10 - La Scuola di Francoforte 1. L’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte 2. La teoria critica della società 3. La dialettica negativa e la critica all’Illuminismo 4. La società amministrata e l’asservimento dell’individuo al sistema sociale 5. Piacere, bisogni e il “Grande rifiuto” 7 – Horkheimer, Marcuse “La società amministrata e l’asservimento dell’individuo al sistema sociale” L’ISTITUTO PER LA RICERCA SOCIALE DI FRANCOFORTE 1. L’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte Il nucleo originario della Scuola di Francoforte si forma a partire dal 1922 presso il celebre "Istituto per la ricerca sociale" che riuniva alcuni studiosi di ispirazione marxista tra cui alcuni storici, sociologi ed economisti insieme ai filosofi Max Horkheimer e Theodor Wiesengrund Adorno. Più tardi si uniscono al gruppo altri intellettuali tra cui lo psicosociologo Erich Fromm, il filosofo Herbert Marcuse, il critico letterario e filosofo Walter Benjamin. Nel 1936 Horkheimer inaugura la "Rivista per la ricerca sociale"; prestigioso organo della Scuola, di fama europea e internazionale. Con l'avvento del nazismo, il gruppo francofortese deve emigrare all'estero: prima a Ginevra, poi a Parigi e, infine, a New York. Al termine della Seconda guerra mondiale alcuni esponenti della Scuola rimangono negli Stati Uniti (Marcuse, Fromm,), mentre altri (Horkheimer, Adorno) fanno ritorno in Germania, dove ridanno vita all'Istituto per la ricerca sociale, nella cui atmosfera culturale si forma una nuova generazione di studiosi, tra i quali si distingue Jurgen Habermas, che costituisce l'erede più significativo della Scuola. Ostili alla socialdemocrazia, considerata traditrice degli obiettivi rivoluzionari, ma anche al comunismo sovietico, essi si sono tenuti per lo più lontani dall'attività politica diretta, anche quando le loro teorie hanno conosciuto una notevole diffusione essendo state sicuramente tra le ispiratrice della rivolta studentesca del ’68. Storici, ______________________ _______________________ e filosofi. Horkheimer, _________________, __________________, ____________ La fuga e il ritorno dall’____________ Ispiratori della ___________________ _______________________________ Le opere della Scuola di Francoforte Adorno- Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo (1947) Horkheimer, Eclisse della ragione (1947) Marcuse, L’uomo a una dimensione (1955 Marcuse, Eros e civiltà(1964) Adorno, Dialettica negativa (1966) 2. La teoria critica della società Sul piano filosofico la Scuola di Francoforte è sostanzialmente una teoria critica della società presente, alla luce dell'ideale rivoluzionario di un'umanità futura libera e disalienata, ossia una forma di pensiero negativo proteso a smascherare le contraddizioni profonde dell'esistente. E ciò tramite un modello utopico in grado di fungere da pungolo rivoluzionario per un mutamento radicale della società. In vista di questi obiettivi, la Scuola di Francoforte si rifà a tre autori fondamentali: Hegel, Marx e Freud. Dalla tradizione hegelo-marxista deriva la tendenza filosofica a impostare un discorso dialettico e critico intorno alla società: dialettico, perché volto a evidenziarne le LA TEORIA CRITICA DELLA SOCIETÀ Critica della ___________________ per smascherarne ________________ alla luce di un modello ____________ di umanità _____________________ i riferimenti a : Hegel/______________ + _________ 268 contraddizioni intrinseche; critico, perché, invece di fermarsi alla constatazione analitica e statistica di ciò che la società è, intende metterla in discussione nella sua globalità, esprimendosi nel contempo su ciò che dovrebbe essere. Obiettivo originario dell'Istituto è il ripristino del marxismo, ma tenendo conto dei mutamenti della situazione storico-sociale. Soprattutto dopo la grande crisi economica del 1929, il capitalismo sembra assumere un nuovo aspetto e trasformarsi - sia nelle democrazie occidentali, sia nelle dittature di destra, sia nell'Unione Sovietica - in capitalismo di Stato. Ciò comporta che non è più possibile parlare di una struttura economica autonoma rispetto alla politica: contrariamente alla teoria di Marx, lo Stato pare riassumere il primato rispetto alla società civile e impedire - con il suo intervento diretto nella sfera economica - l'impoverimento crescente del proletariato. Il mancato riconoscimento del marxiano primato della struttura economica si traduce in una rivalutazione del ruolo della sovrastruttura, cioè delle ideologie, dei modi di sentire, degli atteggiamenti psicologici e sociali che rappresentano un potente collante sociale, capace di spiegare la tenuta del capitalismo. La rivalutazione della struttura si accompagna ad un’attenuazione dell’impostazione classista di Marx, infatti, in primo luogo il ruolo svolto dalla classe dominante nel determinare in base ai suoi interessi la sovrastruttura viene assunto dal sistema produttivo stesso che appare sempre più come “potere sociale” sfuggito al controllo dell’uomo, come una potenza estranea. Inoltre nella nuova situazione creata dalla società del benessere si assiste a una progressiva perdita di impulso rivoluzionario nella classe operaia, con la conseguente sfiducia - comune agli autori che fanno capo alla Scuola di Francoforte - nel fatto che essa possa ancora essere il motore di una trasformazione radicale della società. Non scorgendo più all'orizzonte un agente sociale della rivoluzione e ritenendo ormai impossibile su questa base una previsione scientifica del crollo del capitalismo, questi autori ritornano, in qualche modo, a un'impostazione simile a quella della sinistra hegeliana dopo la morte di Hegel: essi, infatti, riconoscono la discordanza tra la realtà storica e la razionalità e il carattere irrazionale della società esistente, rispetto alla quale il compito primario da esercitare consiste nella critica. In questo senso, essi intendono elaborare una teoria critica della società, nella quale LA SCUOLA DI FRANCOFORTE E LA SCUOLA DI FRANCOFORTE _________ _________ Condividono con Marx: 1- l’uso della ___________________ per ____________________________ 2 – atteggiamento ________________ L’adeguamento del marxismo alle nuove condizioni ________________________ (________________________ cfr Marx) 1 – i rapporti struttura/___________________________: la rivalutazione della __________________________ 2 l’impostazione _________________ a - dalla classe ___________________________ al ____________________________ b - la negazione del ruolo rivoluzionario della __________________________ 3 dalla previsione scientifica del _____ _______________________________ (vedi il marxismo come “religione sociale” Marx pag. 8 e L’ideologie politiche nella seconda metà dell’Ottocento, pag. 7-8) all’ __________________________________________ contraddizioni senza _____________________________ e utopia come rifiuto di ____________________________________________ occupa una posizione centrale la dialettica, intesa come metodo per la trasformazione della società. Teoria critica volta ad accertare le contraddizioni esistenti, ma senza la certezza di un superamento di esse in una sintesi finale. In 269 E questa prospettiva, torna ad aprirsi un nuovo spazio per l'utopia, la quale però consiste - più che nella delineazione di un programma da perseguire e nella definizione dei caratteri della società libera del futuro - nella denuncia e nel rifiuto di ciò che è falso nel presente. Nel pensiero dialettico assume, pertanto, rilevanza primaria il momento della negazione. Da Freud deriva in primo luogo gli strumenti analitici per lo studio della personalità e dei meccanismi di "introiezione" dell'autorità (classici, a questo proposito, gli “Studi sull'autorità e la famiglia”, del 1936, e “La personalità autoritaria”, del 1950). I francofortesi utilizzano quindi i concetti freudiani per indagare quegli aspetti di natura psicosociale che alla luce della rivalutazione della sovrastruttura andavano acquisendo nuova importanza. Dal fondatore della psicoanalisi la Scuola eredita anche i concetti di "ricerca del piacere" e di libido, che interpreta