David Hume - Benvenuti nella cartella pubblica della Prof.ssa

David Hume
Gli erramenti della metafisica
Ricerche sull’intelletto umano
(Ricerche sull’intelletto umano, sez. I)
All’inizio delle Ricerche sull’intelletto umano Hume espone la sua concezione della ricerca filosofica.
Finora la filosofia ha percorso due strade che, pur presentando entrambe alcuni vantaggi, non riescono
tuttavia a cogliere il vero obiettivo della ricerca sull’uomo. La prima soluzione è quella filosofia
puramente esortativa – tipica ad esempio di un Cicerone o di molti moralisti francesi del Seicento – che
si preoccupa soltanto di convincere l’uomo, con espedienti retorici più che con argomentazioni
razionali, a migliorare la sua condotta pratica. Questa filosofia ha il vantaggio di essere «facile» e
comprensibile per tutti, nonché di parlare soltanto di quelle cose che stanno veramente a cuore agli
uomini; ma ha il difetto di non fornire una fondata conoscenza della natura dell’uomo (e della stessa
virtù che predica), poiché non si pone scopi teoretici e rinuncia ai metodi dell’indagine razionale. La
seconda soluzione – tipica di ogni forma di razionalismo, da Aristotele in poi – si sforza invece di
individuare i princìpi dell’intelletto e delle altre facoltà umane per mezzo di una ricerca rigorosamente
fondata sulla ragione. Questa seconda possibilità ha il vantaggio di ottenere risultati scientificamente
più solidi; ma ha anche il demerito di essere tanto «astratta» da incorrere spesso nell’oscurità e talvolta
(ciò che è più grave) nell’errore. Le fantasticherie e gli erramenti della metafisica nascono proprio
dall’intellettualistica pretesa di far coincidere la natura umana con una razionalità intesa in maniera
astratta e indipendente dalla concreta realtà delle cose.
Questi due modi di filosofare devono quindi essere integrati e corretti da una nuova filosofia che
congiunga l’aderenza alla realtà della filosofia «facile» con le giuste aspirazioni conoscitive della
filosofia «astratta». Al pari di quest’ultima, essa pretenderà di conoscere adeguatamente la natura
dell’uomo ma, tenendo conto dell’esigenza di concretezza della prima, cercherà di ottenere questo
risultato non con astratte speculazioni intellettuali, ma con l’analisi empirica e sperimentale dell’uomo.
Essa applicherà alle facoltà umane quello stesso metodo che filosofi e scienziati – primo fra tutti
Newton – hanno utilizzato con successo nell’ambito delle scienze fisiche. Soltanto così la filosofia
cesserà di porsi obiettivi troppo limitati (nella sua funzione meramente esortativa) o troppo ambiziosi
(con la pretesa di dare una spiegazione metafisica dell’uomo): soltanto così essa si trasformerà in una
«scienza della natura umana».
La più giusta e plausibile obiezione contro una parte considerevole della metafisica1 è, in verità, questa:
che essa non è propriamente una scienza, ma nasce o dagli sforzi infruttuosi dell’umana vanità, che
vorrebbe penetrare in oggetti del tutto inaccessibili all’intelletto, o dall’inganno delle superstizioni
popolari che, essendo incapaci di difendersi in terreno aperto, fanno nascere questi rovi ingombranti per
coprire e proteggere la loro debolezza. Cacciati dalla campagna aperta, questi malandrini dileguano
nella foresta e stanno in agguato per irrompere in qualsiasi strada mal custodita dello spirito, ed
opprimerla con timori e pregiudizi religiosi. Il più robusto lottatore, se abbandona per un istante la
guardia, viene sopraffatto. E molti, per codardia e per stupidità, aprono le porte ai nemici e li accolgono
volentieri con reverenza e sottomissione, come loro legittimi sovrani. [...]
L’unico modo per liberare, una buona volta, il sapere da questi problemi astrusi, è di svolgere
un’indagine seria sulla natura dell’intelletto umano e di mostrare, in base ad un’analisi rigorosa dei suoi
poteri e delle sue capacità, che esso non dispone dei mezzi per argomenti così remoti ed astrusi.
Dobbiamo sottoporci a tale fatica, per poter vivere tranquillamente d’ora in avanti e dobbiamo coltivare
con qualche cura la vera metafisica, per distruggere quella falsa ed adulterata2. L’indolenza che, in
certe persone, fornisce una salvaguardia contro questa filosofia ingannevole, è controbilanciata, in altre,
dalla curiosità; e la disperazione che prevale in certi momenti può più tardi lasciare il posto a speranze
e ad aspettative ottimistiche. Un ragionamento diligente e sano è l’unico rimedio universale, adatto per
tutte le persone e per tutte le disposizioni; esso solo è in grado di distruggere quella filosofia astrusa e
quell’incomprensibile linguaggio metafisico che, per essere mescolati con la superstizione popolare, la
rendono in certo modo impenetrabile ai ragionatori superficiali e le conferiscono l’aspetto di scienza e
di saggezza.
