ARISTOFANE
La realtà cittadina e l’orizzonte fantastico
Quella di Aristofane non è soltanto una forma di teatro, ma qualcosa di più, è l'espressione di un
immaginario collettivo che affonda le sue radici nei rituali delle feste agricole, l'orizzonte fantastico
di una civiltà contadina legata al suo ancestrale sistema di cultura. Accanto a questo versante
arcaico e rurale, la commedia di Aristofane si apre anche su uno scenario molto più attuale: quello
della polis ateniese nell'epoca del suo pieno sviluppo culturale (il tardo secolo V). È esemplare, a
questo proposito, il confronto fra i protagonisti di una delle commedie più geniali di Aristofane, le
Nuvole: da un lato un contadino tradizionalista, prodotto di un mondo tenacemente abbarbicato alle
idee conservatrici, dall'altro lato Socrate, il campione del pensiero laico e perfetto esponente dei
tempi nuovi. Essi parlano due lingue diverse, hanno due modi di pensare immensamente distanti e
rappresentano una polarità fondamentale nel teatro aristofaneo: il confronto fra campagna che, pur
non essendo un altrove spaziale, rappresenta di fatto un altrove temporale, ancorata com'è alle
antiche leggi e agli antichi modi di pensare, e la città, fucina di nuove idee e proiettata al futuro. I
due lati della medaglia contribuiscono entrambi, in forme diverse, a dare vita all’intreccio variegato
dei drammi di Aristofane, i quali sono uno specchio, seppur comicamente deformato, della società
ateniese: un riflesso, a diversi livelli, del'antropologia, della vita civile, politica e culturale. È questa
caratteristica di fondo, appunto, a conferire alla commedia di Aristofane la sua forma
drammaturgica del tutto particolare, molto diversa dalle commedie posteriori; in Aristofane non
dovremo quindi cercare ciò che si cerca in Menandro e Terenzio, o qualsiasi altro autore comico.
Quella di Aristofane infatti è un tipo di commedia che risponde a logiche del tutto particolari: quello
che nella commedia successiva diventa centrale - in primo luogo, 1'abilità dell'intreccio, il colpo di
scena, la definizione dei caratteri - in Aristofane appare marginale o persino carente, e sono altri
elementi a formare il motore della sua drammaturgia.
In linea di massima, la commedia di Aristofane risponde a uno schema di fondo che in vari modi si
ripropone in quasi tutte le opere: l'eroe comico, scaltro, spregiudicato e moralmente ambiguo, si
ribella allo stato di degradazione in cui è caduta la vita cittadina ed escogita un'idea fantastica e
paradossale per rinnovare la polis oppure per evaderne alla ricerca di un luogo migliore. A questo
punto si verifica il passaggio dalla realtà quotidiana, che sta all'origine dell'azione drammatica, al
mondo surreale e utopico in cui i personaggi si immergono. È come me se essi penetrassero
«dall'altra parte dello specchio», e questo passaggio è quasi sempre scandito dall'atto di attraversare
una porta che si spalanca su un mondo diverso, precluso all' esperienza quotidiana: basti pensare
alla porta d l'Ade nelle Rane, a quella dell'Olimpo nella Pace, a quella di case dove si annidano
personaggi strani e inquietanti (la casa di Socrate nelle Nuvole o di Euripide negli Acarnesi). Si
tratta in sostanza della traduzione drammaturgica di «rito di passaggio» che consente l'ingresso in
una nuova, e superiore, condizione esistenziale. D'un tratto, infatti, tutto diventa accessibile, le leggi
della realtà vengono sospese, l'eroe assurge a uno stato di invulnerabilità e di onnipotenza, come
può accadere solo in un sogno o in una fantasia infantile.
È quasi un paradosso - ma solo apparente - che la commedia di Aristofane, legata a una dimensione
realistica (non al mito, come la tragedia) e ancorata alla vita quotidiana della polis, consenta
infrazioni così clamorose dell'esperienza dei sensi. Accade così che il protagonista si liberi
completamente da ogni vincolo con la realtà che lo circonda: può volare in cielo a cavalcioni di un
gigantesco scarabeo alato (nella Pace, vedi pp. 452 sgg.) o discendere nell'Ade (nelle Rane, vedi pp.
