L`unidimensionalità: un concetto mai superato

L’unidimensionalità: un concetto mai
superato
L’unidimensionalità: un concetto mai superatodi Maurilio Ginex del 22/01/2017
Se c’è un dato che possa essere caratteristico nel processo di identificazione dello spirito del
tempo, questo è localizzato sul concetto di alterità. Oggi l’alterità – quell’idea di altro rispetto
al sé, di diverso rispetto alla propria personale identità – è quell’oggettività situata nel mondo
esterno dal proprio sé, la quale rappresenta un qualcosa di irrilevante per la logica
del sistema unidimensionale odierno, proprio perché implicito nella sua intenzionalità, dove
avviene un processo di soddisfazione di bisogni e obiettivi puramente individuali. La logica
dell’homo-homini-lupus di Hobbes portata all’eccesso pone l’individuo in una stato
belligerante con il proprio prossimo, quest’ultimo visto come un ipotetico e possibile ostacolo
del bisogno soggettivo primario di giungere al proprio obiettivo.
Questa è una società la cui ontologia si fonda sulla competizione che genera
un’inconsapevole forma di odio verso l’altro. Fu Marcuse a parlare di “paralisi della critica” , a
proposito di una società senza opposizione, quella società industriale contemporanea, sulla
quale effige scolpiva nella coscienza e nella cultura del suo tempo “l’uomo a una
dimensione”. Nell’introduzione scrive: “se si tenta di porre in relazione le cause del pericolo
con il modo in cui la società è organizzata e organizza i suoi membri, ci troviamo
immediatamente dinanzi al fatto che la società industriale avanzata diventa più ricca, più
grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo. La struttura della difesa rende la
vita più facile ad un numero crescente di persone ed estende il dominio dell’uomo sulla
natura; in queste circostanze, i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano poche
difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I
bisogni politici della società diventano bisogni e aspirazioni individuali, la loro soddisfazione
favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la
personificazione stessa della ragione”. Marcuse nel 1964, decostruendo il suo avvenire e la
sua società secondo i paradigmi del tempo, lotte di classe, subalternità dell’individuo nei
confronti di uno Stato implicitamente repressivo, andava delineando l’identità di un assetto
sociale che sotto forma di plagio implicito della mente degli individui rendeva fuorviante ogni
forma di dissidenza nei confronti dei suoi dettami. Parlava di bisogni politici legati
indissolubilmente ai bisogni e alle aspirazioni individuali. Queste erano la personificazione
indiscussa della stessa ragione, cioè all’interno di una razionalità, la quale portava ad una
violenta volontà di dominio sul suddito rendendo l’unica ragionevole via l’imposizione
coercitiva che tale società attuava: essere conforme ad essa e non fuoriuscire dal processo di
oggettivazione dell’identità su cui si sviluppava la sua ontologia dell’esistenza.
Herbert Marcuse, (1898 – 1979), è stato un filosofo, sociologo e politologo tedesco
naturalizzato statunitense.
Ma oggi , perché sembra così tristemente attuale un ritorno a una critica sociale come quella
mossa da Marcuse negli anni del’68? I tempi sono cambiati e la volontà di potenza del superuomo nietzschano ha fatto il suo corso nell’interiorità dell’individuo che si trova protagonista
della “società liquida“*. Ma ciò su cui dobbiamo improntare i nostri quesiti trova sempre alla
base quel paradigma, geniale e profetico, che Pasolini – mentre Marcuse scriveva e
produceva idee – fornì al mondo: la differenza tra ciò che è il “progresso” e ciò che è lo
“sviluppo”.
Oggi la nostra società ultra-capitalistica volge lo sguardo soltanto verso un interesse nei
confronti di un materialismo che genera solo prosperità del singolo, rappresenta un mero e
becero sviluppo della stessa società unidimensionale che analizzava il filosofo tedesco.
Società in cui già allora l’alterità non era presa in considerazione, proprio perché ci si serviva
di strumenti per il raggiungimento della soddisfazione dei bisogni individuali. Una realtà che
ha la propria razionalità all’interno di una logica dello sviluppo senza un progresso di fondo.
Lo sviluppo non è cambiamento, ma evoluzione, ingrandimento di un qualcosa preesistente.
Dunque, per una dialettica del concetto di sviluppo – implicitamente a questo – vi è di fondo
una non-presenza di cambiamento, condizione senza la quale non vi sarebbe il progresso (il
quale però non esiste in nessun orizzonte di speranza).
Compreso il concetto che la nostra società si sviluppa senza progresso e noi in quanto
individui ci troviamo ancora in un’unica dimensione, dobbiamo anche prendere in esame il
fatto che l’alterità, rappresenta una forma di coesione sociale attraverso la quale l’individuo
carpisce tutto ciò che vi è di positivo nell’evento, e all’interno del quale potrebbe fare
esperienza del negativo, inteso come rapporto di confronto con ciò che è diverso (che fa
resistenza alla mia identità in quanto differente dal mio sé).