Oltre al vantaggio di respingere, dopo una cauta ricerca, la parte più incerta e sgradevole del sapere, vi
sono molti vantaggi positivi che risultano da un accurato esame sui poteri e sulle facoltà della natura
umana. È da notare a proposito delle operazioni della mente, che, per quanto siano a noi presenti nel
modo più intimo, pure ogni volta che diventano oggetto di riflessione, sembrano avvolgersi nella
oscurità; né l’occhio può facilmente trovare quelle linee e quei contorni, che le separano e le
distinguono. Si tratta di oggetti troppo delicati che non mantengono a lungo la stessa conformazione né
rimangono nella stessa condizione; e debbono essere colti in un istante, per mezzo d’una penetrazione
superiore derivata da natura e migliorata dall’abito e dalla riflessione3. Una parte non trascurabile della
scienza, pertanto, è impegnata solo a conoscere le differenti operazioni della mente, a separarle l’una
dall’altra, a classificarle sotto i rispettivi capi ed a correggere tutto quell’apparente disordine, nel quale
giacciono avvolte, quando vengono fatte oggetto di riflessione e di ricerca. Questo compito di ordinare
e di distinguere, che non è particolarmente meritevole quando viene adempiuto riguardo ai corpi
esterni, oggetti dei nostri sensi, aumenta di valore quando è rivolto alle operazioni della mente, in
proporzione alla difficoltà ed alla fatica che affrontiamo per assolverlo. E se noi non possiamo andare
più in là di questa geografia della mente4, o delineazione delle diverse parti e poteri della mente, è pur
tuttavia una soddisfazione lo spingersi a tanto; e quanto più ovvia questa scienza può apparire (e non è
ovvia in alcun modo), tanto più disprezzabile deve essere considerata la sua ignoranza in tutti coloro
che pretendono di essere addentro in filosofia. [...]
Non possiamo forse sperare che la filosofia, se coltivata con cura, e incoraggiata dall’attenzione del
pubblico, possa portare più avanti le sue ricerche e scoprire, almeno in qualche grado, le sorgenti
segrete e i princìpi che mettono in movimento la mente umana nelle sue operazioni? Gli astronomi si
sono a lungo accontentati di provare, sulla base dei fenomeni, i veri movimenti, l’ordine e la grandezza
dei corpi celesti, finché alla fine venne un filosofo5 che sembra abbia determinato, sulla base dei più
felici ragionamenti, le leggi e le forze che governano e dirigono le rivoluzioni dei pianeti. Lo stesso si è
fatto riguardo ad altre parti della natura. E non c’è ragione per disperare in una eguale riuscita delle
nostre ricerche relative ai poteri della mente ed alla loro economia, se esse vengano proseguite con
eguale capacità e ponderazione.
Note
1. Comincia qui la polemica contro l’astrattezza e l’infondatezza del sapere metafisico che sarà presente, più o
meno espressamente, in tutte le Ricerche, fino a essere ribadita provocatoriamente nella celebre chiusa.
2. Anche in Kant, che continuerà con altri mezzi la polemica antimetafisica di Hume, ritornerà la distinzione
terminologica tra la falsa metafisica (il sapere tradizionale che pretende di conoscere l’essenza ultima del reale) e
la vera metafisica (che è indagine razionale sui fondamenti della conoscenza e dell’agire umani, cioè filosofia
critica nei suoi aspetti teoretici e pratici). Analogamente, per Hume la vera metafisica è quella che conosce la
natura umana su una base puramente empirica e sperimentale. Inutile osservare che il termine «metafisica», nel
nuovo senso in cui Hume e Kant lo lasciano sopravvivere, non ha nulla a che vedere con quello tradizionale, se
non nel senso di essere un sapere fondante, che viene prima e sta a fondamento di ogni altro discorso sull’uomo.
3. In queste espressioni si coglie il carattere istintivo della ragione umana, che non è astratto dispiegamento di
princìpi, ma capacità di penetrare concretamente la realtà umana, evincendone le leggi che la guidano.
4. Il compito del filosofo è quindi principalmente descrittivo. Egli non deve né prescrivere comportamenti (come
fa la filosofia esortativa), né costruire teorie (come fa la metafisica razionalistica), ma soltanto descrivere le
facoltà dell’uomo, così come il geografo descrive la distribuzione e la configurazione della Terra.
5. Questo filosofo è Newton, il cui metodo sperimentale Hume assume a modello per la propria indagine
filosofica.
