STAGIONE 2007-2008 DELIRI E ARMONIE Martedi 22 gennaio 2008 ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Renaud Capuçon violino Nicholas Angelich pianoforte 10 Consiglieri di turno Direttore Artistico Mario Delli Ponti Luciano Martini Paolo Arcà Con il patrocinio di Con il contributo di Con il patrocinio e il contributo di Con il contributo di Sponsor istituzionali Con la partecipazione di Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo eccezioni consentite dagli artisti. Renaud Capuçon violino Nicholas Angelich pianoforte Robert Schumann (Zwickau, Sassonia 1810 – Endenich, Bonn 1856) Sonata n. 1 in la minore op. 105 Johannes Brahms (Amburgo 1833 – Vienna 1897) Sonata n. 3 in re minore op. 108 Intervallo César Franck (Liegi 1822 – Parigi 1890) Sonata in la maggiore Il concerto è registrato da Robert Schumann Sonata n. 1 in la minore op. 105 Mit leidenschaftlichem Ausdruck Allegretto Lebhaft Harold Bauer, musicista americano d’origine inglese, pubblicò nel 1945 una propria versione delle due Sonate per violino e pianoforte di Schumann allora note (la Terza, in la minore, venne alla luce solo nel 1956). Nella prefazione Bauer scriveva: «Anche i più grandi ammiratori di Schumann difficilmente negheranno che le due Sonate per violino soffrono di un trattamento inefficace delle risorse tecniche dei rispettivi strumenti. Passaggi che sembrano richiedere il suono del violino sono assegnati sovente al pianoforte, e vice versa. Violino e pianoforte raddoppiano di frequente le medesime note, causando un suono opaco, che impedisce la necessaria intensità drammatica; e dal momento che molti passaggi altamente espressivi vengono confinati nel registro più sfavorevole per il violino, il pianista è costretto a diminuire il suono in misura sproporzionata, dando così l’errata impressione di contenersi in un clima espressivo appassionato». L’opinione di una persona seria e competente come Bauer non faceva altro che riflettere il generale pregiudizio sulla capacità di Schumann di trattare gli strumenti. Dal punto di vista del virtuoso di violino le Sonate contengono senza dubbio i difetti elencati da Bauer. Qual era l’origine di una visione così unanime delle presunte manchevolezze tecniche di Schumann? La risposta si trova forse nella biografia dell’autore. Schumann era l’unico compositore di spicco della generazione romantica privo di un’esperienza diretta del palcoscenico. A differenza di Mendelssohn, Liszt, Chopin e persino Berlioz, il quale era stato perlomeno un grande direttore d’orchestra, Schumann aveva dovuto abbandonare ben presto il sogno di diventare un virtuoso di pianoforte a causa di un danno ai legamenti della mano, provocato con ogni probabilità dai trattamenti al mercurio contro la sifilide. È assai dubbio, tuttavia, che una carriera da virtuoso avrebbe calzato a pennello su un musicista del suo stampo, così imbevuto d’ideali letterari ed esclusivamente animato da sentimenti poetici. In sostanza Schumann non ha mai sentito il bisogno di comporre un lavoro per alimentare la propria carriera professionale, adattando l’espressione musicale alle caratteristiche del proprio talento. La sua opera nasceva in primo luogo da un’urgenza poetica bruciante, non dal desiderio di portare la ricerca espressiva ai confini del linguaggio strumentale. La Sonata per violino e pianoforte in la minore op. 105 rappresenta un tipico esempio del suo atteggiamento verso la musica strumentale. Composta con velocità sbalorditiva, tra il 12 e il 16 settembre del 1851, la Sonata in la minore concede poco o nulla a una visione concertistica della musica da camera. Il dialogo fitto, a tratti convulso tra i due strumenti