gestione del paziente con problematiche mediche i

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LEZIONE
“GESTIONE DEL PAZIENTE CON PROBLEMATICHE MEDICHE I”
PROF.SSA CRISTINA VENIER
Università Telematica Pegaso
Gestione del paziente con problematiche mediche I
Indice
1
Folgorazione ----------------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.1.
2
Effetti sull’organismo. ------------------------------------------------------------------------------ 4
Congelamento ed ipotermia -------------------------------------------------------------------------- 12
2.1 Sintomi ------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
2.2 Trattamento -------------------------------------------------------------------------------------------- 16
3
Patologie da altitudine e da immersione ----------------------------------------------------------- 20
3.1 Patologia e fisiopatologia ---------------------------------------------------------------------------- 20
3.2 Sintomi, segni e diagnosi ---------------------------------------------------------------------------- 21
3.3 Patologie da immersione. ---------------------------------------------------------------------------- 23
Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 26
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Folgorazione
La folgorazione o elettrocuzione è l’attraversamento del corpo umano da parte di corrente
elettrica, con conseguenze anche gravi se non opportunamente e tempestivamente trattate.
Oltre ai fulmini, gli incidenti da corrente elettrica possono essere legati alla corrente ad uso
industriale, ad uso domestico ed alla larga diffusione dell’elettricità in campo medico, non solo
come fonte di illuminazione, riscaldamento e forza motrice di numerose apparecchiature, ma anche
come principio di utilizzo per monitoraggio, diagnosi e terapia di molti pazienti.
Oggi grazie alle nuove norme di sicurezza, il rischio si è notevolmente ridotto.
Il danno all’organismo dipende:
-
dalle caratteristiche della corrente, in termini di intensità, tensione,
tipo (alternata o continua) e durata dell’esposizione;
-
dalle particolarità proprie dell’infortunato: resistenza elettrica,
percorso della corrente, fase del ciclo cardiaco al momento del passaggio,
condizione della pelle (secca, bagnata, sudata).
Il corpo umano è costituito da acqua ed elettroliti e questo lo rende un buon conduttore che
si lascia attraversare facilmente dalle scariche elettriche. Infatti il corpo umano è costituito da
cellule che si trovano immerse in soluzioni saline e i sali presenti, sono in concentrazione differente:
maggiore concentrazione di K+ all’interno della cellula e maggiore concentrazione di Na+ in
ambiente extracellulare quindi una differenza di potenziale elettrico tra l’interno e l’esterno delle
cellule, denominato potenziale di riposo (-70mV intracellulare).
Le cellule sottoposte ad uno stimolo eccitatorio, sviluppano il cosiddetto potenziale d’azione
che è alla base della diffusione del segnale nervoso e quindi della successiva contrazione muscolare,
nonché sulla percezione degli stimoli. Si può dedurre, quindi che, l’applicazione di una corrente
elettrica interferisce con i potenziali d’azione delle cellule, alterandone la trasmissione nervosa e
determinando falsi stimoli di contrazione muscolare.
L’intensità, la tensione(o voltaggio) e la resistenza elettrica sono termini legati tra di loro
dalla relazione espressa dalla legge di Ohm I= V/R , dove l’intensita della corrente (I) che
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attraversa un corpo è direttamente proporzionale alla tensione (V) ed inversamente proporzionale
alla resistenza (R). Quindi possiamo ricordare:
- intensità:
* inferiore a 0.5 mA (soglia di percezione) non c’è danno e
dolore;
* 1-2 mA, compare formicolio;
* a 9mA si possono verificare contrazioni muscolari capaci di
“incollare” l’individuo al conduttore, oppure di scagliarlo lontano, interrompendo
così il passaggio della corrente, ma provocando traumatismi da caduta. Una tale
intensità può causare arresto respiratorio da contrazione muscolare tetanica;
* 80-100 mA possono provocare fibrillazione ventricolare se la
corrente passa nella regione del cuore;
* 2-3 A provocano, con minor frequenza, F.V. ed inibizione delle
strutture nervose situate lungo il percorso della corrente, con paralisi dei centri
bulbari e perdita di coscienza.
- Tensione (o voltaggio): le abituali, 220 e 380 volt, sono quelle che
provocano i maggiori incidenti. La soglia di tensione minima considerata pericolosa
è di 50 V in corrente alternata e 120 V in corrente continua.
- Resistenza: è in funzione dello stato della cute (secca, bagnata, sudata), dei
tessuti, dei vestiti e dell’ambiente.
- Percorso della corrente: i percorsi più pericolosi per le complicanze
cardiache sono rappresentati da: testa-arti inferiori, braccio-braccio, testa-arto
superiore sinistro.
1.1.
Effetti sull’organismo.
Gli effetti sull’organismo provocati dalla corrente elettrica, sono principalmente dovuti a:
contrazioni muscolari involontarie, blocco respiratorio, fibrillazione cardiaca, effetti termici,
neurologici e possibili traumi indiretti.
Particolare attenzione deve essere posta al percorso seguito dalla corrente elettrica,
nell'attraversare il corpo. Se questo avviene, tra mano e piede, il cuore è parzialmente coinvolto,
se invece il percorso è tra mano e mano, il flusso di corrente che interessa il cuore è molto
maggiore. Se l’agente elettrico è costituito da un fulmine, la scarica tende a scorrere sulla
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superficie del corpo e quindi sulla pelle, provocando all’infortunato, un arresto respiratorio. Nel
caso di una folgorazione da corrente industriale il pericolo più grave è l’arresto cardiaco, in quanto
il danno si verifica agli organi interni.
- Contrazione muscolare, blocco respiratorio e fibrillazione cardiaca.
La corrente elettrica di alcune decine di mA (industriale) determina spasmo muscolare che
coinvolge principalmente i muscoli scheletrici, nonché i muscoli respiratori e del miocardio (cuore).
Ad esempio, in seguito ad elettricità, la contrazione involontaria dei muscoli della mano, può
impedire a quest’ultima, di rilasciare il conduttore, come pure se la corrente attraversa il torace, la
conseguenza principale può determinare uno spasmo del muscolo cardiaco (F.V.). Vi può essere,
paradossalmente che, correnti alternate di 200 mA, provochino una paralisi muscolare fissa senza
determinare una fibrillazione cardiaca (contrazioni solo dei muscoli che circondano il cuore), che
in ogni caso altera la funzionalità di pompaggio con esiti letali se non si interviene prontamente.
