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COLPA PROFESSIONALE MEDICA E LINEE GUIDA: LA RECENTE
GIURISPRUDENZA ED IL NUOVO INTERVENTO LEGISLATIVO
A cura di Angela De Luca
Le problematiche connesse alla configurabilità della c.d. colpa professionale tradiscono le difficoltà
connesse alla valutazione del grado della colpa in materia penale.
L’attività medica è disciplinata essenzialmente dai principi sanciti dal relativo codice deontologico,
oltre che dalle regole cautelari, tecniche e comuni che l’interprete può individuare sulla scorta delle
indicazioni fornite dall’art. 43 c.p. e dai protocolli sanitari che ordinano le singole specialità.
Dal complesso generale delle fonti si ricava, innanzi tutto, che il medico ha l’obbligo di osservare
scrupolosamente le leges artis che caratterizzano la sua attività professionale, assumendo così la
posizione di garante nei confronti del paziente: il sanitario diventa, infatti, portatore dell’obbligo
giuridico di attivarsi e di proteggere la vita e l’integrità fisica del paziente affidato alle sue cure1.
Come è noto, l’attività medica reca con se un intrinseco indice di pericolosità che l’ordinamento
sceglie di accettare per la evidente utilità sociale che caratterizza le professioni sanitarie,
sforzandosi, però, di mantenerlo entro limiti stabiliti grazie alla previsione di un adeguato apparato
di norme precauzionali codificate e non (c.d. rischio consentito)2.
L’individuazione della linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in conclusione, ricade
sull’interprete, chiamato, volta per volta a valutare la prevedibilità delle conseguenze lesive
connesse all’attività terapeutica sulla base dell’esperienza consolidata e del rispetto delle norme
precauzionali di settore.
In tale opera di ricostruzione dei profili di responsabilità, un importante ausilio è dato dalle
cosiddette linee guida e dai protocolli sanitari, che sono in grado di offrire indicazioni e punti di
riferimento anche per i sanitari che sono altresì tenuti a rispettarle.
I problemi interpretativi più recenti, sui quali si è concentrata l’attenzione non soltanto della
giurisprudenza, ma anche del Legislatore, riguardano specificamente la rilevanza delle linee guida:
si tratta di valutare, infatti, se se le stesse possano rappresentare un valido parametro di raffronto per
accertare la correttezza dell’agire medico.
1
Cosentini, La relazione medico-paziente,: rapporto tra dovere di cura e autodeterminazione della persona
destinataria di cura, in Giur. mer., 2009, 2967.
2
Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2010, 84.
1
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Le linee guida
Le linee guida sono state definite dall’Institute of Medecine statunitense come raccomandazioni di
comportamento clinico, elaborate attraverso un processo di revisione sistematica della letteratura
e delle opinioni scientifiche.
Anche l’Istituto della Sanità italiana le definisce in tal modo, con l’ulteriore precisa zione che le
stesse devono descrivere le alternative disponibili e le relative possibilità di successo in modo che il
medico possa orientarsi nella gran quantità di informazione scientifica in circolazione, il paziente
abbia modo di esprimere consapevolmente le proprie preferenze e l’amministratore possa compiere
scelte razionali in rapporto agli obiettivi e alle priorità locali 3.
Le linee guida contengono prescrizioni, suggerimenti ed indicazioni rivolte al medico, collocandosi,
così, tra regole di carattere etico, direttive di natura deontologica e prescrizioni giuridiche 4.
Sono diversi i principi che ispirano le linee guida, primo fra tutti il dovere di aggiornamento
scientifico, considerato come espressione del dovere di diligenza che si attende dal medico
nell'esercizio della professione, come del resto prevede lo stesso art. 16 del codice di deontologia
medica che stabilisce il dovere di aggiornamento e formazione professionale permanente.
Le linee guida sono formulate per garantire il raggiungimento di determinati scopi, quali, ad
esempio, la riduzione della variabilità dei comportamenti del medico; il raggiungimento di una
maggiore efficienza delle prestazioni mediche; il miglioramento dell'efficacia della condotta clinica;
la risoluzione di problemi etici e legali 5.
