LA SCUOLA DI FRANCOFORTE
Max Horkheimer (a sinistra) con Theodor Adorno (a destra) e
Habermas (dietro , a sinistra)
CARATTERI GENERALI
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1922: Si forma il nucleo originario della Scuola di Francoforte presso il celebre
Istituto per la ricerca sociale , fondato da Felix Weil e diretto da Karl Grünberg
(marxista, storico austriaco). Attorno all’Istituto gravitarono sociologi, economisti
(come Henryk Grossmann che scrisse, nel 1929, «La legge dell’accumulazione e del
crollo nel sistema capitalistico» e Friedrich Pollock, che scrisse, nel 1928, «Teoria
marxiana del denaro», ma anche il politologo Franz Neumann, lo psico-sociologo
Erich Fromm, i filosofi Hebert Marcuse, Max Horkeimer e ThodorWiesengrund
Adorno, il critico letterario e filosofo Walter Benjamin (che scrisse, nel 1936,
«L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica»).
1936: Horkheimer inaugura la «Rivista per la ricerca sociale», prestigioso organo
della scuola, di fama internazionale.
Con l’avvento del nazismo il gruppo francofortese deve emigrare all’estero, prima a
Ginevra, poi a Parigi e, infine, a New York (la stessa sorte si era abbattuta sul
Circolo di Vienna, un gruppo di scienziati e filosofi che si riunivano periodicamente
a Vienna, appunto, dando vita al Neopositivismo; anche gli esponenti di questa
«concezione scientifica del mondo» a partire dall’Anschluss emigrarono per lo più
negli Stati Uniti).
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Al termine della Seconda Guerra Mondiale: alcuni esponenti della scuola sono
rimasti negli Stati Uniti (Marcuse, Fromm, Neumann) altri, come Horkheimer,
Adorno e Pollock, sono tornati in Germania ed hanno dato di nuovo vita
all’Istituto per la ricerca sociale.
GLI OBIETTIVI DELLA SCUOLA DI FRANCOFORTE
• Sul piano filosofico la Scuola di Francoforte è sostanzialmente una teoria critica
della società presente, alla luce dell’ ideale rivoluzionario di un’umanità futura
libera e disalienata, ossia una forma di pensiero negativo proteso a smascherare
le contraddizioni profonde dell’esistente.
• Ciò alla luce di un modello utopico che funga da pungolo per un cambiamento
radicale della società.
• Il compito che la Scuola si prefigge: svolgere ricerche collettive e interdisciplinari,
tenendo presenti i metodi della sociologia, della ricerca storica, dell'economia
politica e del marxismo.
• Oggetto di studio: sono le società industriali e i modi di vivere che in esse tendono
a realizzarsi. L'indagine è volta ad analizzare l'autoritarismo, il conformismo,
l'alienazione che si presentano in forma più o meno latente nelle società
industrializzate
• La scuola di Francoforte si rifà a tre autori fondamentali: Hegel, Marx e Freud.
• Dalla tradizione hegelo-marxista deriva la tendenza filosofica ad impostare un
discorso dialettico e totalizzante intorno alla società.
• Da Freud derivano gli strumenti analitici per lo studio della personalità e dei
meccanismi di introiezione dell’autorità (Studi sull’autorità e la famiglia del 1936 e
La personalità autoritaria del 1950).
