pagine d`esempio - Libreria Universo

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I. cellula n Capitolo : :
Pa r t E
II
principali tipi di tessuto
3.
4.
5.
6.
7.
Sangue, emopoiesi e midollo osseo...................46
Tessuti connettivi.................................................65
Tessuti epiteliali....................................................82
Tessuti muscolari...............................................101
Tessuto nervoso................................................122
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Tipi cellulari e metodiche istologiche
3 Sangue, emopoiesi e midollo osseo
Introduzione
Il sangue è una sospensione di cellule in un fluido. Viene pompato nei vasi sanguigni attraverso il corpo dal cuore e, come
risultato della sua circolazione, il sangue serve come mezzo di trasporto per i gas, i nutrienti, i prodotti di scarto del metabolismo, le cellule e gli ormoni.
La componente fluida è nota come plasma ed è tipicamente composta per il 90% di acqua, l’8% di proteine, l’1% di sali
inorganici, lo 0,5% di lipidi e lo 0,1% di glucosio; il resto sono componenti minori. Le proteine sono numerose e di diverso
tipo, tra cui albumina, fattori della coagulazione sanguigna, anti-proteasi, proteine di trasporto e anticorpi (immunoglobuline). Complessivamente queste proteine esercitano un effetto di trattenimento dell’acqua, noto come pressione colloidoosmotica, che aiuta a regolare la distribuzione dei fluidi tra il plasma e lo spazio extracellulare, allo scopo di mantenere il
fluido all’interno del letto circolatorio.
I componenti del plasma, inclusi ormoni, lipidi, sali minerali, molecole d’acqua e piccole proteine, sono costantemente
scambiate con il fluido extracellulare dei tessuti corporei, in accordo alle funzioni di trasporto del sangue. Le proteine e il
plasma non possono essere visualizzati in microscopia ottica se non come una colorazione di fondo.
Tipi cellulari del sangue
Le componenti cellulari del sangue sono:
• Globuli rossi (eritrociti): sono cellule specializzate che contengono il pigmento rosso emoglobina. Garantiscono gran
parte del trasporto di ossigeno dai polmoni ai tessuti e gran parte dello scambio di anidride carbonica. Sono cellule
incapaci di muoversi autonomamente e assolvono ai loro compiti solo in quanto fatti circolare passivamente all’interno dell’albero vascolare. La frazione (in volume) di sangue occupata dagli eritrociti è detta ematocrito ed è compresa
tra il 35 e il 50% negli adulti.
• Globuli bianchi (leucociti): costituiscono una parte importante dei meccanismi di difesa innata e del sistema immunitario dell’organismo, ma svolgono queste funzioni principalmente nei tessuti; i leucociti nel sangue circolante sono
in transito o semplicemente in attesa come riserve.
• Piastrine (trombociti): sono corpuscoli specializzati che si legano e rivestono le pareti vascolari danneggiate, tamponano piccole lesioni delle pareti dei vasi e attivano la cascata della coagulazione. Sono essenziali per l’emostasi, il sistema che limita il sanguinamento.
Nell’adulto tutte queste cellule sono formate nel midollo osseo attraverso un processo noto come emopoiesi o ematopoiesi.
Metodiche istologiche per lo studio del sangue e del midollo osseo
Oggi la composizione cellulare del sangue è usualmente valutata con specializzati strumenti di laboratorio. La morfologia
delle cellule è analizzata al microscopio usando metodi citologici. Un metodo comune è lo striscio di sangue, ottenuto
spandendo con un vetrino copri-oggetto una goccia di sangue posta al bordo di un vetrino porta-oggetto, in maniera tale
da ottenere un sottile film monocellulare. Questo striscio è quindi essiccato all’aria, il che permette alle cellule di allargarsi come uova fritte, facendo sì che appaiano più grandi e consentendo una chiara visione del citoplasma assottigliato. Gli
strisci vengono fissati con alcoli e colorati con metodi simili al Romanowsky, ossia con metodi che impiegano coloranti
policromatici contenenti molteplici varianti molecolari così da ottenere sfumature complesse. Questi sono i coloranti migliori per evidenziare la morfologia delle cellule del sangue e del midollo osseo; esempi comuni sono il metodo di Giemsa e il metodo di Wright. Le caratteristiche distintive di colorazione sono facilmente identificabili e riflettono l’affinità dei
diversi organelli cellulari per le differenti componenti del colorante:
• Basofilia (blu scuro): affinità per il colorante basico blu di metilene; questa è una caratteristica del DNA nel nucleo e
dell’RNA nel citoplasma, contenuto principalmente nei ribosomi.