come istinti creativi che devono essere liberati dalle imposizioni autoritarie derivanti dalla tradizionale società di classe (v. par. Marcuse). Dal punto di vista storico-sociale, il progetto filosofico della Scuola di Francoforte si definisce in relazione a tre coordinate di fondo: l'avvento del nazismo e del fascismo (che stimola la riflessione sull'autorità e i suoi nessi strutturali con la società industriale moderna); l'affermazione del comunismo sovietico (che funge da esempio negativo di "rivoluzione fallita" e di "altra faccia" del capitalismo odierno); il trionfo della società tecnologica e opulenta (che offre materia per alcune delle più originali meditazioni francofortesi sull’industria culturale, sull’individuo etero-diretto, ecc.).. LA SCUOLA DI FRANCOFORTE E _________ La ________________________ come strumento di indagine della ______________________________ Scuola di Francoforte e totalitarismi di ______________ comunismo _____________ ______________________________ LA DIALETTICA NEGATIVA E 3 La dialettica negativa e la critica all’illuminismo 3.1 Dialettica, contraddizioni, utopia 3.2 L’Illuminismo: la crescita del potere sulla natura e asservimento dell’individuo al sistema sociale La dialettica è sicuramente uno dei temi centrali del pensiero di Adorno1 che, soprattutto nella “Dialettica negativa”, difende la funzione primaria della dialettica come strumento di comprensione del reale. Tuttavia, la dialettica cui intende rifarsi Adorno non è quella dello Hegel sistematico; ossia la dialettica della "sintesi" e della “conciliazione”, bensì una dialettica negativa, che, mettendo in discussione l'identità di ragione e di realtà, svela le disarmonie e le contraddizioni non conciliate che caratterizzano il mondo in cui viviamo. Adorno ritiene infatti che, «dopo Auschwitz», ovvero dopo i brutali avvenimenti legati al nazismo e ai campi di concentramento, «gran parte delle tradizionali visioni del mondo siano divenute semplice spazzatura» e che la filosofia, per mettersi davvero al passo con i tempi, debba rompere con il proprio passato: anziché criticare la realtà, finora i filosofi l'hanno per lo più elogiata, sforzandosi di offrirne una spiegazione coerente e globale. Ma, così facendo, essi sono stati costretti a razionalizzare l'irrazionale, a unificare il diverso, ad armonizzare il disarmonico, mediante un'operazione chiaramente mistificatrice. A questa filosofia idealistica, che ingabbia il mondo in una totalità di concetti astratti e che assume un atteggiamento giustificazionistico e conservatore verso la società presente, Adorno contrappone una filosofia materialistica, che insiste sul non identico, sul contraddittorio, sul disarmonico e sul particolare, rinunciando al mito della «totalità pacificata». In tal modo, ponendosi come controfigura critica dei «sistemi dell'identico» e svelando le false armonie propugnate dai vari "-ismi", la filosofia del dopo 1 LA CRITICA ALL’ILLUMINISMO DIALETTICA, CONTRADDIZIONI, UTOPIA Dialettica ___________________ = strumento di ___________________ della realtà che svela le ____________ ______________________________ La filosofia dopo ________________ Dall’ ________________________ alla ________________ della realtà La critica dell’atteggiamento _______ _____________ e ________________ Il valore delle ___________________ Il ruolo ______________________ della filosofia Per la vita e le opere di Adorno vedi pag. 278 270 Auschwitz assume nel mondo contemporaneo, un ruolo centrale e programmaticamente rivoluzionario, connesso alla sua missione utopico-critica, consistente nel tentativo di attuare l'incompiuta equazione tra ragione e realtà: “la filosofia, che una volta sembrò superata, si mantiene in vita perché è stato mancato il momento della sua realizzazione.”(Dialettica negativa) Il tema centrale del pensiero di Horkheimer 2 è il concetto di razionalità che sta alla base del mondo moderno e della civiltà industriale sulla quale esso si regge. In un saggio del 1947, pubblicato negli Stati Uniti e dal titolo “Eclisse della ragione”, il filosofo distingue tra una ragione oggettiva e una ragione soggettiva. La ragione oggettiva è quella dei grandi sistemi filosofici (Platone, Aristotele, la scolastica e l'idealismo tedesco) e consiste nella messa in luce di una ragione universale in grado di fungere da sostanza della realtà e da criterio per il conoscere e per l'agire; la ragione soggettiva è quella che si rifiuta di riconoscere uno scopo ultimo o, in generale, di valutare i fini, e che si limita a determinare l'efficienza dei mezzi. Tale ragione soggettiva è la ragione stessa della civiltà industriale (e delle filosofie che la rispecchiano: dal pragmatismo3 al neopositivismo), ossia di un tipo di organizzazione sociale che, perseguendo come unico scopo il dominio della natura e degli uomini, risolve la razionalità nella funzionalità (il sapere nella tecnica, la verità nell'utilità), generando un tipo di uomo asservito alle esigenze produttive. Un uomo che non si interroga mai sui fini della società ma che si limita alla semplice riflessione tecnica sui mezzi atti ad estendere il potere dell’industria, lasciando che i fini vengano controllati e imposti interamente dal sistema sociale che si impone all’individuo. L’ILLUMINISMO: LA CRESCITA DEL POTERE SULLA NATURA E DEL DOMINIO SULL’UOMO LA RAGIONE ____________________ E LA RAGIONE ___________________ LA RAGIONE ____________________ E LA RAGIONE ___________________ LA RAGIONE __________ = stabilisce un _________________ (un fine) per il ______________ ____________ e l’__________________________ _______________ SOGGETTIVA = determina l’____________________ dei mezzi, ignora i ______________________ genera: a - una _________________ che ha come scopo __________________della natura e ____________________ b - un __________ asservito al ______________________che non sceglie i _________________ Questi concetti stanno alla base di quella che è l'opera chiave della Scuola di Francoforte: la “Dialettica dell'illuminismo” (1947), scritta da Horkheimer insieme con Adorno. In quest'opera il concetto di "illuminismo" subisce un manifesto ampliamento di significato, in quanto cessa di identificarsi con ciò che gli storici della cultura intendono solitamente con tale termine, per divenire una categoria tipico-ideale atta ad alludere a quella linea del pensiero "borghese» moderno che, partendo da Cartesio e Bacone, celebra i suoi trionfi nella cultura del Settecento e, più tardi, sulla scia di essa, nel positivismo, nel neopositivismo e nel pragmatismo. Pur trovando la propria espressione teorica in determinati sistemi filosofici, l'illuminismo di cui parlano Horkheimer e Adorno non si riduce a una semplice linea di pensiero, poiché si identifica con la "logica del dominio" che sta alla base della prassi dell'Occidente, ossia con quel complesso di atteggiamenti che - dalla realizzazione dei primi utensili a quella della centrale atomica - ha perseguito l'ideale di una razionalizzazione del mondo tesa a renderlo plasmabile e soggiogabile da parte dell'uomo. Da questo punto di vista, «storia universale e L’ILLUMINISMO = la “logica del _______ ________ “ perseguita dalla civiltà ____________________ per soggiogare _____________________ trionfante da ____________________ e culminante nelle società __________ ma compresente nell’uomo dalla costruzione _____________________ 2 Per la vita e le opere di Horkheimer vedi pag. 278 Pragmatismo, movimento filosofico americano sorto negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento e in seguito diffusosi anche in Europa. Movimento che comprende autori anche profondamente diversi (Ch.S. Peirce, W. James, J. Dewey)ma che comunque tendono a legare la conoscenze e il linguaggio all’ambito dell’azione e dell’uso che ne fanno gli individui concreti. 