GLI OBIETTIVI DELLA SCUOLA DI FRANCOFORTE
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Sempre da Freud i francofortesi ereditano anche i concetti di «ricerca del piacere»
e di libido, che interpreta come istinti creativi che devono essere liberati dalle
imposizioni autoritarie derivanti dalla tradizionale società di classe (Marcuse)
Dal punto di vista storico-sociale, il progetto filosofico della scuola di Francoforte si
definisce in relazione:
• 1) all’avvento del fascismo e del nazismo (che stimola la riflessione intorno
all’autorità ed ai suoi nessi strutturali con la società industriale moderna)
• 2) all’affermazione del comunismo sovietico (che funge da esempio negativo di
«rivoluzione fallita» e di «altra faccia» del capitalismo moderno)
• 3) al trionfo della società tecnologica e opulenta (che offre materia per alcune
delle più originali meditazioni sull’"industria culturale" e sull’individuo "eterodiretto")
• Per i francofortesi la sociologia non si riduce né si dissolve in indagini
settoriali e specialistiche, in ricerche di mercato (tipiche, queste, della
sociologia americana). La ricerca sociale è, invece, per loro, la teoria della
società come un tutto, una teoria posta sotto il segno delle categorie della
totalità e della dialettica e tesa all'esame delle relazioni intercorrenti tra gli
ambiti economici, psicologici e culturali della società contemporanea.
E’ qui che si instaura quel nesso fra hegelismo, marxismo e freudismo
che tipicizzerà la Scuola di Francoforte.
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Siffatta teoria è critica in quanto da essa emergono le contraddizioni della
moderna società industrializzata e in particolar modo della società
capitalistica. Per maggior precisione il teorico critico " è quel teorico la cui
unica preoccupazione consiste in uno sviluppo che conduca ad una società
senza sfruttamento ".
• Il primo lavoro di rilievo della Scuola di Francoforte è il volume collettivo
"Studi sull'autorità e la famiglia" (1936): la famiglia, come anche la scuola
o le istituzioni religiose, viene vista quale tramite dell'autorità e
dell'insediarsi di questa nella struttura psichica degli individui.
MAX HORKHEIMER (1895-1973)
La dialettica autodistruttiva dell’Illuminismo
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Nell’opera Eclisse della ragione del 1947 H. distingue una ragione oggettiva e una
ragione soggettiva.
RAGIONE OGGETTIVA: la ragione dei grandi sistemi filosofici (Platone, Aristotele, la
scolastica e l’Idealismo tedesco) che consiste in una ragione universale in grado di
fungere da sostanza della realtà (ragione come principio immanente alla realtà) e da
criterio del conoscere e dell’agire.
RAGIONE SOGGETTIVA: si rifiuta di riconoscere uno scopo ultimo o, in generale, di
valutare i fini, limitandosi soltanto a determinare l’efficienza dei mezzi; è la ragione
stessa della civiltà industriale, ossia di un tipo di organizzazione sociale che, perseguendo
come unico scopo, il dominio della natura e degli uomini, risolve la razionalità nella
funzionalità, il sapere nella tecnica, la verità nell’utilità, generando un tipo d’uomo
asservito alle esigenze produttive, un uomo che non si interroga mai sui fini ultimi della
società, ma si limita alla semplice riflessione tecnica sui mezzi atti ad estendere i poteri
dell’industria e quindi del capitalismo.
Da ciò il paradosso tipico della nostra epoca: tutta razionalizzata e tecnicizzata per
quanto riguarda i mezzi (compresi i lager) ma sospesa alle scelte irrazionali del potere
per quanto concerne i fini.
Horkheimer e Adorno, La Dialettica dell’Illuminismo (1947)
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In quest’opera il concetto di Illuminismo subisce un forte ampliamento di significato e
cessa di indentificarsi con ciò che gli storici della cultura intendono quando usano
questo termine per diventare una categoria tipico-ideale che indica quella linea del
pensiero borghese moderno , che partendo da Cartesio e Bacone, celebra i suoi trionfi
nella cultura del ‘700 e più tardi nel Positivismo, nel Neopositivismo e nel
Pragmatismo. L’illuminismo di cui parlano i francofortesi si identifica con la LOGICA
DEL DOMINIO che sta alla base della prassi dell’Occidente, ossia con quel complesso
di atteggiamenti che, dalla realizzazione dei primi strumenti alla creazione della
centrale atomica, ha perseguito l’ideale di una RAZIONALIZZAZIONE DEL MONDO tesa
a renderlo plasmabile e soggiogabile dall’uomo. In questo senso l’apice
dell’Illuminismo è rappresentato dalla moderna società industriale.