• Azzurrofilia (violetto): affinità per coloranti azzurri; questa proprietà è tipica dei lisosomi, uno dei tipi di granuli presenti nei leucociti.
• Eosinofilia (rosa/rosso): affinità per il colorante acido eosina, perciò descritta anche come acidofilia.
• Neutrofilia (rosa salmone/lilla): affinità per un colorante un tempo ritenuto erroneamente essere a pH neutro; è caratteristica dei granuli citoplasmatici specifici dei granulociti neutrofili.
L’esame del midollo osseo emopoietico negli adulti richiede un campionamento prelevato dallo scheletro assiale, generalmente la cresta iliaca della pelvi, costituito da un aspirato midollare o un cilindro osseo. Campioni di aspirato, ma in genere non cilindri ossei, possono essere ottenuti anche dallo sterno. I frammenti di tessuto aspirato sono strisciati e colorati come fossero sangue. Le porzioni di tessuto più grandi e i cilindri ossei sono invece esaminati come preparazioni istologiche, spesso colorate con ematossilina ed eosina (EE).
Uso clinico dei test ematologici
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Le analisi di laboratorio delle varie componenti del sangue, incluse cellule, sali, proteine varie, ormoni e altro, rappresentano una
maniera conveniente (e spesso l’unica maniera) di esaminare
varie funzioni dell’organismo. Gli “esami del sangue” hanno un
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ruolo importante nella diagnosi e nel trattamento delle malattie.
Per esempio, un aumento di enzimi nel sangue, fuoriusciti da
cellule muscolari cardiache danneggiate, può diagnosticare un
infarto del miocardio.
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Nella circolazione sono normalmente presenti cinque tipi di leucociti, a loro volta classificati in due gruppi:
Granulociti [(o polimorfonucleati); N.d.C.]
• Neutrofili
• Eosinofili
• Basofili
Leucociti mononucleati
• Linfociti
• Monociti
Granulociti
I granulociti sono così chiamati per la presenza di numerosi e caratteristici granuli citoplasmatici. A seconda della colorazione dei granuli predominanti si distinguono in: neutrofili (lilla), eosinofili (rossi) e basofili (blu). I granulociti hanno un
nucleo segmentato in più lobi che assumono forme variabili, da qui il nome alternativo di leucociti polimorfonucleati o
polimorfi. Il termine polimorfonucleato è specialmente usato per indicare i neutrofili, poiché essi sono i più comuni tra i
granulociti. I granulociti fanno parte delle cellule mieloidi in quanto originano dal midollo.
I granulociti sono componenti importanti delle difese innate contro le infezioni (vedi Cap. 11); tuttavia essi svolgono
spesso questo ruolo nei tessuti e non nel sangue. Tutti i leucociti hanno proteine di superficie che si legano a recettori delle
cellule endoteliali dei vasi sanguigni (vedi Cap. 8) e, grazie a questo legame, i granulociti aderiscono alle pareti del vaso e
migrano all’interno dei tessuti mediante movimenti pseudopodiali. A eccezione degli eosinofili, che migrano nella mucosa
intestinale, i granulociti non migrano nei tessuti normalmente ma solo in risposta a segnali chemiotattici e a seguito di cambiamenti dell’espressione di recettori di superficie delle cellule endoteliali indotti da mediatori dell’infiammazione acuta.
I neutrofili sono dotati di intensa attività fagocitaria. Essi inglobano e uccidono i microrganismi e ingeriscono detriti
cellulari e materiale particolato; rilasciano quindi vari importanti segnali pro-infiammatori e regolatori che contribuiscono
globalmente al processo infiammatorio. I granulociti hanno una vita breve ed esauriscono la loro funzione in un solo ciclo
difensivo; una volta lasciata la circolazione, muoiono nei tessuti e non ritornano nel circolo sanguigno.
