Archivio selezionato: Sentenze Cassazione penale Autorità

Archivio selezionato: Sentenze Cassazione penale
Autorità: Cassazione penale sez. IV
Data: 05/04/2011
Numero: 16328
Classificazioni: REATO COLPOSO IN GENERE - Colpa professionale
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco
- Presidente
Dott. BRUSCO
Carlo Giuseppe - Consigliere Dott. FOTI
Giacomo
- Consigliere Dott. BIANCHI Luisa
- Consigliere Dott. BLAIOTTA Rocco Marc - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1)
R.M., N. IL (OMISSIS) parte civile;
contro
1)
M.G., N. IL (OMISSIS) imputato;
2)
L.R., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 533/2009 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di
ROSSANO, del 09/02/2010;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO
MARCO
BLAIOTTA;
sentite le conclusioni del PG Dott. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha
chiesto l'inammissibilità.
Udito il difensore avv. Nicoletti per gli imputati che ha chiesto il
rigetto del ricorso e l'avv. Baraj per la parte civile, che ha
chiesto l'accoglimento del ricorso.
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale di Rossano ha emesso sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425
c.p.p., nei confronti di M. G. e L.R. in ordine al reato di omicidio colposo in danno di Ra.Ma.,
per non aver commesso il fatto.
2. Ricorre per cassazione la persona offesa costituitasi parte civile. Si afferma che,
contrariamente a quanto ritenuto dal giudice, è certa l'imperizia e la negligenza nonchè la
condotta omissiva degli indagati, atteso che è stata compiuta una diagnosi clamorosamente
erronea e che, se fosse stata prestata la normale diligenza, il paziente si sarebbe salvato.
Erroneamente non furono disposti i necessari approfondimenti diagnostici; ed i sanitari sono
pervenuti addirittura a paventare una patologia assolutamente inconciliabile con alcuni
sintomi prospettati, spedendo il paziente nel reparto di neurologia di altro ospedale sebbene
stesse per morire a causa di patologia di tutt'altro genere. E' ben vero che la diagnosi era
difficoltosa ma ciò fu dovuto solo al fatto che venne omesso qualunque appropriato
accertamento diagnostico.
Pure erronea è la valutazione del giudice in ordine alla inevitabilità dell'evento letale. Infatti
una tempestiva e corretta diagnosi avrebbe consentito l'esecuzione di intervento chirurgico
per l'apposizione del cosiddetto palloncino, salvando la vita del paziente. In tale situazione il
quadro probatorio avrebbe comunque richiesto la verifica dibattimentale, atteso che gli
elementi raccolti non mostravano assolutamente una manifesta infondatezza della notizia di
reato.
3. Il ricorso è infondato.
La pronunzia impugnata sintetizza il fatto nei seguenti termini.
Verso le 15 la vittima veniva colta da malore mentre svolgeva il suo lavoro di autista; verso
le 17,30 giungeva al pronto soccorso dell'ospedale di (OMISSIS) in stato comatoso da
sospetta lesione ischemica cerebrale. Furono eseguiti alcuni esami diagnostici come
elettrocardiogramma ed ecocolordoppler e si giunse ad escludere che fosse in atto patologia
cardiaca acuta, essendo gli enzimi cardiaci e l'elettrocardiogramma nella norma. Il coma
veniva quindi attribuito a problemi neurologici ed il paziente fu quindi trasferito nel vicino
ospedale di (OMISSIS) nel reparto di neurologia ove giungeva alle ore 23,12. Il R.
manifestava stato soporoso. Venivano richiesti esami diagnostici ma intorno alle 10 del
mattino il paziente veniva meno per arresto cardiocircolatorio.
L'esame autoptico consentiva di appurare che l'evento letale era stato determinato da
tamponamento cardiaco conseguente a rottura dell'aorta.
Agli imputati M. e L., nella rispettiva qualità di medico di pronto soccorso e cardiologo
dell'ospedale di (OMISSIS), è stato mosso l'addebito di aver cagionato l'evento per non aver
eseguito una corretta valutazione clinica del paziente; e di aver in particolare omesso
l'esecuzione di una tac toracica che avrebbe consentito una corretta diagnosi.
Il Tribunale, nel valutare la condotta dei sanitari in questione, ha enunciato il principio che
l'individuazione della colpa di cui all'art. 43 c.p. deve essere rapportata alla specifica difficoltà
del problema tecnico-scientifico affrontato: come ritenuto anche dalla giurisprudenza di
legittimità la norma di cui all'art. 2236 c.c. deve trovare applicazione come regola di
esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia quando il caso concreto imponga
la soluzione di problemi particolarmente ardui.