L’insufficienza respiratoria costituisce l’elemento essenziale
più frequente nella
folgorazione. Può essere conseguente a FV (origine cardiaca), paralisi dei centri respiratori bulbopontini (origine neurologica), tetanizzazione dei muscoli respiratori (origine muscolare).
L’arresto cardiaco è determinato dalla FV.
- Effetti termici.
A differenza delle ustioni da calore, il passaggio della corrente elettrica si estende ad un’area
maggiore di quanto non appaia a un primo esame superficiale della cute, in quanto è frequente
l’interessamento dei piani sottocutanei e muscolari. Ne deriva un danno tessutale grave e profondo.
- Effetti neurologici.
I danni a livello neurologico si manifestano da una temporanea perdita di coscienza fino a
lesioni neurologiche permanenti. La perdita di coscienza può essere la conseguenza dell’ipossia, ma
spesso è dovuta all’azione diretta inibitrice della corrente elettrica sulle strutture del SNC.
- Traumi indiretti.
Sono traumi provocati non direttamente dall’agente in causa (folgorazione) ma dal contesto
in cui si verifica; ad esempio in seguito ad esplosioni, ci possono essere fratture ossee e lussazioni,
oppure quest’ultime possono essere determinate da gravi contrazioni muscolari o da caduta.
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Sindrome secondaria da folgorazione.
S’intende una serie di alterazioni metaboliche (iperpotassiemia, acidosi), nervose e renali
(necrosi tubolare acuta), che hanno molti aspetti in comune con la Crush-sindrome dei soggetti
politraumatizzati o sottoposti a compressioni violente. Questo quadro clinico raggiunge la massima
intensità nel corso di alcune ore, per regredire in circa una settimana.
Applicazione deliberata di energia elettrica.
Due sono i campi in cui l’applicazione di energia elettrica è consentita: quello che meno ci
interessa è l’utilizzo di energia elettrica come tortura e pena capitale (legalmente utilizzata in alcuni
stati degli Stati Uniti), l’altro utilizzo comprende il campo medico.
Una scarica elettrica è alla base della terapia elettroconvulsivante (elettroshock); si utilizza
per il trattamento d'urgenza dell'arresto cardiaco (FV) per mezzo di appositi apparecchi medici detti
defibrillatori; si utilizza per ripristinare il ritmo regolare cardiaco in pz con fibrillazione atriale
mediante la cardioversione elettrica; si utilizza per tagliare e coagulare mediante l’elettrobisturi.
Terapia.
Il primo intervento da eseguire, più in fretta possibile, è quello di staccare la corrente,
agendo sull’interruttore generale.
Se questo non è possibile, si deve cercare di allontanare la persona dalla fonte di elettricità,
attraverso i vestiti (se asciutti), la cintura (se di cuoio) o con mezzi isolanti (bastoni di legno privi di
parti metalliche e asciutti). Nel compiere questa azione è bene cercare di isolarsi da terra mediante
zoccoli di legno, stivali in gomma, un asse di legno o di gomma appoggiato al suolo, oppure
camminare sopra un asciugamano asciutto. E’ opportuno isolare i piedi anche se il pavimento è
apparentemente asciutto.
Poiché il folgorato è spesso contemporaneamente un insufficiente respiratorio, un ustionato
e un politraumatizzato, il trattamento da impostare dev’essere globale, indirizzato nel supportare in
breve tempo tutte le funzioni vitali insufficienti.
Quindi immediatamente la terapia si focalizza sui problemi legati all’insufficienza cardiorespiratoria e dello shock; successivamente ci saranno i trattamenti riguardanti le ustioni, le aritmie,
l’insufficienza renale e metabolica, la profilassi della CID, antibiotica e antitetanica.
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COLPO DI CALORE E COLPO DI SOLE
L'organismo umano è dotato di un complesso sistema di termoregolazione che permette
entro certi limiti l'adattamento alle variazioni della temperatura ambientale. Il processo di
acclimatazione richiede tuttavia un certo periodo di tempo per realizzarsi (da pochi giorni ad alcune
settimane). Il colpo di calore e il collasso da calore sono le condizioni patologiche che si
determinano per l'incapacità del nostro organismo a rispondere in modo adeguato alle variazioni
ambientali. Queste sindromi non sono legate necessariamente all'esposizione al sole, potendosi
manifestare anche in ambiente chiuso, ma sono provocate da condizioni ambientali di elevata
temperatura esterna, ridotta ventilazione e soprattutto elevata umidità relativa, che non consente
all'organismo un'adeguata dispersione del calore corporeo attraverso la sudorazione.
L’ipertermia è diversa dalla febbre, perché quest’ultima, è una risposta dell'organismo a uno
stato di infezione e insorge a prescindere dalla temperatura esterna, su comando della regione
dell'ipotalamo anteriore; l'ipertermia invece insorge senza questo comando, indotta solo dalla
temperatura esterna.
Il rischio di shock ipovolemico, dovuto ad una perdita eccessiva di sali, rende indispensabile
la richiesta di soccorso medico qualificato e l'ospedalizzazione. Se l'infortunato è cosciente, può
essere somministrata dell'acqua, se possibile con integratori salini. Assolutamente da evitare
alcoolici e caffè, per le loro proprietà vasodilatatorie. Nell'attesa del soccorso, in caso insorgano i
sintomi dello shock, l'infortunato può essere messo in posizione antishock, con gli arti inferiori
sollevati.
L’organismo elimina il calore corporeo in eccesso, mediante i polmoni e la pelle.
- Polmoni: * respirazione. L’aria che espiriamo è calda. Se il corpo si surriscalda,
la frequenza
respiratoria aumenta nel tentativo di disperdere il calore in eccesso.
- Pelle:
* irragiamento. Il calore viene ceduto all’atmosfera sotto forma
di radiazioni termiche.
* Evaporazione: la perspirazione parte dalle ghiandole situate nel derma e con
l’evaporazione del sudore, la pelle si raffredda e il calore diminuisce.
