Dottoranda: Martina Galli
Anno di corso: I°
Tutor: Prof. Carlo Sotis
Tesi: Crisi economica e diritto penale
Corso di eccellenza
“CRISI SISTEMICHE DELL’ECONOMIA GLOBALE”
Università della Tuscia, 11-12 ottobre 2016
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1. L’esigenza di analizzare parallelamente struttura e politica monetaria delle due autorità monetarie
che si trovano a capo dell’Eurozona e degli Stati Uniti, nonché di instaurare un confronto tra il
ruolo assunto dalle due banche centrali nel fronteggiare le crisi “sistemiche” che hanno colpito
l’economia globale a partire dal 2007, sembra nascere da una ragione precisa, concreta, che va al di
là del puro interesse comparatistico, ma anche della – pur imprescindibile – ricerca di soluzioni e
modelli efficaci da esportare. Ebbene, questa ragione sembra coincidere con il fatto che l’idea di
una politica monetaria (intesa come regolazione dei tassi di interesse e/o della quantità di moneta
per raggiungere obiettivi economici) indipendente e sovrana ha ceduto definitivamente il passo,
nell’attuale sistema di liberalizzazione degli scambi, a una sistema profondamente interconnesso,
nel quale il successo di ogni scelta di politica monetaria dipende dal modo in cui essa interagisce
con le politiche adottate in altri paesi. Se è vero che questa inevitabile connessione tra le decisioni
dell’istituto che regola le operazioni di politica monetaria in Europa, la BCE, e le scelte monetarie
dalla Federal Reserve costituisce un’importante cifra di fondo dell’analisi, allora forse potrebbe
risultare interessante un approfondimento volto a precisarne termini e contenuti.
Procedendo oltre, sembra che il primo passo per arrivare a comprendere ruolo e rilevanza
giuridica delle scelte dei due istituti centrali sia l’analisi degli obiettivi dagli stessi perseguiti e la
posizione tali obiettivi vengono ad assumere nell’ambito dei rispettivi mandati. Su questo piano è
possibile riscontrare una prima, fondamentale differenza. Mentre la BCE è guidata da un mandato
a struttura gerarchica, che fissa la priorità dell’obiettivo della stabilità dei prezzi e prevede poi la
possibilità di perseguire altri fini “secondari” (in particolare, sostenere le politiche economiche
generali dell’Unione), il mandato della FED è costruito su livelli paritetici: qui i due obiettivi della
stabilità dei prezzi e della massima occupazione rivestono uguale importanza. Diversi gli obiettivi,
diversi i poteri dei due istituti centrali: se entrambe le banche possono agire al fine di controllare la
stabilità dei prezzi, manovrando i tassi di interesse e drenando o immettendo liquidità nel sistema
attraverso prestiti agli istituti di credito, solamente la FED può rivestire il ruolo il garante finale,
acquistando titoli di Stato o altri titoli. La BCE, invece, non incorpora per statuto la funzione di
prestatore di ultima istanza. Appare dunque di estremo interesse esaminare in che modo e con
quale portata queste differenze statutarie abbiano inciso sulla gestione delle crisi finanziarie che
hanno interessato, seppure in modo diverso, il contesto americano e europeo. Un’analisi di questo
tipo sembra implicare a) una ricognizione complessiva delle misure c.d. non convenzionali elaborate
per contrastare la crisi nei due diversi contesti; b) la verifica dei tratti di differenziazione tra i due
modelli (ad esempio, è corretto affermare che che la BCE ha dimostrato di privilegiare il ricorso
alla strategia di credit easing, mentre la FED ha affrontato la crisi finanziaria del 2007-2008 portando
avanti principalmente forme di intervento correttivo riconducibili alla strategia del quantitative
easing?); c) un’indagine circa l’effettiva incidenza dell’impostazione degli statuti sulle misure
adottate dalle due banche, da compiersi anche attraverso la ricerca di spiegazioni alternative, che
potrebbero rintracciarsi, ad esempio, nel quadro operativo entro cui ciascuno istituto deve
muoversi (es. epicentro della crisi e delle tensioni finanziarie, condizionalità nell’avviare gli
acquisti) o, ancora, nelle caratteristiche delle economie dei due paesi (con particolare riguardo al
“peso” dei mercati nei rispettivi sistemi finanziari, dal momento che mentre in Europa la gran
parte dei finanziamenti ottenuti dalle società non finanziarie viene intermediato dal settore
bancario, in America i mercati finanziari costituiscono il fulcro attraverso cui passa la maggior
quantità di capitali diretti alle corporations); d) una valutazione anche in senso opposto: se e in che
misura la distanza “di partenza” tra i mandati delle due banche si sia ridotta proprio in ragione
delle evoluzioni delle rispettive politiche monetarie c.d. non conventional.