472 sgg.); decide di stipulare una pace privata coi nemici (negli Acarnesi, vedi pp. 406 sgg.), fonda
una città tra cielo e terra (negli Uccelli, vedi pp. 460 sgg.) o costruisce un «mondo alla rovescia»
dove le donne comandano e gli uomini accettano la loro supremazia (in Lisistrata e Donne in
assemblea). In gioco però non è mai soltanto il destino privato dell'eroe, ma si tratta di un processo
di rinnovamento collettivo che coinvolge tutta la società e di cui il protagonista è soltanto il
fondatore. È appunto questa «idea comica» fondamentale, presentata all'inizio del dramma, a
determinare l'atmosfera, caratteristica e irripetibile, della commedia arcaica, che oscilla tra il
realismo della raffigurazione quotidiana di fatti e personaggi, con scherzi e beffe diretti a uomini
noti a tutti, e la dimensione fantastica che si spalanca, come in una fiaba o in un sogno, davanti al
pubblico.
Il conseguimento dell'utopia è in realtà solo la prima fase della vicenda: per portare a compimento il
suo proposito, infatti, l'eroe deve debellare uno o più antagonisti che cercano di rendere vano il suo
progetto, in un conflitto che echeggia, in forme paradossali, lo scontro tragico. Questi oppositori
sono fortemente, a volte grottescamente connotati: in apparenza spaventosi e temibili ma in realtà
simili a spauracchi o pagliacci, essi appartengono alla categoria degli alazones ("cialtroni") o dei
poneroi ( ("furfanti") che via via sfilano sulla scena e cercano di inquinare con la loro presenza la
felicità e la purezza della nuova realtà creata dall' eroe. Infine vengono cacciati via, secondo un
modello simbolico radicato nella mentalità tradizionale: la cacciata del furfante, che nella
commedia viene allontanato dalla scena in malo modo, corrisponde infatti nell'immaginario
collettivo alla cacciata rituale del pharmacòs (il capro espiatorio) che porta via con sé tutto il male
e la contaminazione. Così la commedia si conclude con la vittoria dell'eroe e spesso con il trionfo
della sessualità e del cibo, grazie alle nozze (gamos) del protagonista e alla baldoria che suggella il
suo successo (comos), riconducendo al clima di ritrovata armonia e di rinnovamento delle energie
tipico della festa agricola.
La commedia di Aristofane quindi sovverte sul piano fantastico la città reale per delineare un
mondo immaginario, in cui sono temporaneamente sospese le leggi che impongono all'uomo la
penosa necessità di confrontarsi con il mondo in cui vive. Sono questi appunto i due poli entro cui si
svolge la trama del teatro di Aristofane: da un lato la città di Atene, pullulante di personaggi, figure
della politica o della cultura che appaiono del tutto riconoscibili sulla scena con la loro identità
specifica e vengono direttamente messi alla berlina davanti all'uditorio (politici come Cleone, poeti
come Euripide, intellettuali come Socrate); dal'altro lato, infrazioni tanto vistose rispetto alla realtà
da delineare un mondo alla rovescia che prende forma davanti agli occhi del pubblico.
La tecnica drammaturgica di Aristofane
Aristofane è un uomo di teatro di straordinaria genialità per la sua capacità di tradurre sulla scena le
idee comiche in forme sempre nuove, mai banali o risapute. Il ritmo dell' azione è serrato, con una
serie di trovate che si accavallano, sempre in modo originale e sorprendente. È difficile riscontrare
momenti di cedimento o rallentamenti in un'azione che procede incalzante sino alla fine.
Contrariamente a quanto accadrà nella commedia successiva, attenta alla qualità dell'intreccio e alla
caratterizzazione dei personaggi, Aristofane poco si cura della verosimiglianza delle situazioni e
degli eroi, attento com'è a determinare sviluppi inattesi e paradossali della vicenda: i personaggi
dunque non sono caratteri, ma piuttosto tipi, spesso accentuati caricaturalmente, e poco o nulla il
poeta si preoccupa di approfondirne lo spessore psicologico. Essi appaiono spesso distorti nel
carattere e nel linguaggio, e del resto il loro carattere può cambiare improvvisamente nel corso
dell'azione, non per una reale evoluzione psicologica ma per adeguarsi alla mutata situazione
drammatica. Il Salsicciaio dei Cavalieri per esempio è inizialmente un furfante matricolato, ma si
trasforma d'un tratto in una persona perbene, come pure l'arcigno giudice delle Vespe, che
ricompare in scena alla fine dell'opera nei panni di un festaiolo gaudente. Ciò non vuol dire che
Aristofane produca testi primitivi o imperfetti; è piuttosto la prorompente tensione verso la libertà e
la fantasia del linguaggio a determinare una trama dove le nozioni di verosimiglianza e di unità di
azione sono deliberatamente accantonate.
