PSICOLOGIA autostima e immagine di sé di Claudia Lini, Psicologa e psicoterapeuta Didatta della Scuola Sistemico-Dialogica di Bergamo “Nessuno può farci sentire inferiori senza il nostro consenso” Eleanor Roosevelt W William James (18421910)fu tra i primi psicologi ad occuparsi di autostima, la definisce come il risultato del rapporto tra il sé percepito e il sé ideale, tra successo e aspettative. E’ un concetto relazionale, che prevede il raffronto 44 con l’altro per definire noi stessi. Il processo che porta una persona a sviluppare stima nei propri confronti inizia nell’infanzia e dura tutta la vita. Il bambino riceve le prime convalide positive nella famiglia d’origine, dove i genitori cercano di rendere più forti i figli rispetto alle prove che dovranno affrontare “fuori”(gruppo dei pari, squadra sportiva, scuola, ecc.). Questo rinforzo deve però essere filtrato da un attento esame della realtà e da senso critico: bambini eccessivamente confermati in casa correrebbero il rischio di sentirsi frustrati dal confronto con il mondo esterno. Viceversa quei bambini che non ricevono riconoscimenti in famiglia rischiano di diventare insicuri nelle relazioni in generale. Diventa quindi essenziale trovare una giusta distanza, un compromesso tra le istanze convalidanti e le aspettative esterne alle famiglia. L’autostima degli adulti dipende dagli incontri più o meno appaganti e dalle scelte che fanno in questa direzione. Nella pratica clinica noi terapeuti ci sorprendiamo di quanto i pazienti scelgano di frequentare persone e ambienti svalorizzanti. Ricordo il caso di una giovane donna, colta, riservata, che non riusciva ad accettare il proprio grave sovrappeso, e che si era messa in testa di trovare un fidanzato attraverso un corso di ballo. Parte della terapia si è giocata sull’elaborazione di questa scelta così demoralizzante, e ovviamente su cosa la aveva spinta a misurare se stessa in un contesto così lontano da le sue inclinazioni. Inoltre non tutti i giudizi ci toccano allo stesso modo: dipende dal tipo di rapporto e dall’idea che abbiamo della persona che ci sta valutando. Penso sia importante fare una analisi delle proprie premesse di base. Probabilmente il giudizio degli altri dà voce a parti di noi stessi inconsapevoli: se per esempio abbiamo interiorizzato nel profondo interpellanze giudicanti provenienti dalla famiglia di origine e alimentate dall’ambiente sociale e culturale di riferimento, ogni sollecitazione coerente con queste “voci” andrà a pesare moltissimo sull’idea che abbiamo di noi stessi. Di conseguenza, soprattutto quando si hanno delle ferite, diventa fondamentale riconoscere le “relazioni che curano”, cioè quelle persone che ci rimandano una immagine positiva. Credo che per raggiungere un livello di autostima accettabile sia necessario situarsi, cioè vedere quelli che sono i propri bisogni, i propri desideri e i condizionamenti interiorizzati che ci impediscono di andare incontro a relazioni e contesti gratificanti. Fermarci a leggere le nostre emozioni ci aiuterebbe a renderci maggiormente consapevoli delle situazioni in cui stiamo bene e a selezionare ciò che ha funzionato da ciò che invece è meglio abbandonare. Usare le emozioni come strumento di analisi richiede calma e disciplina del pensiero ma alla lunga può legittimarci a diventare ciò che siamo, armoniosi nelle parti che ci compongono e nei ruoli che ci spettano e con una soddisfacente idea di noi stessi. www.scuoladialogica.it 45