SCUOLA DI FRANCOFORTE
Prof. Michele de Pasquale
la Scuola di Francoforte (operante dagli anni ’20 agli anni
’70) ha sviluppato una teoria critica del capitalismo e
del comunismo sovietico, alla luce dell'ideale
rivoluzionario di un'umanità futura libera, disalienata
questo pensiero critico e negativo mira a smascherare
le contraddizioni dei due suddetti sistemi e a
prospettare un modello utopico alternativo a entrambi
gli autori fondamentali cui la scuola si rifà sono
Hegel, Marx e Freud:
dalla tradizione hegelomarxista la scuola deriva
la tendenza filosofica a
impostare un discorso
dialettico e totalizzante
intorno alla società:
si mette in discussione la
società globalmente
intesa (come sistema),
esprimendosi su come
dovrebbe essere
da Freud la scuola deriva gli
strumenti analitici per lo studio
della personalità e dei
meccanismi di "introiezione"
dell'autorità :
i concetti di libido e ricerca del
piacere devono essere
interpretati come istinti creativi
che devono essere liberati dalle
imposizioni autoritarie della
società classista
tutte le elaborazioni teoriche della scuola devono essere
messe in rapporto ai tre fenomeni storici principali
dell'epoca:
Il nazifascismo in
Europa occidentale
che stimola la
problematica
dell'autorità e i suoi
nessi con la società
industriale moderna
lo stalinismo nella
Russia sovietica
considerato come
l'altra faccia del
capitalismo odierno
la moderna società
tecnologica e opulenta
americana che stimola la
riflessione sull'industria
culturale, sull'individuo
eterodiretto
la delusione per il socialismo reale, la fine del fascismo non per una
rivoluzione popolare, l’integrazione delle masse nel sistema capitalistico
grazie all’industria culturale, alimentano la mancanza di speranza nella
società nuova constatando l’inumanità della vita presente
Horkheimer riflettendo sul concetto di razionalità
distingue la ragione soggettiva da quella
oggettiva, universale, tipica dei grandi sistemi
filosofici:
si tratta della ragione della civiltà industriale che si
risolve nella funzionalità, nella tecnica, nell'utilità
“ Dal momento in cui la ragione divenne lo strumento del dominio esercitato dall’uomo
sulla natura umana ed extraumana - il che equivale a dire: nel momento in cui
nacque -, essa fu frustrata nell’intenzione di scoprire la verità. Ciò è dovuto al fatto
che essa ridusse la natura alla condizione di semplice oggetto e non seppe
distinguere la traccia di se stessa in tale oggettivazione. […] Si potrebbe dire che la
follia collettiva imperversante oggi, dai campi di concentramento alle manifestazioni
apparentemente più innocue della cultura di massa, era già presente in germe
nell’oggettivazione primitiva, nello sguardo con cui il primo uomo vide il mondo
come una preda.” (Horkheimer, Eclissi della ragione)
la logica del dominio, alla base della prassi dell'Occidente, coincide con
l'ideale di razionalizzazione del mondo per plasmarlo e soggiogarlo a
vantaggio dell'uomo:
è la storia dell'illuminismo il cui apice è costituito dalla
moderna società industriale
ma l'illuminismo è segnato da una dialettica auto-distruttiva:
la pretesa di accrescere sempre più il potere sulla natura tende
a rovesciarsi in un progressivo dominio dell'uomo sull'uomo
ed in un asservimento degli individui al sistema
"L'illuminismo nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da
sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni, ma la terra
interamente illuminata splende all'insegna di una trionfale sventura, gli uomini pagano
l'accrescimento del loro potere con l'estraniazione da ciò su cui lo esercitano.