Linfociti e monociti
I linfociti e i monociti hanno nuclei non lobulati e furono quindi inizialmente descritti come leucociti mononucleati per
distinguerli dai polimorfonucleati.
I linfociti giocano un ruolo chiave in tutte le risposte immunitarie e facilitano e regolano l’infiammazione. A differenza
degli altri leucociti, la loro attività è diretta verso specifici agenti estranei (antigeni), garantendo una risposta adattativa e
specifica, sia anticorpale sia cellulo-mediata. Di norma, i linfociti migrano attraverso i tessuti, poi confluiscono nei vasi
linfatici e nei linfonodi, e infine ritornano nella circolazione sanguigna fornendo così una sorveglianza contro antigeni
esterni. Essi hanno una vita media prolungata e sono capaci di proliferare.
I monociti sono cellule dotate di intensa attività fagocitaria, ingerendo microrganismi, detriti cellulari e materiale particolato. Normalmente migrano in alcuni tipi di tessuto e possono maturare in macrofagi, diventando macrofagi tissutali
residenti che hanno una sopravvivenza prolungata. I monociti e le cellule linfoidi producono, secernono ed esprimono
recettori per un gran numero di mediatori dell’infiammazione.
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
Leucociti
Conta dei leucociti
I leucociti nel sangue rappresentano una popolazione di riserva
a disposizione per intervenire nei tessuti sede di infiammazione.
In risposta alla stimolazione da parte di chemiotassine e attraverso il legame a recettori per i leucociti esposti sulla superficie
delle cellule endoteliali (le cellule che rivestono i vasi sanguigni),
i leucociti fuoriescono dal torrente circolatorio e prendono parte
a processi infiammatori nei tessuti. Ci si potrebbe aspettare che,
a seguito di ciò, il loro numero nel sangue diminuisca; tuttavia,
un gran numero di granulociti maturi resta a disposizione rimanendo adeso alla superficie dei piccoli vasi. Essi formano una
riserva funzionale che non viene inclusa nella conta dei leucociti
circolanti, ma rapidamente mobilizzata dai segnali infiammatori
delle chemiotassine e delle citochine.
Gli stessi segnali chimici stimolano l’immissione in circolo di
cellule mature e quasi mature dal midollo osseo, fornendo un’ulteriore riserva funzionale. Questi segnali stimolano anche una più
rapida maturazione dei granulociti immaturi nel midollo, che formano ancora un’altra riserva, e stimolano un aumento di produzione cellulare dal midollo a partire dalle cellule staminali; questo
è tuttavia un processo più lento.
In gran parte degli stati infiammatori e infettivi la conta dei
granulociti nel sangue è aumentata. Tra gli esempi possiamo includere:
• Un aumento della conta dei neutrofili (neutrofilia) è indice d’infiammazione acuta, di solito susseguente a infezioni batteriche.
• Un aumento degli eosinofili (eosinofilia) è associato ad allergie e a infezioni parassitarie.
• Un’alta conta di linfociti (linfocitosi) si riscontra nelle infezioni
virali.
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Una diminuzione transitoria dei neutrofili nel sangue (neutropenia)
può essere causata dalle citochine prodotte nelle prime fasi di un’infezione virale. Una diminuzione sostenuta nel tempo del numero di
cellule della serie bianca (citopenia) implica invece che la richiesta
sia più alta della produzione. Ciò può essere dovuto a un aumentato consumo oppure a un’insufficiente produzione midollare.
Nel caso di infezioni a sviluppo molto rapido e grave, la conta
delle cellule del sangue può diminuire poiché le riserve di granulociti vengono esaurite prima che un incremento della loro produzione possa rimpiazzarle. In questi casi può accadere che precursori granulocitari immaturi, quali cellule a banda, metamielociti
e mielociti (Fig. 3.8), vengano mobilizzati e immessi in circolo.
