La società contemporanea come democrazia bloccata Roberto Di Molfetta www.appuntidiscienzesociali.it « Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico » Herbert Marcuse, nell’opera “L’uomo ad una dimensione”, 1964, analizza con una lucidità sempre attuale le cause della società bloccata. La società bloccata è quella che vede il sistema chiamato democratico impegnato a ricomporre il conflitto, le istanze contrarie allo stesso sistema, “asservendo il pensiero critico al consumo, stroncando ogni istanza conoscitiva con i vecchi e nuovi mass-media”[1]. “E’ un ordine sociale che appare totalitario”, quello considerato da Marcuse, “che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo e, soprattutto, che ha inglobato anche forze tradizionalmente ‘anti-sistema’ come la classe operaia. In questo modello la vita dell'individuo si riduce al bisogno atavico di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo dalla società industriale avanzata, appiattisce in realtà, l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi. Nelle democrazie occidentali, a livello teorico, si parte dall'assunto che nessuno possiede la verità assoluta, allora la scelta viene affidata alla collettività, che può scegliere liberamente tra diverse interpretazioni politico-etico-culturali della realtà; è proprio a questo punto del processo "democratico" che si innesca il meccanismo repressivo: l'amministrazione totale dell'esistenza da parte della società impedisce, di fatto, una scelta che sia veramente libera, il contrario del relativismo democratico, ovvero un diffuso conformismo. In altre parole all'uomo viene data la possibilità di scegliere, ma non vengono forniti gli strumenti per farlo in modo veramente indipendente. Anche il pensiero filosofico è asservito al senso comune, è unidimensionale. […] La società tecnologica avanzata riduce tutto a sé, ogni dimensione ‘altra’ è asservita al potere capitalistico e ai consumi, conquistata dal dominio ‘democratico’ della civiltà industriale; una società che condiziona i veri bisogni umani, sostituendoli con altri artificiali. È in questo senso che Marcuse formula la condanna della tecnologia, che conterrebbe già insita nella sua natura un'ideologia di dominio. La ragione e il linguaggio non sono più in grado di trascendere la realtà e di opporre un ‘grande rifiuto’ al modello vigente, per questo la filosofia deve appellarsi all'immaginazione, unico strumento capace di comprendere le cose alla luce della loro potenzialità.”[2] Scrive Marcuse: “[…] i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni e aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione.”[3] Il discorso sull’immaginazione fu ripreso dal movimento del ’68 nel motto l’immaginazione al potere. Ma al di là di questa soluzione, che nel tentativo sessantottino di applicazione non ha dato i frutti sperati, è l’analisi della sua società che è più che mai moderna. La nostra società occidentale, le nostre democrazie, soffrono dello stesso malessere della società degli anni ’60 di Marcuse: sono ferme, assimilando al loro interno le differenze, in nome di una reificata omologazione veicolata dai media che in realtà regna sovrana. Non può nascere, neanche se voluto da minoranze qualificate, una vera opposizione ad un sistema che non conquista i cuori eppure è sempre presente, è sempre arrogantemente sicuro di convincere le masse della bontà tecnica e dei fini del proprio agire. Produrre ha sostituito vivere come verbo esistenziale, e nel consumismo, nella formalizzazione dei valori massmediatica, il sistema crea la base per giustificare agli occhi del cittadino-consumatore l’orizzonte di valori. “Le capacità intellettuali e materiali della società contemporanea sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società sull’individuo è smisuratamente più grande di quanto sia mai stata.” [3] Inoltre, il meccanismo di voto crea l’illusione di una volontà popolare diffusa, una giustificazione per il sistema nel propagare i suoi meccanismi di produzione e valorizzazione. Possiamo assistere con lo scenario europeo, che vede l’Unione Europea diffondere e implementare politiche tecniche-economiche in maniera non sempre sentita dalla popolazione dei singoli stati, ad uno sviluppo del pensiero marcusiano in chiave attuale: egli ci ricordava negli anni sessanta come il Terrore non era più necessario come in passato, era meglio affidarsi all’efficienza Tecnologica per domare le forze centrali centrifughe, per fermare l’alternativa al sistema e in ultimo il rinnovamento che non sia dettato dalle stesse logiche che animano il sistema produttivo e lo adeguano di volta in volta al presente. “Il progresso tecnico esteso a tutto un sistema di dominio e di coordinazione crea forme di vita e di potere che appaiono conciliare le forze che si oppongono al sistema, e sconfiggere o confutare ogni protesta formulata in nome delle prospettive storiche di libertà dalla fatica e dal dominio. Questa capacità di contenere il mutamento sociale è forse il successo più caratteristico della società industriale avanzata; l’accettazione generale dello scopo nazionale, le misure politiche avallate da tutti i partiti, il declino del pluralismo, la connivenza del mondo degli affari e dei sindacati entro lo stato forte, sono altrettante testimonianze di quell’integrazione degli opposti che è al tempo stesso il risultato, non meno che il requisito, di tale successo. “ [3] C’è da aggiungere che nel periodo in cui sto scrivendo, l’aprile 2012, alcune frasi di Marcuse, specialmente in riferimento all’avallo di tutti i partiti alle misure politiche, sembrano essere scritte da un cronista italiano, a commento di un articolo nei nostri giorni, piuttosto che circa 50 anni addietro negli USA. Segno che non siamo ancora usciti dalla democrazia bloccata, dallo stato di cose che ci vuole adeguarci piuttosto che proporre, desiderare, protestare ed infine cambiare una società che non ci piace. 1- Conversazione con Luigi Gentili 2- Wikipedia.org 3- Herbert Marcuse, L’uomo ad una dimensione, 1964; ed. Piccola Biblioteca Einaudi, 1999