Nel teatro di Aristofane si può peraltro decifrare uno sviluppo: le prime commedie sono costruite su
una trama bipartita in cui nella prima sezione l'eroe consegue il suo risultato, mentre nella seconda
l'azione si sfilaccia in una serie di scene episodiche, che esemplificano con accentuato tono comico
la nuova realtà. Ma già con le Nuvole inizia a prevalere una tendenza a un intreccio più organico,
che accompagna sino alla fine l'azione del dramma. Nell'ultima fase della sua produzione, (con le
due ultime commedie, Donne in assemblea e Pluto) si vanno invece perdendo alcuni aspetti tipici
del teatro comico del secolo V a.C., in primo luogo la parabasi (vedi p. 403) e la funzione
spettacolare del coro.
L'elemento comico in Aristofane scaturisce da diversi piani. Il primo e più importante, al di là della
creazione strabiliante della trama, è quello verbale. Aristofane infatti usa una lingua fantasmagorica,
unica in tutta la letteratura greca per l'ampiezza e la brillantezza del lessico: vi sono alcune parole
popolaresche, altre tratte dalla tradizione giambico-realistica, altre dal linguaggio tecnico musicale,
dalla medicina e dalla scienza, giochi di parole di ogni genere, doppi sensi, espressioni parodiate
dalla tragedia («paratragiche»), invenzioni verbali continue. Spesso compaiono in scena personaggi
che parlano in altri dialetti (dorico, beotico) e persino stranieri che balbettano un greco deforme o
esibiscono parole in un inverosimile linguaggio persiano e scita (in realtà puri suoni che imitano la
cadenza di quelle lingue): si tratta del primo esempio del cosiddetto grammelot nella tradizione
comica occidentale, usato poi sino alla commedia dell'arte.
Aristofane è anche un fervido creatore di metafore e di parole di nuovo conio, spesso in composti:
l'esempio più clamoroso è un composto che si estende per la bellezza di sette versi nelle Donne in
Assemblea (vv.1169-1175), una vera e propria parola-mostro, evidentemente un pezzo di bravura
per l'attore che la recitava tutta d'un fiato:
«ostrichebaccalàrazzetestedipescecanefrattagliepiccantidisilfioformaggiomielesparsosutordimerlicolombipiccionigallettiarrostocefalicutrettoleleprimostardasgranocchiamentodiali». Ciò che
incrementa l'effetto comico è soprattutto l'inatteso: mai l'inventiva si ferma, mai i personaggi
rinunciano a sorprendere l'uditorio con battute, equivoci, doppi sensi. Nella parabasi delle Nuvole
l'autore fa un'apologia del proprio teatro paragonando la bellezza dei suoi versi alle farse dei rivali,
fatte per strappare il riso con elementari mezzi comici, da avanspettacolo: «la mia commedia - dice
al pubblico (vv. 540 sgg.) - non prende in giro i pelati, non pratica danze sguaiate, non c'è qualche
vecchietto che mentre recita bastona qualcuno sulla scena, per nascondere la volgarità degli scherzi,
non c'è nessuno che balza fuori con torce in mano e grida "iù iù", ma si presenta fiduciosa in se
stessa e nei suoi versi; e io, pur essendo un poeta così, non cerco d'imbrogliarvi mettendo in scena
due o tre volte la stessa storia, ma invento soggetti sempre nuovi, mai uguali l'uno all'altro, e tutti
intelligenti». Questa dichiarazione solenne e orgogliosa non corrisponde totalmente alla verità:
anche in Aristofane ci sono momenti di comicità tradizionale: personaggi bastonati, gente che
danza, insomma elementi di fondo comuni nel teatro comico, che giungeranno poi, per rivoli
diversi, sino alla commedia dell'arte rinascimentale. Tuttavia questi tratti più popolari vengono
inseriti in un progetto drammatico di grande dignità letteraria. Esso tocca anche momenti di elevato
tono lirico, nei grandi corali - specialmente delle prime opere - che sono squarci di poesia «alta»,
dove il tono della lingua cambia nuovamente e si modella sugli schemi dei cori tragici o lirici.
L'inesauribile inventiva verbale si innesta su un gioco di personaggi anch'essi tendenzialmente
deformati, il cui aspetto esteriore è ulteriormente «caricato» dall'utilizzo di maschere e costumi
grotteschi: cori con travestimenti animaleschi, o eroi con maschere di visi stravolti, grandi
imbottiture a rappresentare la pancia, il fallo (antico feticcio della fertilità) appeso alla cintola. La
commedia di Aristofane anche in questo non vuole riprodurre la realtà, ma riplasmarla in modo
fantastico.