• L’Illuminismo e l’intera civiltà occidentale risultano segnati da una interna dialettica
auto-distruttiva, poiché la pretesa di accrescere sempre di più il potere sulla natura
tende a rovesciarsi in un progressivo dominio dell’uomo sull’uomo e in un generale
asservimento dell’individuo al sistema sociale.
• Il destino dell’Occidente è simbolicamente racchiuso nel racconto omerico
dell’incontro di Ulisse con le sirene.
«L’Illuminismo ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di
renderli padroni. Ma la terra illuminata splende all’insegna di trionfale sventura…»
«Il sapere che è potere, non conosce limiti, né all’asservimento delle creature, né nella sua
docile acquiescenza (condiscendenza inerte) ai signori del mondo»
Horkheimer e Adorno, La Dialettica dell’Illuminismo
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Noi viviamo in una società «totalmente amministrata» e in essa «la condanna naturale
degli uomini è oggi inseparabile dal progresso sociale». Difatti:
«l’aumento della produttività economica, che genera, da un lato, le condizioni di un
mondo più giusto, procura, d’altra parte, all’apparato tecnico e ai gruppi sociali che ne
dispongono, un’immensa superiorità sul resto della popolazione. Il singolo, di fronte alle
potenze economiche, è ridotto a zero. Queste, nello stesso tempo, portano a un livello
finora mai raggiunto il dominio della società sulla natura. Mentre il singolo sparisce
davanti all’apparato che serve, è rifornito da esso meglio di quanto non sia mai stato.
Nello stato ingiusto l’impotenza e la dirigibilità della massa cresce con la quantità di beni
che le viene assegnata».
Al progresso delle risorse tecniche che potrebbero servire ad «illuminare» la mente
dell’uomo si accompagna un processo di disumanizzazione e il progresso minaccia di
distruggere proprio quello scopo che dovrebbe realizzare: «l’idea dell’uomo».
L’idea dell’uomo, la sua umanità, la sua emancipazione, il suo potere di critica e di
creatività sono minacciati perché lo sviluppo del sistema della civiltà industriale ha
sostituito i fini con i mezzi, ha mutato la ragione in uno strumento per raggiungere fini dei
quali la ragione non sa più nulla.
Dal momento in cui nasce «l’individuo si sente continuamente ripetere una lezione: c’è un
solo modo di farsi strada nel mondo, e cioè rinunciare a se stesso. Il successo si consegue
solo attraverso limitazioni […] L’individuo deve dunque la salvezza al più antico espediente
biologico di sopravvivenza, il mimetismo».
L’ULTIMO HORKHEIMER: I LIMITI DEL MARXISMO E LA «NOSTALGIA» DEL
TOTALMENTE ALTRO
• Anni ’40-’50: l’adesione di H. al marxismo inizia ad entrare in crisi in quanto si
rende conto che il marxismo, inseguendo l’ideale di un padroneggiamento della
natura e della società finisce per entrare in quella logica «illuministica» che
caratterizza la nostra civiltà: «Ciò che Carl Marx immaginò essere il socialismo è
in realtà il mondo amministrato». (H. considera il comunismo come un
capitalismo di stato)
• Questo allontanamento diventa esplicito nell’opera La nostalgia del totalmente
altro del 1970 (ricavata da un’intervista), dove H. stesso spiega perché è stato
marxista: «Ho incominciato dopo la prima guerra mondiale ad interessarmi di
Marx, perché il pericolo del nazionalsocialismo era manifesto. Io credevo che
solo attraverso una rivoluzione di tipo marxista, si potesse eliminare il
nazionalsocialismo. Il mio marxismo, e il mio essere rivoluzionario erano una
risposta alla tirannide del totalitarismo di destra».
