriali si colloca all’incirca tra il 400 e il
200 a.C. Questa indagine ha lo scopo di determinare le diverse caratteristiche e tipologie
del fenomeno, mediante l’analisi degli esempi più significativi di presunti casi di intepolazione. In particolare, per quanto riguarda l’Ecuba, partendo dalla storia del testo della
tragedia, l’analisi sarà volta a fissare date-limite per le interpolazioni, e a classificare i
motivi del loro inserimento.
8
[Plut]., vit. dec. or. 841 f, su cui vd. infra.
9
Gal. CMG V 10, 2, 1, 1936, p. 79.
7
I CAPITOLO
La storia del testo
1. L’autografo e la circolazione del testo
Il tragediografo scriveva per l’hic et nunc della rappresentazione agonale, in seguito
l’autografo era la base di un certo numero di copie, dalle quali erano effettuate ulteriori
trascrizioni10. Come attesta il passo aristofaneo sopracitato, è verosimile che circolassero esemplari delle tragedie dei grandi autori nell’Atene del V secolo; tuttavia a partire
dalla fine del V secolo, e in particolar modo nel IV, intervenne un fenomeno nuovo che
incise fortemente sulla correttezza del sistema di trasmissione del testo dei tragici: la
propensione degli attori a modificare il copione drammatico in funzione dei loro virtuosismi istrionici. Tali modifiche e inserzioni, più o meno estese, interessarono in particolar modo le ῥήσεις e le monodie.
In merito all’autografo del poeta, prendendo in considerazione iscrizioni e papiri, è possibile affermare che fosse scritto senza divisione di parole e interpunzione, e
senza segni di crasi ed elisione11; per quanto riguarda la divisione colometrica e sticometrica delle parti liriche il problema è ancora dibattuto: in epoca arcaica e classica
sicuramente il colon era un’entità chiaramente percepita, che apparteneva al repertorio
delle strutture metrico-ritmiche della tradizione orale12, ma la disposizione colometrica
10
M. Di Marco, La tragedia greca, Forma, gioco scenico, tecniche drammatiche, Roma 2006, pp.
11
Tra i papiri tolemaici che contengono testi senza colometria ricordiamo: P.Berol. 9875 (IV sec.
49 ss.
a. C.); P.Berol. 13270 (IV-III sec. a.C.); P.Cair.Zen IV 59533; P.Leid. 510; P.Petr. I 1-2; BKT V 2, 79-84
(P.Berol. inv. 9771); P.Stras. WG 304-307; P.Hib. I 25; Ostracon Berol. 12311; P.Tebt. III 1, 691 (III sec.
a. C.); P.Schub. 17; P.Vindob. G 2315; PSI XIII 1300 (III-II sec. a. C.); P.Mich. 6973; P.Köln X 398;
P.Lit.Lond. 75; P.Grenf. I 1 (II sec. a. C.); P.Tebt. I 1 y 2 (II-I a. C.). I papiri che contengono testi con colometria sono: P.Berol. 11793; P.Hib. II 176; P.Berol.inv. 21257; P.Sorb. 2528; P.Lille inv. 76 a b c + 73
+ 111c (III sec. a. C.); P.Mil.Vogl. I 7; P.Mil.Vogl. II 40 (III-II sec. a.C.). Infine, tra i papiri che contengono testi con e senza colometria il P.Köln inv. 21351 + 21376 e P.Hib. I 24.
12
A. Boeckh ha tentato di stabilire le norme della delimitazione della strofe in relazione alla co-
lometria antica, individuando la presenza della fine di parola generalizzata in tutti i versi corrispondenti
nelle singole strofe, la presenza della sillaba breve in tempo forte e la presenza dello iato come elementi
8
delle sezioni liriche del testo tragico e comico si fa risalire ad Aristofane di Bisanzio,
secondo la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso13. Tale tecnica editoriale si basava
sulla dottrina antica, la quale è descritta nel manuale di Efestione: si trattava in sostanza
dell’individuazione di dimetri (cola), delle loro forme decurtate (cómmata), di trimetri e
tetrametri (stichoi)14. In realtà, sulla base delle testimonianze papiracee, dobbiamo pensare che Aristofane di Bisanzio, più che l’inventore di tale tecnica, fu colui che perfezionò e regolarizzò una pratica già preesistente15.
Dunque, è verosimile ritenere che gli editori alessandrini avessero già coscienza
delle strutture κατὰ µέτρον, quindi del colon e del verso lirico proprio del canto, distinti dai versi recitati senza accompagnamento musicale16. Nelle commedie di Aristofane si riscontrano diversi riferimenti all’aspetto musicale: le Nuvole contengono una
trattazione tecnica sui metri e i ritmi (vv. 651 ss.), nonché un breve accenno al ditirambo
(v. 333) e all’educazione musicale (vv. 964 ss.); nelle Rane Aristofane dichiara che il
suo pubblico è in grado di apprezzare la sua parodia dello stile musicale di Eschilo e di
Euripide.