* Conduzione: il calore viene ceduto direttamente al mezzo circostante,
quindi aria o acqua.
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Consideriamo cosa può succedere all’organismo quando si trova in un ambiente molto
caldo.
L’aria inspirata è calda, magari più calda dell’aria espirata e la pelle può assorbire più
calore di quanto ne irradi. Se a ciò si aggiunge un elevato tasso di umidità, l’evaporazione del
sudore rallenta. Ad aggravare ulteriormente il quadro, immaginiamo che tutti questi fattori si
sommino in un ambiente privo di ventilazione, che altrimenti favorirebbe la cessione del calore per
irragiamento ed evaporazione.
Dal momento che, in un ambiente umido, la perdita di calore tramite evaporazione è ridotta,
il caldo-umido può produrre variazioni corporee drammatiche nell’arco di un periodo molto breve.
Il caldo-secco spesso inganna; le persone continuano a lavorare o comunque rimangono
esposte al calore per un tempo eccessivo e superano il punto massimo di tollerabilità. Questo è il
motivo per cui si possono incontrare problemi più gravi a causa dell’esposizione al caldo-secco, che
non per l’esposizione al caldo-umido.
Progressione termica.
Consideriamo cosa può succedere all’organismo quando si trova in un ambiente molto
caldo.
Il primo stadio dell'ipertermia è lo stress da calore o esaurimento da calore: è caratterizzato
da confusione, crampi muscolari (per la perdita di sali minerali e acqua) e spesso nausea o vomito.
A questo stadio iniziale la vittima suda copiosamente, per dissipare il calore corporeo in eccesso; se
l'esposizione al calore prosegue, condizione a volte favorita dallo stato di confusione, la temperatura
corporea raggiunge l'intervallo dei 39-40 °C (103-104 °F) e si ha il colpo di calore vero e proprio,
cioè l'ipertermia conclamata. Una temperatura corporea sopra i 40 °C (104 °F) mette a rischio la
vita della vittima. A 41 °C (106 °F) il cervello inizia a subire danni, e inizia il processo di morte
cerebrale. A 45 °C (113 °F) la morte è quasi certa. Temperature interne oltre i 50 °C (122 °F)
causano rigidità muscolare e morte immediata.
Il metodo più efficace a disposizione del corpo umano per dissipare il calore che lui stesso
genera è la sudorazione: essa sottrae calore all'interno del corpo e lo porta sulla superficie cutanea,
dove l'evaporazione, un processo molto endotermico, sottrae grandi quantità di calore alla pelle,
raffreddandola. La perdita di acqua dovuta alla sudorazione, se non compensata, porta alla
disidratazione dell'organismo, che oltre un certo limite non può più sostenere la sudorazione. A
questo punto la vittima smette di sudare, e la temperatura corporea sale rapidamente.
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Il colpo di calore è un disturbo causato da una temperatura troppo alta, associata ad un
elevato tasso di umidità e alla mancanza di ventilazione, a cui l'organismo non riesce ad adattarsi.
Chi subisce un colpo di calore può perdere lucidità e mostrarsi ostile verso i soccorritori:
spesso ha mal di testa, e il suo stato può essere scambiato per una intossicazione. La disidratazione
riduce la pressione sanguigna e può portare a confusione mentale o svenimento, soprattutto se la
vittima si alza in piedi all'improvviso. La pelle diventa arrossata, perché i capillari si dilatano nel
tentativo di portare più calore verso la pelle; man mano che l'ipertermia si aggrava la pressione
sanguigna cala al punto che il sangue viene richiamato e la pelle diventa pallida o bluastra, e la
vittima prova brividi e pelle d'oca, come nella febbre alta. Con l'aumentare della temperatura gli
organi interni smettono di funzionare e sopraggiungono il coma e la morte. I bambini molto piccoli
possono soffrire di convulsioni. La forte disidratazione che accompagna l'ipertermia da colpo di
calore può provocare nausea e vomito; sono stati riportati casi di cecità temporanea. In circostanze
molto rare una persona può avere gli stessi sintomi di un colpo di calore senza esserne affetta.
Il collasso da calore si verifica in seguito ad una perdita di acqua e sali, per effetto di
un’eccessiva sudorazione, tale da determinare una vera e propria disidratazione. Le persone più
frequentemente colpite dalle malattie da calore sono quelle non abituate al caldo.
I sintomi compaiono gradualmente, pelle pallida, fredda, molto sudata, vertigini, senso di
mancamento, debolezza. Non c'è febbre.
Il colpo di sole è più raro rispetto al colpo di calore e al collasso da calore e si manifesta in
seguito a un'eccessiva (diretta e prolungata) esposizione ai raggi solari. Il primo segnale del disturbo
è un malessere generale e improvviso a cui seguono mal di testa, sensazione di vertigine, nausea,
scarsa sudorazione. La temperatura corporea si alza, mentre la pelle appare secca e molto arrossata
(per l’arresto di sudorazione), può comparire difficoltà respiratoria, stato confusionale, perdita di
coscienza fino al coma (nei casi più gravi).
La causa determinante non è, come nel colpo di calore, l'alta temperatura, ma l'azione dei
raggi solari e le radiazioni infrarosse e ultraviolette sul capo.
Se l'organismo rimane surriscaldato per troppo tempo, una comune insolazione può
svilupparsi in un ben più grave colpo di calore: i normali meccanismi del corpo che proteggono dal
surriscaldamento, come il sudare o il controllo della temperatura corporea, sono perduti.
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L'inizio è insidioso: debolezza, mal di testa, nausea e vomito, che evolvono in temperatura
elevata, generalmente maggiore di 40°C, con pelle calda e secca. Questi sintomi possono essere
accompagnati da una sensazione di confusione mentale. Altri segnali possono essere l’accelerazione
del battito cardiaco, il respiro rapido e poco profondo, l'aumentata o diminuita pressione sanguigna,
la scomparsa di sudorazione, lo svenimento.
La persona colpita da una patologia da calore, va immediatamente aiutata, portata in un
luogo ombreggiato, fresco e ventilato, e "raffreddata" coprendola con panni umidi o spruzzandola
con acqua fredda. È opportuno provvedere a reidratare la persona colpita in maniera efficace
somministrando liquidi e sali minerali per via endovenosa.
