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Nelle nazioni industrializzate la prevalenza della demenza si attesta sul 5% delle persone oltre i 65
anni, con valori che variano dal 3,4% al 6,7%. In Italia, la percentuale si aggira sul 6,6% (5,3% per i
maschi e 7,2% per le femmine). Tra i 65 e gli 85 anni la prevalenza della demenza raddoppia
approssimativamente ad ogni quadriennio.
Col termine di demenza si indica una sindrome clinica, causata da diverse malattie e caratterizzata
da un insieme di disturbi cognitivi, riguardanti memoria, orientamento spazio-temporale, capacità di
giudizio e di astrazione, prassia, percezione e linguaggio, accompagnati spesso da disturbi non
cognitivi, che interessano la sfera della personalità, l’ideazione, l’affettività, il comportamento, le
funzioni vegetative. Tali disturbi oggi sono più correttamente indicati con l’acronimo BPSD, ossia
Behavioral and Psychological Symptoms of Dementia (sintomi comportamentali e psicologici della
demenza). Tra questi ultimi, si annoverano: agitazione psicomotoria, aggressività, disturbi del
sonno e dell’alimentazione, apatia, allucinazioni, deliri, ansia, disinibizione, “wandering” (alla
lettera “vagabondaggio”, inteso come attività motoria incessante e apparentemente afinalistica). La
classificazione eziopatogenetica distingue le demenze in primarie o degenerative (fra cui predomina
nettamente la malattia di Alzheimer , mentre forme più rare sono la demenza a corpi di Lewy e la
demenza fronto-temporale), e in secondarie (rappresentate dalla demenza vascolare ischemica)
Molto frequenti sono le forme miste, date dall’associazione di demenza degenerativa (quasi sempre
Alzheimer) e demenza vascolare. Un gruppo a parte è costituito dalle demenze secondarie
potenzialmente reversibili, in cui i disturbi cognitivi possono essere causati da: patologie endocrinometaboliche, encefalopatie tossiche, malattie infettive, carenze vitaminiche, stati depressivi.
Purtroppo ad oggi la terapia farmacologica delle demenze ha prodotto scarsi risultati sulla
progressione dei disturbi cognitivi, mentre sul controllo dei BPSD i risultati sono migliori, spesso
associati, però, a importanti effetti collaterali (sedazione, extrapiramidalismo, ecc.).
Per contro, nel corso degli anni si sono realizzati numerosi interventi di tipo non farmacologico
sulle persone affette da demenza. Molti di questi si rivolgono alla cognitività, ma soprattutto al
comportamento e si ispirano al principio dell’unitarietà tra corpo, mente e cervello, cui corrisponde
una visione olistica della persona secondo la quale ogni individuo si esprime e si realizza in misura
equivalente attraverso il contributo di competenze cognitive, emozionali ed affettive.
In questo ambito di interventi si inserisce il progetto Memofilm iniziato nel 2008 grazie alla
collaborazione tra ASP Città di Bologna (azienda pubblica che opera nel settore dell’assistenza agli
anziani e ai soggetti con patologie assimilabili a quelle dell’età senile, in particolare a coloro che
versano in condizioni di grave disabilità e non autosufficienza) e Cineteca di Bologna.
Il Memofilm è un particolare strumento audiovisivo destinato al paziente affetto da deterioramento
cognitivo centrato sul tentativo di coniugare scienza ed arte, impiegando elementi di varie tecniche
già utilizzate nel trattamento della demenza, non in un rapporto diretto professionista-paziente,
bensì tramite la mediazione di un filmato. Gli scopi sono, da un lato riorientare il paziente rispetto
all’ambiente in cui vive, al tempo della propria storia personale, fatta di emozioni; dall’altro
contrastare la frammentazione psichica causata dalla malattia e migliorare i comportamenti di
adattamento.
Una definizione particolarmente significativa di Memofilm è quella data dal compianto Giuseppe
Bertolucci che, in qualità di presidente della Cineteca, ha fornito al progetto un supporto e un
impulso di fondamentale importanza:
“Il Memofilm è un film per e non su persone affette da demenza.
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Un film per un unico spettatore: questa è l’altra dirompente novità, sul versante audiovisivo del
progetto. Lo strumento principe delle comunicazioni di massa, piegato a una destinazione
assolutamente individuale.
Ma potremmo anche aggiungere: l’arma potentissima della società dello spettacolo e
dell’omologazione, trasformata in un’arma “impropria” destinata a difendere quel che rimane
della soggettività e dell’identità di un individuo.
E’ una sorta di felice “contraddizione in termini”.
Nella sua costruzione, il Memofilm vede il contributo determinante dei familiari della persona
interessata nonché degli operatori sanitari ed assistenziali e si fonda sul materiale appartenente
principalmente all’universo sensoriale, percettivo e affettivo del paziente, rivisitato dalla sensibilità
creativa di registi professionisti.
Il prodotto finale è un filmato di 15-20 minuti da sottoporre al paziente quotidianamente e
sistematicamente, con l’intento di indurre stimoli positivi ed utili sul piano cognitivo ed emotivo.
Il progetto, elaborato da un gruppo di lavoro formato da professionisti sanitari, filmakers e registi
professionisti, ha previsto uno studio di tipo caso-controllo: sono stati selezionati, cioè, un gruppo
di studio ed uno di controllo aventi caratteristiche sovrapponibili, ad eccezione della visione del
Memofilm solo nel primo.