La lezione di Enzo Paci sul negativo come forma di risorsa ci introduce nel tema, poiché
giustifica come “Negativo” ciò che è sottrazione della mia identità, nel senso di una identità
non uguale al mio sé, poiché diversa e si può parlare di rapporto con l’altro che rappresenta il
negativo-diverso: una risorsa esistenziale.
Parafrasando Hegel della Fenomenologia dello Spirito, sulla scia della lezione esistenziale del
negativo come risorsa di Paci, possiamo asserire che all’interno del sistema sociale in atto vi
è quell’eccessiva proliferazione del sentimento individuale di autodeterminazione, a discapito
di tutti quegli enti al di fuori del mio sè, che vengono visti come forza operante dal di fuori
sull’individuo: una competitività portata all’eccesso, che impedisce quel processo di
autocoscienza del sé, che appunto Hegel sviluppa nel capitolo IV dell’opera.
Nell’immagine: Romina-37 di Giuseppe Biguzzi
Questa società unidimensionale e irreversibilmente individualistica ed egoista, non può che
remar contro ad un processo di autocoscienza come lo intende Hegel: “l’autocoscienza
raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza”.
Tale frase emblematica ci giunge in aiuto per comprendere la risorsa esistenziale del
negativo paciano, poiché l’altro è una forma di risorsa in quanto detiene il potere di dar
significato al mio sé. Se si abbatte la pulsione verso l’altro, visto in un ottica di confronto per
avvalorare il mio sé interiore, il sentimento che muove la coscienza dell’individuo non può
che essere puramente individualistico ed egoistico. E’ come se la realtà dell’oggi fosse la
concretizzazione pura e reale di quelle forma di impedimento nel raggiungimento dell’unità
dell’autocoscienza che Hegel riscontrava nello stoicismo. Lo stoico offuscato dall’unica idea di
preservare la sua interiorità a discapito del mondo si identifica con l’individuo che oggi non si
ritrova più in posizione dialettica con “l’altro da se”, con il suo diverso, perché
completamente interessato a preservarsi servendosi unicamente di se stesso.
L’autocoscienza, forma di eloquio tra le anime dei singoli, non trova posto all’interno della
società unidimensionale che ha come etica di fondo la soddisfazione dei bisogni individuali.
Un’assurdità dell’egoismo che diviene condizione costituente della fisionomia ontologica della
struttura sociale. Ciò che dovrebbe premere l’individuo come se fosse una forza pulsionale
che muove la coscienza è il chiedersi in che modo potrebbe essere ribaltato un sistema come
questo basato su ciò che Marcuse chiama “repressione fondamentale” dell’istintualità e che
pone gli uomini in una posizione che cita come, “repressione addizionale”? In poche parole
parliamo di un sistema che si basa sul processo di oggettivazione della vita, verso un’unica e
generale forma uguale per tutti. La repressione addizionale di Marcuse è quella forma di
repressione che fa da fondamento alla logica di dominio che muove la struttura sociale , oggi
più che mai sviluppata e che vede tutti contro tutti. Ciò che potrebbe risultare incisivo per
gettare le basi di una critica alle fondamenta di una società unidimensionale e ultracapitalistica come quella in questione, non può che essere la formazione di un intelletto
operante nell’attività di decostruzione: un intelletto che possa smuovere il sentimento
pulsionale della soggettività che prende coscienza e che cessi di essere un oggetto
passivamente costituito. La repressione nei confronti degli istinti soggettivi persuade
l’individuo e lo porta ad un auto convincimento del fatto che non c’è spazio per ascoltare le
proprie chiamate interiori verso ciò che si decide di voler diventare.
Lo spirito del nostro tempo è esattamente questo: uni-dimensionalità non soltanto sociale ma
anche esistenziale. L’individuo non può più scegliere per sé in quanto si avvale delle sue
intrinseche capacità auto-poietiche** ma deve far fronte alla forza oggettivante che sta al di
fuori di sé e alla quale non può opporsi, poiché secondo la logica di dominio risulterebbe
come diverso e dunque come resistente a una volontà generale di dominio oggettivante e
alienante del sé. La dissidenza nei confronti di un sistema alienante e oggettivante come
questo potrebbe trovare identità nell’atto di preservare la propria interiorità tramite l’utilizzo
dell’alterità, come forma di esperienza del negativo, per giungere a una perfetta
comprensione di quale forma si decida di dare alla propria vita.
Note
*Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più
compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo soggettivismo ha
minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni
punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto
(la magistratura è sentita come nemica) e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di
riferimento sono da un lato l’apparire a tutti costi, l’apparire come valore e il consumismo;
**Il termine autopoiesi è stato coniato nel 1980 da Humberto Maturana a partire dalla parola
greca auto, ovvero se stesso, e poiesis, ovverosia creazione.
Per approfondimenti:
_H. Marcuse, l’uomo a una dimensione, Bergamo, Einaudi, 1974
_P.P.Pasolini, Scritti corsari, Milano , Garzanti, 1975
_G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2008
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