Che cosa il gastroenterologo deve chiedere al patologo e

Parole chiave: Esofago di Barrett, gastrite,
malattia celiaca, MICI
Key words: Barrett’s esophagus, gastritis,
coeliac disease, IBD
IF
The article highlights for each segment
of the gastrointestinal tract the correct
methodological approach in order to give
a precise diagnosis both from the point of
view of the gastroenterologist / endoscopist,
both from the point of view of the
pathologist. Particular attention is focused
on the most frequent diseases
of the different analyzed districts.
- Vincenzo Villanacci
Marianna Salemme
Carla Baronchelli
Stefania Manenti
- Gabriella Canavese
- Gabrio Bassotti
-
Anatomia Patologica
Spedali Civili di Brescia
Anatomia Patologica
Ospedale Molinette di Torino
Dipartimento di Medicina
Clinica e Sperimentale
Università degli Studi di Perugia
Introduzione
In questi ultimi anni il progredire e l’affinamento delle metodiche strumentali endoscopiche, radiologiche
e laboratoristiche ha reso sempre più pressante uno
stretto rapporto di collaborazione tra gastroenterologo
e patologo per poter arrivare ad una diagnosi la più
precisa e definita possibile nell’ambito delle patologie
dell’apparato gastroenterico; infatti, si è reso necessario ed è divenuto fondamentale il concetto e l’applicazione reale del “multidisciplinary team”. Sulla base
di questo presupposto è importante che ci sia, come
corollario, un corretto approccio metodologico per la
diagnostica istopatologica (1), riportata in diverse linee
guida, che presuppone l’invio al patologo di:
• notizie cliniche complete del paziente,
in particolare sintomi, inizio dei sintomi,
eventuali terapie effettuate, ecc
• referto endoscopico completo
• adeguato numero di biopsie orientate su
filtri di acetato di cellulosa
Giorn Ital End Dig 2013;36:287-296
L’articolo ripercorre per ogni segmento
dell’apparato gastroenterico il corretto
approccio metodologico per poter
giungere ad una diagnosi di assoluta
certezza sia dal punto di vista
del gastroenterologo/endoscopi sta,
sia dal punto di vista dell’anatomopatologo. Particolare riferimento viene
fatto alle singole patologie più frequenti
dei vari distretti trattati.
Iniziative Formative
> Educazione permanente
Che cosa il gastroenterologo
deve chiedere al patologo
e cosa il patologo deve
rispondere
287
IF
figura 1: displasia di grado lieve-moderato
(basso grado) in esofago di Barrett
Iniziative Formative
> Educazione permanente
Tenendo bene in mente questi tre punti passeremo
rapidamente ad illustrare segmento per segmento
le differenti condizioni patologiche e loro implicazioni
diagnostiche, con particolare riferimento alle patologie
infiammatorie dei singoli distretti (esofago, stomaco,
piccolo intestino e colon).
Esofago
Nell’ambito della patologia esofagea, un capitolo importante è quello riguardante la malattia da reflusso
gastroesofageo (MRGE), estremamente diffusa nei
Paesi Occidentali, con una prevalenza che va dal 10
al 20% a seconda delle diverse casistiche (1), che giuoca un ruolo fondamentale come fattore di rischio per
lo sviluppo del c.d. “Esofago di Barrett” (EB), la cui
prevalenza varia dall’1% al 3% nei pazienti con sintomi di MRGE sottoposti a campionamento bioptico (2).
Quando il gastroenterologo
interpella il patologo: indicazioni cliniche
per il campionamento bioptico
Vincenzo Villanacci et al > La domanda del Gastroenterologo e la risposta del Patologo
288
• Prima diagnosi di MRGE: nell’ambito di una
prima valutazione endoscopica completa,
risulta di primaria importanza l’esecuzione di
biopsie a livello esofageo, al fine di una corretta
analisi istologica da parte del patologo, il
quale avrà il compito di individuare l’eventuale
presenza di EB, condizione che presuppone
un follow-up più stretto del paziente
• Follow-up nell’ambito di EB: in questo caso
il campionamento bioptico è mandatorio, al
fine di individuare l’eventuale presenza di
displasia e/o di cancro
• Lesioni endoscopicamente sospette:
fondamentale l’analisi istologica soprattutto
per distinguere la natura della lesione
(benigna vs maligna)
• Sospetto clinico di esofagite eosinofila:
nel sospetto clinico di esofagite eosinofila
(disfagia, atopia) è fondamentale la conferma
dal punto di vista istologico
• Sospetta esofagite infettiva.
Cosa il gastroenterologo
deve dire al patologo
Di primaria importanza nell’ambito di una corretta valutazione istopatologica è una completa e dettagliata
storia clinica del paziente; in particolare il gastroenterologo deve indicare al patologo:
• Il motivo che ha portato all’esecuzione
dell’indagine endoscopica
• La presenza di eventuali patologie
concomitanti (malattie del connettivo,
allergie, malattie cutanee, ecc.)