Trattamento extra-ospedaliero.
• trasportare l'infortunato in un luogo fresco e aerato
• togliere gli abiti
• se cosciente: farlo sdraiare sulla schiena, con le gambe sollevate
• se cosciente: far bere bevande fresche e saline
(eventualmente bicchieri d'acqua fresca con mezzo cucchiaino di sale)
• se incosciente: metterlo in posizione laterale di sicurezza
• praticare spugnature fredde sul capo e sul tronco
• massaggiare le gambe dal piede verso la coscia
• applicare borse di ghiaccio o impacchi freddi su capo, collo, inguine
• avvolgerlo con un lenzuolo o un asciugamano imbevuti di acqua fredda
• provvedere al trasporto in ospedale.
Trattamento intra-ospedaliero.
Liquidi: al paziente che presenta crampi o collasso da calore, devono essere somministrati
acqua e soluzioni saline, preferibilmente per via endovenosa, se il soggetto non è cosciente o se si
vuole ottenere una idratazione veloce e controllata.
Raffreddamento: è raccomandato il raffreddamento immediato, con compresse fredde o
borse di ghiaccio sui polsi, sulle caviglie, sulla testa, sul collo, sotto le ascelle e sull’inguine, oppure
si può utilizzare le più moderne apparecchiature meccaniche per raffreddare l’organismo
dall’esterno. Da ricordare che anche i liquidi possono essere raffreddati, ottenendo una risposta
termica più veloce.
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Per i bambini in età scolare, il raffreddamento dev’essere iniziato utilizzando acqua tiepida,
per poi sostituirla con acqua più fredda.
Parametri vitali: il paziente necessita di un monitoraggio continuo dei propri parametri
vitali, specie delle variazioni termiche che la terapia può produrre.
Lo stato di coscienza è sempre il primo campanello d’allarme per le variazioni che
l’organismo subisce, come pure l’attenzione deve porsi sull’attività cardiaca (valutare ritmo,
frequenza ed insorgenza di aritmie).
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2 Congelamento ed ipotermia
L'ipotermia o assideramento è una condizione clinica in cui la temperatura corporea di un
individuo scende significativamente al di sotto del suo valore normale al punto da ostacolare il
metabolismo.
Se l’ambiente è troppo freddo, il calore corporeo viene ceduto più velocemente di quanto ne
venga prodotto. Il corpo tenta di adattarsi alla situazione riducendo il numero delle respirazioni,
l’entità della traspirazione e limitando la circolazione sanguigna superficiale. L’attività muscolare
aumenta provocando brividi, nel tentativo di generare una quantità maggiore di calore. All’interno
del corpo, i cibi utilizzati come carburante, vengono bruciati (metabolizzati) più velocemente per
produrre più calore. A un certo punto, non ci sarà una quantità sufficiente di calore in tutte le zone
del corpo e questo fatto provocherà danni prima ai tessuti esposti, poi una riduzione generale delle
funzioni corporee ed infine la cessazione delle funzioni corporee vitali.
Le urgenze collegate al freddo possono essere la conseguenza di un raffreddamento
localizzato o generale. Le lesioni derivanti da un raffreddamento localizzato interessano regioni
particolari del corpo e vengono indicate con il termine di congelamento. Il raffreddamento generale,
invece, interessa il corpo intero e in questo caso si parla di ipotermia o assideramento.
Il corpo può perdere calore per conduzione, in seguito al trasferimento diretto di calore da
un corpo caldo ad un ambiente circostante freddo, oppure per convenzione ossia per contatto tra aria
atmosferica e superficie corporea. In caso di abiti bagnati, il freddo dell’acqua può costituire un
problema: l’acqua assorbe il calore corporeo 240 volte più velocemente dell’aria in assenza di
vento. Le condizioni peggiorano se c’è vento gelido: più forte è il vento, maggiore è la perdita di
calore corporeo. Il vento accresce gli effetti delle temperature fredde (es. se esternamente ci sono
-12°C e un vento che soffia a 30 Km/h, la quantità di calore ceduta dal corpo equivale a
quella che verrebbe ceduta ad una temperatura di -31°C).
Quando si considerano gli effetti del freddo sul paziente, si deve tener presente la
temperatura, il vento, l’acqua, le zone del corpo esposte, gli indumenti, la durata dell’esposizione, lo
stato di salute del paziente, le possibili lesioni presenti, l’età e l’attività svolta dal soggetto durante
l’esposizione.
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Il CONGELAMENTO è una lesione locale che interessa una o più parti del corpo in seguito
all'azione del freddo sulla pelle e i tessuti sottostanti. Tale evento si manifesta quando la
temperatura del corpo scende a -3,9 gradi Celsius.
Le parti più colpite sono il naso le orecchie, le dita e i piedi, questo perché sono le parti del
corpo più esposte. Quando una zona del corpo è esposta all’aria o a liquidi particolarmente freddi, la
circolazione sanguigna in quella zona si riduce in seguito alla costrizione dei vasi sanguigni. In
questo caso, i tssuti non ricevono abbastanza sangue e quindi calore per impedire il congelamento.
E’ possibile che all’interno della pelle si formino dei cristalli di ghiaccio. Nei casi più gravi, può
subentrare la morte cellulare con successiva cancrena, che spesso causa la perdita della parte
colpita.
Negli ultimi anni tale manifestazione si è molto diffusa, basti pensare ai senzatetto o chi
compie spedizioni nelle montagne.
Possiamo distinguere il congelamento di I, di II, di III e di IV grado:
- Il congelamento di I grado si manifesta con un iniziale intorpidimento e formicolio,
soprattutto nelle estremità delle articolazioni. Si tratta di una reazione di autodifesa da parte
dell'organismo, che limita la circolazione sanguigna determinando una vasocostrizione per evitare
ogni dispersione del calore e limitare i danni; si può risolvere rimanendo in un luogo più caldo.
- Il congelamento di II grado è caratterizzato dalla formazione di bolle o flittene e l'edema
spesso raggiunge gli strati dell'epidermide o il derma.
- Il congelamento di III grado si ha per lunga esposizione al gelo e in questo caso
intervengono le cellule della risposta immunitaria e si instaura un processo infiammatorio e si
giunge a necrosi.