Il «trickster»
Con la parola trickster, "imbroglione", si suole designare una figura assai diffusa nelle mitologie dei
popoli più diversi. Il trickster è un personaggio sprovvisto di qualità morali, ma non per questo
negativo; anzi, proprio grazie ai suoi imbrogli e alla sua amoralità, si compiono fatti di
fondamentale importanza cosmologica o sociale (per esempio la creazione degli uomini, la scoperta
del fuoco, l'invenzione di una tecnica ecc.) che consentono all'umanità un decisivo progresso e
contribuiscono a rendere stabile l'ordine dell'universo. Un briccone, dunque, ma un «briccone
divino» caratterizzato da alcuni tratti sempre ricorrenti, in primo luogo l'astuzia e l'amoralità. La sua
amoralità scaturisce dal fatto che egli non appartiene né al mondo degli uomini né a quello degli dèi
o degli spiriti, ma opera ai margini dell'uno e dell'altro; egli risulta pertanto estraneo alle norme che
regolano ciascuno di questi due mondi. Grazie al suo essere duplice il trickster è dunque una figura
benefica per gli uomini, è capace di mettere in contatto tra loro ambiti altrimenti destinati a
rimanere eternamente divisi (il cielo, la terra; il mondo dei morti e quello dei vivi ecc.).
Per la sua capacità di collegare i diversi mondi, il trickster del mito è, tipicamente, un fondatore, nel
senso che il suo agire determina l'importazione in una società di un'istituzione prima inesistente.
Una tipica azione da trickster è il furto del fuoco, che nel mito greco è attribuito a Prometeo e in
altre tradizioni mitiche a personaggi che come lui lo sottraggono al luogo dove è stato nascosto
dalle divinità. Una variante del furto del fuoco a opera di un trickster è (tra le tante possibili) quella
trasmessa nei miti degli indigeni delle isole Torres, al largo della costa australiana. Essi raccontano
che il fuoco era originariamente in possesso di una vecchia che lo teneva nascosto in un sesto dito
che aveva tra il pollice e l'indice. Quando voleva accendersi un fuoco, doveva semplicemente
mettere questo dito sotto l'esca, e l'esca subito si infiammava. Gli animali di un' altra isola vedevano
il fumo del suo fuoco e ne erano invidiosi, perché non lo possedevano. Uno per volta, cercarono di
attraversare a nuoto il braccio di mare e di rubarlo, in un modo o nell'altro; ma nessuno vi riuscì,
finché la lucertola astutamente portò via con un morso il dito della vecchia e ritornò indietro a nuoto
tenendolo in bocca. Gli animali furono molto contenti di vedere il fuoco che portava loro: andarono
tutti nella foresta e ognuno prese un ramo dell'albero che amava di più; chiesero poi a ciascun
albero di venire a prendere un po' di fuoco. Tutti gli alberi si avvicinarono, presero il fuoco e da
quel momento lo tennero in serbo, per cui gli uomini possono ricavare il fuoco dagli alberi. In
questo mito dunque la parte del trickster che con l'astuzia o la forza ruba il fuoco a chi lo possiede e
ne fa dono ai suoi simili tocca alla lucertola. È da notare infatti che spesso, in società totemiche, il
«divino riccone» è incarnato da un animale (ad esempio, tra gli indiani delle praterie americane, è il
coyote). Un altro aspetto di questa figura di mediatore è la sua natura di messaggero tra il mondo
dei vivi e quello degli spiriti; nella mitologia greca, questo compito è, non a caso, affidato al
«briccone divino» per eccellenza, vale a dire Ermes. Egli è ladro, imbroglione, infido, «dalle molte
arti, dalla mente sottile, predone», come dice il IV inno omerico, a lui dedicato: in quanto
messaggero degli dèi è anche il mediatore tra la sfera sotterranea e quella umana; con l'epiteto di
psicopompo ("conduttore di anime") lo si riteneva infatti il dio incaricato di accompagnare le anime
nell'oltretomba e di lì riportare agli uomini i sogni, che sono anch'essi un'emanazione del mondo
sotterraneo. Ma lo schema del trickster opera in altri modi nella storia letteraria dei Greci: si tratta
di un modello narrativo di base che rifluisce poi ad esempio nella figura dell' eroe comico della
commedia di Aristofane, un personaggio anch'egli astuto, amorale e imbroglione, che appunto per
questo è capace, nella finzione comica, di costruire un utopistico mondo alla rovescia in cui tutti i
problemi che assillano l'umanità sono risolti grazie a un geniale stratagemma.