David Hume
Trattato sulla natura umana
(libro I, parte I, sez. I)
Impressioni e idee
La distinzione tra impressioni e idee è posta da Hume all’inizio del Trattato sulla natura umana, quale
caposaldo di tutta la sua dottrina della conoscenza.
Tutte le percezioni della mente umana si possono dividere in due classi, che chiamerò impressioni e
idee. La differenza fra esse consiste nel grado diverso di forza e vivacità con cui colpiscono la nostra
mente e penetrano nel pensiero ovvero nella coscienza1. Le percezioni che si presentano con maggior
forza e violenza, possiamo chiamarle impressioni: e sotto questa denominazione io comprendo tutte le
sensazioni, passioni ed emozioni, quando fanno la loro prima apparizione nella nostra anima. Per idee,
invece, intendo le immagini illanguidite delle impressioni, sia nel pensare sia nel ragionare2: ad
esempio le percezioni suscitate dal presente discorso, eccettuate quelle dipendenti dalla vista o dal tatto
e il piacere o dolore immediato ch’esso può causare. Non credo che siano necessarie molte parole per
spiegare questa distinzione. Ognuno vede subito da sé la differenza tra il sentire e il pensare. In
generale è facile distinguere la loro diversità di grado, anche se in certi casi particolari è però possibile
che si trovino estremamente vicini l’uno all’altro. Così nel sonno, nella febbre, nella pazzia o in
qualsiasi violenta emozione dell’anima, le idee possono avvicinarsi alle impressioni; e, dall’altra parte,
talvolta accade che queste siano così deboli e tenui da non poterle distinguere dalle idee. Ma, malgrado
questa stretta rassomiglianza che troviamo in alcuni casi, esse sono in generale tanto diverse che
nessuno può farsi scrupolo di classificarle separatamente e assegnare a ciascuna un nome speciale per
metterne in rilievo la differenza.
Ma c’è un’altra divisione delle nostre percezioni da non trascurare, la quale comprende tanto le
impressioni quanto le idee: quella delle percezioni in semplici e complesse3. Le percezioni semplici,
impressioni o idee, sono quelle che non permettono nessuna distinzione o separazione; le percezioni
complesse, al contrario, possono esser distinte in parti. Benché un particolare colore, sapore e odore
siano qualità unite insieme in questa mela, è facile vedere che non sono le stesse, sì che, quanto meno,
possiamo distinguerle l’una dall’altra.
Avendo dato, con queste divisioni, un ordine agli oggetti del nostro studio, possiamo ora con maggiore
accuratezza studiarne le qualità e le relazioni. La prima osservazione che salta agli occhi è la grande
rassomiglianza tra impressioni e idee in tutto fuorché nel grado della loro forza e vivacità: queste
sembrano, in certo modo, il riflesso di quelle. Per cui ogni percezione è, per così dire, doppia, potendo
mostrarsi o come impressione o come idea. Quando chiudo gli occhi e penso alla mia camera, le idee
che me ne formo sono l’esatta rappresentazione delle impressioni che ne ho ricevuto: non v’è
circostanza nelle une che non si ritrovi nelle altre. Esaminando le altre mie percezioni, trovo sempre la
stessa rassomiglianza e la stessa rappresentazione: idee e impressioni si corrispondono sempre4. La
cosa mi sembra degna di nota: dedichiamole quindi un po’ d’attenzione.
In seguito a un esame più accurato m’accorgo di essermi lasciato trasportare troppo oltre dalla prima
apparenza, sì che debbo ora valermi della distinzione delle percezioni in semplici e complesse per
limitare la precedente affermazione che tutte le nostre idee ed impressioni sono somiglianti. Osservo,
infatti, che molte idee complesse non ebbero mai impressioni corrispondenti, e che molte delle nostre
impressioni complesse non vengono mai riprodotte esattamente dalle idee. Io posso immaginare una
città chiamata Nuova Gerusalemme che abbia il selciato d’oro e le mura di rubini, benché non ne abbia
mai vista una simile. Ho visto invece Parigi. Ma sono in grado di farmi di questa città un’idea tanto
esatta da rappresentarmi perfettamente tutte le strade e le case nelle loro giuste e reali proporzioni?5
M’accorgo, quindi, che, pur essendovi in generale una grande somiglianza tra le impressioni complesse
e le loro idee, tuttavia non è una norma universalmente vera che queste siano l’esatta copia di quelle.