A differenza dei protocolli, connotati da una maggiore specificità, le linee guida definiscono
le direttive generali relative al compimento di una determinata operazione, per la conduzione di una
specifica tipologia di atto diagnostico o terapeutico.
È necessario comprendere se le linee guida possano essere annoverate fra le fonti di
produzione di regole cautelari la cui violazione può originare una responsabilità penale per colpa
professionale, ovvero se esse rappresentino solo fonte di cognizione delle stesse leges artis.
Accogliere una soluzione piuttosto che l’altra, determina significative ricadute sul piano
pratico.
Accogliendo la prima tesi, l’accertamento della responsabilità penale del medico coincide
con il giudizio formale di difformità del comportamento dalle prescrizioni del protocollo:
3
Fineschi-Frati, Linee guida, a double edge sword; riflessioni medico-legali sulle esperienze statunitensi, in Riv. it.
med., 1998, 665.
4
Portigliatti, Le linee guida nell’esercizio della pratica clinica, in Dir. pen. proc., 1996, 891.
5
Campana, La correlazione tra inosservanza e/o applicazione delle linee guida e responsabilità penale del medico, in
Cass. pen., 2012, 2, 547.
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l’adozione delle linee guida rappresenta il rispetto delle condizioni ordinarie di conoscenza ed
abilità che possono essere pretese.
Secondo parte della dottrina 6, che propende per tale ricostruzione, la nozione di discipline ex art. 43
c.p. potrebbe ricomprendere anche le linee guida che in tal modo diventerebbero strumento per
indirizzare l’attività medica.
Così operando si verificherebbe un passaggio dalla colpa generica alla colpa specifica del
medico: utilizzando le linee guida la condotta non si qualifica come colpa generica perché
negligente, imprudente o imperita, ma come colpa specifica, per inosservanza di discipline ex art.
43 c.p., potendo le linee guida essere annoverate in questo preciso quadro normativo.
Grazie all’operatività delle linee guida viene recuperato un notevole grado di determinatezza
che si sacrifica ogniqualvolta la regola cautelare venga individuata utilizzando il mero parametro
dell’agente modello, sub specie il medico modello, tradizionalmente utilizzato in giurisprudenza.
Si parla così di un processo di normativizzazione della colpa, attraverso la standardizzazione
della regola cautelare: l’obiettivo è quello di giungere ad elaborare uno schema ideale di
comportamento clinico utile in sede giurisdizionale nel contesto del processo di individuazione
della responsabilità colposa del medico che le ha disattese 7.
Un secondo orientamento dottrinario 8 considera le linee guida come mere fonti di
cognizione delle leges artis in campo medico: anzitutto, perché non tutte le regole cautelari hanno
una immediata e diretta vincolatività giuridica; solo le linee guida di livello internazionale, definite
da associazioni specialistiche internazionali, sono accettate in modo generale; le linee guida di
derivazione nazionale o locale, invece, hanno un’efficacia limitata rivolgendosi ai soli destinatari.
Inoltre, si fa leva sul contenuto delle linee guida: l’elaborazione delle stesse, infatti, avviene
prendendo in considerazione anche esigenze di contenimento di spesa, cioè economiche, estranee
alla salute del paziente che rimane il bene giuridico primario protetto, in riferimento al quale deve
avvenire la formulazione della regola cautelare.
Ancora, altra dottrina 9 sostiene che le linee guida abbiano prevalentemente valore di
aggiornamento professionale, escludendo la possibilità che le stesse possano avere qualche utilità
pratica ai fini della valutazione della condotta del medico in sede giudiziaria, in quanto egli è tenuto
ad agire tenendo presente l’unicità del caso concreto e, in particolar modo, le condizioni cliniche del
paziente.
6
Piras, Linee guida e colpa specifica del medico, in Medicina e diritto penale, a cura di Canestrari-Giunta, 2009, 285.
Fiori, Medicina legale della responsabilità medica, Giuffrè, 1995, 515.
8
Castronuovo-Ramponi, Dolo e colpa nel trattamento medico-sanitario, in Trattato di biodiritto. Le responsabilità in
medicina, Giufffrè, 2011, 979.
9
Canestrari-Fantini, La gestione del rischio in medicina. Profili di responsabilità nell’attività medico-chirurgica,
Torino, 2009, 33.