Tutti gli anziani selezionati erano affetti da deterioramento cognitivo di vario grado con
conservazione della capacità di astrazione e assenza di gravi deficit sensoriali. Alcuni vivevano
ancora al domicilio, la maggior parte presso una struttura dell’ASP Città di Bologna.
Gli obiettivi dello studio sono stati: 1) valutare l’evoluzione dei disturbi cognitivi e soprattutto dei
BPSD; 2) verificare le ricadute dei disturbi sui caregiver familiari e professionali; 3) implementare
una metodica che avesse una valenza scientifica e, nel contempo, una validità nel contesto della
produzione audiovisiva.
Dal 2008 al 2012 sono stati prodotti 17 Memofilm, di cui 13 entrati nel protocollo del progetto. Il
gruppo di studio è risultato formato da 11 femmine e 2 maschi, quello di controllo da 8 femmine e 5
maschi, con un range di età complessivo di 64-95 anni.
Tutti gli anziani selezionati sono stati sottoposti, da parte di un esaminatore “cieco”, ad una
valutazione cognitiva (mediante MMSE) e psico-comportamentale (mediante NPI) prima dell’inizio
della visione del Memofilm (T0).
Nel contempo, è stata creata una check list situazionale a mediazione linguistica personalizzata
relativa a oggetti, persone e circostanze emotivamente significative, evocate nel Memofilm, al fine
di testarne la riconoscibilità da parte del paziente.
Gli stessi strumenti di rilevazione (MMSE, NPI) sono stati di nuovo somministrati insieme alla
check list dopo 2 mesi di visione quotidiana del Memofilm (T1) ed a distanza di 1 mese dalla
sospensione della visione (T2).
Sul versante cognitivo lo studio non ha evidenziato variazioni significative tra i casi e i controlli.
D’altra parte, la cognitività non ha mai rappresentato per il gruppo di lavoro l’obiettivo primario, in
quanto sarebbe stato assai pretestuoso pensare di incidere, attraverso un prodotto audio-visivo che
agisce funzionalmente a livello emotivo-affettivo, su disturbi cognitivi che traggono la loro origine
da lesioni neurologiche di natura organica, per le quali neppure la più avanzata ricerca
farmacologica è riuscita a tutt’oggi ad ottenere effetti di rilievo.
Viceversa, risultati veramente importanti si sono osservati sull’evoluzione dei BPSD.
In particolare, nel periodo compreso tra T0 e T1 il punteggio NPI è diminuito tra il 94% e il 3% in 9
soggetti sottoposti alla visione del Memofilm, mentre in 2 casi è rimasto invariato ed in 2 casi è
aumentato. Per contro, nel gruppo di controllo il punteggio è diminuito tra il 38% e il 6% in 4
soggetti, è rimasto stabile in 4 ed è aumentato in 5.
Un altro elemento estremamente interessante dello studio è costituito dall’ulteriore riduzione del
punteggio NPI dopo 1 mese di sospensione della visione del Memofilm (T2) in 5 soggetti del
gruppo di studio, contro 1 solo del gruppo di controllo.
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L’utilità pratica del NPI è data anche dal fatto che questo strumento consente di valutare il
logoramento psico-fisico prodotto dai BPSD su coloro che per motivi familiari o professionali
prestano assistenza ai malati di demenza (verifica dello stress dei caregiver).
Ebbene, anche in questo ambito si sono verificate differenze significative tra i gruppi di studio e di
controllo: nei caregiver dei soggetti sottoposti a 2 mesi di visione del memofilm lo stress si è ridotto
tra il 78% e il 10% in 8 casi, si è mantenuto stabile in 3, è aumentato in 2; viceversa, nei caregiver
del gruppo di controllo, lo stress è diminuito soltanto in 2 casi, è rimasto invariato in 6 ed è
aumentato in 5.
Anche la valutazione aggiuntiva mediante check list ha dato risultati molto interessanti: 12 pazienti
su 13 hanno riconosciuto indicandoli col proprio nome persone, oggetti o situazioni rappresentate
nel Memofilm. Inoltre il riconoscimento della propria casa ha prodotto la cessazione del delirio di
fuga in 1 caso ed il miglioramento di comportamenti inadeguati e iterativi, come l’incontinenza
fecale e il wandering, in 3 casi.
In conclusione, per quanto la casistica sia limitata, i risultati del nostro studio si possono definire
senz’altro positivi in quanto: nei soggetti sottoposti alla visione del Memofilm i BPSD migliorano
in misura (94% vs. 38%) e in numero (9 vs. 4) significativamente superiori rispetto ai controlli;
inoltre, come rivela la verifica dello stress, anche la relazione con i caregiver risulta più
soddisfacente.
Per un consolidamento dell’esperienza è auspicabile implementare la conoscenza del progetto e il
relativo know how tramite la diffusione di un testo multimediale redatto dai membri del gruppo di
lavoro e, al tempo stesso, estendere la sperimentazione ad un numero sempre maggiore di pazienti,
con il coinvolgimento di soggetti diversi (Enti Locali, Università, associazioni, privati, ecc.).
Dott. Lucio Tondi
Medico coordinatore ASP Città di Bologna
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