• Le eventuali terapie assunte dal paziente.
Oltre a ciò, è fondamentale una precisa descrizione
delle caratteristiche endoscopiche di eventuali lesioni e una corretta indicazione della sede in cui viene
fatto il campionamento bioptico.
Come il gastroenterologo
deve eseguire le biopsie
Per quanto riguarda il campionamento bioptico,
nell’ambito del GERD e delle esofagiti in genere (infettiva, eosinofila ecc..) un corretto campionamento
prevede l’esecuzione di biopsie separate in diversi
contenitori a livello dell’esofago prossimale, medio e
distale (almeno 2 cm al di sopra della linea Z) e a
livello del versante esofageo della linea Z (3).
L’EB, essendo una condizione che può evolvere in
displasia e quindi in cancro, prevede un maggiore
campionamento bioptico, con biopsie eseguite nei 4
quadranti dell’esofago distale ogni 2 cm e ogni 1 cm
se è stata diagnosticata una displasia in precedenza
(4,5). È importante tener presente, come ben riportato da Reid (5) che la displasia nell’ambito di EB è
molto spesso focale e quindi è importante eseguire
un ampio campionamento bioptico al fine di individuare tale condizione e di impostare un follow-up più
stretto del singolo paziente.
Le biopsie eseguite devono essere correttamente
orientate su dei filtri di acetato di cellulosa e poste in
adeguati contenitori contenenti formalina (figura 1).
Cosa il patologo deve rispondere
Presupponendo delle informazioni cliniche adeguate
ed un corretto campionamento bioptico, il patologo
deve fornire delle informazioni chiare ed esaustive
che inquadrino la condizione del paziente in una
precisa entità:
• Esofagite eosinofila: questa particolare entità
patologica è caratterizzata principalmente
dalla presenza di base di una esofagite con le
caratteristiche morfologiche sopra descritte;
in questo caso, però, l’infiltrato infiammatorio
intraepiteliale risulta prevalentemente
rappresentato da granulociti eosinofili (in
più punti >25 granulociti eosinofili/campo di
visione ad alto ingrandimento 40X) (6).
• Esofagite infettiva: in questo caso dal punto
di vista morfologico è possibile identificare,
anche tramite l’ausilio di colorazioni
istochimiche ed immunoistochimiche, alcuni
agenti patogeni come ad esempio virus
(Herpes simplex, Cytomegalovirus) o miceti
(Candida albicans).
• Esofago di Barrett: per il patologo è di primaria
importanza riconoscere questa condizione,
in quanto fattore di rischio accertato per lo
sviluppo di displasia e successivamente di
cancro (7). L’EB viene definito come “la presenza
di metaplasia intestinale a livello esofageo” (8)
ossia il riconoscimento di cellule caliciformi
mucipare all’interno della mucosa esofagea. La
metaplasia intestinale viene poi sub-classificata
in completa o incompleta sulla base di differenti
caratteristiche morfologiche. La diagnosi di EB
porta il gastroenterologo a pianificare un followup più stretto del paziente. Uno dei problemi più
pressanti nell’ambito di EB è il riconoscimento
della displasia, la quale è una trasformazione
inequivocabilmente neoplastica che non può
regredire e rappresenta un passo importante
nella progressione verso l’adenocarcinoma. Da
un punto di vista morfologico la displasia viene
classificata in basso e alto grado a seconda di
differenti caratteristiche istologiche (distorsione
architetturale, atipia citologica) (6); purtroppo
innumerevoli lavori in letteratura sottolineano
come sia il riconoscimento della displasia che la
sua classificazione siano soggetti a una estrema
soggettività (9-10), per cui diventa pressante la
necessità di precisi criteri morfologici condivisi
per giungere a una diagnosi corretta.
IF
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> Educazione permanente
Stomaco
Nell’ambito della patologia gastrica, un ruolo di primaria importanza è sicuramente quello della “gastrite”,
definita genericamente come qualsiasi infiammazione
della mucosa gastrica confermata istologicamente.
Dal punto di vista epidemiologico, l’incidenza e la
prevalenza della gastrite equivale a quella dell’infezione da Helicobacter pylori (HP), che colpisce circa
il 50% della popolazione mondiale (1).