2. L’ultimo dei profili evidenziati sposta il discorso sulla questione del ruolo che la BCE è andata
assumendo in un periodo in cui, chiamata a reagire con rapidità ed efficacia alla crisi economica al
fine di salvaguardare l’Eurozona, si è trovata a dover ricorrere – stante l’inadeguatezza degli
strumenti convenzionali – a misure non convenzionali, in assenza, tuttavia, di un qualsiasi
«catalogo» che, a monte, le prevedesse. In mancanza di un impianto istituzionale adeguato per
gestire un periodo di crisi economica, la BCE, almeno ad un primo sguardo, sembra avere assunto
un più ampio e necessario ruolo (potenziale o effettivo) di prestatore di ultima istanza, direttamente
nei confronti del mercato finanziario (mediante il Securities Market Program prima e le Outright
Monetary Transactions dopo) e indirettamente nei confronti degli Stati (con le OMT), delle banche
(mediante le aste e i programmi speciali, quali la Long term refinancing operation) e del c.d. Fondo
Salva-Stati (i cui titoli possono essere portati alla BCE come garanzia). Così la BCE sembra aver
finanziato tutti i rischi di natura sistemica, svolgendo una funzione tipica di banca centrale.
Ebbene, in un contesto in cui l’asimmetria genetica tra pilastro economico e pilastro monetario
dell’Unione monetaria europea (che implica il divieto per la Bce di adottare atti di politica
economica, oggetto di un mero coordinamento tra gli Stati membri) non è confortata da una linea
netta di demarcazione (i Trattati non prevedono espressamente alcun criterio per distinguere le
due politiche, d’altro canto statuendo che la Bce, una volta assicurato l’obiettivo della stabilità dei
prezzi, debba supportare le politiche economiche generali dell’Unione, v. art. 127 TFUE), la Corte
di Giustizia e la Corte Costituzionale tedesca hanno operato una valutazione opposta circa la
compatibilità degli acquisti OMT con il diritto europeo (segnatamente con il divieto di
finanziamento monetario del debito sovrano ex art. 123 TFUE), fornendo altresì due interpretazioni
diverse del mandato monetario della BCE. In breve, mentre i giudici tedeschi pretendono che
quest’ultima eserciti unicamente il ruolo originario di “guardiano della stabilità dei prezzi”, senza
concedere spazio a politiche monetarie di tipo espansionistico, i giudici europei immaginano una
banca centrale il cui operato non sia sottoposto a stretti controlli giudiziali, libera dunque di
perseguire scopi diversi ed ulteriori rispetto al controllo dell’inflazione, come appunto la stabilità
finanziaria. Le controversie intorno all’adozione di misure “non conventional” sembrano imporre
una riflessione circa:
a)
il sindacato giudiziale sugli strumenti monetari: invero, entrambe le interpretazioni fornite
dai giudici tedeschi ed europei rischiano di risultare disfunzionali per il già fragile equilibrio
istituzionale europeo, proponendo o una banca centrale costretta all’inerzia da una giurisprudenza
troppo invasiva, oppure posta al di fuori della legge dalla totale assenza di controlli. Sembra
imporsi dunque un chiarimento circa i ruoli e le responsabilità degli attori coinvolti nella
qualificazione e valutazione, sul piano giuridico, di simili strumenti non convenzionali.
b)
le ripercussioni anche sulla legalità di tutti gli altri strumenti non convenzionali della Bce,
primo fra tutti il Quantitative Easing. Sappiamo già che le fondamentali differenze tra OMT e QE (in
primis il fatto che mentre il programma OMT era finalizzato a rassicurare gli investitori circa la
tenuta dell’Eurozona e, dunque, a garantire la stabilità finanziaria, gli acquisti del QE sono volti a
combattere la spinta deflazionistica che attanaglia i paesi europei, perseguendo la stabilità dei
prezzi) non hanno impedito che, subito dopo l’approvazione del programma, alcuni cittadini
tedeschi si affrettassero ad impugnare il QE davanti alla Corte tedesca.
c)
la scelta di sottrarre gli strumenti non convenzionali alla logica dello “stato di eccezione”. La
situazione di crisi ha evidenziato una tensione continua tra l’esercizio di un mandato chiaro
secondo il principio di legalità e l’esigenza di concreta flessibilità nell’esecuzione dei compiti: in
questo contesto, l’influenza della BCE nella politica monetaria degli Stati dell’Eurozona si è
affermata in concreto, mediante l’indicazione di specifiche riforme fiscali e strutturali. Come
sappiamo, infatti, nell’adozione di strumenti non convenzionali la BCE esercita un potere
discrezionale (per quanto la CGUE sostenga che tale «potere discrezionale» sia legittimo in forza
della “tecnicità” dello strumento) e le operazioni adottate sono selettive, condizionate, illimitate e
sempre reversibili, mentre il controllo del giudice non va oltre il test debole di proporzionalità. Da
ciò deriva la percezione della necessità di un’adeguata e chiara distinzione degli ambiti di
sovranità. Si dice tuttavia che gli interventi adottati non avrebbero comunque natura di regola
generale permanente, ma carattere contingente ed eccezionale e, quindi, dovrebbero essere
superati una volta raggiunta una situazione di adeguata stabilità. Tuttavia si deve notare che i)
nell’ordine costituzionale europeo, a differenza di quanto accade nelle costituzioni degli
ordinamenti contemporanei a matrice democratico-pluralista (dove la morfologia tipica assunta
dalle norme d’emergenza si articola nell’individuazione del soggetto abilitato a porre in essere il
processo attraverso cui si decide di provvedere eccezionalmente), l’ “eccezione” sta fuori
dall’ordinamento giuridico (normalmente vigente): non è rintracciabile nel diritto ordinario (i
Trattati) una norma sulla competenza e sul procedimento (presupposti, durata e contenuto) in
materia di politica monetaria “per l’eccezione”; ii) la Corte di Giustizia nel caso Gauweiler ha
sciolto in maniera netta l’ambiguità insita nel concetto di non convenzionale (il quale tende a
sfuggire all’alternativa tra diritto ordinario e stato di eccezione), infine affermando il carattere non
eccezionale delle misure OMT, portando così a compimento quella bonifica dal dominio
dell’emergenza che era già iniziata con la sentenza Pringle, dove la stessa Corte aveva escluso che il
MES (Meccanismo europeo di stabilità), qualificato come misura di politica economica, potesse
essere ricondotto alla competenza di cui all’art. 122, par. 2, TFUE («possibilità di accordare
un’assistenza finanziaria ad uno Stato membro che sia in difficoltà o si trovi seriamente minacciato
da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo
controllo»). Siamo dunque andati incontro a «una normalizzazione dello stato di eccezione»? Se sì,
quali sono i rischi insiti in una simile rimozione dell’eccezionalità delle misure?