è concepito in maniera radicale come una forma di Hausmusik, di musica intesa come scambio privato e intimo di emozioni e pensieri tra due musicisti. Nella concezione dell’autore, le caratteristiche tecniche degli strumenti, e in particolare quelle del violino, che nella sonata ottocentesca aveva finito per rivestire un ruolo eminentemente solistico, passano del tutto in secondo piano rispetto all’urgenza espressiva del dialogo ravvicinato e in larga misura introspettivo tra i due musicisti. Mit leidenschaftlichem Ausdruck recita l’indicazione espressiva del primo movimento, “con espressione appassionata”. In cosa consista la passione che alimenta il breve movimento iniziale lo si potrebbe forse intuire dalla configurazione dominante dell’armonia, che alterna in maniera abbastanza ossessiva le tonalità di la minore e fa maggiore, una sorta d’idée fixe presente sin dall’inizio nella musica da camera di Schumann. Nella musica di questo lavoro si manifesta con evidenza un aspetto essenziale dello stile di Schumann, il carattere frammentario e asimmetrico del discorso. Le frasi, formate da brevi incisi circolanti senza sosta da uno strumento all’altro, si compongono in una sorta di mosaico estremamente fluido, in perenne trasformazione. La forma del movimento iniziale denuncia a sua volta un conflitto latente nella musica di Schumann, il quale ha sempre cercato di far convivere in maniera contraddittoria la tendenza romantica alla disgregazione del tempo e l’aspirazione di stampo classico alla costruzione razionale. Provvisto eccezionalmente di un titolo tradizionale in italiano l’“Allegretto” costituisce il tentativo di saldare in un’unica forma l’episodio lirico e gli elementi tipici dello scherzo, normalmente tenuti separati. Una musica di questo genere, più vicina allo stile del declamato e priva di un vero contorno melodico, risulta efficace soltanto se interpretata da musicisti con una sensibilità fuori dal comune per le più sottili sfumature di tempo e di suono. «Bisogna trovare la forza di creare, finché ancora c’è luce», scriveva Schumann nel diario il 12 settembre 1851, al momento d’intraprendere la composizione della Sonata. Le ombre e i fantasmi s’insinuavano sempre più spesso nella sua mente, tormentata per di più da un’insonnia incessante. Il Lebhaft finale sembra la manifestazione più drammatica di questa disperata volontà di resistere all’avanzata delle tenebre, di opporre la barriera della musica all’orrore del nulla. Il moto perpetuo dei due strumenti, parafrasando lo stile di una toccata bachiana, macina note a mitraglia, per costruire una solida base alla progressione che nel primo movimento aveva accompagnato il tormentato cammino dell’idea iniziale. La lotta tra il Bene e il Male assume in questo movimento il carattere di una mischia furibonda, nella quale i musicisti hanno ben poco spazio per trovare un po’ di sollievo. I due strumenti non riescono quasi a riprender fiato, investiti da un vento impetuoso che li trasporta con infernale rapidità verso la conlusione. Johannes Brahms Sonata n. 3 in re minore op. 108 Allegro alla breve Adagio Un poco presto e con sentimento Presto agitato All’epoca in cui Brahms si affacciava sulla scena musicale, all’inizio degli anni Cinquanta, la musica per violino era dominata dallo stile virtuosistico. Sin dai primi decenni dell’Ottocento, la sala da concerto costituiva il territorio di caccia dei grandi solisti e nell’ambito del violino, com’era avvenuto per il pianoforte, si erano distinte grandi figure di interpreti-autori, come Louis Spohr e Niccolò Paganini nella prima fase, Heinrich W. Ernst, Henri Vieuxtemps e Henryk Wieniawski nella generazione