Questo è un fenomeno chiamato left shift [ossia, spostamento a
sinistra della formula di Arneth. La formula di Arneth esprime la
percentuale delle lobature nucleari dei granulociti; in particolare, si
usa rappresentarla in un grafico, riportando sull’asse delle ascisse
il numero dei lobi e sull’asse delle ordinate la percentuale di cellule corrispondenti. Si parla di “deviazione a destra” quando aumenta la percentuale dei granulociti con nucleo molto lobato; si tratta
in genere di elementi maturi/vecchi, prossimi alla loro eliminazione
dal circolo. Si ha deviazione a sinistra quando aumentano i granulociti con nucleo poco lobato; questi sono elementi giovani/immaturi. N.d.C.]. Una bassa conta dei neutrofili (neutropenia) può
essere evidenziata nel caso di sepsi grave, specialmente quando
si osserva spostamento a sinistra della formula di Arneth.
Patologie maligne e premaligne dei precursori leucocitari
possono portare alla circolazione di un gran numero di cellule
anomale (leucemia) oppure, a causa di un’interrotta produzione
di cellule normali, possono condurre a citopenia.
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Emopoiesi
Emopoiesi
L’emopoiesi è il processo mediante il quale si generano le cellule ematiche mature a partire dai rispettivi precursori. Questo è un processo che impegna considerevolmente l’organismo, considerando che un uomo adulto produce 1011 (cioè
cento miliardi) di granulociti ogni giorno. All’origine di questo processo vi sono le cellule staminali emopoietiche [da cui
originano i vari tipi di progenitori e, a loro volta, da questi originano in gran quantità le cellule mature o differenziate.
N.d.C.]. Le cellule staminali costituiscono una riserva che dura per tutta la vita dell’individuo poiché la loro popolazione
si automantiene (per autorinnovamento) mentre contribuisce alla produzione dei progenitori. [Le cellule staminali sono
molto rare nel midollo osseo e sono in maggioranza in uno stato quiescente, che ha la funzione di proteggere il loro genoma dai danni dovuti al metabolismo e alla divisione cellulare. N.d.C.]. Una frazione di queste cellule prolifera e origina
i progenitori emopoietici, che hanno alta capacità proliferativa e che, inizialmente da multipotenti, diventano progressivamente indirizzati (committed) a originare uno dei diversi tipi di cellule mature. [Uno dei meccanismi che garantiscono il
mantenimento della popolazione di cellule staminali per tutta la vita dell’individuo è la divisione cellulare asimmetrica,
in cui una cellula staminale produce una cellula staminale figlia identica a se stessa e un progenitore multipotente che darà
origine alla progenie di cellule mature del sangue. In questo modo la popolazione di cellule staminali non si esaurisce,
dando origine ai progenitori. Le cellule staminali possono però anche effettuare divisioni simmetriche, dando origine
ciascuna a due cellule staminali e permettendo così l’espansione della popolazione staminale nel corso dell’accrescimento
o in caso di aumentata richiesta emopoietica in particolari situazioni. N.d.C.].
Le cellule staminali emopoietiche sono generalmente studiate usando modelli di trapianto in animali, mentre i progenitori possono essere studiati con metodiche di coltura in laboratorio a breve e a lungo termine. Molti dei progenitori
identificati sono stati denominati unità o cellule formanti colonie (colony-forming unit o colony-forming cell, CFU o CFC)
oppure unità formanti colonie a rapida crescita (burst forming unit, BFU) e le molecole che stimolano questi processi sono
chiamate fattori stimolanti le colonie (colony stimulating factors, CSF), riferendosi a questo tipo di saggio sperimentale.
Altri fattori di regolazione dell’emopoiesi sono denominati interleuchine, citochine o fattori di crescita, a seconda dei
metodi che hanno portato alla loro identificazione.
Le cellule staminali emopoietiche, i progenitori e gli elementi terminalmente differenziati dipendono tutti per la loro
crescita, proliferazione e differenziamento da un microambiente complesso. Questo microambiente [(o nicchia); N.d.C.] è
determinato da contatti tra tipi cellulari diversi, dalla segnalazione molecolare che passa attraverso tali interazioni e dalla
secrezione locale di fattori di crescita. I rapporti tra cellule staminali e microambiente sono stati spesso descritti utilizzando
l’analogia del seme (la cellula staminale) che cresce nel suolo (il microambiente).