- Il congelamento di IV grado si verifica quando le zone congelate vanno in cancrena:
intervengono i macrofagi a fagocitare le cellule morte e i fibroblasti a sintetizzare nuove
componenti del tessuto come fibre collagene, ecc...; nell'area necrotizzata si possono facilmente
impiantare batteri anaerobi che a loro volta portano il tessuto in putrefazione. Se l'arto non viene
amputato si ha il rischio di setticemia cioè infezione batterica a livello del sangue.
Segni e sintomi del congelamento iniziale.
-
insorgenza lenta; il congelamento impiega tempo prima di diventare
ben evidente.
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-
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Inconsapevolezza del paziente; le vittime di un congelamento non se
ne rendono conto finchè qualcuno non gli fa notare il cambio di colore della pelle.
La zona colpita diventa insensibile;
-
Variazione del colore della pelle; inizialmente rossa, poi si schiarisce
fino a diventare bianca;
-
La zona colpita diventa insensibile.
Segni e sintomi del congelamento superficiale e profondo.
-
La zona colpita sarà chiazzata. Le variazioni di colore andranno dal
bianco, poi al giallo-grigio fino al grigio-blu.
-
I tessuti alla palpazione sembreranno congelati, senza elasticità
sottostante, tipica dello stato superficiale.
-
Anestesia e insensibilità della zona colpita.
-
Trasportare il paziente in una struttura protetta, al caldo, coprendo e
Terapia.
proteggendo la zona colpita;
-
Non consentire l’assunzione di alcolici e di fumo, in quanto
peggiorerebbe ulteriormente il restringimento dei vasi sanguigni;
-
Immergere la zona colpita in acqua calda tra i 37°C e i 40°C, senza
che la parte lesa tocchi i lati e il fondo del recipiente,
-
Sostituire l’acqua quando si raffredda. Il paziente accuserà dolore
mentre la zona colpita si riscalda e in alcuni momenti il dolore potrebbe diventare
intenso. La presenza del dolore è indice di ripristino della circolazione.
-
Completato il riscaldamento, il colore della cute sarà rossa o blu e non
più congelata. La zona va asciugata e protetta con garze e coperta per conservare il
calore. Non esercitare pressione, non far camminare il paziente (se si tratta di una
estremità inferiore), tenere l’arto sollevato e coprire tutto il soggetto.
-
Monitoraggio delle funzioni vitali.
In seguito ad ulteriore esposizione al freddo, subentrano degli effetti generali sull'intero
organismo, tale situazione viene denominata IPOTERMIA SISTEMICA o ASSIDERAMENTO.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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L'ipotermia è stata classificata in vari modi, a seconda dello loro gravità:
Classificazione
Valore in °C
Ipotermia lieve
35 - 32
Ipotermia moderata 32 - 26
Ipotermia grave
26 - 24
Ipotermia letale
<24
Esistono casi riportati in letteratura medica di individui (in genere bambini molto piccoli)
sopravvissuti anche a temperature corporee di 14 °C .
Per motivi sconosciuti, in rari casi è possibile che persone in stato di grave incoscienza
cadute in acqua molto fredda (e dati per morti, affogati o assiderati) vengano rianimate con successo
(vedi, quindi l’ipotermia terapeutica post arresto cardio-circolatorio).
Esistono due forme di ipotermia:
acuta, quando la temperatura corporea scende bruscamente (cadute in acque gelate, con
temperature dell'aria sottozero) è la più pericolosa.
cronica, vede la temperatura scendere gradualmente durante un lungo periodo di tempo.
2.1
Sintomi
- Brividi, solo nello stadio iniziale, quando la temperatura interna è superiore a 32°C.
- sensazione di intorpimento e sonnolenza, per ridotto stato di coscienza.
- Pelle secca, fredda.
- Battito cardiaco rallentato
- Respirazione rallentata
- Facoltà visive e motorie ridotte.
- Perdita di conoscenza, in casi estremi.
- Congelamento di aree del corpo, nei casi più gravi, con reale possibilità di decesso.
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Mai supporre che un individuo in ipotermia sia morto: in questo stato il corpo umano può
resistere molto a lungo.
2.2
Trattamento
Fondamentalmente, la prima cosa da fare è cercare di innalzare la temperatura corporea
della vittima; questo però deve essere fatto senza richiamare il sangue lontano dagli organi interni,
per non peggiorare ulteriormente il metabolismo già in crisi. Una volta riportata la temperatura a
valori normali, nei casi più gravi è necessario tenere il paziente sotto osservazione per alcuni giorni,
perché il metabolismo può cedere improvvisamente.
Trattamento di primo soccorso
Il primo soccorso ad una vittima in ipotermia deve essere prestato con molta cautela.
Cose da NON FARE:
- Strofinare o massaggiare il paziente.
- Darle da bere alcolici.
- Usare borse di acqua calda o fare alla vittima un bagno caldo.
- Trattare geloni o parti in stato di congelamento.
Tutte queste azioni richiamano la circolazione del sangue verso la pelle, privandone gli
organi interni: devono perciò essere evitate.
Cose da FARE:
- Chiamare il servizio di emergenza ospedaliera.
- Portare la vittima in un rifugio riparato.
- Se si può fare rapidamente, togliere eventuali vestiti bagnati e sostituirli con vestiti asciutti.
- Fornirle cibo e bevande zuccherate calde non alcoliche (se cosciente).
- Tenere la vittima sotto osservazione ed essere pronti a praticarle la rianimazione
cardiopolmonare.
- Se la vittima viene estratta da acque con una temperatura media tra i 5 °C - 10 °C non
tentare di sollevarla in posizione eretta, in quanto il cuore è esposto ad uno sforzo eccessivo che può
determinare la morte, per l’insorgenza di aritmie.
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Se l'ipotermia è grave, cioè se la vittima è incosciente o in stato confusionale, il
riscaldamento corporeo DEVE esserle praticato in un ospedale e sotto sorveglianza medica: i
soccorritori dovrebbero limitarsi a portare la vittima in un ambiente più caldo, cambiare i vestiti con
altri asciutti e portarla in ospedale il più rapidamente possibile.