successiva. Ai margini di questo repertorio virtuosistico dominante sopravviveva uno stile di musica strumentale di natura diversa, come quella di Schumann, intrisa di un lirismo introspettivo e ispirata ai modelli dello stile classico. Il primo musicista a tentare un’efficace sintesi tra queste diverse anime musicali della Romantik fu Joseph Joachim, grande violinista mittel-europeo e personalità di spicco della scena musicale tedesca. Fu tramite Joachim, conosciuto a Hannover nel 1853 durante una tournée con il violinista Eduard Reményi, che Brahms entrò a far parte del circolo degli Schumann a Düsseldorf, un incontro capitale per gli sviluppi della musica tedesca. Nell’estate del 1878 prese corpo il progetto di un Concerto per violino, di cui Brahms informò l’amico un po’ a sorpresa, una volta portato a termine il primo movimento. Un’appendice preziosa del Concerto fu la Prima sonata per violino, concepita con slancio primaverile nella luminosa tonalità di sol maggiore. Purtroppo i rapporti personali tra i due artisti s’incrinarono poco dopo, a causa della netta presa di posizione di Brahms a favore della moglie di Joachim nella scabrosa vicenda della loro separazione. A distanza di qualche anno, raffredati gli animi, Brahms cercò di gettare un ponte verso l’amico per superare le reciproche incomprensioni, tornando a scrivere una serie di lavori dedicati al violino, tra i quali le due Sonate op. 100 e op. 108. Conclusa con la Quarta Sinfonia la fase “titanica” della sua opera, Brahms si rivolgeva di nuovo alla dimensione intima della musica da camera, creando nel corso di tre fruttuosi soggiorni estivi sul lago di Thun, in Svizzera, tra il 1886 e il 1888, una magnifica serie di lavori di musica strumentale e vocale. La Sonata in re minore, in particolare, costituiva uno splendido satellite del Doppio concerto per violino e violoncello, pensato dall’autore come una mano tesa verso l’amico di un tempo per chiudere il loro “inverno dello scontento”. Dev’essere stato sicuramente commovente vedere i due vecchi amici, messo da parte il risentimento, interpretare insieme a Vienna la Sonata in re minore, nel febbraio del 1889. La prima esecuzione assoluta si era svolta solo qualche settimana prima a Budapest, con il giovane violinista ungherese Jeno Hubay al posto di Joachim. Nell’“Allegro” iniziale, disegnato in una forma purissima ed elegante, colpisce in maniera particolare l’idea di legare il breve sviluppo centrale a un pedale ostinato del pianoforte sulla nota “la”, ossia il grado di dominante di re minore, ribattuta dalla mano sinistra. Questo processo ripetitivo, a differenza dell’idea tradizionale di confondere al massimo grado i rapporti armonici per poi recuperare vittoriosamente la tonalità originale, permetteva a Brahms di mescolare con molta libertà episodi di natura diatonica e cromatica, rispecchiando l’idea singolare di questo sviluppo nella coda conclusiva. Lo splendido “Adagio” successivo corrisponde in maniera perfetta a un ritratto molteplice dello stesso personaggio. Il medesimo, saldo spirito costruttivo del primo movimento informa anche quest’incantevole oasi lirica, che riluce senza sfolgorare, come una foresta di querce nel meriggio d’estate. Clara Schumann, l’amica di sempre, amava invece più d’ogni altro il terzo movimento, “Un poco presto e con sentimento”. Sentiva a ragione in questa musica qualcosa di speciale, perché Brahms non riuscì mai a coniugare una leggerezza degna di Mendelssohn e una filigrana di suono assolutamente trasparente con un più profondo e struggente senso di nostalgia come in questa larva di scherzo classico. L’arte di comporre senza melodie giunge in