3. Con l’approvazione da parte del Parlamento Europeo della Direttiva n. 2014/59/UE (BRRD: Bank
Recovery and Resolution Directive) e del Regolamento UE n. 806/2014 (cd. SRM), recepiti in Italia con
i d.lgs. nn. 180 e 181 del 2015, si è proceduto all’identificazione di un Meccanismo di risoluzione unico
delle crisi bancarie. Il nuovo meccanismo interagisce sulle pregresse logiche di “socializzazione
delle perdite” ed introduce rimedi alternativi a quelli adottati nel passato in alcuni Paesi
dell’Eurozona, evitando forme generalizzate di riparto dei costi connessi all’insolvenza degli enti
creditizi. Tanti e tanto pressanti sono i problemi sollevati da questo nuovo strumento di
risoluzione per le banche in crisi: tra questi, la determinazione dell’adeguato burden-sharing; la
relazione tra il regime giuridico della risoluzione e gli aiuti di Stato; il raccordo del bail-in con le
procedure concorsuali; la compatibilità del bail-in con le garanzie fondamentali dei diritti
costituzionali dei cittadini. Suscita tuttavia particolare interesse la questione dell’impatto esercitato
dalla nuova disciplina della risoluzione bancaria sul tema della tutela del risparmio. Non solo per
ciò che concerne la legittimità costituzionale della riduzione/azzeramento dei diritti degli azionisti
e creditori sorti prima del recepimento della direttiva, ma soprattutto per ciò che riguarda la
posizione dei risparmiatori successivi al 1° gennaio 2016. E infatti la risoluzione bancaria, osservata
dall’angolo visuale della tutela del risparmio, pone questioni di educazione finanziaria, di correttezza
delle pratiche commerciali bancarie e di adeguata informazione della clientela cui i servizi, finanziari e
bancari, sono offerti. E poiché la disciplina della risoluzione, in un sistema come il nostro basato
sulla banca universale, provoca l’effetto di ridurre la distanza tra i servizi bancari in senso stretto e
i servizi di investimento, acquista sempre maggiore rilievo il tema della applicabilità delle regole
di condotta al collocamento quando ad essere venduti non sono strumenti finanziari, ma prodotti
tipicamente bancari. In definitiva, mi sembra che la disciplina della risoluzione bancaria ponga un
problema di controllo in ordine alla correttezza delle comunicazioni che le banche offrono al
singolo cliente e al mercato dei potenziali clienti. Esigenze di correttezza e trasparenza
dell’informazione, per ciò che concerne la generale situazione di “salute” della banca, nonché il
prezzo degli strumenti finanziari offerti al pubblico, si impongono sicuramente con riguardo alla
diffusione di informazioni nei confronti del pubblico. Da una prospettiva penalistica, su questo
fronte i presidi possono spaziare dal falso in bilancio, all’aggiotaggio, alla manipolazione del
mercato, all’ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza. A tutt’oggi manca invece un livello
intermedio di fattispecie incriminatrici, calibrate su abusi di gestione in materia societaria e
bancaria, che non necessariamente assurgano ad una lesività di mercato. Emerge così la necessità
di un intervento ad hoc anche sulla specifica disciplina penale bancaria, che dia vita ad una inedita
figura di “abuso nell’esercizio del credito”, prendendo in considerazione la specificità dell’attività
di raccolta del risparmio e di esercizio del credito; attività, questa, che non può essere assimilata a
qualsiasi attività economico-imprenditoriale (come accadrebbe qualora si provasse a ricondurre
simili abusi alla fattispecie di infedeltà patrimoniale), né sembra ricevere adeguata tutela
attraverso le fattispecie dirette a reprimere comportamenti aventi valenza comunicativa nei
confronti del mercato.