Durante l'ipotermia, il cuore diventa molto "suscettibile": un riscaldamento corporeo troppo
rapido può provocare improvvise aritmie cardiache. I soccorritori dovrebbero trattare una vittima in
grave ipotermia molto dolcemente, senza scossoni, colpi o rumori forti, per non stimolare il cuore e
provocare crisi cardiache.
Terapia ospedaliera
La terapia ospedaliera consiste essenzialmente nella somministrazione di fluidi caldi
(fleboclisi di soluzione fisiologica riscaldata) e nei casi più gravi in lavaggi peritoneali con liquido
riscaldato. Nel caso compaiano delle aritmie, il personale medico è pronto a intervenire per
regolarizzare il battito.
L’aritmia più pericolosa che può scatenarsi, in seguito ad un riscaldamento veloce, è la
fibrillazione ventricolare.
Nei casi di ipotermia in fase avanzata, il paziente sarà privo di conoscenza, e potrebbe essere
difficoltoso individuare i segni vitali ( si può impiegare anche un minuto per cercare il polso
caratideo). Alla palpazione il paziente apparirà molto freddo ( la temperatura interna del corpo può
essere inferiore ai 26.5°C), ma è ancora possibile che il paziente sia ancora in vita. Cominciare
subito una RCP; il paziente potrebbe impiegare 30 min. prima di raggiungere la morte biologica.
Non si può dichiarare la morte biologica senza prima aver riscaldato il paziente e tentato una RCP.
Quadro clinico.
-
emodinamica: in corso di ipotermia, la frequenza cardiaca può
inizialmente accelerare, ma poi, quando si scende al disotto dei 34°C, essa tende a
rallentare. La comparsa di turbe del ritmo è frequente, soprattutto al di sotto dei
30°C. La FV, che si evidenzia a circa 28°C, sovente non preceduta da altre aritmie,
è resistente alla defibrillazione, se il quadro ipotermico persiste. Ad una iniziale
vasocostrizione, con conseguente aumento della PA, segue una fase di
vasocostrizione, che si accompagna a riduzione presso ria e della portata cardiaca.
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-
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Funzione respiratoria: l’ipotermia deprime la respirazione a seguito di
una riduzione della FR e della ventilazione/minuto, inoltre vi è una abolizione del
riflesso della tosse, della broncorrea, con alterazione dell’epitelio bronco-ciliare.
-
SNC: le prime manifestazioni di alterazione neurologica, compaiono a
circa 35°C, con agitazione e disorientamento. A 30°C giunge il coma e la midriasi
pupillare compare a 28°C.
-
Il consumo di ossigeno si riduce progressivamente, come la
produzione di CO2. Aumenta la produzione di ac. lattico e un decremento dei
bicarbonato.
Protocollo terapeutico per ipotermia severa.
-
Eseguire manovre di RCP, se necessarie;
-
Monitorizzare il paziente (ECG, FC, FR, SaO2);
-
Posizionare sonda termica per rilevazione TC interna, quindi vescicale
o gastrica;
-
Eseguire esami emato-chimici, tra cui EGA;
-
Se necessario provvedere alle device; incannulare una vena centrale,
posizionare un catetere vescicole, SNG, incannulare arteria.
-
Provvedere al riscaldamento utilizzando sistemi esterni (materassini
riscaldanti) ed utilizzando infusioni riscaldate a 37-40°C;
-
Aumentare la FiO2 e correggere i bicarbonato;
-
Controllare i parametri vitali, specie durante il riscaldamento, per
poter intervenire tempestivamente in caso di insorgenza di aritmie mortali;
-
Proseguire la diagnostica, quando vi è la stabilizzazione del paziente,
in caso di sospetto di trauma associato.
Altre lesioni dovute al freddo
Geloni: sono lesioni che insorgono in seguito ad esposizioni ripetute e prolungate della pelle
non adeguatamente protetta a temperature di 15°C o inferiori. Le lesioni hanno l’aspetto di zone
arrossate e rigonfie e il paziente lamenta calore, sensibilità pronunciata e prurito.
I geloni sono cronici è quindi una condizione che persiste.
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Non esiste una cura d’urgenza che proteggere la zona lesa e tentare di impedirne la
ricomparsa.
Piede da trincea: chiamato anche piede da immersione, è una condizione patologica che si
sviluppa quando le estremità inferiori rimangono nell’acqua fredda per un periodo prolungato. La
parte dell’arto colpita si gonfia assumendo un colore pallido a macchie, è fredda e insensibile.
Il trattamento è come quello per le zone congelate.
Prevenzione
Gran parte del calore corporeo si disperde attraverso la testa; quindi l'ipotermia si può
prevenire con efficacia con un cappello. I vestiti di cotone o di altri materiali igroscopici sono un
rischio per l'ipotermia, perché se la persona che li indossa suda, l'umidità che evapora attraverso i
vestiti può portare via molto calore. È molto meglio usare vestiti in tessuti sintetici o comunque in
grado di allontanare l'umidità dalla pelle.
Induzione dell'ipotermia terapeutica.
Si può indurre artificialmente una condizione di ipotermia; quella più conosciuta e in via di
diffusione è senz’altro quella praticata ai pazienti rianimati in cui vi è una ripresa del circolo
(ROSC). Consiste in un approccio che inizia già in ambiente extra-ospedaliero e che si protrae fino
alla degenza del paziente; l’ipotermia indotta ha come obiettivo la neuroprotezione e il controllo
della pericolosa fase di riperfusione tessutale, post-ACR, e si attua nelle prime 24/h con un
abbassamento e mantenimento, della TC interna del soggetto, fino a 32-34°C .
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3 Patologie da altitudine e da immersione
La pressione atmosferica diminuisce all'aumentare dell'altitudine, mentre la percentuale di
O2 nell'atmosfera rimane costante, ne consegue che la pressione parziale di O2 diminuisce a quote
elevate e a 5500 m è circa la metà di quella che troviamo a livello del mare. Il 20% circa delle
persone che si spingono oltre i 2500 m, in meno di 1 giorno, sviluppa alcuni sintomi e segni della
malattia da alte quote. Il rapido raggiungimento di quote elevate (es., depressurizzazione negli aerei,
ascesa in mongolfiera) è causa di una grave ipossia acuta e di perdita di coscienza, piuttosto che di
una manifestazione sintomatologica della malattia da alte quote.