LISISTRATA
Rappresentata alle Lenee del 411 a.C., quando la grande spedizione contro Siracusa si era risolta in
un disastro e la guerra volgeva decisamente al peggio per Atene, la Lisistrata descrive un colpo di
stato messo in atto dalle donne di Atene e di Sparta.
Le donne greche, stanche della guerra fra Sparta e Atene, assecondano il piano della protagonista, l'ateniese Lisistrata
(la "Dissolvitrice di eserciti"), che propone un'astensione collettiva dai rapporti sessuali con i mariti fino a che questi
non avranno posto fine al conflitto. Inoltre, ad Atene, le donne occupano l'Acropoli, dove è custodito il tesoro dello
Stato, allo scopo di evitare che gli uomini si riforniscano di nuovi fondi per finanziare la guerra. A nulla valgono i
tentativi di allontanarle: un gruppo di vecchi viene affrontato a secchiate d'acqua; un commissario venuto per imporre
l'autorità maschile viene sbeffeggiato e costretto a ritirarsi. Mentre alcune donne cedono al desiderio e abbandonano la
lotta, la maggior parte di esse resiste. L'arrivo di un ambasciatore spartano mostra che anche a Sparta la situazione è
critica e che gli uomini sono prossimi alla resa. Con la mediazione di Lisistrata si conclude infine una pace e la
commedia si chiude allegramente fra canti e danze.
Le donne, appartenenti a due città storicamente nemiche, si alleano nel piano di soppiantare gli
uomini alla guida della polis e ottenere a ogni costo la pace; dopo avere conseguito il loro scopo con
un paradossale sciopero sessuale, esse infatti pongono fine alla guerra che dilania la Grecia. Da un
certo punto di vista, si tratta di una commedia premonitoria: poche settimane dopo, infatti, ebbe
luogo un colpo di stato moderato, preparato dalla fazione conservatrice dei cittadini, in un effimero
tentativo di modificare la costituzione democratica della città e di tentare un accordo di pace con
Sparta. Che sia una pura coincidenza, o un'implicita adesione alle trame dei congiurati o
semplicemente un'ulteriore prova della capacità di Aristofane di captare gli umori dell'opinione
pubblica è una questione discussa dalla critica. Da ciò dipende anche la valutazione complessiva
dell' opera, che può essere vista come una pura evasione, come la comica creazione di un mondo
alla rovescia dove l'utopia si realizza sulla scena oppure come un manifesto corrosivo e denigratorio
contro la classe dirigente e il sistema istituzionale ateniese. La Lisistrata peraltro propone un tema
tipico dello scherzo carnevalesco, vale a dire la guerra tra i sessi; essa si realizza attraverso il
consueto schema del sovvertimento, mediante il quale la parte della città sistematicamente esclusa
dall'esercizio della vita politica, le donne, ottiene sulla scena comica quell'impossibile riscatto che le
leggi della vita cittadina negavano. Leggende antiche parlavano di un tempo lontano in cui erano
state le donne ad Atene a reggere il potere; sull'isola di Lemno il mito narrava che fosse esistita una
città delle donne governata da mogli che avevano ucciso in una strage sanguinaria i loro mariti. Si
tratta del resto di un tema presente anche nell'iconografia e nella statuaria, esemplificato dalla
guerra fra Amazzoni e uomini, caso emblematico di hybris, secondo l'ideologia dominante. La
sconfitta delle Amazzoni, rigettate nelle loro terre ai confini del mondo, era intesa simbolicamente
come un trionfo dell'ordine sul disordine, della parte civile e razionale su quella istintiva, della vita
politica su quella selvaggia.
Tuttavia nella Lisistrata le donne vincono, e non hanno bisogno di armi: basta far leva sulla sfera
della sessualità, il regno che Afrodite ha loro assegnato, per smascherare la fragilità dei maschi che,
per quanto più forti, sono costretti infine ad arrendersi, consentendo in questo modo la restaurazione
della pace (il valore fondamentale proposto dalle donne, sin dalla poesia epica) e il rinnovamento
della vita cittadina. Così, la commedia ripropone in cifra fantastica l'antico schema antropologico
del «re per un giorno»: nella finzione scenica, infatti, per un attimo i ruoli vengono rovesciati,
secondo quel modulo di provvisoria sospensione delle leggi del mondo reale che anima i momenti
migliori della commedia antica. La Lisistrata, costruita tutta sul tema della sessualità, è un' opera
geniale, in cui il livello dello scherzo non declina mai verso esiti grossolani o farseschi, ma
determina un testo di elevato contenuto letterario, senza alcun cedimento al cattivo gusto.