Passiamo ora ad esaminare come stanno le cose per le percezioni semplici. Dopo un esame il più
accurato possibile, oso affermare che su questo punto la regola non soffre eccezioni: ogni idea semplice
ha un’impressione semplice che le somiglia, e ogni impressione semplice ha un’idea che le
corrisponde. L’idea che del rosso ci facciamo al buio, e l’impressione che colpisce i nostri occhi
quando risplende al sole, differiscono soltanto in grado, non in natura. Che lo stesso si debba dire di
ogni nostra impressione e idea semplice, non è possibile dimostrarlo con l’enunciazione in tutti i casi
particolari. Ognuno potrà convincersene esaminando quanti casi voglia. Se qualcuno volesse negare in
generale questa somiglianza, non saprei come convincerlo altrimenti che pregandolo d’indicarmi
un’impressione semplice che non abbia un’idea corrispondente, o un’idea semplice che non abbia una
corrispondente impressione. Se non può rispondere a questo invito (e certamente non può), dal suo
silenzio così come dalle nostre osservazioni riterremo provata la nostra affermazione6.
Tutte le idee e impressioni semplici, dunque, si rassomigliano; ma, poiché di esse risultano costituite
anche le idee e impressioni complesse, possiamo affermare che queste due specie di percezioni si
corrispondono, in generale7, perfettamente. Trovata questa loro relazione, che non richiede un ulteriore
esame, sono tentato di scoprire qualche altra loro proprietà. Vediamo, infatti, come si comportano
riguardo alla loro esistenza, e se le impressioni sono causa delle idee, o viceversa.
Poiché l’esame completo della questione è argomento del presente trattato, dobbiamo contentarci di
stabilire, per ora, il seguente principio generale: che tutte le idee semplici, al loro primo presentarsi,
derivano dalle impressioni semplici corrispondenti e le rappresentano esattamente8.
Note
1. In realtà, il criterio di distinzione delle impressioni dalle idee è duplice. Dal punto di vista soggettivo, esso
consiste infatti nel diverso grado di «forza e vivacità» che accompagna le une e le altre; dal punto di vista
oggettivo, esso è determinato dalla presenza o assenza di una percezione attuale, che giustifica la maggiore forza
delle impressioni rispetto alle idee.
2. Usando il termine «idea» in un senso ancora cartesiano (come oggetto immediato del pensiero), Locke l’aveva
privato del suo significato usuale di «immagine» e di «copia» (soltanto in un momento logicamente posteriore
sorgeva per lui, come per Cartesio, il problema della corrispondenza delle idee con le cose). Questo significato
usuale gli viene restituito da Hume: a condizione che sia chiaro che le idee sono immagini delle impressioni, non
delle cose. Di conseguenza per Locke tutte le nostre percezioni sono idee; per Hume le percezioni si distinguono
in idee e impressioni.
3. La terminologia è di evidente derivazione lockiana.
4. Questa conclusione, come Hume ammetterà subito, è affrettata. Se le idee corrispondessero sempre alle
impressioni, esse avrebbero sempre un valore oggettivo. Non sarebbe possibile avere idee sbagliate o prive di
senso. Ma la mente umana, come Locke aveva insegnato, oltreché ricettiva, è anche attiva, cioè ha la capacità di
combinare le proprie percezioni semplici formandone di complesse. Proprio in questa facoltà di composizione
risiede una prima possibilità di errore, stabilendo tra le percezioni connessioni che non hanno alcun riscontro
nelle impressioni da cui le idee derivano.
5. Due sono, dunque, le possibilità di non corrispondenza tra impressioni e idee complesse: l’idea complessa può
non avere rispondenza in una impressione complessa (non ho mai avuto l’impressione della Nuova
Gerusalemme) o viceversa un’impressione complessa può non tradursi in una corrispondente idea complessa
(non sono in grado di raffigurarmi con esattezza nel pensiero l’impressione di una città che ho già visto, come
nel caso di Parigi). È tuttavia chiaro che, mentre il secondo caso rappresenta soltanto un innocuo limite – già
osservato da Locke – della capacità umana di formulare idee, il primo caso presenta il pericolo di produrre una
falsa conoscenza.
6. Le idee semplici corrispondono sempre alle impressioni semplici. Idee complesse possono, invece, non avere
impressioni complesse corrispondenti. È dunque evidente che una possibilità dell’errore umano risiede nella
composizione delle idee complesse attraverso un’arbitraria connessione di impressioni semplici. In ogni caso, la
garanzia della validità di un’idea consisterà nel fatto che essa sia suscettibile di essere ricondotta a impressioni
che le corrispondano.
7. Cioè, eccettuati i casi sopramenzionati.
8. Sul principio della priorità delle impressioni rispetto alle idee si fonda il radicale empirismo di Hume. Nella
nostra conoscenza ogni idea deve derivare da una corrispondente impressione, cioè dall’esperienza. Accanto alla
falsa combinazione di impressioni semplici in un’idea complessa, è qui prefigurata una seconda forma di falsa
conoscenza: quella che pretende servirsi di idee che non derivano dall’esperienza e che non corrispondono a
nessuna impressione, come generalmente avviene nella metafisica.