I LIMITI DEL MARXISMO SECONDO HORKHEIMER
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Marx pensava che i proletari avrebbero potuto migliorare le loro condizioni materiali di
vita solo eliminando il capitalismo; invece la loro condizione «è migliorata senza
rivoluzione, e l’interesse comune non è più il radicale mutamento della società, ma una
migliore strutturazione materiale della vita»
Marx riteneva che l’umanità camminasse verso il regno della libertà; l’umanità, invece,
secondo H., sta camminando in tutta fretta verso un mondo totalmente amministrato,
ovvero verso il pieno compimento del regno moderno della schiavitù: «La logica
immanente della storia, così come la comprendo oggi, porta in realtà ad un mondo
amministrato. Tramite la potenza in via di sviluppo della tecnica, l’aumento della
popolazione, la ristrutturazione inarrestabile dei singoli popoli in gruppi rigidamente
organizzati, tramite una competizione senza risparmio di colpi tra i blocchi contrapposti di
potenza, a me sembra inevitabile la totale amministrazione del mondo…»
Infine, Marx ha ottimisticamente ritenuto che giustizia (uguaglianza) e libertà potessero
stare in un rapporto di identità, mentre per H. giustizia e libertà sono concetti dialettici:
«Libertà, uguaglianza, fraternità sono parole meravigliose. Ma, se si vuole conservare
l’uguaglianza, allora si deve limitare la libertà; se si vuole lasciare agli uomini la libertà,
allora non c’è più l’uguaglianza».
Infine, vi è una solidarietà che va al di là della solidarietà di una determinata classe: è la
solidarietà fra tutti gli uomini, «solidarietà che deriva dal fatto che tutti gli uomini
devono soffrire, devono morire e che sono finiti».
Il totalmente «Altro»
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L’ultimo H. manifesta anche un’apertura verso il discorso teologico
Egli ritiene, in quanto lettore di Schopenhauer, che «non possiamo provare l’esistenza di
Dio» e che «di fronte al dolore del mondo, di fronte all’ingiustizia, è impossibile credere
nel dogma dell’esistenza di un Dio onnipotente e sommamente buono»
Dio per H. non è una certezza, ma la «speranza», la nostalgia o l’anelito (Sehnsucht) che,
«nonostante questa ingiustizia, che caratterizza il mondo, non possa avvenire che
l’ingiustizia possa essere l’ultima parola» e che «l’assassino non possa trionfare sulla sua
vittima innocente».
Questo Dio – nostalgia indimostrabile è anche irrappresentabile (è stato paragonato al
postulato kantiano della ragion pratica, con un’accentuazione del carattere di teologia
negativa)
Dio, anche solo come «nostalgia di trascendenza» esercita la funzione di stimolo
all’azione, ma soprattutto di favorire la coscienza della finitezza dell’uomo e della nonassolutezza del mondo, evitando di cadere in pericolose mitizzazioni dell’uomo.
H. non ritiene che dobbiamo arrenderci ai fatti. «Noi – dice H.- non viviamo ancora in
una società automatizzata […] Noi possiamo fare ancora molte cose, anche se più tardi ci
sarà tolta questa possibilità». Il filosofo, allora, deve criticare «l’ordine costituito» per
«impedire che gli uomini si perdano in quelle idee e in quei modi di comportamento, che
la società propina loro nella sua organizzazione».
RAPPORTO HORKHEIMER - MARX
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MARX
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Causa dell’alienazione: proprietà privata
dei mezzi di produzione
L’alienazione si incarna nella classe
borghese e la disalienazione nel
proletariato
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Il progresso dell’umanità prevede il
dominio della natura
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Crede che la storia si evolva verso il
meglio
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HORKHEIMER
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Causa dell’alienazione: logica del dominio
sottesa alla ragione strumentale
Alienazione e disalienazione si incarnano
in soggetti storicamente indeterminati
come la «logica di dominio» e «il rifiuto
critico dell’esistente»
Il dominio sulla natura porta ad un
dominio sull’uomo che continua anche
nella società comunista
Considera la storia una notte di barbarie
che tende a perpetuare se stessa, al di là
di ogni progetto di liberazione
La filosofia (nell’epoca dello stato
autoritario, delle rivoluzioni fallite e
dell’imborghesimento del proletariato)
appare l’unica autentica portatrice delle
istanze di liberazione
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Ciò che conta non è la filosofia, ma la
prassi, incarnata dal proletariato
ADORNO: LA DIALETTICA NEGATIVA E LA CRITICA DELL’INDUSTRIA
CULTURALE
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1963: Tre studi su Hegel
1966: Dialettica negativa
Adorno difende la funzione della dialettica come strumento di comprensione del
reale, ma la dialettica a cui pensa Adorno non è quella del sistema hegeliano, quella
della sintesi e della conciliazione, bensì una dialettica negativa, che mette in
discussione la coincidenza di ragione e realtà e lascia emergere le contraddizioni, le
disarmonie che caratterizzano il mondo in cui viviamo.