Il giudice ha altresì enunciato che nell'ambito della causalità omissiva l'imputazione
dell'evento può aver luogo qualora l'azione doverosa avrebbe potuto impedire l'evento con un
apprezzabile grado di probabilità.
Alla luce di tali principi, secondo il giudice di merito, le valutazioni cui sono giunti i
consulenti tecnici del pubblico ministero sono pienamente condivisibili, essendo
correttamente argomentate e basate sulle acquisizioni probatorie. A tale riguardo si considera
che le dissezione dell'aorta verificatasi nel caso in esame è di tipo A; che essa ha una prognosi
fortemente infausta e può essere fronteggiata solo con un intervento chirurgico non praticabile
negli ospedali della zona; presenta un polimorfismo sintomatologico che rende all'inizio
praticamente impossibile porre una diagnosi differenziale rispetto all'infarto ed alla
neoencefalopatia ischemica. Anche l'ecocardiografia può non evidenziare una iniziale
dissezione o un iniziale versamento interparietale di sangue. La tac toracicoaddominale,
strumento presente nell'ospedale di (OMISSIS), avrebbe consentito di porre una corretta
diagnosi. Tuttavia occorre che il sospetto clinico sia supportato dalla presenza di una
sintomatologia dolorosa tipica, che nella specie non era segnalata in alcun modo; nonchè da
esami strumentali. Gli imputati, considera ancora il Tribunale, hanno correttamente eseguito
esami ematochimici in presenza di un quadro sintomatologico aspecifico, polimorfo e di
difficile interpretazione, stante la negatività dell'elettrocardiogramma e della tac encefalica
nonchè dell'ecodoppler. Inoltre, considerato il grave quadro clinico tale da richiedere ulteriori
accertamenti diagnostici neurologici strumentali in un reparto specializzato, è stato
correttamente disposto il sollecito trasferimento del paziente nel reparto di neurologia di altro
vicino ospedale. In tale situazione, come a suo tempo richiesto dal pubblico ministero con
istanza di archiviazione, essendosi in presenza di riconosciuta complessità del quadro clinico
occorre considerare che il percorso diagnostico venne fuorviato dalla molteplicità di sintomi
e segni non univoci e dall'esito non dirimente degli esami strumentali. In tale situazione si
ravvisa che gli imputati siano immuni da colpa, in considerazione anche del fatto che si era
nelle prime e pressanti ore del ricovero.
Tale valutazione è conforme ai principi e basata su plurime e significative acquisizioni
probatorie che vengono correttamente analizzate.
4. La pronunzia considera correttamente che la colpa del medico deve essere rapportata alle
contingenze del caso concreto, alla difficoltà dell'indagine ed alla situazione nella quale il
sanitario si trova ad operare. In effetti, alcune professioni, quella medica in primo luogo,
hanno ad oggetto attività difficili e rischiose.
Occorre quindi modulare con attenzione il giudizio, tenendo conto della complessità del
compito in ogni specifica contingenza.
Molte volte si agisce sotto la pressione di eventi incalzanti, in uno stato che rende difficile,
confuso, incerto anche ciò che astrattamente non lo sarebbe. Altre volte la sintomatologia e
l'esito delle indagini rendono difficile pervenire con certezza alla diagnosi. Questo spiega
perchè l'ambito di cui si discute sia stato spesso collegato alla figura della colpa grave.
Infatti, la più antica giurisprudenza di legittimità in tema di colpa nell'esercizio della
professione medica si caratterizzava per particolare larghezza: si affermava che la
responsabilità penale può configurarsi solo nei casi di colpa grave e cioè di macroscopica
violazione delle più elementari regole dell'arte.
La malattia, si aggiungeva, può manifestarsi talvolta in modo non chiaro, con sintomi equivoci
che possono determinare un errore di apprezzamento, e sovente non esistono criteri
diagnostici e di cura sicuri. In un lontano caso si è affermato che la colpa grave rilevante
nell'ambito della professione medica "si riscontra nell'errore inescusabile, che trova origine o
nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione
o nei difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell'uso dei mezzi manuali o strumentali
adoperati nell'atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter adoperare
correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai
difettare in chi esercita la professione sanitaria. Pertanto, dovendo la colpa del medico essere
valutata dal giudice con larghezza di vedute e comprensione, sia perchè la scienza medica non
determina in ordine allo stesso male un unico criterio tassativo di cure, sia perchè nell'arte
medica l'errore di apprezzamento è sempre possibile, l'esclusione della colpa professionale
trova un limite nella condotta del professionista, incompatibile col minimo di cultura e di
esperienza che deve legittimamente pretendersi da chi sia abilitato all'esercizio della
professione medica". Insomma, secondo tale risalente indirizzo, l'esclusione della colpa è la
regola e l'imputazione colposa è l'eccezione che si configura solo nelle situazioni più plateali
ed estreme.