3 271 illuminismo diventano la stessa cosa», anche se l'apice dell'illuminismo è rappresentato dalla moderna società industriale. L'illuminismo, e quindi l'intera civiltà occidentale, risultano tuttavia segnati da un'interna dialettica autodistruttiva, poiché la pretesa di accrescere sempre di più il potere sulla natura tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell'uomo sull'uomo e in un generale asservimento dell'individuo al sistema sociale: “L'illuminismo ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura.” Il prezzo di questo processo di decadimento e di imbarbarimento non è solo la libertà, ma la felicità stessa. Il destino dell'Occidente, infatti, è simbolicamente racchiuso nel racconto omerico dell'incontro di Ulisse con le sirene. Com'è noto, per ascoltare il canto ammaliatore delle sirene, Ulisse abbandonò ogni attività e si fece legare all'albero della nave, dopo aver tappato con la cera le orecchie dei compagni di navigazione. In tal modo egli potè udire il canto senza cedere al suo struggente invito al piacere e alla felicità. Il mito rispecchia la situazione tipica della società di classe, nella quale «freschi e concentrati, i lavoratori devono guardare in avanti e lasciare stare tutto ciò che è a lato», ossia i richiami del piacere, mentre Ulisse, il signore che fa lavorare gli altri, pur potendo accogliere gli inviti alla felicità, è parimenti chiuso nel suo alienante ruolo sociale: “Egli ode [il canto], ma impotente, legato all'albero della nave, e più la tentazione diventa forte, e più strettamente si fa legare, così come, più tardi, anche i borghesi si negheranno più tenacemente la felicità quanto più - crescendo la loro potenza l'avranno a portata di mano.” Tutto questo fa sì che l'Odissea, secondo Horkheimer e Adorno, costituisca «uno dei primissimi documenti rappresentativi della civiltà borghese occidentale». La polemica contro l'illuminismo e contro la società industriale-capitalistica si accompagna alla critica della scienza moderna di tipo fisico-matematico, vista come inevitabile alleata del rovinoso progetto che ha portato all'odierna tecnicizzazione del mondo. + potere sulla ___________________ + potere sull’____________________ = -- libertà ________ _______________ IL MITO DI ULISSE L’incontro con le ________________ 2 ruoli sociali: - ____________________: dominio sulla __________________ devono ignorare il ______________ - _____________________: domini sugli __________________ si negano il _____________________ la critica della __________________ come produttrice della ____________ __________________del mondo LA SOCIETÀ AMMINISTRATA E L’ASSERVIMENTO DELL’INDIVIDUO AL SISTEMA SOCIALE 4. La società amministrata e l’asservimento dell’individuo al sistema sociale 4.1 Le società totalitarie: la società amministrata 4.2 L’industria culturale: l’individuo eterodiretto LE SOCIETÀ TOTALITARIE: LA SOCIETÀ AMMINISTRATA Secondo Horkheimer tutte le forme che la società del Novecento ha assunto, ossia capitalismo occidentale, capitalismo di stato sovietico, regimi fascisti, sono totalitari in quanto in esse tutto ciò che non può essere ricondotto al sistema viene lasciato cadere, negato, marginalizzato, al limite eliminato. Ciò che caratterizza il sistema, in una qualsiasi delle forme da esso assunte, è la produzione industriale e quindi il criterio in base al quale si stabilisce ciò che deve essere valorizzato è la produzione e/o il consumo, entrambi essenziali per l’industria e produttori di profitto. Il comunismo, che è capitalismo di Stato, è una variante dello Stato autoritario: qui al principio del profitto si è sostituito quello del piano (i piani quinquennali con i quali si stabilivano gli obiettivi dei paesi socialisti), ma gli uomini seguitano ad essere oggetti di amministrazione, di un'amministrazione centralizzata e burocratizzata. Il concetto di totalitarismo viene esteso, dagli autori della Scuola di Francoforte, per comprendervi anche le democrazie e il capitalismo occidentali dal momento che nemmeno esse sfuggono a questo assoggettamento degli individui, sebbene in altre forme e in genere senza ricorrere alla violenza fisica. Il profitto da una parte e il controllo del piano dall'altra hanno generato sempre maggiore repressione. È dunque una logica perfida quella che struttura la società industriale. La volontà di dominare la natura, di capirne le "leggi" per 272 assoggettarla, ha chiesto l'impianto di una organizzazione burocratica ed impersonale che, in nome dei trionfo della ragione sulla natura, è giunta a ridurre l'uomo a semplice strumento. Il progresso delle risorse tecniche, invece di servire a realizzare l’uomo, si è accompagnato a un processo di disumanizzazione, così che il progresso minaccia di distruggere proprio quello scopo che dovrebbe realizzare: l'idea dell'uomo. E l'idea dell'uomo, cioè la sua umanità, la sua emancipazione, il suo potere di critica e di creatività, sono minacciati perché lo sviluppo del "sistema" della civiltà industriale ha sostituito i fini con i mezzi, ha mutato la ragione mano strumento per raggiungere fini, dei quali la ragione non sa più nulla. In altri termini, nelle attuali società «il pensiero può servire per qualunque scopo, buono o cattivo. È uno strumento di tutte le azioni della società; ma non deve cercare di stabilire le norme della vita sociale o individuale, che si suppone siano LE SOCIETÀ TOTALITARIE: LA SOCIETÀ AMMINISTRATA Le società totalitarie: ______________________________________________________________________________________________________________ perché ciò che non ____________________________________ viene _________________________ ciò che il sistema __________________________ = produzione e __________________ in quanto produttori di ____________________ Profitto e ___________________________ amministrazione centralizzata degli ___________________ la volontà di dominare la __________ riduce l’uomo a ___________________ di un ‘organizzazione ________________ e __________________ la ___________________________ dell’uomo: mancato ___________________________________________________ perdita controllo ________________________________ Società e individuo: ______________________________ e rimpinguare di ___________ stabilite da altre forze». Ma senza stabilire razionalmente tali norme si finisce per perdere il controllo del “potere sociale”, per cui non è più la produzione al servizio dell’uomo ma è l’uomo al suo servizio. Nella società totalmente amministrata «l'aumento della produttività economica che genera, da un lato, le condizioni di un mondo più giusto, procura, d'altra parte, all'apparato tecnico e ai gruppi sociali che ne dispongono, una immensa superiorità sul resto, della popolazione. Il singolo, di fronte alle potenze economiche, è ridotto a zero. Queste, nello stesso tempo, portano a un livello finora mai raggiunto il dominio della società sulla natura. Mentre il singolo sparisce davanti all'apparato che serve, è rifornito da esso meglio di quanto non sia mai stato. Nello Stato ingiusto l'impotenza e la dirigibilità della massa cresce con la quantità di beni che le viene assegnata». Per raggiungere la sua funzionalità, il "sistema", che è la società tecnologica contemporanea, ha posto in atto, tra i suoi principali strumenti, un apparato possente: l'industria culturale (l'espressione, oggi di uso comune, è coniata da Horkheimer e Adorno). Questa è costituita essenzialmente dai mass-media (cinema, televisione, radio, dischi, pubblicità, rotocalchi, ecc.) e dalla cultura di massa, dal mondo del divertimento, del "sabato sera", delle vacanze, del turismo. È con i mass-media che il potere impone valori e modelli di comportamento, crea bisogni e stabilisce il linguaggio per esprimerli. E questi valori, bisogni, comportamenti e linguaggio sono uniformi perché devono raggiungere tutti; sono amorfi, asettici; non emancipano, non stimolano la creatività; anzi la bloccano perché abituano a ricevere passivamente i messaggi. L’INDUSTRIA CULTURALE: L’INDIVIDUO ETERODIRETTO L’industria __________________: _______________________________ _______________________________ L’omogeneizzazione di __________, modelli di ______________________, bisogni e _______________________ 273 L’INDIVIDUO ETERODIRETTO La massa dei cittadini non è affatto il soggetto della propria cultura, ne è piuttosto l'oggetto. Le esigenze delle masse sono accuratamente programmate; i best-seller