L'Illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini, che conosce in quanto è
in grado di manipolarli. Ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la
natura, cade tanto più profondamente nella coazione naturale: è questo il corso della
civiltà europea" (Horkheimer- Adorno, Dialettica dell’illuminismo)
il prezzo di questo processo di decadimento è la perdita
della libertà e della felicità:
le vicende epiche di Ulisse adombrano il destino dell’uomo
occidentale il quale porta a termine il progetto di
asservimento della natura soltanto rinunciando a se
stesso
“ In un racconto omerico è custodito il nesso di mito, dominio e lavoro. Il dodicesimo
canto dell’Odissea narra del passaggio davanti alle Sirene.[…] é impossibile udire le
Sirene e non cadere in loro balía: esse non si possono sfidare impunemente. Sfida e
accecamento sono la stessa cosa, e chi le sfida è già vittima del mito a cui si
espone. Ma l'astuzia è la sfida divenuta razionale. Ulisse non tenta di seguire un'altra
via da quella che passa davanti all'isola delle Sirene. E non tenta neppure di fare
assegnamento sul suo sapere superiore, e di porgere libero ascolto alle maliarde,
nell'illusione che gli basti come scudo la sua libertà. Egli si fa piccolo piccolo, la sua
nave segue il suo corso fatale e prestabilito, ed egli comprende che, per quanto
possa distanziarsi consapevolmente dalla natura, le rimane, come ascoltatore,
asservito. %
[…] Proprio in quanto - tecnicamente illuminato - si fa legare, Ulisse riconosce la
strapotenza arcaica del canto. Egli si china al canto del piacere, e lo sventa, cosí
come la morte. L'ascoltatore legato è attirato dalle Sirene come nessun altro.
Solo ha disposto le cose in modo che, pur caduto, non cada in loro potere. Con
tutta la violenza del suo desiderio, che riflette quella delle creature semidivine,
egli non può raggiungerle, poiché i compagni che remano, con la cera nelle
orecchie, non sono sordi solo alle Sirene, ma anche al grido disperato del loro
capitano.” (Horkheimer e Adorno, Dialettica dell'illuminismo)
l’astuzia di Ulisse con cui riesce a resistere al pericolo distruttivo
rappresentato dalle Sirene è il simbolo dell’illuminismo, della
razionalità calcolistica, che finisce per ritorcersi contro lo stesso
eroe che da essa viene imprigionato e dominato
Ulisse può godere del canto solo in quanto esso resta per lui lo
struggente annuncio di una felicità ormai irraggiungibile:
all’uomo razionale, chiuso nella propria solitudine, l’arte non può
arrecare più nulla se non la nostalgia infinita della condizione di
felicità dalla quale l’intera storia lo ha allontanato
anche il marxismo inseguendo l'ideale di un
padroneggiamento della natura e della società ha finito per
rientrare nella logica illuministica della nostra civiltà
"Ciò che Marx immaginò essere il socialismo è in realtà il mondo amministrato" (Horkheimer,
La nostalgia del totalmente Altro)
le previsioni di Marx si sono dimostrate illusioni:
la rivoluzione, il futuro regno della libertà, l’identificazione di
giustizia e libertà
"la situazione sociale del proletariato è migliorata senza la rivoluzione, e l'interesse comune
non è più il radicale mutamento della società, ma una migliore strutturazione materiale
della vita" (ivi)
"la logica immanente della storia ... porta in realtà ad un mondo amministrato. Tramite la
potenza in via di sviluppo della tecnica, l'aumento della popolazione, la ristrutturazione
inarrestabile dei singoli popoli in gruppi rigidamente organizzati, tramite una competizione
senza risparmio di colpi tra i blocchi contrapposti di potenza, a me sembra inevitabile la
totale amministrazione del mondo...“(ivi)
"giustizia e libertà sono in realtà concetti dialettici. .. se si vuole conservare l'uguaglianza
allora si deve limitare la libertà; se si vuole lasciare agli uomini la libertà, allora non c'è più
l'uguaglianza“(ivi)
oltre il classismo marxiano, esiste una solidarietà che va al
di là della appartenenza di classe
"la solidarietà che risulta dal fatto che tutti gli uomini devono soffrire, devono morire e
che sono finiti“(ivi)
"abbiamo tutti in comune un interesse originariamente umano, quello di creare un
mondo nel quale la vita di tutti gli uomini sia più bella, più lunga, più affrancata dal
dolore e, vorrei aggiungere, ma non posso crederci, un mondo che sia più
favorevole allo sviluppo dello spirito ". (ivi)
di fronte al dolore del mondo, di fronte all'ingiustizia non si
può rimanere inerti: c'è bisogno di una teologia, intesa
non come scienza del divino o di Dio, ma come
"la coscienza che il mondo è fenomeno, che non è la verità assoluta, la quale solo è la
realtà ultima. La teologia è - devo esprimermi con molta cautela - la speranza che,
nonostante questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che
l'ingiustizia possa essere l'ultima parola". (ivi)