Alla filosofia idealistica giustificazionista e conservatrice, Adorno contrappone una
filosofia materialistica che desidera attuare l’incompiuta equazione fra ragione e
realtà. La Filosofia dopo –Auschwitz assume un ruolo utopico-critico.
Adorno fa una scelta precisa per lo Hegel «dialettico» (Fenomenologia dello spirito)
contro lo Hegel «sistematico» (Logica e Filosofia del diritto); Adorno sceglie la
dialettica negativa che scardina le pretese della filosofia di afferrare la totalità del
reale , di rivelarne il senso nascosto e profondo. Già nel 1931 Adorno affermava: «chi
sceglie oggi il lavoro filosofico come professione, deve rinunciare all’illusione con la
quale prendevano precedentemente l’avvio i progetti filosofici: che sia possibile
afferrare, in forza del pensiero, la totalità del reale. Nessuna ragione giustificativa
potrebbe ritrovare se stessa in una realtà il cui ordine e la cui forma respingono e
reprimono ogni pretesa della ragione».
ADORNO: LA DIALETTICA NEGATIVA
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Che i sistemi filosofici presumano di «scrutare le intenzioni nascoste e palesi della
realtà « è davvero un’illusione che si fonda sul non dimostrato presupposto che
«l’essere sia affatto corrispondente al pensiero e ad esso accessibile». Questa è
appunto un’illusione come attesta il fallimento delle metafisiche tradizionali, della
Fenomenologia, dell’Idealismo, del Positivismo, del Marxismo ufficiale o
dell’Illuminismo. Allorché queste teorie si presentano come teorie positive, esse si
trasformano in ideologie: «la filosofia, quale oggi si spaccia, non serve ad altro che
a mascherare la realtà e ad eternizzare il suo stato presente».
Solo affermando la non identità di essere e pensiero può venir garantito il non
cammuffamento della realtà che non ci si offre affatto armonica, o, comunque,
dotata di senso: noi viviamo dopo Auschwith e il «testo che la filosofia deve leggere
è incompleto, pieno di contrasti e lacunoso e molto vi può essere attribuito alla
cieca demonia».
La dialettica è la lotta contro il dominio dell’identico, è la ribellione dei particolari
al cattivo universale. «Il singolare è sia più che meno della sua determinazione
universale (Dialettica negativa – 1966) il singolare non si lascia ingabbiare nella
rete di un sistema.
«La ragione diventa impotente ad afferrare il reale non per la sua impotenza, ma
perché il reale non è ragione» (Tre studi su Hegel - 1963)
CRITICA DELL’INDUSTRIA CULTURALE
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Adorno e Horkheimer coniano la locuzione «industria culturale» per evitare di utilizzare
l’espressione «cultura di massa» (che potrebbe far pensare ad una cultura che scaturisce
spontaneamente dalle masse stesse).
L’industria culturale, invece, allude alla «preordinata integrazione, dall’alto, dei suoi
consumatori» dove questi ultimi non sono per nulla i sovrani, i soggetti, di tale industria,
bensì gli oggetti.