questa pagina a una modernità sorprendente e apre le porte all’astrattismo musicale del secolo seguente, quale forse si potrebbe ritrovare nel Debussy delle ultime Sonate. Il “Presto agitato” successivo conclude la Sonata in maniera più convenzionale, ma con slancio appassionato e vibrante espressione. César Franck Sonata in la maggiore Allegretto ben moderato Allegro Recitativo-Fantasia (Ben moderato) Allegretto poco mosso Composta quasi accanto a quella di Brahms, nell’estate del 1886, la Sonata di Franck rappresenta l’indiscusso capolavoro della musica da camera francese dell’Ottocento. Per avere la misura dell’influsso esercitato da questa Sonata sulla musica francese a cavallo del secolo basti ricordare che gli esegeti di Proust hanno subito indicato il suo tema come la fonte della famosa petite phrase della Sonate di Vinteuil («Questa volta aveva distinto con nettezza una frase che per qualche secondo s’innalzava sopra le onde sonore. Essa gli aveva suggerito voluttà particolari, delle quali non aveva mai avuto idea prima di ascoltarla, sentendo che nient’altro se non lei avrebbe potuto fargliele conoscere, e aveva provato per lei come un amore ignoto», Du côté chez Swann, Parte seconda). L’ossessione dell’ultimo Franck consisteva nel desiderio di rinnovare la musica strumentale francese, perché l’ars gallica potesse competere ad armi pari con quella tedesca. Prima del suo imponente trittico di opere da camera degli anni Ottanta, includendo in questo gruppo anche il Quintetto con pianoforte in fa minore e il Quartetto in re maggiore, la musica francese non aveva in pratica un vero repertorio di questo genere, a eccezione di qualche sparuto tentativo di Lalo, Saint-Saëns e Fauré. La palingenesi della società francese provocata dalla catastrofe di Sedan aveva cominciato a riflettersi anche sul terreno musicale, spingendo anche i compositori a maturare una visione più seria e responsabile della loro arte. L’unico esempio di autentica integrità e profonda scienza musicale a disposizione della generazione più giovane, quella di Vincent d’Indy, Emmanuel Chabrier, Ernest Chausson, era l’eccentrico e appartato organista della parrocchia di Saint-Germain-l’Auxerrois, César Franck, rifugiatosi da tempo in una vita da sacrestano per sfuggire ai malsani disegni del padre, che aveva inquinato la sua infanzia cercando di trasformarlo in un fenomeno da baraccone, per sfruttare l’abilità pianistica del bambino prodigio. La giovane scuola francese, turbata fino al midollo dalla violenza espressiva del Tristano di Wagner, vedeva nella sua visione del tutto originale dell’eredità di Beethoven e del mondo classico una strada autonoma e non subalterna alla musica tedesca verso la modernità. L’anziano musicista aveva forgiato nel corso della vita operosissima uno stile assolutamente personale, connotato dalla predilezione per il contrappunto. Il pianoforte di Franck rispecchia questi aspetti della sua musica, con un tipo di scrittura allo stesso tempo severa e massiccia. La parte pianistica della Sonata presenta infatti una tessitura delle voci abbastanza fitta, quasi sempre a quattro voci, spesso rinforzate a ottava. Il violino è obbligato a competere come un leone contro il pianoforte, ma la scrittura di Franck riesce miracolosamente a trovare un equilibrio di suono tra i due strumenti, senza la necessità di ricorrere a effetti plateali e di cattivo gusto. La forma della Sonata si sviluppa secondo un principio ciclico, fondato sulla trasformazione continua di una medesima idea tematica. Un semplice intervallo di terza costituisce il germe dell’intero lavoro, che si articola in quattro movimenti, fatto abbastanza