La maggior parte delle persone si abitua a quote fino ai 3000 m in pochi giorni. Maggiore è
l'altitudine raggiunta, tanto più tempo è necessario per ottenere un'acclimatazione completa. Al di
sopra dei 5100 m, il deterioramento è più rapido, infatti nessuno è in grado di vivere per lungo
tempo a quella altitudine. L'acclimatamento consiste in una serie complessa di risposte che
gradualmente ristabiliscono l'ossigenazione tissutale a valori normali in coloro che sono esposti a
elevate altitudini. I segni dell'acclimatamento comprendono iperventilazione di grado elevato con
alcalosi persistente parzialmente compensata, aumento iniziale della gittata cardiaca, aumento della
massa degli eritrociti e della tolleranza allo sforzo anaerobico.
3.1
Patologia e fisiopatologia
L'ipossia stimola i centri del respiro, incrementando l'ossigenazione tissutale, ma
determinando anche alcalosi respiratoria, la quale contribuisce allo sviluppo di sintomi, che
permangono finché non viene parzialmente compensata da una perdita di HCO3 nelle urine. La
fisiopatologia della malattia da alte quote è rappresentata dall'alterazione del bilancio idrico ed
elettrolitico. La permeabilità dei capillari aumenta, favorendo l'accumulo di liquidi in diverse sedi;
la causa è probabilmente imputabile a lesioni endoteliali. L'ipossia aumenta le resistenze vascolari
polmonari e la pressione nell'arteria polmonare, mentre le resistenze periferiche e la pressione
arteriosa subiscono solo scarse modifiche. Il flusso ematico cerebrale è diminuito dall'ipocapnia,
mentre è aumentato dall'ipossia, di conseguenza si modifica al variare dell'equilibrio tra la CO2 e
l'O2 arteriose.
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3.2
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Sintomi, segni e diagnosi
-
Edema periferico o del volto: può essere dovuto all'elevata altitudine o, come si
verifica al livello del mare, a uno sforzo notevole.
-
La tromboflebite può presentarsi ad altissime quote, specialmente in soggetti
disidratati e inattivi.
-
Altri sintomi quali: annebbiamento della vista, emianopsia, scotomi e perfino cecità
transitoria. Questa sintomatologia molto allarmante tende a scomparire rapidamente dopo la
discesa, tranne il caso in cui sia dovuta a patologie intracraniche, che sono comunque rare.
-
Le emorragie retiniche possono verificarsi a quote inferiori ai 2700 m (9000 piedi),
sono invece frequenti al di sopra dei 5000 m (16000 piedi), solitamente sono asintomatiche.
-
Si possono verificare piccole emorragie sotto il letto ungueale, a livello renale e
cerebrale.
Mal di montagna acuto (MMA): é la forma più comune e può comparire ad altitudini di
appena 2000 m (6500 piedi), è caratterizzata da cefalea, spossatezza, nausea, dispnea e disturbi del
sonno, l'esercizio fisico aggrava i sintomi. Il MMA regredisce di solito in 24-48 h, ma
occasionalmente, come nella malattia da alte quote, evolve verso un edema polmonare e/o
cerebrale.
Edema polmonare da alte quote (EPAQ): é una forma meno comune ma più grave, si
manifesta abitualmente entro 24-96 h dopo una rapida ascesa al di sopra dei 2500 m (8000 piedi); i
liquidi tendono ad accumularsi negli spazi interstiziali polmonari e vengono drenati dal sistema
linfatico, quando questi liquidi si accumulano troppo rapidamente rispetto all'attività drenante, si
sviluppa un edema alveolare franco. L'EPAQ è caratterizzato da dispnea ingravescente, tosse
irritativa, che produce escreato schiumoso e spesso striato di sangue, debolezza, atassia e infine
coma. Sono inoltre frequenti cianosi, tachicardia e febbre di lieve entità, accompagnate da rantoli
polmonari a piccole o a grandi bolle (spesso udibili anche senza lo stetoscopio), che possono
indurre erroneamente a porre diagnosi di polmonite. La pressione atriale si presenta normale, ma
quella dell'arteria polmonare è superiore anche a quella riscontrabile nei soggetti sani durante un
evento ipossico. L'EPAQ può peggiorare rapidamente e possono sopravvenire nell'arco di poche ore
coma e morte.
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Edema cerebrale da alte quote (ECAQ): si ritiene che l'edema cerebrale sia presente, in
grado moderato, in tutte le forme della malattia da alte quote. L'edema grave si manifesta con
atassia, cefalea, confusione mentale e allucinazioni. L’atassia deambulatoria è un segno predittivo
affidabile e precoce. Il coma e la morte possono sopravvenire entro poche ore dall'esordio dei
sintomi. L'ECAQ andrà distinto dal coma dovuto ad altre cause (p. es., infezioni, accidenti
cerebrovascolari, chetoacidosi) sulla base dell'anamnesi, dell'assenza di febbre significativa o di
paralisi e del riscontro di parametri ematici e liquorali nella norma.
Mal di montagna cronico (malattia di Monge): é una affezione rara che colpisce gli individui
che risiedono ad alta quota da lungo tempo; è caratterizzata da affaticamento, dispnea, dolori
diffusi, eccessiva policitemia e tromboembolie. Il paziente deve necessariamente tornare al livello
del mare, la guarigione è lenta e può recidivare se il paziente si reca di nuovo in alta quota.
Profilassi
Il modo migliore per prevenire la malattia da alte quote consiste in una lenta ascesa. Nelle
24-36 h che seguono il completamento dell'ascesa vanno evitati sforzi fisici estremi, mentre il
riposo a letto presenta benefici minori dell'esercizio leggero.È importante bere molta più acqua del
solito, perché quando si respira aria asciutta ad alte quote con ritmo accelerato, si verifica un
aumento notevole della perdita d'acqua con conseguente disidratazione che, associata a un certo
grado di ipovolemia, aggrava i sintomi, inoltre si deve evitare un'ulteriore assunzione di sale.
Terapia
Le emorragie retiniche non richiedono terapia, perché di solito si risolvono durante la
permanenza degli scalatori ad alta quota.
