La meccanica quantistica La meccanica quantistica fornisce molte informazioni sulla realtà e permette di spiegare dei fenomeni altrimenti inspiegabili con la fisica classica. Non è un lusso di cui si può fare a meno ma una teoria fisica indispensabile per comprendere ciò che ci circonda. Ma qual è il quadro di riferimento generale a cui la meccanica quantistica riconduce? Quale tipo di realtà viene in effetti descritta? Su questo non c’è alcun accordo e qui nascono le molteplici interpretazioni che andremo di seguito a conoscere. Interpretazione di Copenaghen La cosiddetta “Interpretazione di Copenaghen” è stata sviluppata soprattutto da Niels Bohr e da Werner Heisenberg (con Pauli, Dirac, Born ed altri), negli anni 1924-27. Rappresenta l’interpretazione standard della meccanica quantistica ed è a questa visione che Einstein si oppose fortemente. Secondo questa interpretazione la funzione d’onda descrive un’insieme di possibilità tutte copresenti e solo il processo della misura la fa collassare in un unico e solo stato osservabile. Il gatto di Schrödinger, perciò, non è né vivo né morto finché non si apre la scatola! Secondo questa interpretazione la realtà è probabilistica e non è determinata a priori (viene negato il "realismo" e il "determinismo"), il ruolo dell’osservatore è quindi cruciale. Interpretazione di De Broglie-Bohm Questa interpretazione (“Guide Wave Interpretation”) fu proposta originariamente da Louis de Broglie e poi migliorata e sostenuta da David Bohm. Fa parte del gruppo detto "a variabili nascoste". Secondo questa teoria ad ogni tipo di particella è associata un'onda ("onda pilota") che guida il moto della particella. L’onda pilota è ben reale e permea tutto l’universo, costituendone l’ordine implicato (non manifesto), che Bohm considera avere una struttura ologrammica, in quanto lo schema globale è riprodotto in ogni sua singola parte. Quello che noi possiamo osservare è solo l’ordine esplicato, che risulta dall’elaborazione che il nostro cervello effettua delle onde di interferenza. Poiché Bohm riteneva che l'universo fosse un sistema dinamico (mentre il termine ologramma rimanda di solito ad un’immagine statica), utilizzò il termine “Olomovimento” per descrivere la natura del cosmo. Nello spiegare il processo di entanglement (correlazione), Bohm afferma che le due particelle che noi vediamo come distinte ma interconnesse sono una cosa sola ad un livello di realtà più profondo. Se due telecamere differenti riprendessero lo stesso pesce in un acquario, infatti, noi potremmo avere la percezione di vedere due pesci stranamente interconnessi tra loro. Ogni cambiamento nei movimenti dei due pesci, infatti, sarebbe sincrono. Ciò che nei due televisori (ordine esplicato) sembra diviso, noi sappiamo trattarsi di un’unica entità nell’acquario (ordine implicato). Allo stesso modo le due particelle entangled costituirebbero un’unità su un piano di realtà più fondamentale di quello che i nostri sensi percepiscono. Interpretazione statistica L'interpretazione statistica è un'estensione dell'interpretazione probabilistica di Max Born della funzione d’onda. La funzione d’onda non viene considerata un’entità reale e viene negato che possa essere applicata ad un sistema individuale (come un fotone o una particella); essa descrive semplicemente il comportamento statistico di un insieme di sistemi, allo stesso modo in cui le leggi probabilistiche descrivono il comportamento delle molecole di un gas nel suo insieme. I misteri dei quanti non sarebbero affatto diversi dai "misteri" relativi ai numeri che potrebbero uscire da un lancio di dadi. Il dualismo onda/particella non esiste proprio in questa interpretazione! Einstein fu un convinto sostenitore dell’interpretazione statistica e disse: “Il tentativo di concepire la descrizione quantistica teorica come la descrizione completa dei sistemi individuali porta a interpretazioni teoriche innaturali, che diventano immediatamente non necessarie se si accetta che l'interpretazione si riferisca ad insiemi di sistemi e non a sistemi individuali”. Non esiste, a tutt'oggi, una interpretazione della meccanica quantistica univoca e condivisa da tutti; esistono solo molte interpretazioni sulla realtà che sottende determinati fenomeni. La lunghezza d’onda di una particella Tutte le particelle con una certa quantità