L’industria culturale suscita i bisogni e determina i consumi degli individui, rendendoli
passivi e etero-diretti, annullandoli come persone e riducendoli ad una massa informe:
«L’industria culturale, la società ultraorganizzata, l’economia pianificata hanno
beffardamente realizzato l’uomo come essere generico: privo di coscienza individuale, di
iniziativa morale autonoma, manipolato a piacere» (Dialettica dell’illuminismo). L’individuo,
come essere generico, diventa «l’assolutamente sostituibile, il puro nulla».
Persino il tempo del divertimento, che dovrebbe essere il momento della libera creatività
individuale, è divenuto qualcosa di programmato (nelle modalità e negli orari in cui deve
avvenire) e diventa una sorta di «prolungamento del lavoro nell’epoca del tardo capitalismo»
(Dialettica dell’Illuminismo)
L’industria culturale è il mezzo attraverso cui il sistema impone valori e modelli di vita
funzionali al dominio di classe delle minoranze, creando vaste zone di consenso
Il NEOCAPITALISMO sfrutta, ai fini della propria conservazione, l’idea della «bontà» del
sistema e della «felicità» degli individui eterodiretti che lo costituiscono.
L’Illuminismo che voleva eliminare i miti si è rovesciato nel suo contrario e ne ha creati a
dismisura.
HERBERT MARCUSE (1898-1979)
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Nasce a Berlino nel 1898; studia a Berlino e a Friburgo (dove conosce Husserl e
Heidegger)
1966: docente onorario dell’Università di Berlino Ovest, dove nel 1967 partecipa
ad un dibattito sul movimento studentesco, che vede in lui uno dei suoi ispiratori
1955: Eros e civiltà : La civiltà ha potuto svilupparsi solo grazie alla repressione
degli istinti e della ricerca del piacere, garantendo così la propria produttività e
mantenendo l’ordine. «Gli istinti devono essere deviati dalla loro meta, ed essere
inibiti nel loro scopo. La civiltà comincia quando si è rinunciato efficacemente
all’obiettivo primario – alla soddisfazione integrale dei bisogni».
Si verifica così uno spostamento da: soddisfazione immediata a soddisfazione
differita, da piacere a limitazione del piacere, da gioia (gioco) a fatica (lavoro) da
recettività a produttività da assenza di repressione a sicurezza.
«Freud - dice Marcuse – ha descritto questo cambiamento come la trasformazione
del principio di piacere in principio di realtà». La modificazione repressiva degli
istinti è per Freud una conseguenza «dell’eterna lotta primordiale per l’esistenza che
continua fino a giorni nostri».
LA CRITICA DI MARCUSE A FREUD
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Marcuse critica questa eternizzazione ed assolutizzazione del contrasto tra il principio di piacere
e quello di realtà in quanto per Marcuse questo non va pensato come un contrasto metafisico o
eterno, dovuto ad una misteriosa natura umana, ma COME il prodotto di una specifica
organizzazione storico-sociale.
Secondo Marcuse, infatti, non è la civiltà in quanto tale ad essere repressiva (come sosteneva
Freud) ma solo la società di classe, ovvero quella particolare forma storica di società che si è
delineata in Occidente chiedendo un surplus di inibizione degli istinti rispetto a quello
strettamente necessario per una qualsiasi forma di convivenza sociale.
La società occidentale si regge sul principio di prestazione che considera il singolo un’entità per
produrre e reprime le richieste umane di felicità e di piacere.
La memoria degli impulsi repressi però è conservata nell’inconscio, dove «il passato continua a
far valere le proprie esigenze verso il futuro: e fa nascere il desiderio di un paradiso ricreato in
base alle conquiste della civiltà».
Il represso riemerge nell’arte, che esprime il desiderio umano di libertà e la creatività non
alienata.
Inoltre, il progresso tecnologico ha generato le premesse per una liberazione della società
dall’obbligo del lavoro, per una dilatazione del tempo libero; tuttavia, il progresso tecnologico
non viene abbandonato a se stesso, ma viene controllato e guidato: il potere, conscio della
possibilità del crollo del sistema, soffoca le potenzialità liberatrici e perpetua una stato di
necessità ormai non più necessario.