Quando il gastroenterologo
interpella il patologo: indicazioni cliniche
per il campionamento bioptico
• Diagnosi di gastrite: una valutazione completa della patologia
infiammatoria gastrica richiede un’accurata valutazione
clinica, l’esecuzione di indagini sierologiche specifiche
(dosaggio del pepsinogeno, valutazione di anticorpi antiagenti infettivi o anti-cellule parietali gastriche) e soprattutto
un’attenta indagine endoscopica seguita dall’esecuzione di
biopsie effettuate secondo protocolli standardizzati
• Follow-up dopo terapia eradicante HP: importante
in questo caso è l’esecuzione bioptica, al fine di
confermare l’assenza di infezione dopo adeguato
trattamento antibiotico. È necessario, infatti, tener
presente che l’infezione da HP è un importante fattore
di rischio per lo sviluppo di atrofia gastrica (la quale
può successivamente portare a cancro)
• Follow-up nell’ambito di gastrite atrofica: fondamentale l’analisi istologica in quanto l’atrofia gastrica è un
importante fattore di rischio per lo sviluppo dell’adenocarcinoma gastrico di tipo intestinale (2)
• Lesioni endoscopicamente sospette: di primaria
importanza in questo caso è la conferma dal punto di
vista istologico, in particolare per distinguere la natura
della lesione (benigna vs maligna).
Cosa il gastroenterologo
deve dire al patologo
Di primaria importanza nell’ambito di una corretta valutazione istopatologica è una completa e dettagliata
storia clinica del paziente; in particolare il gastroenterologo deve indicare la patologo:
• Il motivo che ha portato all’esecuzione
dell’indagine endoscopica
• I risultati di indagini sierologiche specifiche
(dosaggio del pepsinogeno, valutazione di
anticorpi anti-agenti infettivi o anti-cellule
parietali gastriche)
• La presenza di eventuali patologie
concomitanti (malattie autoimmuni)
• Le eventuali terapie assunte dal paziente
(precedente terapia eradicante per HP,
assunzione di farmaci antinfiammatori non
steroidei, inibitori di pompa protonici).
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• Esofagite da reflusso: le caratteristiche
morfologiche che contraddistinguono questa
condizione sono le seguenti: iperplasia delle
cellule dello strato basale (> = 15% dello
spessore dell'epitelio), allungamento delle
papille (> = 50% dello spessore dell'epitelio),
infiltrato infiammatorio intraepiteliale e spazi
dilatati intercellulari (DIS). Esistono diversi gradi
di esofagite da reflusso: si va dal grado lieve
(G1) fino al grado severo (G3), a seconda della
quantità di infiltrato infiammatorio riscontrato
all’interno dell’epitelio esofageo e alla
presenza o meno di erosioni del rivestimento
epiteliale superficiale associate all’eventuale
presenza di tessuto di granulazione (6).
289
IF
figura 2 mappatura bioptica del campionamento
della mucosa gastrica
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Oltre a ciò è fondamentale una precisa descrizione delle caratteristiche endoscopiche di eventuali lesioni e una corretta
indicazione della sede in cui viene fatto il campionamento
bioptico.
Come il gastroenterologo
deve eseguire le biopsie
Per quanto riguarda il campionamento bioptico, sulla
scorta della storia naturale della gastrite e del relativo
rischio di sviluppo di cancro, un gruppo internazionale di gastroenterologi e patologi (Operative Link for
Gastritis Assessment- OLGA) ha proposto un sistema di stadiazione della gastrite che sulla base delle
caratteristiche istologiche assegna un grado che va
da 0 a IV (maggiore è il grado, maggiore è il rischio
di sviluppo di cancro) (3,4) (tabella 1). Al fine di una
corretta stadiazione della gastrite secondo il sistema
OLGA, è necessario che le biopsie vengano eseguite
secondo un ben definito protocollo di campionamento
bioptico (come raccomandato dal sistema di Sydney)
(5,6) (figura 2). In particolare è importante che vengano eseguite biopsie multiple che vadano ad indagare
le differenti regioni della mucosa gastrica, eseguendo
un vero e proprio “mapping” dello stomaco. Il protocollo di Houston-Sydney (5) prevede l’esecuzione di
almeno 5 biopsie poste in contenitori separati:
Vincenzo Villanacci et al > La domanda del Gastroenterologo e la risposta del Patologo
290
• due a livello dell’antro distale (una lungo la
piccola curva e una lungo la grande curva)
• una a livello dell’incisura angularis lungo
la piccola curvatura (dove eventuali
modificazioni atrofiche-metaplastiche si
riscontrano più frequentemente)
• due a livello del corpo prossimale (una
lungo la parete anteriore e una lungo la
parete posteriore).
Le biopsie eseguite devono essere correttamente orientate
su dei filtri di acetato di cellulosa e poste in adeguati contenitori contenenti formalina.
Cosa il patologo deve rispondere
Presupponendo delle informazioni cliniche adeguate ed
un corretto campionamento bioptico, il patologo deve
fornire delle informazioni chiare ed esaustive che inquadrino la condizione del paziente in una precisa entità:
• Gastrite attiva da HP: morfologicamente, accanto
a una flogosi marcata della mucosa gastrica, con
elementi infiammatori costituiti in prevalenza
da granulociti neutrofili aggressivi sulle strutture
ghiandolari della lamina propria, si rileva la
presenza dell’HP, che si localizza nella maggior
parte dei casi all’interno dello strato mucoso che
ricopre l’epitelio della mucosa gastrica. Il patologo
segnala la presenza di infezione da HP e stabilisce
uno score (da 1 a 3) sulla base della quantità di
microorganismi rilevati.