Si può inoltre ipotizzare che gli editori alessandrini disponessero almeno delle indicazioni dei modi musicali, dato che Apollonio Eidografo, probabilmente prima di
Aristofane di Bisanzio, avrebbe curato una classificazione musicale dei testi lirici. In
merito al problema in questione, è verosimile pensare che Aristofane disponesse di testi
poetici con notazioni musicali, che avessero la funzione di principio-guida nella sua attività di κωλιστής. 17
che determiniano la fine del verso (A. Boeckh, Pindari opera I.2, Lipsiae 1911, p. 101 ss.). Vd. inoltre B.
Gentili, Liana Lomiento, Metrica e ritmica, Milano, 2003, p. 7.
13
Dion. Halic. De comp. verb. XXII 18-21: κῶλα δέ µε δέξαι λέγειν οὐχ οἷς Ἀριστοφάνης
ἢ τῶν ἄλλων τις µετρικῶν διεκόσµησε τὰς ᾠδάς, ἀλλ’οἷς ἡ φύσις ἀξιοῖ διαιρεῖν τὸν λόγον
καὶ ῥητόρων παῖδες τὰς περιόδους διαιροῦσι”, XXVI 4-7 “γέγραπται δὲ κατὰ διαστολάς οὐχ
ὧν Ἀριστοφάνης ἢ ἄλλος τις κατεσκεύασε κώλων ἀλλ' ὧν ὁ πεζὸς λόγος ἀπαιτεῖ.
14
B. Gentili, L. Lomiento, Metrica e ritmica, cit., p.8.
15
F. Pordomingo, La colometrie dans les papyrus ptolemaiques, Aevum(ant) 5, 2005, p. 193.
16
B. Gentili - F. Perusino, La colometria antica dei testi poetici greci, Pisa 1999, p. 13.
17
Vd. L. Prauscello, Singing Alexandria. Music Between Practice and Textual Transmission, Lei-
den-Boston 2006 (in particolare, nel cap. 2 vengono analizzati dettagliatamente i papiri di Euripide con
9
I più antichi papiri musicali, il P. Leid. inv. 510, del III secolo a. C., contenente i
vv. 1500-1509, 783-792 dell’Ifigenia in Aulide, con note musicali, e il P. Vindob. 2315,
dei secolo III-II a.C., contenente i vv. 338-344 dell’Oreste, sono documenti fondamentali per la nostra conoscenza degli spartiti musicali di età alessandrina. Secondo alcuni
studiosi, come Anderson, si tratterebbe di un arrangiamento successivo di professionisti18, West è più propenso a pensare che si tratti di testimonianze genuine della notazione musicale di Euripide19, pur tenendo presente che i testi drammatici e lirici erano
normalmente copiati senza musica e che i frammenti con notazioni di questo genere sono eccezionali, per lo più estratti allestiti da o per musicisti, non testi completi delle tragedie in questione.
È stato ipotizzato che la copia ufficiale fatta allestire da Licurgo nel 330 a.C. fosse
già provvista di notazioni musicali, copia dalla quale deriverebbe l’autorità delle edizioni alessandrine, per quanto concerne la colometria20. Dunque, dobbiamo supporre che la
divisione in cola delle edizioni alessandrine rifletta, più o meno fedelmente, le intenzioni ritmiche dei tragici del V secolo.
Tutti questi fenomeni erano ulteriori fonti di errori nelle prime edizioni librarie. Dal
momento che il poeta doveva presentare all’arconte i propri drammi con i relativi titoli,
è verosimile che anche le edizioni librarie fossero provviste di titoli. In un’epoca in cui
non esisteva il copyright, il poeta aveva poco controllo sul testo delle tragedie, dato che
non esisteva un obbligo per l’uso di copie autorizzate21. Non c’è ragione di pensare che i
venditori di libri a Siracusa, dove Euripide era molto amato, usassero necessariamente la
migliore edizione ateniese. Dobbiamo pensare che la prima diffusione del testo dei tragici si attuò secondo due canali: la rappresentazione teatrale e la memorizzazione da una
notazioni musicali). Uno sguardo d’insieme è in M. L. West, Ancient Greek Music, Oxford 1992; sul
frammento papiraceo dell’Oreste con notazioni musicali vd. M. L. West, Analecta Musica, “ZPE” 92,
1992, pp.1-54.
18
G. Ley, The theatricality of Greek Tragedy, The University of Chicago Press, Chicago e Londra,
2007, p. 143.
19
M. L. West, Ancient Greek Music, Clarendon Press, Oxford, 1992, p. 270.
20
L. Prauscello, Singing Alexandria, cit., p. 69.
21
E. Csapo - W. J. Slater, The Context of Ancient Drama, Ann Arbor, 1995, p.4.
10
parte, libro e lettura dall’altra22. La fattura dei primi libri comportava rotoli in scriptio
continua, con una impaginazione tale da utilizzare tutto lo spazio disponibile; diversa
doveva essere la fattura del “copione”, supponendo che dovesse esserci lo spazio in
margine per le eventuali osservazioni dell’arconte e le osservazioni di regia e scenografia, con caratteri ben leggibili per facilitare la lettura da parte del suggeritore, lo
ὑποβολεύς.