di moto hanno una lunghezza d'onda, chiamata lunghezza d'onda di de Broglie, che si sviluppa in base alla relatività ristretta: dove h è la costante di Planck, p è la quantità di moto della particella, mè la massa della particella, v è la velocità della particella, e c è la velocità della luce. De Broglie affermò che questa relazione è valida per tutte le particelle comprese quelle non relativistiche (postulato di de Broglie) con vc (velocità molto inferiore rispetto alla velocità della luce) Benché l’espressione matematica sia molto semplice, le implicazioni fisiche sono molto profonde. La materia ha proprietà ondulatorie poiché la lunghezza d’onda implica che a ogni particella che si muove è associata un’onda. Se l’equazione precedente è corretta ci si può aspettare che fenomeni di interferenza e diffrazione debbano essere osservati in modo analogo a quanto avviene per i fotoni. Questo è quanto effettivamente avviene. Il principio di indeterminazione di Heisemberg Nel 1927 Werner Heisenberg formula un principio, detto “di indeterminazione”, che dà un ulteriore, forte, scossone alle certezze della vecchia fisica newtoniana. Secondo questo principio vi sono in fisica delle grandezze tra loro correlate (dette “coniugate”) che non potranno mai essere conosciute con esattezza allo stesso tempo: la determinazione precisa di una delle due, infatti, rende più incerta la misura dell’altra. Sono grandezze coniugate la posizione di una particella e la sua velocità (più esattamente la quantità di moto = massa x velocità) . Possiamo quindi arrivare a conoscere l’esatta posizione di una particella in un dato istante, ma in tal caso non potremo conoscere la sua velocità con precisione e viceversa. In pratica si afferma l'esistenza di una indeterminazione ineliminabile nella misura simultanea di queste due grandezze. Per comprendere in che modo misurando alcune grandezze, altre possano sfumarci tra le mani, portate l'attenzione alla doppia natura ondulatoria e corpuscolare dei quanti.... immaginate di voler determinare con precisione la lunghezza d'onda di un quanto, avrete bisogno del suo pacchetto d'onda che si propaghi nello spazio, così come se voleste determinarne con precisione la frequenza avrete bisogno che essa duri nel tempo. A questo punto, però, di un quanto esteso nello spazio e nel tempo non possiamo dire con precisione la posizione che occupa ad un determinato istante nella sua forma corpuscolare. Il valore minimo di questa indeterminazione è correlato alla costante di Planck. Inizialmente si è pensato che questa incertezza derivasse dall’interferenza generata dalla misurazione, ma poi si è visto che non dipende affatto dalle tecniche di misura, bensì è una proprietà intrinseca della materia! La formula che descrive l'indeterminazione di posizione/quantità di moto afferma che il prodotto della massima accuratezza con cui possiamo determinare queste due grandezze è una costante. Risulta: Dove x è l'errore sulla posizione, p è l'errore sulla quantità di moto, h ("acca tagliata") deriva dalla costante di Planck La formula che descrive l'indeterminazione di posizione/quantità di moto afferma che il prodotto della massima accuratezza con cui possiamo determinare queste due grandezze è una costante. risulta: Da cui deriva da cui osserviamo che diminuendo il valore del tempo si accresce quello dell'energia, cioè se si effettuano misurazioni per un periodo di tempo tendente a zero, i valori di energia tendono all’infinito: questo è un fatto strano che permette la violazione del principio di conservazione dell'energia per istanti brevissimi. In pratica il principio di indeterminazione prevede che delle particelle possano venire all'esistenza pur in assenza dell’energia necessaria alla loro creazione. Di fatto queste particelle sono prodotte a partire da indeterminazioni nell'energia, "prendono a prestito" dal vuoto l'energia necessaria alla loro creazione e, trascorso un piccolissimo lasso di tempo, “pagano il loro debito” scomparendo nuovamente. Dal momento che queste particelle non hanno un'esistenza permanente, sono dette particelle virtuali. Sebbene non possano essere osservate lasciano comunque una traccia della loro generazione nei livelli di energia degli atomi, tracce che sono state effettivamente misurate (Willis Lamb, 1947) e che hanno confermato la teoria.