• Gastropatia da reflusso duodeno-gastrico: questa
particolare entità patologica è caratterizzata
principalmente dalla presenza di infiammazione
di grado lieve della mucosa gastrica, con elementi
infiammatori non aggressivi sulle strutture ghiandolari
e costituenti un blando infiltrato all’interno della lamina
propria; l’epitelio foveolare di rivestimento superficiale
mostra note di iperplasia indicative di un persistente
reflusso duodeno-gastrico.
tabella 1: sistema di stadi azione OLGA
Corpus
Atrophy Score
A
n
t
r
u
m
No Atrophy (score 0)
(including incisura angularis)
Mild Atrophy (score 1)
(including incisura angularis)
Moderate Atrophy (score 2)
(including incisura angularis)
Severe Atrophy (score 3)
(including incisura angularis)
No Atrophy
(score 0)
Mild Atrophy
(score 1)
Moderate Atrophy
(score 2)
Severe Atrophy
(score 3)
Stage 0
Stage I
Stage II
Stage II
Stage 1
Stage I
Stage II
Stage III
Stage 2
Stage II
Stage III
Stage IV
Stage 3
Stage III
Stage IV
Stage IV
IF
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• Gastrite di tipo a o autoimmune: trattasi di una particolare
entità patologica caratterizzata dal punto di vista
eziopatogenetico da una reazione autoimmune attiva
nei confronti delle cellule parietali gastriche (associata alla
presenza di auto-anticorpi diretti contro le cellule parietali
stesse o contro il fattore intrinseco da esse prodotto). Dal
punto di vista clinico si sviluppa un quadro sindromico
caratterizzato da ipo/acloridria, ipergastrinemia, diminuito
rapporto pepsinogeno I/pepsinogeno II e anemia
macrocitica da deficit di vitamina B12. Istologicamente
si rileva la presenza di metaplasia intestinale a livello
delle ghiandole ossintiche; contemporaneamente l’ipo/
acloridria provoca ipersecrezione di gastrina la quale
stimola le cellule enterocromaffino-simili (ECL) della
mucosa ossintica, con conseguente iperplasia delle
cellule ECL; altra importante caratteristica morfologica è
la presenza di estesa atrofia della mucosa gastrica. È
necessario tener presente come una spiccata iperplasia
delle cellule ECL può degenerare nello sviluppo di
tumore neuroendocrino ben differenziato (carcinoide di
tipo I) (3).
• Stadiazione della gastrite secondo OLGA: per
il patologo è di primaria importanza applicare
il sistema di stadiazione OLGA alla gastrite
diagnosticata morfologicamente, in quanto predice
in modo efficace e preciso il rischio di sviluppo
di cancro gastrico. Tale stadiazione si basa
essenzialmente sulla presenza di atrofia, ormai
accertato fattore di rischio per cancro gastrico
(3,4). Esistono due tipi principali di atrofia: quella
non metaplastica (che consiste nella progressiva
scomparsa degli elementi ghiandolari con fibrosi
della lamina propria) e quella metaplastica (con
presenza di metaplasia intestinale di tipo completo
o incompleto a carico degli elementi ghiandolari). Il
sistema OLGA prevede 4 stadi (da 0 a IV) e si ottiene
dalla combinazione del grado di atrofia identificata
istologicamente (lieve, moderata, severa) con la
sede in cui la stessa è presente (antro gastrico,
corpo gastrico) (4,7). In questo modo il patologo
fornisce al gastroenterologo un dato chiaro e
preciso e gli permette di orientarsi nella gestione
più adeguata al singolo paziente, programmando
un follow-up mirato.
Intestino tenue
Nell’ambito della patologia intestinale, la malattia celiaca, la cui incidenza in Europa oscilla tra 0.3% e
1.2%, ha sicuramente un ruolo di primaria importanza. In Italia le più recenti statistiche hanno stimato
la prevalenza della patologia intorno a 1/100, e ogni
anno vengono diagnosticati circa 5000 nuovi casi di
malattia celiaca (1). Questa diagnosi è quanto mai
complessa e si basa su diversi aspetti: presenza di
sintomi suggestivi di malattia celiaca (sindrome da
malassorbimento con diarrea, dolore addominale e
perdita di peso), dati sierologici specifici (elevati valori sierici di anticorpi IgA antitransglutaminasi, anticorpi IgA antiendomisio) e caratteristiche istologiche
distintive. Va comunque tenuto ben presente che
attualmente molte forme di celiachia vengono individuate tramite programmi di screening (es, valutazione dei parenti di primo grado) od accertamenti in
merito a sintomi non spiegabili da altre cause (anemia, infertilità, etc).