vengono accuratamente pianificati, i gusti musicali dei giovani accuratamente pilotati. Così per ogni altra manifestazione della vita culturale. L’industria culturale crea consenso intorno al potere, garantisce stabilità al "sistema", perché garantisce felicità agli individui. Solo che i bisogni che essa soddisfa sono stati creati dall'industria stessa attraverso la pubblicità, i sistemi di comunicazioni di massa, e così via. L'uomo stesso viene pianificato. L'illuminismo è totalitario, crea modelli standard, ai quali l’uomo viene spinto ad aderire, ricavandone piacere. È però una forma di piacere che uccide la critica e limita la libertà. Tutto ciò che non rientra negli standard viene l’industria del __________________ considerato negativo, viene rifiutato. Intere sfere della personalità umana vengono così rifiutate. Nasce l’uomo eterodiretto, l'uomo massa, 1'uomo standardizzato, felice di esserlo. E questo lo si vede anche nel divertimento: questo non è più il luogo della ricreazione, della libertà, della genialità, della gioia vera. È l'industria culturale che fissa il divertimento e i suoi orari. L'individuo subisce ancora. Come subisce le regole del "tempo libero", che è tempo programmato dall'industria culturale. In questo modo, l'industria culturale non è che veicoli un'ideologia, è essa stessa ideologia; l'ideologia dell'accettazione dei fini stabiliti da "altri", cioè dal sistema trasmessa insieme alla convinzione che il sistema sia perfetto, il migliore possibile e, in ogni caso, adatto a garantire la felicità dell’individuo e la risoluzione dei suoi problemi. L’INDIVIDUO ETERODIRETTO l’industria culturale crea quei ___________________ che il sistema _______________________________ ottenendo di: - garantire la __________________ all'_______________________ soddisfando i _______________ indotti - espellere _______________________________________________________________________________________________________ L’industria cultura come __________________________ fondata su: a – accettazione _______________________________________________________________________ b – convinzione che il sistema sia _________________________________________ e garantisca __________________________________ 5. Piacere, bisogni e il “Grande rifiuto” 5.1 Eros e civiltà: piacere e falsi bisogni 5.2 L’uomo a una dimensione e il “Grande rifiuto” PIACERE, LAVORO E IL “GRANDE RIFIUTO” EROS E CIVILTÀ: PIACERE E FALSI La polemica contro la società repressiva e la difesa dell'individuo e delle sue istanze di felicità costituiscono anche i principali temi di riflessione di Herbert Marcuse4, la cui opera rappresenta un tentativo di sintesi originale tra marxismo e freudismo. Alla base di Eros e civiltà (1955) sta la convinzione, mutuata da Freud, che la civiltà ha potuto svilupparsi solamente in virtù della repressione degli istinti, e in particolare della "ricerca del piacere"; che, secondo la psicoanalisi, costituisce la molla fondamentale della vita dell'essere umano. La società è infatti riuscita ad accrescere la propria produttività e a mantenere il proprio ordine solo impedendo all'individuo la libera soddisfazione delle sue pulsioni. 4 BISOGNI Per la vita e le opere di Marcuse vedi pag. 278 274 A differenza di Freud, che considerava la repressione un costo inevitabile della civiltà (sia pure secondo gradazioni variabili e suscettibili di mutamento a favore del singolo), Marcuse ritiene che non sia la civiltà in quanto tale a essere repressiva, bensì quel tipo particolare di civiltà che è la società di classe. In altre parole, Freud, secondo Marcuse, non avrebbe distinto tra la rimozione di base (cioè un certo controllo degli istinti richiesto dalla vita sociale) e un surplus di rimozione richiesto dalla particolare forma storica di civiltà delineatasi in Occidente. Quest'ultima, infatti, è stata completamente asservita a ciò che Marcuse chiama il «principio della prestazione», ossia alla direttiva di impiegare tutte le energie psicofisiche dell'individuo per scopi produttivi e lavorativi. I canali di produzione della repressione addizionale, che riducendo il singolo a un'entità-per-produrre ha represso le richieste umane di felicità e di piacere, sono indicati da Marcuse nella struttura familiare patriarcale-monogamica; nella "diserotizzazione" del corpo umano e nella cosiddetta «tirannide genitale", ossia la riduzione della sessualità a puro fatto genitale e procreativo; e soprattutto nella divisione gerarchica del lavoro e nell'amministrazione collettiva dell'esistenza privata. In questa situazione, la società tende a essere totalitaria, ossia a rendere impossibile ogni opposizione. Di fatto, l'apparato produttivo ha raggiunto un tale livello di sviluppo da rendere disponibili le risorse necessarie per un mutamento qualitativo dei bisogni umani, ma la società totalitaria crea bisogni falsi e artificiali allo scopo di impedire la liberazione degli individui dal dominio EROS E CIVILTÀ: PIACERE E FALSI BISOGNI Civiltà e ___________________: repressione / _____________________________________ La rimozione di base: _____________________________________________________________________________________________ La rimozione aggiuntiva:___________________________________________________________ che nelle società _________________ si esplicita nel _______________________________ I canali di produzione della ______ ____________________________ 1 - _____________________________________________________ 2 - _____________________________________________________ 3 - _____________________________________________________ 4 - _____________________________________________________ utopia: soddisfacimento di bisogni ____________ + godere con ____________________________________________________________ realtà: soddisfacimento di bisogni ____________ + falsi ________________ = costrizione ____________________ (principio della _____________________) razionalizzato come __________ _________________________________________________ l’impulso al __________________ sopravvive nell’_____________, nelle sue __________________ e nell’___________________ Miti e simboli della civiltà occidentale Prometeo = fatica e ____________________ Orfeo = la voce che ___________________ Narciso = la ________________________________ Filosofia = opposizione __________________________________________________________________________________________ L’utopia: - corpi non organi di _____________________ ma di _________________________________________ - vita come ________________________________________________ (vedi Nietzsche: le tre metamorfosi) attraverso il soddisfacimento completo dei bisogni vitali. Il fine della vita, anziché essere quello di godere con gli altri del nostro stare al mondo, è divenuto così quello 275 del lavoro e della fatica, che gli uomini hanno finito per accettare come qualcosa di naturale, o come la "giusta" punizione per qualche colpa commessa. Tuttavia, la civiltà della prestazione non ha potuto far tacere completamente gli impulsi primordiali verso il piacere, la cui memoria è conservata dall'inconscio e dalle sue fantasie. Il «ritorno del represso», secondo Marcuse, trova una delle sue forme caratteristiche nell'arte, che da sempre esprime il desiderio umano di libertà, personificando essa stessa l'istanza della creatività non alienata. La dimensione estetica per Marcuse ha trovato in Orfeo e Narciso le sue figure più caratteristiche. Se Prometeo è l'eroe culturale dell'Occidente, in quanto simbolo della fatica e delle produttività, Orfeo è «la voce che non comanda, ma canta» intuendo «nel mondo un ordine più alto, un ordine senza repressione», e «la vita di Narciso è una vita di bellezza, e la sua esistenza è contemplazione». Orfeo e Narciso sono dunque il simbolo della ribellione simbolica contro la logica del lavoro e della fatica. Diversamente dall'arte si comporta la filosofia, “le cui categorie esistenziali hanno conservato la connessione tra ragione e repressione: tutto ciò che appartiene alla sfera dei sensi, del piacere, degli impulsi, significa anche qualcosa che sta in antagonismo con la ragione, qualcosa