Prof. Diego Manetti Filosofia DAVID HUME (Edimburgo, 1711 – 1776) Mentre Locke aveva riconosciuto piena validità alla conoscenza benché nei limiti della sola esperienza, con Hume l’empirismo è condotto a una conclusione scettica: l’esperienza può offrire solo una conoscenza probabile. Opere: Trattato sulla natura umana (1739) Ricerca sull’intelletto umano (1748) Ricerca sui principi della morale (1752) Hume si ritiene uno “Newton della natura umana”, cioè vuol costruire una scienza della natura umana su base sperimentale. La tendenza empiristica e anti-metafisica lo condurrà allo scetticismo, ma a lui Kant riconoscerà il merito di averlo svegliato dal “sonno dogmatico”. Le percezioni della mente secondo Hume si dividono in 2 classi distinte per grado di vivacità con cui colpiscono lo spirito: le impressioni (> forza, si dividono in impressioni di sensazione – come il calore – e impressioni di riflessione – come il desiderio) e le idee (<forza, sono dette immagini illanguidite delle impressioni) Ogni idea deriva dalla corrispondente impressione e non esistono idee o pensieri di cui non si sia avuta precedentemente l’impressione (cfr. Tommaso d’Aquino: Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu). Mentre Locke ammetteva, aldilà delle idee, la realtà dell’io, di Dio e del mondo, per Hume ogni realtà si risolve nelle impressioni, nelle idee e nei loro rapporti. La conclusione scettica è inevitabile: non esistono “cose”, ma semplicemente associazioni di idee che per abitudine indichiamo con un unico nome. L’immaginazione è la facoltà di stabilire relazioni tra idee tramite il principio di associazione che opera secondo tre criteri: 1. somiglianza (il ritratto e l’oggetto originale) 2. contiguità spazio-temporale (gli appartamenti di due case vicine) 3. causalità (una ferita fa pensare al dolore che ne deriva) L’associazione è alla base delle idee complesse, tra le quali le più importanti sono quelle di spazio e di tempo, di sostanza, di causa ed effetto, cui attribuiamo consistenza e oggettività mentre a esse non corrisponde alcuna impressione. Spazio e tempo non sono altro infatti che nostri “modi di sentire” le impressioni stesse. Hume distingue le proposizioni che concernono relazioni tra idee (es. quelle matematiche, che si scoprono con la sola operazione del pensiero basandosi sul principio di non contraddizione) e quelle che concernono fatti e che si basano sull’esperienza e dunque non possiedono in se stesse la propria validità (il contrario di un fatto è sempre possibile e dire “domani sorgerà il sole” non è più vero che dire “domani non sorgerà il sole”). Tutti i ragionamenti riguardanti i fatti si fondano sulla relazione di causa ed effetto. Tale relazione secondo Hume non può essere conosciuta a priori (Adamo non avrebbe mai potuto inferire dal calore del fuoco che esso avrebbe potuto consumarlo né dalla trasparenza dell’acqua che essa Prof. Diego Manetti Filosofia poteva soffocarlo). E anche dopo che è stata scoperta, la connessione causa-effetto rimane arbitraria, priva di necessità oggettiva. Causa ed effetto sono fatti diversi, che non hanno in sé nulla che richiami necessariamente l’altro. La loro connessione attuale non può fondare alcuna previsione futura. Che il corso della natura possa cambiare infatti non implica alcuna contraddizione. L’unica cosa che possiamo ricavare dall’esperienza è l’attesa di effetti simili da cause simili, secondo il principio di rassomiglianza. Benché tale attesa non abbia fondamento in altro che l’abitudine dell’uomo, essa è un’esigenza radicata nel cuore dell’uomo stesso e pertanto possiede una sorta di necessità soggettiva. L’abitudine è il principio che spiega la congiunzione che noi stabiliamo tra i fatti, ma non giustifica alcuna loro presunta connessione necessaria. L’abitudine è, come l’istinto per gli animali, guida infallibile per la condotta pratica dell’uomo, ma non gode di alcun fondamento razionale. Il rapporto causale non è dunque giustificabile - né a priori, ossia col puro ragionamento, poiché si basa sull’esperienza - né a posteriori, poiché l’esperienza ci dice solo che ad A segue B, non che ad A debba seguire B Ogni credenza nell’esistenza di realtà esterne dipende dunque dall’abitudine e non porta ad alcuna conoscenza scientifica ma semplicemente probabile; è solo per la maggior vivacità delle impressioni che siamo portati a ritenere che esistano delle “cose” a esse corrispondenti. Dalla coerenza e costanza di certe impressioni siamo portati a credere che tali “cose” siano dotate di una esistenza continua e ininterrotta. E se qualcuno volesse far notare che allontanandoci da un oggetto la grandezza dell’immagine dello stesso varia alla nostra vista mentre l’oggetto rimane delle stesse dimensioni, Hume ribatterebbe che l’unica cosa certa sono le impressioni dell’oggetto, mentre l’esistenza di una presunta “cosa” dotata di dimensioni stabili non è giustificabile, ma semplicemente supposta per l’ineliminabile istinto dell’uomo a credere in essa. Analogamente per l’io: non esiste un “io” indipendente dalle nostra impressioni, ma l’io non è altro che un fascio di impressioni che si susseguono nel tempo. In altre parole, chiamiamo soggetto e sostanza ciò che non è altro che un succedersi di stati d’animo nella coscienza. Analogo discorso per la morale: trattandosi di materia di fatto, il criterio di giudizio non potrà che essere l’esperienza. Alla base della morale vi è dunque la percezione dell’utilità sociale di certi comportamenti (esiste la giustizia solo perché non vi è abbondanza tale di risorse da far sì che nessuno desideri impossessarsi dei beni altrui e dunque si percepisce come utile l’esistenza e il rispetto di regole di proprietà). Massima virtù politica è l’obbedienza, il cui fondamento è l’utilità sociale poiché essa permette che il benessere individuale sia compatibile con la felicità collettiva. Il problema lasciato aperto da Hume riguarda la scienza: se solo l’esperienza è fonte di conoscenza, e tale conoscenza è puramente probabile - poiché il legame di causa/effetto (su cui si basano le scienze) non si fonda su alcuna necessità razionale ma su semplice abitudine soggettiva – l’uomo dovrà dunque rinunciare alla possibilità di un sapere scientifico (necessario e universale)?