Quando il gastroenterologo
interpella il patologo: indicazioni cliniche
per il campionamento bioptico
• Diagnosi di malattia celiaca: in soggetti
con sierologia positiva (caratterizzata dalla
presenza di elevati livelli sierici di anticorpi
IgA antitransglutaminasi e antiendomisio), o in
cui la sintomatologia è fortemente suggestiva
di malattia celiaca, risulta imperativa
l’esecuzione di indagine endoscopica seguita
da un corretto campionamento bioptico
• Diagnosi di malassorbimento non
correlato a celiachia: nel sospetto di
malassorbimento correlato a condizioni
infettive (infestazioni parassitarie,
infezioni virali, malattia di Crohn, ecc…)
è fondamentale l’analisi istologica, per
escludere la presenza di malattia celiaca e
permettere l’impostazione della terapia più
adeguata al singolo caso
• Follow-up di malattia celiaca: è importante
tener presente come la condizione di
celiachia, se non trattata adeguatamente
attraverso una rigorosa dieta priva di
glutine, è gravata dalla possibilità di
evoluzione in gravi complicanze quali
la sprue refrattaria, la digiuno ileite
ulcerativa e il linfoma T intestinale (1). Per
questo nel follow-up del paziente diventa
fondamentale l’esecuzione bioptica, al fine
di impostare il trattamento terapeutico più
adeguato al singolo paziente.
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• Gastropatia da farmaci: questa condizione, che
può coesistere con le entità patologiche sopra
descritte, si riscontra sempre più frequentemente a
causa dell’ampio uso di farmaci, soprattutto farmaci
antinfiammatori non steroidei (FANS). Istologicamente
si riscontra un relativo aumento del numero di
granulociti eosinofili nella lamina propria della mucosa
gastrica, associato a un grado variabile di infiltrato
infiammatorio misto linfo-plasmo-granulocitario
neutrofilo.
291
IF
Iniziative Formative
> Educazione permanente
Cosa il gastroenterologo
deve dire al patologo
Di primaria importanza nell’ambito di una corretta valutazione istopatologica della malattia celiaca è una
completa e dettagliata storia clinica del paziente; in
particolare il gastroenterologo deve indicare la patologo:
• La sintomatologia clinica del paziente e il
conseguente livello di sospetto di malattia
celiaca (presenza di sintomi fortemente
suggestivi di malattia celiaca come diarrea,
dolore addominale e perdita di peso
presenza di sintomi atipici come anemia,
ulcere orali, dispepsia, stipsi, vomito)
• La dieta seguita dal paziente al momento
dell’esecuzione dell’indagine endoscopica
(dieta contenente glutine o dieta priva di
glutine; in quest’ultimo caso è necessario
specificare per quanto tempo il paziente è
stato a dieta)
• I risultati di indagini sierologiche
specifiche (dosaggio di anticorpi IgA
antitransglutaminasi eantiendomisio)
• I risultati di test genetici specifici
(tipizzazione HLA DQ2/HLA DQ8)
Vincenzo Villanacci et al > La domanda del Gastroenterologo e la risposta del Patologo
292
• La presenza di eventuali patologie
concomitanti (malattie autoimmuni)
• La presenza o meno di anamnesi familiare
positiva per malattia celiaca
• Le eventuali terapie assunte dal paziente.
Oltre a ciò è fondamentale una precisa descrizione delle caratteristiche endoscopiche e una corretta indicazione della
sede in cui viene fatto il campionamento bioptico.
Come il gastroenterologo
deve eseguire le biopsie
Per quanto riguarda il campionamento bioptico, è necessario che vengano eseguite almeno 4 biopsie duodenali, di cui 2 effettuate nella seconda porzione duodenale
e 2 effettuate nella terza porzione duodenale. L’effettuazione di una sola biopsia a livello del bulbo duodenale è
fonte di errore e dovrebbe essere evitata (2).
Le biopsie eseguite devono essere correttamente orientate su dei filtri di acetato di cellulosa e poste in adeguati
contenitori contenenti formalina.
Cosa il patologo deve rispondere
Presupponendo delle informazioni cliniche adeguate ed
un corretto campionamento bioptico, il patologo deve
fornire delle informazioni chiare ed esaustive che inquadrino la condizione del paziente in una precisa entità:
• Celiachia: morfologicamente, lo spettro delle
manifestazioni della malattia celiaca è quanto mai
variabile, a seconda della combinazione di più lesioni
c.d. “elementari” (1). Queste, in sintesi, sono:
- Incremento del numero di linfociti T intraepiteliali
CD3+ superiore al valore di 25/100 cellule epiteliali;
-Diminuzione del rapporto villo/cripta inferiore a
3/1;
- Iperplasia delle cripte ghiandolari nella lamina
propria;
- Atrofia dei villi di grado lieve/moderato/severo.