Il supporto normativo di tale orientamento è stato solitamente individuato nell'art. 2236 c.c.,
che viene inteso come volto a limitare la responsabilità ai soli casi di errore macroscopico.
Tale impostazione ha accolto, sia pure in modo molto semplificato ed acritico, l'orientamento
dottrinario che ha valorizzato, appunto la norma in questione. Il rilievo in ambito penale di
tale disposizione è stato ricondotto ad un'esigenza di coerenza interna dell'ordinamento
giuridico: si tratta di evitare che comportamenti che non concretizzano neppure un illecito
civile assumano rilevanza nel più rigoroso ambito penale. Tale connessione tra le due
normative, tuttavia, è stata sottoposta in dottrina ad importanti precisazioni: le prestazioni
richieste devono presentare speciali difficoltà tecniche, ed inoltre la limitazione dell'addebito
ai soli casi di colpa grave riguarda l'ambito dell'imperizia e non, invece, quelli della prudenza
e della diligenza. In tale visione si ritiene che la valutazione della colpa medica debba essere
compiuta con speciale cautela, nei soli casi in cui si richiedano interventi particolarmente
delicati e complessi e che coinvolgano l'aspetto più squisitamente scientifico dell'arte medica.
La questione della compatibilità tra l'indirizzo "benevolo" della giurisprudenza ed il principio
d'uguaglianza è stata posta, nell'anno 1973, all'attenzione della Corte costituzionale (Sent.
Cost. 28 novembre 1973, n. 166) che ha sostanzialmente recepito le linee della indicata
dottrina, affermando che dagli artt. 589, 42 e 43 c.p. e dall'art. 2236 c.c. è ricavabile una
particolare disciplina in tema di responsabilità degli esercenti professioni intellettuali,
finalizzata a fronteggiare due opposte esigenze: non mortificare l'iniziativa del professionista
col timore d'ingiuste rappresaglie in caso d'insuccesso e quella inversa di non indulgere verso
non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso. Tale particolare
regime, che implica esenzione o limitazione di responsabilità, però, si applica ai soli casi in
cui la prestazione comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e riguarda
l'ambito della perizia e non quelli della diligenza e della prudenza. Considerato che la deroga
alla disciplina generale della responsabilità per colpa ha un'adeguata ragion d'essere ed è
contenuta entro il circoscritto tema della perizia, la Corte ha ritenuto che non vi sia lesione
del principio d'eguaglianza.
Tuttavia, l'orientamento indulgente della più antica giurisprudenza ha finito col coprire anche
casi di grave leggerezza, determinando una situazione che è parsa a diversi studiosi in
contrasto col principio costituzionale d'uguaglianza. Si è pure condivisibilmente ritenuto che
tanta comprensione verso comportamenti spesso gravemente censurabili fosse espressione
della deteriore visone paternalistica della medicina.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte è conseguentemente mutata, anche in relazione
all'emergere di una visione del rapporto tra sanitario e paziente che pone in primo piano il
paziente stesso quale soggetto che fa valere il diritto costituzionale alla salute. A partire dagli
anni ottanta dello scorso secolo, si è affermato e consolidato un indirizzo radicalmente
contrapposto a quello antico, che esclude qualsiasi rilievo, nell'ambito penale, dell'art. 2236
c.c.; ed impone di valutare la colpa professionale sempre e comunque sulla base delle regole
generali contenute nell'art. 43 c.p..
Si osserva che la norma civile riguarda il risarcimento del danno, quando la prestazione
professionale comporta la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, e non può
essere applicata all'ambito penale nè in via estensiva, data la completezza e l'omogeneità della
disciplina penale della colpa, nè in via analogica, vietata per il carattere eccezionale della
disposizione rispetto ai principi in materia. La gravità della colpa potrà avere eventualmente
rilievo solo ai fini della graduazione della pena.
In alcune pronunzie viene anzi rimarcato che nel sanitario prudenza, diligenza e perizia non
solo non devono difettare ma devono essere particolarmente accentuate e vigili proprio per la
particolare natura dei beni (la vita e la salute) affidati alla sua cura.