7
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Il rispetto delle linee guida, secondo quest’ultima tesi, non può, dunque, avere un effetto
totalmente liberatorio per il medico, perché seppure si dovesse riconoscere che esse rappresentano
norme cautelari scritte la cui inosservanza può dar luogo a colpa specifica, si rende necessaria una
valutazione ulteriore sulla colpa generica, attraverso il monitoraggio delle peculiarità del caso
concreto.
Il principio comune a tali ultimi orientamenti dottrinali, che negano rilevanza al parametro
delle linee guida nei giudizi di responsabilità, si ravvisa nel rifiuto del processo di standardizzazione
della regola cautelare in ambito medico, incompatibile con la natura dell’attività stessa 10.
Dall’altro lato, si fa leva sulla considerazione secondo cui la responsabilità colposa del
medico deve essere valutata sulla base delle caratteristiche del caso concreto, che variano in
relazione ai diversi fattori che, di volta in volta, caratterizzano la situazione specifica sottoposta
all’attenzione dell’interprete.
Da tali profili critici sembra potersi concludere che la standardizzazione della lex artis
costituisce solo il punto di riferimento iniziale per il medico, che resta libero di decidere, alla luce
del caso concreto, se uniformarsi alle linee guida, o disattenderle 11.
Gli orientamenti giurisprudenziali
L’analisi degli orientamenti giurisprudenziali sostenuti nella materia de qua valorizza il
profilo della concretizzazione della colpa.
Si valuta che la violazione delle linee guida da parte del medico non conduca
necessariamente alla configurazione di una responsabilità penale per colpa professionale 12; così
come il rispetto del protocollo non esclude in ogni caso la colpa del sanitario quando siano omessi
trattamenti o esami strumentali che, anche se non richiesti dai protocolli medici, erano necessari 13.
La giurisprudenza ha, tradizionalmente sottolineato che nella pratica della professione medica il
sanitario deve perseguire l’unico fine della cura del malato, utilizzando i presidi diagnostici e
terapeutici di cui dispone la scienza medica al tempo in cui è chiamato a prestare la sua opera, senza
10
Canestrari-Fantini, op. cit., 38, osservano che la standardizzazione della regola cautelare non si concilia con le
caratteristiche prorpie dell’attività medica, la quale consta di atti e attività di per sé irripetibili, inserendosi nel contesto
del rapporto interpersonale medico-paziente.
11
Campana, op.cit., 549.
12
Cass. Pen., Sez. IV, 24 febbraio 2000, n. 6511; in tale occasione la Corte stabilisce che “nonostante l’omissione di
esami prescritti da protocolli diagnostici, non può pervenirsi ad un giudizio di responsabilità del medico sulla base di
detta omissione, ove non sia certo o almeno probabile che, al momento in cui gli esami avrebbero dovuto essere
effettuati, la malattia fosse già diagnosticabile”
13
Cass. Pen., Sez. IV, 5 giugno 2009, n. 38154: “Risponde di omicidio colposo il cardiologo che attesti l’idoneità alla
pratica sportiva agonistica di un’atleta, in seguito deceduto, a causa di una patologia cardiaca non diagnosticata dal
sanitario per l’omessa effettuazione di esami strumentali di secondo livello che, ancorchè non richiesti dai protocolli
medici, dovevano ritenersi necessari in presenza di anomalie del tracciato elettrocardiografico desumibili dagli esami
di primo livello”
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farsi condizionare da disposizioni o direttive che non siano pertinenti ai compiti affidatigli dalla
legge e alle conseguenti relative responsabilità, con particolare riferimento alle linee guida.
Le stesse, infatti, sono predisposte dall’amministrazione sanitaria, in primo luogo, per garantire
l’economicità della struttura ospedaliera (ad esempio, accelerare le dimissioni dall’ospedale non
appena il quadro clinico del paziente abbia raggiunto una sufficiente stabilizzazione): “Il medico ha
il dovere di anteporre la salute del malato ad altre esigenze, anche contravvenendo a quanto
stabilito dalle direttive delle linee guida se risultano in contrasto con le esigenze di cura del
paziente, e non potrebbe andare esente colpa ove se ne lasci condizionare, senza adottare le
decisioni più opportune a tutela della salute del paziente”14.