Di qui l’importanza della filosofia che, pur non dicendo come sarà il regno di utopia, l’annuncia,
mentre denuncia gli ostacoli sulla sua strada.
L’UOMO A UNA DIMENSIONE (1964)
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L’uomo a una dimensione viene pubblicato nel 1964 negli stati Uniti e appare in
italiano e in tedesco nel 1967; il libro incontrò immediato interesse e consenso dei
giovani, in Europa più che negli stati Uniti. I giovani del ‘68 vi trovarono gli
argomenti e le parole atte a conferire forma definitiva a un’idea che circolava già
da tempo in Europa, specialmente in Italia, Germania e Francia.
Era l’idea che le società europee, uscite ormai da oltre vent’anni dall’esperienza
del fascismo e della guerra e dedicatesi con conclamata devozione alla pratica
della democrazia, ricca di promesse per un continuo e dinamico rinnovamento di
rapporti sociali, uomini e idee, fossero divenute, in realtà, ciascuna a suo modo,
forme di società bloccata, incapace di rigenerarsi, di trasformarsi, di prospettare
autentiche alternative, sul piano politico, economico e culturale.
Seconda Marcuse una società non può continuare ad incivilirsi, non può produrre
individui consapevoli e autodeterminati, se non sa dialogare al proprio interno, o
all’esterno, con qualche forma di opposizione radicale, se non sa interagire con
forze che rappresentano un rischio perenne ed una sfida, mettendo in forse la sua
identità e costringendola a non bloccarsi, a continuare a crescere.
Ora l’uomo a una dimensione è l’uomo che vive in una società ad una
dimensione, società giustificata e coperta da una filosofia a una dimensione.
L’UOMO A UNA DIMENSIONE
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«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella
civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico»: inizia così la lucida analisi di
Marcuse della società nella quale viviamo, in perenne bilico tra la pace e la guerra.
La struttura della difesa rende la vita più facile ad un numero crescente di persone ed
estende il dominio dell’uomo sulla natura;
in queste circostanze, i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano poche
difficoltà nel vendere interessi particolari come se fossero quelli di tutti gli uomini
ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni ed aspirazioni
individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune,
ed entrambi appaiono come la personificazione stessa della ragione. D’altro canto, la
sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la
sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra, la sua crescita si fonda
sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l’esistenza.
Le capacità intellettuali e materiali della società contemporanea sono
smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata
del dominio della società sull’individuo è smisuratamente più grande di quanto sia
mai stata.
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Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad
accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno
riprovevole. Gli uomini devono trovare la via che porta dalla falsa coscienza
alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale. È
possibile far questo solamente se si avverte il bisogno di mutare modo di
vita, di negare il positivo e di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la
società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di
"distribuire dei beni" su scala sempre più ampia e di usare la conquista
scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo.
Nella società industriale avanzata, l’apparato tecnico di produzione e di
distribuzione funziona come un sistema che determina a priori il prodotto
dell’apparato produttivo, tendente quindi a diventare totalitario in quanto
determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti
socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. In tale
modo esso dissolve l’opposizione tra esistenza privata ed esistenza pubblica,
tra i bisogni individuali e quelli sociali.
Di fronte ai tratti totalitari di questa società, la nozione tradizionale della
"neutralità" della tecnologia non può più essere sostenuta. La tecnologia come
tale non può essere isolata dall’uso cui è adibita; la società tecnologica è un
sistema di dominio che prende ad operare sin dal momento in cui le tecniche
sono concepite ed elaborate. L’analisi di Marcuse è centrata su tendenze che
operano nelle società contemporanee più sviluppate, all’interno ed
all’esterno delle quali vi sono larghe zone nelle quali queste ancora non
prevalgono.
L’UOMO A UNA DIMENSIONE (1964)
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La società ad una dimensione è una società senza opposizione, una società che ha
paralizzato la critica attraverso la creazione di un controllo totale; la filosofia ad una
dimensione è la filosofia della razionalità tecnologica e della logica del dominio; è la
negazione del pensiero critico, della «logica della protesta», è la «filosofia positivistica»
che giustifica la «razionalità tecnologica».