Insomma la parola d'ordine è: "la colpa è uguale per tutti".
Tale indirizzo deve essere nel suo complesso ribadito. Tuttavia, non può negarsi che la
disposizione citata, se rettamente intesa, esprime un criterio di razionalità del giudizio. Questa
Corte ha già avuto modo di enunciare, condivisibilmente, che la norma civilistica può trovare
considerazione anche in tema di colpa professionale del medico, quando il caso specifico
sottoposto al suo esame imponga la soluzione di problemi di specifica difficoltà, non per
effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice
possa attenersi nel valutare l'addebito di imperizia sia quando si versi in una situazione
emergenziale, sia quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà
(Cass. 4, 21 giugno 2007, n. 39592, Rv. 237875).
In un breve ma importante passaggio, la sentenza pone in luce i contesti che per la loro
difficoltà possono giustificare una valutazione "benevola" del comportamento del sanitario:
da un lato le contingenze in cui si sia in presenza di difficoltà o novità tecnico-scientifiche; e
dall'altro (aspetto mai prima enucleato esplicitamente) le contingenze nelle quali il medico si
trova ad operare in emergenza e quindi in quella situazione turbata dall'impellenza che, come
si è sopra accennato, rende non di rado difficili anche le cose facili. Quest'ultima notazione,
valorizzata come si deve, dunque, apre alla considerazione delle contingenze del caso
concreto che dischiudono le valutazioni sul profilo soggettivo della colpa, sulla concreta
esigibilità della condotta astrattamente doverosa.
Del resto, ricercando nella giurisprudenza, si rinvengono pronunzie che valorizzano le
contingenze del caso.
In primo luogo, l'urgenza può sovvertire l'ordine delle priorità.
Ha affermato questa Corte Suprema che la circostanza dello scioglimento dell'equipe
operatoria, che abbia a verificarsi quando ancora l'intervento deve essere completato da
adempimenti di particolare semplicità, esclude l'elemento della colpa per negligenza in capo
al medico che ha abbandonato anticipatamente l'equipe, sempre che non si tratti di intervento
operatorio ad alto rischio e l'allontanamento sia giustificato da pressanti ed urgenti necessità
professionali (Cass 4, 6 aprile 2005, Rv. 231783).
Ancora, l'urgenza può esonerare da responsabilità chi; per fronteggiare una situazione critica,
si attribuisce un ruolo che eccede la sua sfera di competenza: non versa in colpa colui che
cagiona delle lesioni personali per la propria imperizia, quando, pur privo delle necessarie
competenze e capacità, si assume in condizioni di urgenza indifferibile un compito riservato
a soggetto qualificato. Il principio è stato affermato in un caso in cui una ostetrica, cui è vietato
procedere a parti non fisiologici, in presenza di una dilatazione oramai completa e non
riuscendo ad ottenere l'intervento del medico, pur dalla stessa inutilmente sollecitato, aveva
autonomamente proceduto a manovre di competenza del ginecologo dalla cui errata
esecuzione era conseguita al neonato una lesione permanente (Cass. 4, 31 gennaio 2008, Rv.
239256).
L'urgenza, poi, può determinare una situazione in cui l'intervento è reso difficile
dall'indisponibilità di strumentazione adeguata.
E' stata quindi esclusa la colpa della neonatologa che operava in un piccolo reparto ospedaliero
di ostetricia carente dei più elementari strumenti, sicchè non fu possibile intubare ed
ossigenare il neonato, con conseguenze letali. La pronunzia descrive una sala parto
drammaticamente priva dei più elementari presidi tecnici di supporto all'atto medico (Cass. 4,
25 settembre 2007, n. 44765). Situazioni come questa sembrano chiamare in causa, più che la
responsabilità del medico, quella delle istituzioni ospedaliere.
Nello stesso ordine di idee si muove altra pronunzia che ha escluso la colpa del medico che
assisteva a bordo di un'autoambulanza diretta in ospedale un paziente affetto da un grave
problema respiratorio ed omise di compiere un intervento di tracheotomia. La Corte ha
ritenuto che la speciale contingenza e l'assenza di strumentazione chirurgica adeguata e di
farmaci sedativi idonei allo scopo rendevano improponibile quell'atto medico (Cass. 4, 20
maggio 2009 n. 31975).