Dalla combinazione di queste “lesioni elementari” è
possibile classificare la condizione di malattia celiaca
in diverse categorie. Esistono diverse classificazioni
che possono essere considerate dal patologo; la più
semplice, sintetica e immediata è a nostro parere
quella proposta da Corazza-Villanacci (figura 3), che
prevede le seguenti categorie:
- Grado A: lesioni caratterizzate da un incremento
del numero di linfociti T intraepiteliali CD3+
superiore al valore di 25/100 cellule epiteliali in
assenza di alterazioni del rapporto villo/cripta;
- Grado B1: lesioni in cui, oltre ad un incremento del
numero di linfociti T intraepiteliali CD3+ superiore
al valore di 25/100 cellule epiteliali, il rapporto villo/
cripta è inferiore a 3/1, nonostante i villi duodenali
siano ancora identificabili;
- Grado B2: lesioni in cui, oltre ad un incremento
del numero di linfociti T intraepiteliali CD3+
superiore al valore di 25/100 cellule epiteliali, vi è
atrofia totale dei villi, che non sono più identificabili
morfologicamente.
• Follow-up di Malattia Celiaca: le complicanze a cui
può andare incontro un paziente celiaco, soprattutto
se non adeguatamente trattato con dieta priva
di glutine o se non responsivo dal punto di vista
sintomatologico a tale dieta, sono essenzialmente
quattro:
- Sprue collagena: è una condizione piuttosto rara,
caratterizzata istologicamente dalla presenza
di tessuto fibroso al di sotto dell’epitelio di
rivestimento superficiale duodenale
- Sprue refrattaria: morfologicamente si riscontra
una perdita dell’antigene CD8 (all’indagine
immunoistochimica) da parte dei linfociti
T intraepiteliali, che invece mantengono
l’espressione del marker CD3
- Digiunoileite ulcerativa: si caratterizza per la
presenza di estese ulcerazioni della mucosa
duodenale, spesso associate alla presenza di
sprue refrattaria
- Linfoma T intestinale: istologicamente si rileva la
presenza di un infiltrato monomorfo di elementi
linfocitari atipici all’interno della mucosa duodenale
IF
Iniziative Formative
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A) ematossilina-eosina
B) colorazione immunoistochimica per CD3
Mucosa duodenale con villi architetturalmente nei limiti della normale variabilità morfologica (rapporto villo/cripta > 3/1)
ed incremento patologico del numero dei linfociti T intraepiteliali (più di 25 linfociti ogni 100 cellule epiteliali). Nella lamina
propria strutture ghiandolari iperplastiche; (lesione tipo 2 sec. Marsh e sec. Marsh modificato da Oberhuber, grado A sec. la
nuova classificazione proposta C.V. Journal of Clinical Pathology 2005).
c) ematossilina-eosina
d) colorazione immunoistochimica per CD3
Mucosa duodenale con atrofia dei villi di grado lieve (rapporto villo/cripta < 3/1) ed incremento patologico del numero dei
linfociti T intraepiteliali (più di 25 linfociti ogni 100 cellule epiteliali); (lesione tipo 3 sec. Marsh, tipo 3A sec. Marsh modificata
da Oberhuber, grado B1 sec. la nuova classificazione proposta, Journal of Clinical Pathology 2005).
E) ematossilina-eosina
F) colorazione immunoistochimica per CD3
Mucosa duodenale con atrofia dei villi di grado severo (rapporto villo/cripta < 3/1) ed incremento patologico del numero
dei linfociti T intraepiteliali (più di 25 linfociti ogni 100 cellule epiteliali); (lesione tipo 3 sec. Marsh, tipo 3C sec. Marsh
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figura 3: Dal punto di vista istologico, lo spettro delle manifestazioni della malattia celiaca
è quanto mai vario e proteiforme; in figura sono mostrati alcuni quadri morfologici (in ematossilinaeosina e con colorazione immunoistochimica per CD3) che si possono riscontrare in corso di celiachia.
modificata da Oberhuber, grado B2 sec. la nuova classificazione proposta, Journal of Clinical Pathology 2005).
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IF
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Colon
Vincenzo Villanacci et al > La domanda del Gastroenterologo e la risposta del Patologo
294
Cosa il gastroenterologo
deve dire al patologo
Nell’ambito della patologia colica, un ruolo di primaria
importanza è sicuramente quello delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), nello specifico colite
ulcerosa e malattia di Crohn, la cui incidenza è sempre
più in continuo incremento in tutti i paesi (anche al di
fuori del mondo occidentale) ed in tutte le fasce sociali.
I costi di gestione della patologia di conseguenza sono alti, e comprendono attività di diagnosi, di terapia,
di supporto del paziente.