La mera osservanza delle linee guida non esclude, quindi, la responsabilità colposa del medico.
Sul punto, la Suprema Corte di legittimità ha espresso il seguente principio: “Non vi potrà essere
esenzione da responsabilità per il fatto che siano state seguite linee guida o siano stati seguiti
protocolli ove il medico non abbia compiuto colposamente la scelta che in concreto si rendeva
necessaria. Ciò, soprattutto, allorquando le linee guida seguite siano obiettivamente ispirate a
soddisfare solo esigenze di “economia gestionale” ovvero allorquando queste si palesino
obiettivamente vetuste, inattuali, finanche controverse. Le linee guida non possono fornire, infatti,
indicazioni di valore assoluto ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale responsabilità del sanitario,
sia per la libertà di cura, che caratterizza l’attività del medico, in nome della quale deve prevalere
l’attenzione al caso clinico particolare e non si può pregiudizialmente escludere la scelta
consapevole del medico che ritenga causa cognita di coltivare una soluzione terapeutica non
contemplata nelle linee guida, sia perché, come già evidenziato in altri precedenti in taluni casi, le
linee guida possono essere indubbiamente influenzate da preoccupazioni legate al contenimento dei
costi sanitari oppure si palesano obiettivamente controverse, non unanimemente condivise oppure
non più rispondenti ai progressi nelle more verificatisi nella cura della patologia” 15.
Rimane, pertanto, la possibilità per il giudice di valutare la condotta del medico alla luce del
parametro dell’agente modello e di censurarne l’appiattimento alle linee guida qualora la
particolarità della fattispecie concreta sottoposta al suo esame avrebbe potuto imporre o consigliare
un percorso diagnostico diverso.
Al contrario, sempre nel caso di condotte conformi alle linee guida, queste potranno rilevare in
chiave difensiva in assenza di particolarità specifiche del caso concreto idonee a configurare un
quadro diverso e più grave rispetto a quello considerato dalle direttive ivi contenute (Cass. Pen.,
14
15
Cass. pen., 23 novembre 2010, n. 8254
Cass. Pen., Sez., IV., 19 settembre 2012, n. 35922.
5
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sez. IV Penale, 19 settembre 2012, n. 3592216; in senso conforme, Cass. Pen., Sez. IV, 23 novembre
2010, n. 8254; Cass. Pen., Sez. IV, 5 giungo 2009, n. 38154).
L’indirizzo giurisprudenziale maggioritario non si discosta dalle indicazioni fornite dalla dottrina:
nel giudizio sulla responsabilità del medico, il giudice resta sempre libero di apprezzare se
l’osservanza o il discostamento dalle linee guida avrebbero evitato il fatto che si imputa al medico,
valutando cioè se le circostanze del caso concreto imponessero o meno l’adeguamento alle linee
guida a disposizione del medico, oppure una condotta diversa da quella descritta in dette linee
guida.
Il recente intervento legislativo
Da ultimo, merita un approfondimento l’intervento legislativo ad opera della legge 8 novembre
2012 n. 189 (legge di conversione del “decreto Balduzzi”. D.l. n. 158/2012) recante “disposizioni
urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”.
L’art. 3 del testo normativo in questione è così formulato: “L'esercente le professioni sanitarie che
nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo
l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del
risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
La responsabilità penale in ambito medico risulta evidentemente modificata da questa recente
novella normativa.
Su questa linea, sembra opportuno sottolineare che il provvedimento in questione avrebbe dovuto
coinvolgere solo aspetti di natura civilistica connessi alla responsabilità del sanitario, prevedendo,
fra l’altro, che “fermo restando il disposto dell’art. 2236 del codice civile, nell’accertamento della
colpa lieve nell’attività dell’esercente la professione sanitaria il giudice, ai sensi dell’art. 1176 del
codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle
buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale”
La legge di conversione, invece, inserendo l’art. 3, modifica la struttura del testo, destinato al solo
ambito civilistico, travolgendo anche profili di responsabilità di carattere squisitamente penalstico.