che va soggiogato e frenato.” Appurato che l'ideale della storia è quello di far sì che i corpi degli uomini possano La realizzabilità dell’______________ tornare a essere organi di piacere e non di fatica, mediante una risessualizzazione della persona umana finalizzata alla realizzazione di un'esistenza vissuta come libero gioco, non rimane che chiedersi se esistano delle possibilità reali atte a garantire una civiltà non repressiva. A questo interrogativo Eros e civiltà risponde positivamente. Marcuse ritiene infatti che il principio della prestazione abbia «creato le precondizioni storiche per la sua stessa abolizione». Ciò è sostanzialmente dovuto al fatto che lo sviluppo tecnologico e l'automatismo hanno posto le premesse per una diminuzione radicale della quantità di energia che deve essere investita nel lavoro, a tutto vantaggio dell'eros e in vista di una trasformazione finale del lavoro in gioco, ossia in attività libera L’UOMO A UNA DIMENSIONE E IL e creatrice. Di conseguenza, l'utopia di Marcuse vuol essere, in sostanza, «il desiderio di un paradiso ri-creato in base alle conquiste della civiltà». “GRANDE RIFIUTO In uno scritto successivo, dal titolo L'uomo a una dimensione (1964), Marcuse riprende e radicalizza i vari motivi di critica della società tecnologica avanzata. L'«uomo a una dimensione» è l'individuo alienato della società attuale, colui per il quale la ragione si è identificata con la realtà e che perciò non scorge più il distacco tra ciò che è e ciò che deve essere; sicché per lui, al di fuori del sistema in cui vive, non ci sono altri possibili modi di esistere. Infatti il sistema tecnologico ha la capacità di far apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l'individuo in un frenetico universo consumistico. Anzi, il sistema, pur identificandosi con 1'«amministrazione totale» dell'esistenza, si ammanta di forme pluralistiche e democratiche, che però sono puramente illusorie, poiché le decisioni, in realtà, sono sempre nelle mani di pochi: “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico.” Nella stessa tecnologia, egli riconosce uno strumento per istituire nuove forme di controllo e di coesione sociale, più piacevoli e quindi più efficaci. Ciò significa che è proprio l'innalzamento del tenore di vita, dovuto ai progressi tecnici raggiunti nella società opulenta, a diventare veicolo di repressione: esso, infatti, genera il bisogno ossessivo di produrre e di consumare lo spreco e ottunde le capacità di resistenza e di opposizione al sistema. In questa situazione, trova spazio quella che Marcuse chiama desublimazione e tolleranza repressiva: grazie all'estensione in massa di valori culturali, che vengono appiattiti sull'ordine sociale esistente, si verifica la concessione di libertà apparenti, che non ledono gli interessi dominanti e, anzi, garantiscono e rafforzano la persistenza della repressione. Sono di tale tipo le false libertà dell'Occidente, nel quale, in apparenza, non ci sono più tabù, né repressioni (e quindi non c'è più sublimazione), mentre, in realtà, si ha una semplice liberalizzazione L’UOMO A _____________________ - ragione = _____________________ - sistema esistente = ______________ ______________________________ - stordito _______________________ - illusoriamente ________________ Società opulenta e ________________ +____________________ + _______ ____________ - capacità __________ ______________________________ 276 "amministrata" e commercialmente redditizia del sesso, ai fini di un adattamento repressivo dell'individuo al sistema Nelle democrazie moderne, infatti, la tolleranza, secondo Marcuse, coincide con il permissivismo, perché viene concessa sulla base dell'assunto che nessuno è in possesso della verità e che pertanto il soggetto delle scelte deve essere la collettività, che si suppone sia composta di individui capaci di scegliere. In realtà, la società, come amministrazione totale dell'esistenza degli individui, produce esattamente l'effetto contrario, ossia un generale conformismo. La stessa "tolleranza" di cui si vanta tale società è, dunque, unicamente a ben riflettere una «tolleranza repressiva», poiché il suo "permissivismo" funziona soltanto a proposito di ciò che non mette in discussione il sistema stesso. Anche il pensiero corrispondente a questa situazione è unidimensionale, modellato sulla realtà esistente e incapace di opposizione e di critica. Questa è l'imputazione che Marcuse muove ad alcune delle tendenze più significative della filosofia del Novecento, dal pragmatismo al neopositivismo, alla filosofia analitica 5. In esse, secondo Marcuse, la verità di una teoria è riposta nella constatazione empirica dei fatti o nel successo conseguito praticamente con essa o nella sua conformità alle regole del linguaggio comune. Ciò significa che la ragione e il linguaggio non appaiono più capaci di trascendere i fatti e la realtà esistente. LA TOLLERANZA _________________ LA TOLLERANZA ___________________________ Libertà che non _______________________________________________ “libertà _______________________________________________ Il __________________________________: il soggetto non può _________________ perchè non possiede _________________ per cui sceglie la _______________________ imponendo il ___________________ MA la collettività è pensata composta da ____________________________________________________ il pensiero _________________________________ = incapace di vedere oltre la ________________________ Il compito della filosofia consiste, invece, nell'opporre un grande rifiuto alla società esistente, tenendo in piedi la possibilità di alternative e mantenendosi fedele al contenuto universale dei concetti: i concetti di bellezza o di libertà, infatti, racchiudono anche tutta la bellezza e tutta la libertà che non si sono ancora realizzate. Grazie a questa impostazione diventa allora possibile comprendere le cose alla luce delle loro potenzialità e anticipazioni. In questa direzione, Marcuse assegna una funzione fondamentale all'immaginazione, la quale è indipendente dai dati di fatto ed è capace di vedere un oggetto anche se non è presente: l'immaginazione al potere diventerà parola d'ordine della rivolta degli studenti. Marcuse esalta l'utopia poiché vede in essa la protesta contro il presente e l'ansia preveggente del futuro. In uno scritto del 1967 egli parla tuttavia di «fine dell'utopia», intendendo alludere al fatto che esistono le precondizioni materiali e tecniche, ossia i "luoghi" dove le utopie possono finalmente abbandonare i "nonluoghi" dell'astrazione per concretizzarsi nella realtà. Più che alla classe lavoratrice nel suo complesso, la quale appare sempre più integrata nel sistema, di cui tende a condividere i valori, Marcuse guarda appunto agli studenti e a gruppi marginali, come i negri, i guerriglieri nel terzo mondo, gli emarginati e il sottoproletariato delle città, come a potenziali soggetti rivoluzionari; al tempo stesso, tuttavia, egli riconosce la loro impotenza se non si 5 IL GRANDE RIFIUTO mantenere la possibilità di _________ ____________: - ____________________________ - _____________________________ I nuovi soggetti _________________ Vedi “Introduzione alla filosofia contemporanea”, nota n 1, pag. 7 277 alleano con altre forze di opposizione organizzate all'interno della società. Come scrive Marcuse in un passo del suo libro, “ [costituiscono i soggetti rivoluzionari] l'intero sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico; la loro presenza prova come non mai quanto sia immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni e istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. Perciò la loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola la regola del gioco, e così facendo mostra che è un gioco truccato.” Nell'esperienza storica di questi nuovi movimenti di protesta e di rivolta, di cui almeno in un primo momento giustifica la violenza verso il sistema, in quanto mossa dalla vera intolleranza, ossia dal fine della verità, Marcuse vede annunciarsi la fine dell'utopia e la liberazione da ogni forma di repressione Vita ed opere T. W. Adorno