la teologia come "espressione di una nostalgia, secondo la quale l'assassino
non possa trionfare sulla sua vittima innocente “, come "nostalgia di perfetta e
consumata giustizia” non potrà mai essere realizzata nella
storia
"quando anche la migliore società avesse a sostituire l'attuale disordine sociale, non
verrà riparata l'ingiustizia passata e non verrà tolta la miseria della natura
circostante". (ivi)
ciò non deve farci disperare perchè
"non viviamo ancora in una società automatizzata [...] . Noi possiamo fare ancora molte
cose, anche se più tardi ci sarà tolta questa possibilità". (ivi)
il filosofo deve criticare "l'ordine costituito", per "impedire che gli uomini si perdano in
quelle idee e in quei modi di comportamento, che la società propina loro nella sua
organizzazione ". (ivi)
per Adorno dopo Auschwitz le tradizionali visioni
del mondo sono diventate spazzatura; la filosofia
deve rompere col suo passato
“ Auschwitz ha dimostrato inconfutabilmente il fallimento della cultura. Il fatto che potesse
succedere in mezzo a tutta la tradizione della filosofia, dell’arte e delle scienze
illuministiche, dice molto di piú che essa, lo spirito, non sia riuscito a raggiungere e
modificare gli uomini. In quelle regioni stesse con la loro pretesa enfatica di autarchia,
sta di casa la non verità. Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente
ad essa, è spazzatura. … Chi parla per la conservazione della cultura radicalmente
colpevole e miserevole diventa collaborazionista, mentre chi si nega alla cultura,
favorisce immediatamente la barbarie, quale si è rivelata essere la cultura. Neppure il
silenzio fa uscire dal circolo vizioso: esso razionalizza soltanto la propria incapacità
soggettiva con lo stato di verità oggettiva e cosí la degrada ancora una volta a
menzogna.” (Adorno, Dialettica negativa)
lo strumento di comprensione del reale deve
essere la dialettica negativa che mettendo in
discussione l’identità di ragione e realtà svela le
contraddizioni non conciliate del mondo
alla filosofia che ingabbia il mondo in un sistema di concetti
astratti, Adorno oppone una filosofia materialistica che
insiste sul contraddittorio, sul disarmonico, sul
particolare rinunciando al mito della totalità pacificata
la filosofia del dopo Auschwitz assume un ruolo
rivoluzionario nel mondo contemporaneo:
deve attuare l’equazione incompiuta fra ragione e
realtà
l’impero dei media è il più subdolo strumento di
manipolazione delle coscienze impiegato dal sistema per
conservare se stesso e tenere soffocati gli individui
l’industria culturale suscita i bisogni e determina i
consumi degli individui annullandoli come
persone e riducendoli a massa
“L’industria culturale, la società ultraorganizzata, l’economia pianificata
hanno beffardamente realizzato l’uomo come essere generico: privo
di coscienza individuale, di iniziativa morale autonoma, manipolato a
piacere” (Horkheimer- Adorno, Dialettica dell’illuminismo)
l'industria culturale impone valori e modelli: il mito della
produttività e dell’efficienza, la logica mercantile e del
possesso…
la logica calcolatrice soppianta l‘arte del dono
“ Gli uomini disapprendono l'arte del dono. C'è qualcosa di assurdo e incredibile nella
violazione del principio di scambio; spesso anche i bambini squadrano diffidenti il
donatore, come se il regalo non fosse che un trucco per vendere loro spazzole o
sapone (...) La vera felicità del dono è tutta nell'immaginazione della felicità del
destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari,
pensare l'altro come un soggetto: il contrario della smemoratezza. Di tutto ciò quasi
nessuno è più capace. Nel migliore dei casi uno regala quel che desidererebbe per
sé, ma di qualità leggermente inferiore. La decadenza del dono si esprime nella
penosa invenzione degli articoli da regalo, che presuppongono già che non si
sappia cosa regalare, perché, in realtà, non si ha nessuna voglia di farlo. Queste
merci sono irrelate come i loro acquirenti: fondi di magazzino e dal primo giorno. Lo
stesso vale per la riserva della sostituzione, che praticamente significa: ecco qui il
tuo regalo, fanne quello che vuoi; se non ti va, per me è lo stesso; prenditi qualcosa
in cambio. %
Rispetto all'imbarazzo dei soliti regali, questa pura fungibilità è ancora relativamente più
umana, in quanto almeno consente all'altro di regalarsi quello che vuole: dove però
siamo agli antipodi del dono. Di fronte alla maggior dovizia di beni accessibili anche al
povero, la decadenza del dono potrebbe lasciarci indifferenti. Ma anche se,
nell'abbondanza, il dono fosse diventato superfluo - e questo non è vero, sul piano
privato come sul piano sociale, perché non c'è nessuno oggi, per cui la fantasia non
potrebbe scoprire proprio quell'oggetto che è destinato a fare la sua felicità -,
continuerebbero a soffrire della mancanza di dono quelli che non donano più.