eccezionale in Franck. Il tema d’apertura dell’“Allegretto ben moderato”, esposto dal violino in un cullante ritmo di 9/8, ricompare trasfigurato nel ritmo e nel profilo melodico nei vari movimenti. La qualità musicale della Sonata consiste nell’inesauribile fantasia di Franck, che ha profuso in questo lavoro una quantità di eccellenti idee musicali. Il momento più sconvolgente di questo appassionato lavoro si manifesta nel poderoso “Recitativo-Fantasia”, che sostituisce il tradizionale movimento lento con la più assoluta libertà di forme. L’espressione drammatica del recitativo iniziale raggiunge un’intensità degna di un Concerto, ma forse l’invenzione armonica della seconda parte, giustamente definita fantasia, colpisce ancora di più per il flusso liquido delle tonalità, che creano una meravigliosa corrente di luci e di colori. Oreste Bossini Fondazione Mazzotta - Visita guidata gratuita per i Soci La Fondazione Mazzotta offre ai nostri Soci una visita guidata gratuita alla mostra "Warhol-Beuys-Omaggio a Lucio Amelio". L’appuntamento è per giovedì 31 gennaio 2008 alle ore 18.30 nella sede della Fondazione in Foro Buonaparte 50. I Soci, in un massimo di 25 persone, possono ancora prenotarsi per telefono (02 795393) e via e-mail ([email protected]), presso la segreteria della Società. Ricordiamo inoltre che i Soci, indipendentemente da questo appuntamento, possono sempre visitare le mostre della Fondazione al costo ridotto di € 6 anziché € 8, presentando la tessera associativa. RENAUD CAPUÇON violino Nato a Chambéry nel 1976, Renaud Capuçon è stato ammesso a 14 anni al Conservatorio di Parigi dove ha studiato con Gérard Poulet e Veda Reynolds e ha meritato il primo premio per la musica da camera (1992) e il primo premio per il violino con menzione speciale nel 1993. Nel 1995 gli è stato assegnato il Premio della Kunstakademie di Berlino. Si è poi perfezionato con Thomas Brandis e con Isaac Stern. Dal 1997, su invito di Claudio Abbado, è stato per tre anni primo violino della Gustav Mahler Jugendorchester. Nel 2000 ha preso parte alla serie “Rising Star” ed è stato nominato “Nouveau Talent de l’Année” su Les Victoires de la Musique. Nel 2005 è “Soliste Instrumental de l’Année” e nel 2006 la Société des Auteurs, Compositeurs et Éditeurs de Musique gli ha assegnato il Premio “George Enesco”. Dopo il debutto nel 2002 con i Berliner Philharmoniker diretti da Bernard Haitink, si è esibito come solista con le maggiori orchestre del mondo in collaborazione con direttori quali Marc Albrecht, Daniel Barenboim, Frans Brüggen, Semyon Bychkov, Jean-Claude Casadesus, Myung-Whun Chung, Christoph von Dohnányi, Charles Dutoit, Christoph Eschenbach, Vladimir Fedoseyev, Ivan Fischer, Daniel Harding, Emmanuel Krivine, Kurt Masur, Marc Minkowski e Seiji Ozawa. Tra i suoi partner per la musica da camera Martha Argerich, Daniel Barenboim, Hélène Grimaud, Mikhail Pletnev, Jean-Yves Thibaudet, Vadim Repin, Yuri Bashmet, Truls Mørk, Maria João Pires, Yefim Bronfman, Louis Lortie, Misha Maisky, Maxim Vengerov, Gérard Caussé, Emmanuel Pahud e la Kremerata Baltica con i quali è ospite di festival di primo piano quali Berlino, Davos, Mostly Mozart di Londra, Edimburgo, Tanglewood, Saratoga, Gerusalemme, Lockenhaus, Ludwigsburg, Rheingau, Schwarzenberg, Stavanger, Lucerna, Verbier, Gstaad, Stresa, Brescia e Bergamo, Aix-enProvence, Colmar, La Roque d’Anthéron e Strasburgo. Nel 1995 ha fondato un proprio festival a Chambéry. Le sue registrazioni discografiche hanno meritato numerosi riconoscimenti quali Grand Prix Académie Charles Cros, Choc de la Musique, Diapason d’Or, Fonoforum di Sterne des Monates, Editor’s Choice di Gramophone e