“La famiglia tra dimensione pubblica e privata: prima, durante e dopo il percorso comunitario”(Vigorelli,
Ghisotti, Maone)
Antonio Maone
La partecipazione attiva dei familiari nei percorsi post-comunitari. Lutto, colpa e riparazione.
Come per il paziente, anche per il familiare l’intervento intensivo residenziale in Comunità Terapeutica
rappresenta nella maggior parte dei casi un’opportunità preziosa e irripetibile per ricostruire l’intera
vicenda personale connessa all’impatto con la malattia e per esplorare nuove strategie di “sopravvivenza” a
lungo termine.
In molte Comunità il “lavoro con le famiglie”, nelle varie forme in cui esso si declina (gruppi multifamiliari,
sedute con le singole famiglie, ecc.), è ormai prassi consolidata. C’è, d’altronde, ampio consenso sul fatto
che l’informazione, la condivisione, il supporto fornito alle famiglie giochino un ruolo fondamentale sia nel
decorso del disturbo del paziente, sia nella riduzione del carico (burden) e nel recupero di una migliore
qualità della vita dei familiari.
La partecipazione al progetto terapeutico-riabilitativo sembra poi arricchirsi di un’ulteriore e importante
risorsa dal momento in cui dal ruolo di meri fruitori di un intervento, i familiari si propongano e vengano
coinvolti in un processo di corresponsabilizzazione attiva. E’ un processo che può aver luogo con diverse
modalità, in base alle situazioni e alle culture “locali” in cui prende forma: gruppi di auto-mutuo-aiuto,
partecipazione alle attività dei servizi, consulenza ad altri familiari, iniziative di lobbying, ecc.
Nelle varie fasi del Progetto Solaris, in corso a Roma dal 2003, è stato possibile osservare e valutare diversi
aspetti interessanti di questo nuovo approccio. Il costituirsi dei familiari dei pazienti della Comunità Sabrata
in una ONLUS ha permesso di risolvere il problema annoso della collocazione abitativa del paziente dopo la
dimissione dalla struttura, attraverso l’intestazione all’associazione dei contratti di locazione di 7
appartamenti indipendenti in cui i pazienti vivono ormai da anni, dopo il percorso comunitario, senza
manifestare ricadute e con una community tenure del 98,5%.
Sulla base di quanto direttamente osservato in questi anni, sembra legittimo ipotizzare che la natura del
processo operante nei familiari corresponsabili, si snodi attraverso alcuni passaggi-chiave:
- separazione fisica dal paziente, con il suo ingresso in Comunità;
- ridimensionamento del caos emotivo (rabbia, impotenza, colpa) attraverso la partecipazione ai
gruppi multifamiliari;
- assunzione di maggiore realismo e compostezza, quindi maggiore possibilità di condividere con gli
operatori l’incertezza e l’“incompetenza” di fronte al “compito impossibile” relativo al destino a
lungo termine;
- accettazione della complessità e della “gravità” della situazione, riducendo la tendenza a proiettare
la colpa sui servizi;
- “risveglio” di un senso di potere personale e di validità, sperimentato in iniziative concrete,
finalizzate ad assicurare al paziente una stabilità residenziale ed una rete socio-sanitaria efficace e
puntuale;
- ridimensionamento dell’impotenza e del senso di colpa, attraverso lo sviluppo di competenza e
l’assunzione di responsabilità.
Sembra, in altri termini, che il senso di potere e di competenza derivante dall’attivarsi dei familiari in azioni
concrete e verificabili, possa svolgere un ruolo effettivamente riparativo, ridimensionando componenti
decisive dei nuclei conflittuali che avevano a lungo condizionato i rapporti col paziente e coi servizi.