Deperiscono in loro quelle facoltà insostituibili che non possono fiorire nella cella isolata
della pura interiorità, ma solo a contatto del calore delle cose. Un gelo afferra tutto ciò
che essi fanno, la parola gentile che resta non detta, l'attenzione che non viene
praticata. Questo gelo si ripercuote, da ultimo, su coloro da cui emana. (Adorno, Minima
moralia. Meditazioni sulla vita offesa)
l’amore è corrotto dal possesso
“ Ma la volontà di possesso riflette il tempo come angoscia di perdere, senso
dell'irrecuperabile. Ciò che è, è avvertito in relazione al suo possibile non essere: e solo
così viene trasformato in possesso e ridotto a qualcosa di rigido e di funzionale,
suscettibile di essere scambiato con un possesso equivalente. Trasformata interamente
in possesso, la persona amata non si guarda neppure più. %
L’astrattezza nell'amore è il completamento dell'esclusività, che si spaccia per il contrario, per
l'attaccamento ad un essere determinato. Questo attaccamento si lascia sfuggire il
proprio oggetto proprio in quanto lo trasforma in oggetto, e manca la persona che
degrada a "mia".
Se gli uomini non fossero più un possesso, non potrebbero più essere scambiati. Vera
inclinazione sarebbe quella che si dirige specificamente verso l'altro, e si rivolge a tratti
precisi ed amati, e non all'idolo della personalità, pura riflessione del possesso. Lo
specifico non è esclusivo, in quanto gli manca la tendenza alla totalità. Ma è esclusivo in
un altro senso: in quanto, pur senza vietarla, rende impossibile - in forza del suo stesso
concetto - la sostituzione dell'esperienza indissolubilmente riferita ad essa. Il totalmente
determinato ha la sua garanzia nel non poter essere ripetuto, e appunto per questo
tollera l'altro accanto a sé. Il rapporto di possesso, il diritto esclusivo di priorità, ha come
complemento la saggezza che si esprime in formule come questa: mio Dio, sono pur tutti
uomini, e l'uno o l'altro fa poi lo stesso. Un'inclinazione che non sapesse nulla di questa
saggezza non avrebbe più da temere l'infedeltà, poiché sarebbe immunizzata da ogni
infedeltà.” (Adorno, Minima Moralia)
la funzionalità tecnica riduce le cose alla loro manipolabilità
“ Non bussare. La tecnicizzazione rende le mosse brutali e precise, e così gli uomini. Elimina
dai gesti ogni esitazione, ogni prudenza, ogni garbo. %
Li sottopone alle esigenze spietate, vorrei dire astoriche delle cose. Così si
disimpara a chiudere piano, con cautela e pur saldamente una porta.
Quelle delle auto e dei frigoriferi vanno sbattute con forza, altre hanno la
tendenza a scattare da sole e inducono chi entra alla villania di non
guardare dietro di sé, di non custodire l'interno che l'accoglie. ... Nei
movimenti che le macchine esigono da coloro che le adoperano c'è già
tutta la violenza, la brutalità, la continuità a scatti dei misfatti fascisti. Tra le
cause del deperimento dell'esperienza c'è, non ultimo, il fatto che le cose,
sottoposte alla legge della loro pura funzionalità, assumono una forma che
riduce il contatto con essere alla pura manipolazione, senza tollerare quel
surplus - sia in libertà del contegno che in indipendenza dalla cosa - che
sopravvive come nocciolo dell'esperienza perché non è consumato
dall'istante dell'azione.” (Adorno, Minima Moralia)