Nella società tecnologica avanzata «l’apparato produttivo tende a diventare totalitario
nella misura in cui determina non solo le occupazioni , le abilità e gli atteggiamenti
socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali». E come universo
tecnologico, la società industriale «avanzata è un universo politico, l’ultimo stadio della
realizzazione di un progetto storico preciso, vale a dire l’esperienza, la trasformazione,
l’organizzazione della natura come un mero oggetto di dominio».
La società tecnologica avanzata crea un universo totalitario in quanto la dominazione si
estende a tutte le sfere dell’esistenza privata e pubblica , integra ogni opposizione
genuina, assorbe in sé ogni alternativa; questo tipo di società ha sviluppato raffinate
tecniche di controllo capaci di dare all’uomo l’illusione della libertà: «una confortevole,
levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata
[…]».
Dal momento che lo sviluppo del capitalismo ha alterato anche la struttura e la funzione
delle classi e la classe dei lavoratori è ormai integrata nel sistema, occorrerà individuare
un’altra strada, diversa da quella indicata da Marx (rivoluzione del proletariato) per
promuovere il mutamento.
Il Grande rifiuto
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Le tendenze totalitarie della società unidimensionale rendono inefficaci le vie e i mezzi
tradizionali di protesta, ma «al di sotto della base popolare conservatrice vi è il sostrato
dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e altri colori,
dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico; la
loro presenza prova, come non mai, quanto sia immediato e reale il bisogno di porre
fine a condizioni e istituzioni intollerabili. Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria
anche se non lo è la loro coscienza. La loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e
quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola le regole del gioco, e
così facendo mostra che è un gioco truccato. Quando si riuniscono e scendono nelle
strade, senza armi, senza protezione, per chiedere i più elementari diritti civili, essi
sanno di affrontare cani, pietre e bombe, galera, campi di concentramento, persino la
morte […] Il fatto che essi cominciano a rifiutare di prendere parte al gioco può essere il
fatto che segna l’inizio della fine di un periodo» . Questo non vuol dire che le cose
andranno così. Quel che si dice è che «lo spettro è di nuovo presente , dentro e fuori i
confini delle società avanzate». E questo è quanto può fare la teoria critica della
società: essa «non possiede concetti che possono colmare la lacuna tra il presente e il
suo futuro; non avendo promesse da fare né successi da mostrare, essa rimane
negativa. In questo modo essa vuole mantenersi fedele a coloro che, senza speranza,
hanno dato e danno la vita per il Grande Rifiuto.»
• Parlando dell'"Uomo a una dimensione" il sociologo Luciano
Gallino afferma che "esso anticipa i termini delle questioni odierne
e ciò lo fa apparire moderno. Esso può sembrare un libro scomodo,
irritante, poiché non privo dell'arroganza di chi presume di
possedere un intelletto dalle capacità diagnostiche quasi infallibili,
come d'altronde appaiono la maggior parte delle opere della scuola
di Francoforte.
• Ma è anche un libro che obbliga a riflettere su ciò che dobbiamo
decidere e fare, qui e ora al fine di trasformare noi stessi e la
società in cui viviamo, in direzione di un'esistenza che non sia
come l'attuale, il regno di un'abile e preveggente applicazione di
mezzi efficienti per scopi presi alla cieca, ma un'esistenza in cui la
ragione oggettiva, con la sua capacità di individuare l'essenza della
realtà suggerisca i nostri scopi e le correlative azioni, stabilendo e
interiorizzando nuovi rapporti con società fino ad ora
sottoprivilegiate che non sono più disposte ad accettare l'attuale
disuguaglianza dei privilegi, prima che sia la storia, se non domani,
ma forse domani l'altro, a trasformare brutalmente noi in strumenti
dei suoi scopi più ciechi".