16
“Le linee guida pur rappresentando un importante ausilio scientifico, con il quale il medico è tenuto a confrontarsi,
non eliminano la sua autonomia nelle scelte terapeutiche, poiché l’arte medica, mancando per sua stessa natura di
protocolli scientifici a base matematica, spesso prospetta diverse soluzioni o pratiche che l’esperienza ha dimostrato
efficaci, da scegliere oculatamente in relazione ad una cospicua serie di varianti che legate al caso specifico, solo il
medico nella contingenza della terapia, può apprezzare. Ne consegue che, le linee guida e i protocolli, proprio in
ragione della peculiare attività del medico, che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non possono assumere il
rango di fonti di regole cautelari codificate, rientranti nel paradigma normativo dell’art. 43 c.p.”
6
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I primi commenti al nuovo testo legislativo hanno definito la nuova disposizione una ipotesi di
culpa sine culpa.17
I problemi principali avvertiti dalla dottrina si ravvisano nel fatto che la disposizione contiene una
contraddizione originaria perché prospetta la responsabilità colposa nonostante il rispetto delle linee
guida.
La nuova disposizione potrebbe esse interpretata nel senso che se il medico non effettua una
valutazione corretta del quadro clinico e non si discosta dalle linee guida, la sua responsabilità
penale verrà esclusa se l’erronea valutazione è frutto di colpa lieve, mentre potrà incorrere in
responsabilità solo se ha agito con colpa grave.
La giurisprudenza maggioritaria, come precedentemente esposto, esclude che le linee guida
possano essere utilizzate per escludere la responsabilità penale del medico se il quadro clinico del
paziente impone una condotta diversa da quella raccomandata dalle linee guida.
Il principio in questione dovrebbe, quindi,essere riletto alla luce della nuova normativa: solo
nel caso in cui il paziente presenta un quadro clinico che macrospicamente impone una condotta
diversa da quella prescritta dalle linee guida, il medico non può invocare il rispetto delle stesse per
escludere la sua responsabilità 18.
Viene, inoltre, introdotta la distinzione tra colpa lieve e colpa grave per i casi di condotte
conformi alle linee guida, così muovendo in modo antitetico rispetto alla giurisprudenza che si
andava consolidando, che non effettuava questa distinzione nell’accertamento della colpa penale.
Con riferimento ai profili di natura civilistica, non può non evidenziarsi il richiamo
effettuato alla norma di cui all’art. 2043 c.c., in evidente contrasto con gli indirizzi dottrinali e
giurisprudenziali maggioritari relativi alla natura contrattuale della responsabilità del medico.
In conclusione, anche alla luce della novella in parola, lo studioso non potrà che attendere le
prime pronunce giurisprudenziali sul tema per dirimere le questioni interpretative che la norma
prospetta.
La scelta del legislatore di assegnare alle linee guida un ruolo così rilevante
nell’accertamento della responsabilità penale appare condivisibile, se si tiene conto del rilievo
sempre più consistente che esse hanno acquisito, ma non si può sottacere che esse rimangono
inevitabilmente connotate da un margine di inaffidabilità e fallibilità al quale deve porre rimedio la
17
Piras, In culpa sine culpa. Commento all’art. 3 I co. L. 8 novembre 2012, n. 189, in
www.dirittopenalecontamporaneo.it. Nel sottolineare l’incidenza che la nuova disposizione ha nel campo della
responsabilità penale medica, dettando un nuovo criterio generale di accertamento della colpa medica, l’Autore
configura l’art. 3 della legge in questione come art. 43 bis c.p., affiancato, dunque, al criterio generale della colpa
contenuto nell’art. 43 c.p.
18
Piras, op.cit.
7
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professionalità, capacità ed esperienza del medico chiamato a prestare la sua opera nel singolo caso
concreto.
In conclusione, l’intervento legislativo, sarebbe stato più efficace, oltre che coerente con i
principi che descrivono la responsabilità colposa, se fosse stato maggiormente in linea con gli
orientamenti giurisprudenziali più recenti, tesi a sottolineare l’imprescindibilità di una valutazione
concreta e puntale del singolo caso clinico nei giudizi di responsabilità.
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