Il MMA di solito richiede soltanto liquidi, analgesici, dieta leggera, attività fisica moderata e
(raramente) il ritorno a quote più basse.
Se si sospetta la presenza di EPAQ, si può iniziare una terapia con O2 e riposo a letto, ma se
le condizioni peggiorano, si dovrà riportare senza indugio il paziente a quote più basse.
Eventualmente, il soggetto può essere adagiato in un'ampia camera iperbarica in cui la pressione
può essere incrementata, simulando la discesa, se questa non può avvenire, tale misura permette di
guadagnare tempo in caso di emergenza, ma non può sostituire la discesa. La somministrazione di
20 mg di nifedipina sublinguale, seguiti da una compressa da 30 mg a lento rilascio, determina un
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abbassamento dell'ipertensione a livello dell'arteria polmonare, comportando un beneficio. È
controindicato l'uso di diuretici potenti (p. es., la furosemide). Sebbene la morfina risulti efficace, la
depressione respiratoria conseguente vanifica ampiamente l'utilità del farmaco. Una volta che il
paziente viene ricoverato, vengono escluse altre cause di malattia polmonare, la terapia quindi
prevede: ossigenazione adeguata (talvolta con l'intubazione e ventilazione con PEEP), riposo a
letto, controllo della diuresi, drenaggio posturale e antibiotici, se si sospetta una superinfezione. I
pazienti, se prontamente trattati, di solito guariscono dall'EPAQ entro 24-48 h.
In caso di EPAQ grave, è necessario ridiscendere rapidamente. La somministrazione di
ossigeno supplementare o la pressurizzazione in camere iperbariche permettono di guadagnare
tempo, ma non sono risolutive.
3.3
Patologie da immersione.
La malattia da decompressione (acronimo MDD) è una patologia da decompressione
derivante dalla formazione di bolle all'interno del circolo ematico o dei tessuti e provocata dalla
mancata eliminazione di gas inerti (azoto). La malattia può verificarsi in seguito ad un'immersione
subacquea, oppure all'esposizione a pressioni elevate.
I sintomi.
Sono variabili a seconda del tipo di tessuto colpito; talvolta sono talmente lievi da rendere
l'individuazione della MDD difficoltosa ad un'analisi superficiale;
- neurologico: derivanti dalla presenza di bolle nel cervello o nel midollo spinale.
cervello: i sintomi sono diversi a seconda dell'area del cervello coinvolta; si va da disturbi
della visione, difficoltà motorie, difficoltà nella parola, paralisi di metà del corpo fino alla morte nel
caso in cui le bolle coinvolgano il tronco encefalico. I danni possono essere permanenti.
midollo spinale: anche in questo caso i sintomi sono diversi a seconda del tratto di midollo
coinvolto; si possono avere formicolio o insensibilità nelle gambe, paraplegia, tetraplegia o altri
sintomi intermedi. Anche in questo caso i danni possono essere permanenti.
- polmonari: la produzione cospicua di bolle intravascolari può provocare una congestione
dei capillari polmonari e quindi la riduzione dello scambio gassoso. I sintomi sono dolore al torace
che si intensifica inspirando, difficoltà respiratorie e/o aumento della frequenza respiratoria e tosse
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stizzosa. Può aversi drastico peggioramento delle condizioni fino al collasso respiratorio, perdita di
conoscenza e morte.
- orecchio interno: violente vertigini, nausea e vomito, perdita di equilibrio, difficoltà
uditive, acufeni. La comparsa dei sintomi è spesso tardiva (24/36 ore dall'immersione).
La patologia più preoccupante è senza dubbio l’ embolia polmonare gassosa (acronimo
EGA), che rappresenta la più grave patologia da decompressione a cui può andare incontro, ad es.,
un subacqueo, e si manifesta con la presenza di bolle di gas all'interno della circolazione sanguigna.
Cause.
La principale causa dell'EGA è una estrema sovradistensione polmonare che arriva al punto
di causare lacerazioni nel tessuto polmonare, facendo quindi penetrare nella circolazione arteriosa
emboli gassosi e si manifesta in seguito ad una risalita troppo veloce rispetto alla velocità di
sicurezza (9/10 metri al minuto) oppure l'interruzione dell'attività respiratoria sempre durante la
risalita, in particolare durante gli ultimi metri prima dalla superficie, e la conseguente dilatazione
dell'aria contenuta nei polmoni col diminuire della pressione.
Sintomi e segni.
L'EGA si manifesta solitamente in forma traumatica, generalmente appena raggiunta la
superficie o anche pochi attimi prima di aver terminato la risalita.
I sintomi consistono in vertigini, disorientamento, difficoltà respiratorie, disturbi cardiaci,
pallore, cianosi, visione offuscata. È possibile che l'infortunato avverta un forte dolore al petto
durante la risalita, sintomo della rottura del tessuto polmonare.
Da notare che solitamente la risalita è effettuata con la testa verso l'alto, quindi le bolle di
sangue tenderanno verso i tessuti nella parte alta del corpo: quindi perdita di coscienza o la
comparsa di altri sintomi neurologici all'uscita dall'acqua o nei minuti immediatamente successivi
devono sempre far sospettare una possibile EGA e quindi richiedono un intervento immediato.
I segni di questa patologia consistono in sanguinamento dalla bocca o dal naso, debolezza,
paralisi, perdita di coscienza, convulsioni, arresto respiratorio e, nei casi più gravi, morte.
Terapia.
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In caso di diagnosi dei sintomi dell'EGA, il trattamento in camera iperbarica deve essere il
più rapido possibile per limitare i danni. Da tener presente sempre i principi base del pronto
soccorso in caso di incidente in acqua nel soccorrere l'infortunato. Il trattamento con ossigeno può
essere utile durante il trasporto per cercare di ridurre i possibili danni.
Per quanto riguarda la cura, il metodo più opportuno è l'uso della camera iperbarica.
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Bibliografia
A.Gentili, M.Nastasi, L.A.Rigon, C.Silvestri, P.Tanganelli, IL PAZIENTE CRITICO,
Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1997.
H.D.Grant, R.H.Murray Jr, J.D.Bergeron, INTERVENTI D’EMERGENZA, Medical
Advisors, Milano, 1992.
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