Nato nel 1903 a Francoforte, Theodor Wiesengrund Adorno studia filosofia e musica. Nel 1931 diviene libero docente a Francoforte. Con l'avvento del nazismo abbandona la Germania, recandosi prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Tornato in Germania nel 1950, dirige il rinato "Istituto per la ricerca sociale", insegnando filosofia e sociologia all'Università di Francoforte. Muore in Svizzera nel 1969. Tra le sue opere, oltre alla Dialettica dell'illuminismo (1947), scritta in collaborazione con Horkheimer (v p. 670), ricordiamo: Filosofia della musica moderna (1949), Minima moralia (1951), Dialettica negativa (1966). Max Horkheimer Max Horkheimer (1895-1973), appartenente a una famiglia borghese di Stoccarda, fu docente di filosofia sociale e direttore dell'Istituto di scienze sociali. Durante il nazismo insegnò a Parigi e poi negli Stati Uniti. Negli anni Cinquanta del secolo scorso ritornò in Germania e riprese con Adorno la direzione della Scuola e la cattedra universitaria. Morì a Norimberga. H. Marcuse Nato a Berlino nel 1898, Marcuse studia a Berlino e a Friburgo, dove viene influenzato da Heidegger e da Husserl. Agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso entra in contatto con l'Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte e collabora con Horkheimer agli Studi sull'autorità e la famiglia. Dopo l'avvento del nazismo, emigra negli Stati Uniti. Dal 1954 insegna all'Università di San Diego in California. Nel 1966 è docente onorario dell'Università di Berlino Ovest, dove, nel 1967, partecipa a un dibattito sul movimento studentesco, che nei meni "caldi" del Sessantotto trova in lui uno dei suoi ispiratori. Muore in Germania nel 1979. Tra le sue opere ricordiamo: Eros e civiltà (1955), L'uomo una dimensione (1964). 278 7 – Horkheimer, Marcuse “La società amministrata e l’asservimento dell’individuo al sistema sociale” M. Horkheimer – Il tipo rassegnato H. Marcuse - L’uomo a una dimensione M. Horkheimer – Il tipo rassegnato ... Il peso della realtà sociale odierna sulla vita dell'uomo medio è tale che ormai predomina il tipo «rassegnato». Dal momento in cui nasce, l'individuo si sente continuamente ripetere una lezione: c'è un solo modo di farsi strada nel mondo, e cioè rinunciare alla speranza di realizzare pienamente se stesso. Il successo si consegue solo attraverso l'imitazione. Egli risponde a ciò che sente e vede attorno a sé - non solo consapevolmente ma con tutto il suo essere - imitando i tratti e gli atteggiamenti di tutte le collettività di cui entra a far parte: il gruppo dei bambini con cui gioca, i compagni di classe, la squadra atletica e tutti gli altri gruppi che come è stato notato impongono un'uniformità più rigorosa, una rinuncia più radicale alle eccentricità personali di quelle che abbiano mai saputo imporre un padre o un educatore del diciannovesimo secolo. Rieccheggiando, imitando, copiando coloro che lo circondano, adattandosi a tutti i potenti gruppi di cui entra a far parte, trasformandosi da essere umano in membro di un'organizzazione, sacrificando le proprie potenzialità alla buona volontà e alla capacità di adattarsi a quelle organizzazioni e di ottenere una certa influenza nell'ambito di esse, l'individuo riesce a sopravvivere. Deve dunque la salvezza al più antico espediente biologico di sopravvivenza, il mimetismo. Come il bambino ripete le parole della madre e il ragazzo imita i modi brutali dei più anziani che lo maltrattano, così attraverso la ricreazione commercializzata e la propaganda popolare - che diventano sempre più difficili a distinguersi l'una dall'altra - il gigantesco altoparlante dei mass media raddoppia senza fine la superficie della realtà. Con tutti i suoi trucchi ingegnosi l'industria del divertimento riproduce banali scene di vita che tuttavia traggono in inganno perché la perfezione tecnica della riproduzione fa velo alla falsificazione del contenuto ideologico o all'arbitrarietà dell'introduzione di un tale contenuto. Questa riproduzione non ha nulla a che vedere con la grande arte realistica che dipinge la realtà così come essa è al fine di giudicarla. La moderna cultura di massa, pur attingendo liberamente a valori culturali oramai stantii, glorifica il mondo com'è. Il cinema, la radio, le biografie e i romanzi popolari, tutti intonano uno stesso ritornello: questa è la realtà com'è, come dev'essere e come sempre sarà. ... Benché, sotto la pressione della realtà pragmatica dei nostri giorni, l'uomo identifichi se stesso con la funzione che svolge nel sistema, benché egli reprima disperatamente ogni altro impulso in se stesso e negli altri la rabbia che lo prende quando acquista coscienza di un desiderio non «integrato» e non inquadrabile negli schemi esistenti è il sintomo di uno scontento che cova sotto la cenere. Questo scontento, se venisse meno la repressione, si svolgerebbe contro tutto l'ordine sociale, che ha un'intrinseca tendenza ad impedire ai suoi membri di capire a fondo i meccanismi della repressione esercitata su di loro. . . . Mentre le ideologie religiose ed etiche perdono vigore, mentre la teoria politica scompare, soppressa dal succedersi degli eventi economici e politici, le idee degli operai tendono a modellarsi sull'ideologia affaristica dei loro capi. All'idea dell'intrinseco conflitto fra l'esistenza dell'ingiustizia sociale e le masse lavoratrici del mondo si sostituiscono concetti relativi alla strategia dei conflitti fra diversi gruppi di potere. È vero che gli operai d'un tempo non avevano nessuna 279 conoscenza concettuale dei meccanismi rivelati dalla teoria sociale e che i loro spiriti e i loro corpi recavano i segni dell'oppressione; però la loro infelicità era ancora la felicità di esseri umani individuali e perciò li legava a tutti gli infelici in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi settore della società. Le loro menti erano incolte, ma per lo meno venivano lasciate a se stessi: non erano assediati dalle tecniche della cultura di massa che in ogni momento, non solo nelle ore di lavoro ma anche nel tempo libero, inculcano loro gli schemi di comportamento propri della società industrialistica. Come tutto il resto della popolazione gli operai sono oggi meglio preparati intellettualmente, meglio informati e assai meno ingenui. Sanno tutto sulla politica nazionale e su quello che sta dietro le quinte dei movimenti politici, in particolare di quelli che vivono della propaganda contro la corruzione. Gli operai, almeno quelli che non sono passati per l'inferno del fascismo, saranno sempre pronti a dare man forte alla persecuzione di un capitalista o di un politico, presi di mira perché hanno violato le regole del gioco; ma non pensano neanche lontanamente a discutere il valore delle regole. Hanno imparato a considerare l'ingiustizia sociale - persino all'interno del loro gruppo - come un dato di forza, e a considerare i dati di forza come l'unica cosa che va rispettata. La loro mente è inaccessibile a sogni di un mondo fondamentalmente diverso, a concetti che, invece di essere semplici strumenti per classificare i fatti, siano orientati verso la realizzazione di quei sogni. Le moderne condizioni economiche determinano un atteggiamento positivistico così nei membri come nei capi dei sindacati, sicché essi assomigliano sempre più gli uni agli altri. Cresce però la consapevolezza che l'insopportabile pressione esercitata dalla società sull'uomo non è inevitabile, e c'è da sperare che gli uomini capiranno come essa non sia la diretta conseguenza delle esigenze puramente tecniche della produzione, bensì abbia radice nella struttura sociale. Anzi, l'intensificarsi della repressione in molte parti del mondo testimonia della paura destata dalla possibilità imminente di un cambiamento sulla base del presente sviluppo delle forze produttive. La disciplina industriale, il progresso tecnico, l'educazione scientifica, cioè gli stessi processi economici e culturali che portano al venir meno dell'individualità, promettono benché al momento non possiamo sperare che la promessa si avvererà tanto presto- di dar vita a un mondo nuovo in cui