Scherzo di Excepcional. Suona il violino Guarneri del Gesù “Panette”, appartenuto a Isaac Stern, e uno Stradivari del 1721, appartenuto a Fritz Kreisler. È per la prima volta ospite della nostra Società. NICHOLAS ANGELICH pianoforte Nato negli Stai Uniti nel 1970, Nicholas Angelich ha iniziato lo studio del pianoforte a cinque anni con la madre. A tredici anni è entrato al Conservatorio di Parigi dove è stato allievo di Aldo Ciccolini, Yvonne Loriod e Michel Béroff, ottenendo il primo premio per il pianoforte e la musica da camera. Ha seguito master class con Leon Fleisher, Dmitri Bashkirov e Maria João Pires. Nel 1989 ha vinto il secondo premio al Concorso internazionale Robert Casadesus a Cleveland e nel 1994 il primo premio al Concorso internazionale Gina Bachauer. In concerto si è esibito con le maggiori orchestre francesi, la London Philharmonic diretta da Kazuchi Ono e l’Orchestra Sinfonica di San Pietroburgo. Nel maggio 2003 ha debuttato con la New York Philharmonic sotto la direzione di Kurt Masur. Particolarmente dedito alla musica da camera, collabora con Renaud e Gautier Capuçon, Augustin Dumay, Gérard Caussé, Alexander Kniazev, Dmitri Makhtin e i quartetti Ysaÿe e Prazak con i quali è ospite di festival di primo piano (Verbier, La Roque d’Anthéron). Nel 2005 è stato invitato al Festival Martha Argerich a Lugano. Grande interprete del repertorio classico e romantico, ama profondamente anche la musica del XX secolo; ha eseguito in prima assoluta il Concerto per pianoforte senza orchestra di Pierre Henry. In ambito discografico ha meritato riconoscimenti internazionali quali Choc de Le Monde de la Musique, Preis der Deutschen Schallplattenkritik, Diapason d’or, Editor’s Choice di Gramophone, Scherzo di Excepcional, BBC Music Choice. È per la prima volta ospite della nostra Società. Società del Quartetto di Milano via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it e-mail: [email protected] Prossimo concerto: martedì 29 gennaio 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Ensemble Nuovo Contrappunto Mario Ancillotti direttore Charo Martin, Alma Fournier-Carballo, Pierluigi Paulucci, Massimo Di Stefano solisti La musica di Manuel de Falla è al centro della nuova escursione nel Novecento di Nuovo Contrappunto, un ensemble nato oltre dieci anni fa nella fucina della Scuola di Musica di Fiesole e animato da un musicista colto ed esperto come Mario Ancillotti. L’ensemble presenta infatti, anche grazie al contributo di una voce espressiva come quella di Charo Martín, la prima e poco conosciuta versione dell’Amor brujo, l’opera di Falla forse più imbevuta di musica gitana. Ma l’aspetto immaginifico della musica di Falla si ritrova anche nel Retablo de Maese Pedro, tratto da un celebre episodio del Don Chisciotte. Lo spettacolo è interpretato da burattini e da cantanti in carne e ossa di schietta vocazione teatrale come Massimo Di Stefano, Pierluigi Paolucci e Alma Fournier-Carballo, che impersona il bambino. La finezza di Ancillotti consiste nell’aver posto in apertura di un concerto di questa natura, a mo’ di dedica ideale, l’image più sensuale della musica francese, l’Après-midi d’un faune di Debussy, in una rara trascrizione viennese d’epoca, a testimonianza delle imprevedibili fonti che hanno alimentato il mondo severo e lo stile scabro del grande compositore spagnolo. Programma (Discografia minima) Debussy Prélude à l’après-midi d’un faune (arr. Stein) (2&2m, Paul Méfano, 2&2m 1003) Falla El amor brujo (versione 1915) (Orchestre de Lausanne, Jesus Lopez Cobos, Denon 75339) El retablo de Maese Pedro (Orchestra de Chambra Teatre Lliure de Barcelona, Josep Pons Harmonia Mundi C905213)