Un aspetto cruciale del problema è rappresentato dal
percorso diagnostico. Una diagnosi di malattia incongrua produce trattamenti ed attività di follow-up su pazienti non sicuramente affetti da malattia: questo, oltre
agli intuibili problemi di tipo etico, provoca una cattiva
gestione delle notevoli risorse che, come sopra detto, il
trattamento della patologia richiede.
In particolar modo, nell’ambito di pazienti pediatrici, diventa ancora più pressante l’urgenza di trovarsi di fronte ad una diagnosi precisa e quanto mai sicura di IBD.
È importante sottolineare l’importanza del primo inquadramento diagnostico del paziente, che si effettua in una situazione non più riproducibile nelle fasi
successive, quando le terapie e la storia naturale delle lesioni correlate impediscono diagnosi differenziali
attendibili. In questa fase la stretta collaborazione tra
gastroenterologo, endoscopista ed anatomopatologo, sicuramente incentivata ed “istituzionalizzata”
dalla creazione di team multidisciplinari, risulta indispensabile nel raggiungimento dell’obiettivo.
Di primaria importanza nell’ambito di una corretta valutazione istopatologica delle IBD è una completa e
dettagliata storia clinica del paziente, come è stato
ribadito nelle linee guida ECCO (1-3); in particolare il
gastroenterologo deve indicare la patologo:
Quando il gastroenterologo
interpella il patologo: indicazioni cliniche
per il campionamento bioptico
Dal punto di vista endoscopico, è importante che il gastroenterologo riporti nel referto le caratteristiche dei vari
segmenti intestinali e colici esaminati, con una dettagliata descrizione delle lesioni maggiori rilevate, in particolare
specificando se le stesse siano continue o segmentali e
se siano associate o meno alla presenza di concomitante
malattia diverticolare.
• Diagnosi di IBD: a fronte di sintomi clinici
che indirizzano verso una condizione di IBD
(diarrea cronica da più di 6 mesi, ematochezia,
dolore addominale, febbre, perdita di peso,
fistole anali, manifestazioni extraintestinali
nella fattispecie manifestazioni articolari,
cutanee, oculari) è imperativa l’esecuzione di
un’attenta indagine endoscopica completata
da un corretto campionamento bioptico
effettuato secondo protocolli standardizzati
• Follow-up di IBD: fondamentale dopo
una diagnosi certa di IBD e in seguito
all’impostazione di una adeguata terapia, è
l’analisi istopatologica, la quale, effettuata
nel tempo, mira alla definizione della
presenza di attività della malattia e del grado
della stessa, così come all’identificazione
di una eventuale displasia.
• l’età del paziente, i sintomi e i segni che possono
aver portato a supporre una diagnosi di malattia
infiammatoria cronica intestinale (diarrea cronica,
ematochezia, dolore addominale, febbre, perdita
di peso), eventuali patologie concomitanti in
anamnesi (manifestazioni cutanee, articolari,
oculari) e terapie a cui si è sottoposto lo stesso
• I risultati di indagini laboratoristiche specifiche
(incremento dei valori di VES, PCR, leucocitosi,
indagini microbiologiche sulle feci, test
immunologici) e di eventuali indagini di imaging come ecografia, TAC e/o risonanza magnetica
(queste ultime soprattutto quando l’esecuzione
di indagini endoscopiche viene preclusa dalla
presenza di eventuali stenosi intestinali);
importante è il ruolo della coprocoltura per
la diagnosi differenziale con la colite batterica
(che secondo le linee guida ECCO deve esser
esclusa per porre diagnosi di IBD)
• durante il follow-up, il clinico (endoscopista o
gastroenterologo) dovrebbe fornire il materiale
relativo ai precedenti controlli (soprattutto relativi
alla prima endoscopia “di inquadramento”), se
non eseguiti presso la stessa struttura.
Come il gastroenterologo
deve eseguire le biopsie
È di primaria importanza l’esecuzione di un estensivo
campionamento bioptico, attraverso l’effettuazione
di biopsie in ogni segmento intestinale/colico esaminato, che devono essere correttamente identificate e
poste su filtri di acetato di cellulosa che ne permettano un adeguato orientamento con esatta e precisa
valutazione della mucosa e della sottomucosa da
parte del patologo. Secondo le più recenti linee guida (1-2) dovrebbero essere eseguite almeno 2 biopsie per ogni segmento colico esaminato (cieco, colon ascendente, colon trasverso, colon discendente,
sigma e retto) e per l’ileo terminale.
Cosa il patologo deve rispondere
• Diagnosi di IBD. Presupponendo delle
informazioni cliniche adeguate ed un corretto
campionamento bioptico, la diagnosi istologica
di malattia infiammatoria cronica intestinale
rimane comunque alquanto complessa per il
patologo, in quanto si basa sulla coesistenza di
differenti caratteristiche morfologiche valutate
in ematossilina-eosina. Di seguito sono riportati
i criteri morfologici che secondo le linee guida
ECCO (1-2) portano a una diagnosi di malattia
infiammatoria cronica intestinale:
• Rettocolite Ulcerosa
- Plasmocitosi basale (presenza di
plasmacellule intorno o al di sotto delle
cripte)
- Cospicuo incremento della cellularità della
lamina propria
- Diffuso disturbo architetturale degli
elementi ghiandolari.