Progenitori staminali multipotenti
Cellule staminali emopoietiche
Progenitori
linfoidi comuni
Progenitori mieloidi comuni
CFU-GMEo
BFU-EMeg
Cellule
NK
BFU-Meg
BFU-E
CFU-Meg
CFU-E
CFU-M
CFU-G
CFU-Eo
Megacarioblasto
Eritroblasto
Monoblasti
Mieloblasti
Mieloblasti
Mieloblasti
Megacariocita
Globuli rossi
Monociti
Neutrofili
Eosinofili
Basofili
Piastrine
Linfociti
B
Linfociti
T
CFU-GM
Mastociti
Macrofagi
FIG. 3.1 Cellule staminali emopoietiche e progenitori
Il disegno mostra la relazione tra cellule staminali e alcuni tipi
di progenitori identificati nel processo dell’emopoiesi. Progenitori staminali multipotenti (multipotent progenitors, MPP)
danno origine alle cellule staminali emopoietiche (haematopoietic stem cells, HSC), che a loro volta si indirizzano verso la linea
linfoide o mieloide, originando rispettivamente i progenitori
linfoidi comuni (common lymphoid precursors, CLP) e i progenitori mieloidi comuni (common myeloid precursors ‒ CMP ‒ o
progenitori eritro-megacariocito/monocito-granulocitari, CFUGEMM). Da questi ultimi origina una gerarchia di progenitori
con progressiva segregazione del potenziale differenziativo ver-
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so le diverse linee maturative, passando dai progenitori bipotenti eritro-megacariocitari (BFU-EMeg o MEP) e combinati granulocito-monocitari ed eosinofili (CFU-GMEo o GMP) e arrivando
ai progenitori unipotenti per ciascuna linea differenziativa. I
progenitori multi- e bipotenti producono una ricca progenie di
cellule (centinaia di migliaia di cellule), mentre quelli unipotenti
(CFU) danno origine a una progenie di 20-50 cellule. Ogni blasto
riconoscibile in uno striscio di midollo osseo produce una media
di 16 cellule differenziate.
La linea di derivazione dei mastociti non è chiara, ma si pensa
che origini precocemente da un progenitore mieloide multipotente.
BFU unità formanti colonie a rapida crescita CFU unità formanti colonie E eritroide EMeg eritro-megacariocitario Eo eosinofilo
G granulocitario GM granulocito-monocitario GMEo granulocito-monocitario-eosinofilo M monocita Meg megacariocita
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L’emopoiesi è regolata dai fattori di crescita e dal microambiente midollare. I fattori di crescita, con la possibile eccezione
dell’eritropoietina, sono multifunzionali. Un singolo fattore di crescita può influenzare progenitori a diversi stadi di maturazione, agire su più di una linea differenziativa e avere azioni diverse, quali la promozione della proliferazione e/o del
differenziamento cellulare, la maturazione, l’uscita delle cellule dal midollo e la loro sopravvivenza nei tessuti. Le diverse
azioni di un fattore di crescita sono dovute allo stadio di sviluppo della cellula su cui agisce, al grado di differenziamento,
alla dotazione di recettori di membrana e alla moltitudine di altri segnali che essa riceve contemporaneamente (Tab. 3.1).
La cellula staminale emopoietica (HSC) è particolarmente sensibile al fattore delle cellule staminali (stem cell factor,
SCF), alle angiopoietine e al ligando di Flt-3, mentre le cellule stromali di supporto nel microambiente sono sensibili
all’interleuchina 1 (IL-1) e al fattore di necrosi tumorale (tumor necrosis factor, TNF). Oltre a risiedere nelle nicchie midollari, le cellule staminali emopoietiche sono reperibili in piccola quantità nel sangue dove ricircolano periodicamente e
attraverso cui si distribuiscono a occupare le diverse nicchie nel midollo osseo. Questo processo può essere stimolato indirettamente dal fattore stimolante le colonie granulocitarie (G-CSF) che ne favorisce il rilascio in circolo [(un fenomeno
noto come mobilizzazione, che è sfruttato in clinica per la raccolta di cellule staminali emopoietiche da donatore per l’uso
nei trapianti); N.d.C.]. Le cellule staminali circolanti migrano nei distretti che esprimono il fattore derivato dalle cellule
stromali (stromal-derived factor-1, SDF-1), che è un prodotto del microambiente emopoietico.