l'individualità potrà riaffermarsi come elemento di una forma d'esistenza meno ideologica e più umana. Il fascismo ricorse a metodi terroristici nello sforzo di ridurre gli esseri umani ad atomi sociali, perché temeva che, sempre più consapevoli del nessun valore delle ideologie, gli uomini potessero avviarsi a realizzare le più profonde potenzialità loro e della società; ed è vero infatti che in alcuni casi la pressione sociale e il terrore politico hanno temprato la volontà, profondamente umana, di combattere l'irrazionalità; e la resistenza all'irrazionalità è sempre la radice dell'individualità genuina6. I veri individui del nostro tempo sono i martiri che passarono attraverso inferni di sofferenze e di degradazione nella loro lotta contro la conquista e l'oppressione, non già i personaggi, gonfiati dalla pubblicità, della cultura popolare. Quegli eroi, che nessuno ha cantato, esposero consapevolmente la loro esistenza individuale alla distruzione che altri subiscono senza averne coscienza, vittime dei processi sociali. I martiri anonimi dei campi di concentramento sono i simboli dell'umanità che lotta per venire alla luce. Il compito della filosofia sta nel tradurre ciò che essi hanno fatto in parole che gli uomini possano udire, anche se le loro voci mortali sono state ridotte al silenzio dalla tirannia. (M. Horkheimer, Eclisse della ragione) 6 Questa è per Horkheimer la vera radice dell'individuo, pertanto i veri testimoni del valore dell'individualità nei tempi moderni sono coloro che hanno saputo resistere al livellamento e alla irrazionalità della società contemporanea. 280 H. Marcuse - L’uomo a una dimensione Società totalitaria e falsi bisogni Libertà dal bisogno e società totalitarie Bisogni veri e bisogni falsi La falsa libertà sessuale di oggi Nella misura in cui la libertà dal bisogno, sostanza concreta di ogni libertà, sta diventando una possibilità reale, le libertà correlate ad uno stato di minor produttività vanno perdendo il contenuto di un tempo. L'indipendenza del pensiero, l'autonomia e il diritto alla opposizione politica sono private della loro fondamentale funzione critica in una società che pare sempre meglio capace di soddisfare i bisogni degli individui grazie al modo in cui è organizzata. Una simile società può richiedere a buon diritto che i suoi princìpi e le sue istituzioni siano accettati come sono, e ridurre l'opposizione al compito di discutere e promuovere condotte alternative entro lo status quo. Sotto questo aspetto, il fatto che la capacità di soddisfare i bisogni in misura crescente sia assicurata da un sistema autoritario o da uno non autoritario sembra fare poca differenza. In presenza di un livello di vita via via più elevato, il non conformarsi al sistema sembra essere socialmente inutile, tanto più quando la cosa comporta tangibili svantaggi economici e politici e pone in pericolo il fluido operare dell'insieme. Almeno per quanto concerne le necessità della vita, non sembra davvero esservi alcuna ragione per cui la produzione e distribuzione di beni e servizi dovrebbero essere svolte mediante la concorrenza competitiva di libertà individuali. Sin dall'inizio la libera iniziativa non fu propriamente una benedizione. In quanto libertà di lavorare o di far la fame, essa voleva dire fatica, insicurezza e paura per la gran maggioranza della popolazione. Se l'individuo non fosse più obbligato a provare quanto vale sul mercato, nella sua qualità di libero soggetto economico, la scomparsa di questo genere di libertà sarebbe uno dei più grandi successi della civiltà. I processi tecnologici di meccanizzazione e di unificazione potrebbero liberare l'energia di molti individui, facendola confluire in un regno ancora inesplorato di libertà al di là della necessità. La stessa struttura dell'esistenza umana ne sarebbe modificata, l'individuo verrebbe liberato dal lavoro e da un mondo che gli impone bisogni e possibilità a lui estranei. L'individuo sarebbe libero di esercitare la sua autonomia in una vita che sarebbe ormai veramente sua. Se fosse possibile organizzare e dirigere l'apparato produttivo verso la soddisfazione dei bisogni vitali, il controllo di esso potrebbe benissimo venire accentrato; tale controllo non sarebbe d'ostacolo all'autonomia individuale, ma la renderebbe possibile. Questo obbiettivo è pienamente alla portata della società industriale avanzata, rappresentando esso il "fine" della razionalità tecnologica. Nella realtà sembra però operare la tendenza contraria: l'apparato impone le sue esigenze economiche e politiche, in vista della difesa e dell'espansione, sul tempo di lavoro come sul tempo libero, sulla cultura materiale come su quella intellettuale. In virtù del modo in cui ha organizzato la propria base tecnologica, la società industriale contemporanea tende ad essere totalitaria. Il termine "totalitario", infatti, non si applica soltanto ad una organizzazione politica terroristica della società, ma anche ad una organizzazione economico-tecnica, non terroristica, che opera mediante la manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti. Essa preclude per tal via l'emergere di una opposizione efficace contro l'insieme del sistema. Non soltanto una forma specifica di governo o di dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure un sistema specifico di produzione e di distribuzione, sistema che può essere benissimo compatibile con un "pluralismo" di partiti, di giornali, di "poteri controbilanciantisi", ecc. … La civiltà industriale contemporanea mostra di aver raggiunto lo stadio in cui "la 281 libera società" non può più essere definita adeguatamente nei termini tradizionali delle libertà economiche, politiche ed intellettuali, non perché queste libertà siano divenute insignificanti, ma perché hanno un significato troppo ricco per confinarlo entro le forme tradizionali. Occorrono nuovi modi di realizzazione, tali da corrispondere alle nuove capacità della società. Codesti nuovi modi possono venire indicati solo in termini negativi poiché equivarrebbero alla negazione dei modi che ora prevalgono. In tal senso, libertà economica significherebbe libertà dalla economia, libertà dal controllo di forze e relazioni economiche; libertà dalla lotta quotidiana per l'esistenza, dal problema di guadagnarsi la vita. Libertà politica significherebbe liberazione degli individui da una politica su cui essi non hanno alcun controllo effettivo. Del pari la libertà intellettuale equivarrebbe alla restaurazione del pensiero individuale, ora assorbito dalla comunicazione e dall'indottrinamento di massa, ed equivarrebbe pure all'abolizione dell' "opinione pubblica", assieme con i suoi produttori. Il suono irrealistico che hanno queste proposizioni è indicativo non tanto del loro carattere utopico, quanto dell'intensità delle forze che impediscono di tradurle in atto. La forma più efficace e durevole di lotta contro la liberazione è la coltivazione di bisogni materiali e intellettuali che perpetuano forme obsolete di lotta per l'esistenza. L'intensità, la soddisfazione e persino il carattere dei bisogni umani, al di sopra del livello biologico, sono sempre stati condizionati a priori. Che la possibilità di fare o lasciare, godere o distruggere, possedere o respingere qualcosa sia percepita o no come un bisogno dipende da che la cosa sia considerata o no desiderabile e necessaria per le istituzioni e gli interessi sociali al momento prevalenti. In questo senso i bisogni umani sono bisogni storici e, nella misura in cui la società richiede lo sviluppo repressivo dell'individuo, i bisogni di questo e la richiesta di soddisfarli sono - soggetti a norme critiche di importanza generale. È possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi. I bisogni "falsi" sono quelli che vengono sovrimposti all'individuo da parte di interessi sociali particolari cui preme la sua repressione: sono i bisogni che perpetuano la fatica, l'aggressività, la miseria e l'ingiustizia. Può essere che l'individuo trovi estremo piacere nel soddisfarli, ma questa felicità non è una condizione che debba essere conservata e protetta se serve ad arrestare