Per quanto riguarda le indicazioni sceniche, Chancellor parla di “didascalie esplicite”, cioè note aggiunte dall’autore nel copione, ma non destinate alla recitazione degli
attori, e “didascalie implicite”, cioè quei luoghi nel testo in cui si può riscontrare
un’indicazione scenica insita nei versi pronunciati dagli attori23. Questo dimostra che il
testo tragico non è stato scritto solo per essere rappresentato, ma anche per essere letto,
in quanto proprio le didascalie hanno una duplice funzione: dimostrano l’esistenza fisica
del testo e convincono il lettore del fatto che questi particolari debbano essere messi in
scena.
Secondo Chanchellor il copione teatrale era lo stesso manoscritto originale
dell’autore, gli attori probabilmente usavano delle copie, forse relative solo alla loro
parte o parti, e queste copie potevano verosimilmente passare all’editore24. Questo spiegherebbe la presenza di determinate interpolazioni nel nostro testo e la presenza di quelle che inizialmente erano note marginali, concernenti i movimenti di scena, scritte per
l’attore e non destinate alla lettura. Un’altra ipotesi proposta dallo studioso è che
l’editore pagasse ciascun attore perché recitasse la sua parte a uno scriba o a degli
schiavi: in modo tale si spiegherebbe perché manchino nei nostri testi le indicazioni extratestuali e la conseguente necessità di inserirle nei dialoghi. Dunque, sarebbe stato
l’autore stesso a inserire intenzionalmente le indicazioni sceniche nel dialogo, dato che
tutto ciò che era scritto in margine o tra le righe non sarebbe stato presente nella versione scritta.
22
A. Garzya, Sulla questione delle interpolazioni degli attori nei testi tragici, “Vichiana” 9, 1980,
23
G. Chancellor, “Le didascalie nel testo”, in Il teatro greco nell’età di Pericle, a cura di C. Moli-
p. 12.
nari, Bologna, 1994, p. 130.
24
G. Chancellor, “Le didascalie nel testo”, cit., p. 135.
11
La parola greca indicante la didascalia scenica è παρεπιγραφή, sebbene sia
usata raramente con riferimento alla tragedia e molto più frequentemente in commedia:
in tal senso è indicativo lo scholion ad Or. 1384 τινὲς τοῦτο παρεπιγραφὴν εἶναι
ὡς εἰς τὰ κοµικὰ δράµατα, “qualcuno ritiene che questa sia una didascalia, come
succede nei drammi comici”)25.
Tra le didascalie esplicite, si registrano Aesch., Eum. 117, 120 µυγµός (mugolio)26, 123, 125 ὠγµός (gemito), 129 µυγµὸς διπλοῦς ὀξύς (doppio acuto mugolio). Non possiamo essere certi che questi esempi risalgano direttamente alla volontà
dell’autore, in quanto lo stesso lettore avrebbe potuto comprendere indirettamente la necessità che le Erinni producano qualche suono, ad esempio da µύζοιτ' ἄν (“mugolate
pure”) del v. 118, o da ὤζεις (“tu gemi”) del v. 12427. Un altro dubbio deriva dal fatto
che generalmente le interiezioni ed espressioni vocali erano trascritte in forma fonetica
nei drammi, quindi il fatto che non li troviamo nel testo potrebbe far pensare ad una correzione da parte del trascrittore per concisione o per una questione calligrafica. Un
esempio di deduzione interna si può riscontrare nel Prometeo Incatenato v. 561: Io entra e si rivolge al coro, riferendosi a Prometeo usa la terza persona, da ciò si comprende
che debba entrare da una posizione tale da trovarsi davanti al coro e contemporaneamente avere la possibilità di guardare Prometeo, probabilmente posto di lato. Successivamente Io si rivolge a Prometeo con il vocativo, da ciò capiamo che si è spostata
all’interno della scena, o ha semplicemente voltato il capo, in modo tale che i due personaggi siano uno di fronte all’altra 28 . Poco più avanti si trova un esempio di
παρεπιγραφή: lo scoliasta interpreta il v. 663 (τέλος δ' ἐναργὴς βάξις ἦλθεν
Ἰνάχῳ) come uno σχῆµα τὸ σιωπώµενον καὶ παρεπιγραφή.
J. P. Poe, nel suo studio sulle indicazioni sceniche, distingue tre tipi di espressioni
sulla base della loro struttura formale: direttive, domande e dichiarazioni. Le prime due
25
O. Taplin, “La questione delle indicazioni sceniche”, in Il teatro greco nell’età di Pericle, a cu-
ra di C. Molinari, Bologna, 1994, p. 149.
26
Uno scholion in margine attesta la presenza di una παρεπιγραφή.
27
O. Taplin, “La questione delle indicazioni sceniche”, cit., p. 149.
28
G. Chancellor, “Le didascalie nel testo”, cit., p. 142.
12