• Malattia di Crohn
- Infiltrato infiammatorio cronico focale e
discontinuo
- Focale disturbo architetturale degli
elementi ghiandolari
- Presenza di granulomi.
tabella 2: caratteristiche cliniche, endoscopiche ed istopatologiche
delle malattie infiammatorie croniche intestinali
Patologia
Colite ulcerosa
Malattia di Crohn
Dati clinici
Alterazioni istologiche
Distribuzione delle lesioni
Metodiche
istologiche
Diarrea,
sanguinamento
rettale
Alterazione della superficie mucosa, disturbo
architetturale degli elementi ghiandolari,
atrofia ghiandolare, deplezione mucipara,
criptite e/o ascessi criptici, diffuso infiltrato
linfoplasmacellulare nella lamina propria,
plasmocitosi basale
Risparmio ileale, lesioni diffuse,
coinvolgimento del colon sinistro
Valutazione
in ematossilina-eosina
Diarrea cronica,
dolore addominale,
febbre
Focale disturbo architetturale degli elementi
ghiandolari, ulcere aftoidi, criptite focale,
focale infiltrato linfoplasmacellulare
nella lamina propria, granulomi epitelioidi
Coinvolgimento ileale,
lesioni segmentali,
coinvolgimento del colon destro,
possibile risparmio rettale
Valutazione
in ematossilina-eosina
Giorn Ital End Dig 2013;36:287-296
L’adeguatezza del materiale non è una raccomandazione teorica, ma ha un impatto fondamentale sul
processo di diagnosi istologica: solo un buon campionamento permette di individuare lesioni spesso
focali ed irregolarmente distribuite ed un corretto
orientamento delle biopsie consente di comprendere nella sezione istologica gli strati profondi (lamina
propria ed eventule sottomucosa), dove spesso il
quadro istologico assume i tratti più specifici (vedi
la distribuzione della flogosi della parete nella malattia di Crohn e la plasmocitosi basale nelle fasi iniziali
della patologia).
• Attività/inattività (cronicità) della malattia di base.
Fondamentale nell’ambito del follow-up delle malattie
infiammatorie croniche intestinali è la definizione dello
stato di malattia, ossia la determinazione di uno stato
di attività (e quindi del suo grado) o di cronicità della
stessa; ciò costituisce una importante implicazione
terapeutica, anche alla luce della notevole congerie
di farmaci tuttora disponibili nel trattamento di
queste patologie (basti solo citare, oltre alle terapie
convenzionali a base di corticosteroidi, la notevole
importanza dei farmaci “biologici” come infliximab
ed adalimumab) e presuppone un considerevole
impatto prognostico. Esistono diversi “score” di attività
di malattia, basati su criteri clinici ed endoscopici;
nonostante tutto, diversi studi in letteratura hanno
dimostrato come il criterio più rilevante sia senza
dubbio quello istologico. Infatti, frequentemente la
normalità clinica ed endoscopica non corrisponde
istologicamente ad una totale assenza di attività della
malattia. Di seguito vengono riportate le caratteristiche
morfologiche che permettono al patologo una esatta
definizione di attività o meno nell’ambito della colite
ulcerosa e della malattia di Crohn.
• Cronicità di malattia
- Disturbo architetturale degli elementi ghiandolari
- Infiammazione della lamina propria
- Plasmocitosi basale
- Metaplasia a cellule di Paneth
- Presenza di granulomi.
• Attività di malattia
- Criptite
- Presenza di ascessi criptici
- Erosioni del rivestimento epiteliale superficiale
- Presenza di ulcerazioni
-Mucodeplezione.
In particolare, nell’ambito della colite ulcerosa, il
patologo deve specificare, nel contesto di attività di
malattia, il grado della stessa (lieve, moderato, severo),
nonché l’eventuale presenza di aree con un quadro di
risoluzione/remissione della malattia di base.
• Presenza di displasia. Di precipua importanza
nell’ambito del follow-up delle malattie infiammatorie
croniche intestinali è la corretta definizione della
presenza o meno di displasia e del grado della
stessa; ciò permette di impostare il programma di
sorveglianza più adeguato al singolo paziente.
295
IF
Iniziative Formative
> Educazione permanente
Corrispondenza
Vincenzo Villanacci
Anatomia Patologica
Spedali Civili
Piazzale Spedali Civili, 1 - 25100 Brescia
Tel. + 39 030 3995 479
Fax + 39 030 3995 053
e-mail: [email protected]
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