L'urgenza, invece, normalmente, non esonera da responsabilità il medico specialista, tanto più
se si tratta proprio di specialista dell'emergenza. Così, è stata ritenuta corretta l'affermazione
di responsabilità in un caso di mancata diagnosi e terapia tempestiva in presenza di quadro
anamnestico e sintomatico univoco di shock emorragico da rottura della milza, patologia
tipicamente riscontrabile nei politraumatizzati (Cass. 4, 18 settembre 2008, n. 40811).
Pure corretta è stata ritenuta la configurazione della colpa in un caso in cui una giovane
paziente, presentatasi al pronto soccorso con la sintomatologia tipica di una gravissima
iperglicemia, non venne sottoposta ad alcun approfondimento diagnostico di routine e venne
dimessa, con la conseguenza che in brevissimo tempo sopravvenne coma irreversibile (Cass.
4, 7 febbraio 2007, n. 29164).
Un clamoroso ed ingiustificabile errore di valutazione dello specialista in emergenza si
riscontra pure in un caso in cui un paziente, poco prima sottoposto ad endoscopia, si presentò
in pronto soccorso con una sintomatologia riconducibile alla perforazione dell'esofago.
L'ipotesi perforazione era stata già proposta dal medico di pronto soccorso; ma il chirurgo del
DEA intervenuto in quel contesto non diagnostico l'affezione nè dispose le indagini del caso,
con la conseguenza che la patologia venne trattata chirurgicamente tardivamente con
conseguenze letali; essendosi accertato che l'esito della terapia risente in misura rilevantissima
della tempestività dell'intervento (Cass. 4, 4 febbraio 2004, n. 43210).
L'urgenza, ancora, non esonera da responsabilità il sanitario che adotta condotte omissive che
non si sa se attribuire a scelte difensive o a carenze di preparazione.
In un caso recente un piccolo paziente portatore di pacemaker subisce un arresto cardiaco
durante un controllo ospedaliero. Insorge ipossia che il cardiologo fronteggia disponendo
l'invio al reparto di rianimazione per di più a braccia. Il ritardo determina gravissimo danno
cerebrale. E' stata ravvisata la colpa del cardiologo che avrebbe dovuto adottare
personalmente con immediatezza le pratiche di emergenza in attesa dell'arrivo del
rianimatore. La sua condotta è stata ritenuta censurabile anche per lo scostamento
"irragionevole ed imprudente" dalle linee guida (Cass. 4, 15 aprile 2009, Ferrara). In questo
caso, come si vede, l'urgenza è riconosciuta ma non si agisce con la doverosa immediatezza.
Questo breve quadro meramente esemplificativo conduce a ritenere che una attenta e prudente
analisi della realtà di ciascun caso può consentire di cogliere i casi nei quali vi è una particolare
difficoltà della diagnosi, sovente accresciuta dall'urgenza; e di distinguere tale situazione da
quelle in cui, invece, il medico è malaccorto, non si adopera per fronteggiare adeguatamente
l'urgenza o tiene comportamenti semplicemente omissivi, tanto più quando la sua
specializzazione gli impone di agire tempestivamente proprio in urgenza.
L'indirizzo espresso dalla pronunzia sopra indicata (Cass. 4, 21 giugno 2007, n. 39592, Rv.
237875) deve essere dunque ribadito.
Ad esso la sentenza impugnata si è correttamente ispirata, compiendo una ponderazione che,
come si è visto, ha tenuto conto della ambiguità della sintomatologia e dell'esito degli esami
ematochimici; nonchè della necessità di avviare con prontezza il paziente alla struttura
sanitaria che, nella situazione data, appariva ragionevolmente dotata delle competenze ed
attrezzature più adeguate in relazione alla prospettata patologia neurologica.
4. Occorre infine considerare che la pronunzia ha pure correttamente valutato il caso sotto il
profilo eziologico, considerando, come si è sopra accennato, che la grave patologia del
paziente (dissezione dell'aorta di tipo A) ha prognosi infausta e non avrebbe potuto comunque
essere trattata con successo nelle strutture locali.
Pur essendosi in udienza preliminare, la decisione è stata assunta sulla base di dati di fatto ben
acclarati ed alla stregua di principi di diritto corretti. La valutazione espressa dal Gup non
avrebbe quindi potuto essere controvertita nella sede dibattimentale per effetto di nuove
acquisizioni. Correttamente, quindi, è stata emessa sentenza di non luogo a procedere.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento
delle spese processuali.
Diritto
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2011
Note
Utente: GIUSEPPE LOMBARDO - www.iusexplorer.it - 25.03.2014
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