lo sviluppo della capacità (sua e di altri) di riconoscere la malattia dell'insieme e afferrare le possibilità che si offrono per curarla. Il risultato è pertanto un'euforia nel mezzo dell'infelicità. La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno di rilassarsi, di divertirsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari, di amare e odiare ciò che altri amano e odiano, appartengono a questa categoria di falsi bisogni. Tali bisogni hanno un contenuto e una funzione sociali che sono determinati da potenze esterne, sulle quali l'individuo non ha alcun controllo; lo sviluppo e la soddisfazione di essi hanno carattere eteronomo. Non importa in quale misura tali bisogni possano essere divenuti quelli propri dell'individuo, riprodotti e rafforzati dalle sue condizioni di esistenza; non importa fino a qual punto egli si identifica con loro, e si ritrova nell'atto di soddisfarli: essi continuano ad essere ciò che erano sin dall'inizio, i prodotti di una società i cui interessi dominanti chiedono forme di repressione. Il prevalere di bisogni repressivi è un fatto compiuto, accettato nel mezzo dell'ignoranza e della sconfitta, ma è un fatto che deve essere rimosso sia nell'interesse dell'individuo felice sia di tutti coloro la cui miseria è il prezzo della sua soddisfazione. I soli bisogni che hanno un diritto illimitato ad essere soddisfatti sono quelli vitali: il cibo, il vestire, un'abitazione adeguat a al livello di cultura che è possibile raggiungere. La soddisfazione di questi bisogni è un requisito necessario per poter soddisfare tutti gli altri bisogni, sia quelli non sublimati sia quelli sublimati. Per ogni consapevolezza e coscienza, per ogni esperienza che non accetti 282 l'interesse sociale prevalente come la legge suprema del pensiero e della condotta, l'universo costituito dei bisogni e delle soddisfazioni è un fatto che va posto in questione - posto in questione in termini di verità e falsità. Questi termini hanno carattere interamente storico e la loro obbiettività è storica. Il giudizio sui bisogni e sul modo di soddisfarli, sotto le condizioni date, implica dei criteri di priorità, criteri che si riferiscono allo sviluppo ottimale dell'individuo, di tutti gli individui, in relazione all'impiego ottimale delle risorse materiali e intellettuali di cui l'uomo può disporre. Queste risorse sono calcolabili. La "verità" e la "falsità" dei bisogni designano condizioni obbiettive nella misura in cui la soddisfazione universale dei bisogni vitali e, al di là di questa, la progressiva riduzione della fatica e della povertà sono criteri universalmente validi. Come criteri storici, tuttavia, non soltanto essi variano a seconda del luogo e dello stadio di sviluppo, ma possono venir definiti solamente in contraddizione (più o meno grande) rispetto ai criteri che ora prevalgono. Quale tribunale può mai pretendere di avere l'autorità di decidere? In ultima analisi sono gli individui che debbono dire quali sono i bisogni veri e falsi, ma soltanto in ultima analisi; ossia solo se e quando essi sono liberi di dare una risposta. Fintanto che sono ritenuti incapaci di essere autonomi, fintanto che sono indottrinati e manipolati (sino al livello degli istinti), la risposta che essi danno a tale domanda non può essere accettata come fosse la loro. Per lo stesso motivo, tuttavia, nessun tribunale può legittimamente arrogarsi il diritto di decidere quali bisogni dovrebbero essere sviluppati e soddisfatti. Qualsiasi tribunale del genere è da biasimare, benché la nostra ripulsa non elimini certo la domanda: in che modo delle persone che sono state l'oggetto di un dominio efficace e produttivo possono creare da sé le condizioni della libertà? Quanto più l'amministrazione repressiva della società diventa razionale, produttiva, tecnica, tanto più inimmaginabili sono i mezzi ed i modi mediante i quali gli individui amministrati potrebbero spezzare la loro servitù e conseguire la propria liberazione. … Ogni liberazione dipende dalla coscienza della servitù, e l'emergere di questa coscienza è sempre ostacolato dal predominare di bisogni e soddisfazioni che sono divenuti in larga misura quelli propri dell'individuo. In ogni caso il processo sostituisce un sistema di precondizionamento con un altro; lo scopo ideale è la sostituzione di bisogni falsi da parte di bisogni veri, l'abbandono della soddisfazione repressiva. H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967 Nelle società tecnologiche avanzate dell'Occidente c'è invero un'effettiva e ampia desublimazione (in confronto con gli stadi precedenti), che ha luogo nei costumi e nel comportamento sessuali, nelle relazioni sociali, nella cultura resa ormai accessibile (la cultura di massa è cultura superiore desublimata). La morale sessuale è stata liberalizzata in alta misura; inoltre la sessualità viene propagandata come stimolo commerciale, voce attiva negli affari e simbolo di status. Ma questa maggiore desublimazione significa forse il prevalere dell'Eros, che conserva ed estende la vita, di fronte al suo funesto rivale? Il concetto freudiano della sessualità può fornire un'indicazione per la risposta. In questo concetto è centrale il conflitto fra la sessualità (come forza appartenente al principio di piacere) e la società (come istituzione del principio di realtà): quest'ultima è necessariamente repressiva dinanzi alle richieste poste, senza compromessi, dagl'istinti vitali primari. Con la sua forza più intima l'Eros «manifesta la sua opposizione all'istinto gregario» e respinge «l'influenza della massa». Nella desublimazione commerciale di oggi sembra dominare la tendenza esattamente opposta. Il conflitto fra principio di realtà e principio di piacere viene diretto da una liberalizzazione controllata, che incrementa la soddisfazione per quello che la società offre. Ma l'energia libidica, quando la sua liberazione avviene 283 in questa forma, muta la sua funzione sociale: nella misura in cui la sessualità è sanzionata e perfino incoraggiata dalla società (naturalmente non in modo "ufficiale", ma attraverso il comportamento e i costumi considerati "normali"), l'energia libidica perde quella che per Freud è la sua qualità essenzialmente erotica, cioè il momento della liberazione da tutto ciò che riguarda la società. In questa sfera sociale, quel tanto di libertà che era stato carpito e la stessa pericolosa autonomia dell'individuo si collocavano nell'ambito del principio di piacere: la loro restrizione autoritaria testimoniava la profondità del conflitto fra individuo e società, la misura cioè in cui la libertà veniva repressa. Oggi, invece, con l'integrazione di tale sfera in quella degli affari e dei divertimenti, è la repressione stessa ad essere repressa: la società ha esteso non la libertà individuale, ma il proprio controllo sull'individuo7. H. Marcuse, L'obsolescenza della psicoanalisi, in Cultura e società, Einaudi, Torino 1969 7 In apparenza, afferma Marcuse, sembra che tutto sia permesso e non esista più la sublimazione (quel processo che Freud aveva individuato come deviazione della pulsione sessuale verso altre mete socialmente accettabili, quali il lavoro, l'arte, l'utilità sociale); in realtà, le cose non stanno così. La società, da una parte, liberalizza e incoraggia (de-sublimizza) l'attività sessuale, ma contemporaneamente la commercializza e, dunque, la depotenzia, facendole perdere la sua forza dirompente e critica. Oggi, dice il filosofo, si intensifica l'energia sessuale, ma viene meno l'energia erotica. L'ambiente si de-erotizza, perché la sfera dell'eros si circoscrive e si riduce alla meccanica soddisfazione sessuale. In L'uomo a una dimensione, Marcuse afferma che un conto è «far l'amore in un prato» e un conto «in un'automobile in una strada di Manhattan». Nel passato il sesso veniva represso, ma conservava una carica di liberazione; nel presente è esibito, ma la libido, isterilita e amministrata, scompare: la desublimazione diventa repressione. Questo spiega il motivo per cui nelle nostre metropoli il permissivismo sessuale coesiste con l'esplosione dell'aggressività e della violenza. 284