Altri importanti stimolatori globali dell’emopoiesi sono l’interleuchina 3 (IL-3), il fattore stimolante le colonie granulocito-monocitarie (GM-CSF) e l’SCF, che agiscono sulla maggioranza delle linee a diversi stadi di maturazione. La trombopoietina, prodotta dal rene e dal fegato, è importante per la produzione di megacariociti e piastrine e inoltre promuove
le fasi iniziali della produzione di eritrociti. L’eritropoietina, un ormone proteico prodotto principalmente dai reni, promuove soprattutto le ultime fasi della maturazione degli eritrociti (a partire dalle CFU-E) e, a maggiori concentrazioni,
agisce anche sui progenitori eritroidi. Il G-CSF e il fattore stimolante le colonie monocitarie (M-CSF) agiscono rispettivamente sulla linea dei granulociti e dei monociti, mentre l’interleuchina 5 (IL-5) stimola la produzione degli eosinofili.
Le cellule staminali e i diversi tipi di progenitori non sono distinguibili morfologicamente al microscopio. Molte di esse
assomigliano a grandi linfociti e sono identificabili solo in base all’espressione di specifiche combinazioni di molecole di
superficie (marcatori di superficie cellulare). Le più precoci tra le cellule riconoscibili in uno striscio di midollo osseo sono
i blasti, come i mieloblasti, i proeritroblasti, i monoblasti ecc. Questi sono progenitori piuttosto tardivi, vicini a completare
la proliferazione e il differenziamento. Una BFU-E impiega circa 7 giorni a originare un gran numero di CFU-E; ogni CFU-E
impiega a sua volta circa 7 giorni per diventare una colonia di proeritroblasti riconoscibili morfologicamente e ogni proeritroblasto formerà circa 16 eritrociti maturi in 6-7 giorni. Va notato che a un uomo adulto occorrono circa 2,5 miliardi di
nuovi eritrociti per kg di peso corporeo al giorno. Molti dei fattori di crescita appena descritti sono ora disponibili [come
molecole ricombinanti. N.d.C.] e utilizzati in ambito terapeutico.
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
Principali fattori di crescita emopoietici
TABELLA 3.1 Principali fattori emopoietici
Fattore
Sigla
Cellule bersaglio e azione biologica
Fattore delle cellule staminali
SCF
Agisce sulle cellule staminali e su molti dei progenitori
Fattore stimolante le colonie granulocito-monocitarie
GM-CSF
Agisce sulla maggior parte delle linee mieloidi
Interleuchina 3
IL-3
Agisce sulla maggior parte delle linee cellulari
Interleuchina 11
IL-11
Generazione dei megacariociti
Interleuchina 5
IL-5
Generazione degli eosinofili
Fattore stimolante le colonie granulocitarie
G-CSF
Generazione dei granulociti
Fattore stimolante le colonie monocitarie
M-CSF
Generazione dei monociti
Trombopoietina
TPO
Generazione dei megacariociti ed eritropoiesi
Eritropoietina
EPO
Eritropoiesi
Trapianto di midollo osseo
Il trapianto di midollo osseo è in realtà un trapianto di cellule
staminali emopoietiche con l’obiettivo di generare un nuovo sistema emopoietico e, attraverso lo sviluppo dei linfociti, anche
un nuovo sistema immunitario. Le cellule staminali sono raccolte
come aspirati midollari non coagulati da varie sedi intraossee
oppure come concentrati di leucociti raccolti dal sangue periferico dopo la mobilizzazione delle cellule staminali con somministrazione di G-CSF.
Prima di effettuare il trapianto, il sistema emopoietico originale del paziente viene eliminato mediante la somministrazione
di farmaci citotossici e radioterapia. Il prelievo di midollo arricchito di cellule staminali viene quindi trasfuso e le cellule staminali si localizzano nel microambiente emopoietico dove proliferano e progressivamente rigenerano l’emopoiesi e il sistema
immunitario.
Il donatore di cellule staminali per il trapianto può essere un
altro individuo (in tal caso si parla di trapianto allogenico) oppure lo stesso individuo (trapianto autologo). Quando si impie-
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ga un trapianto allogenico è importante verificare la compatibilità
HLA per minimizzare il rischio di reazione del trapianto verso
l’ospite (graft versus host disease, GVDH), una grave complicazione in cui le cellule immunitarie mature del donatore riconoscono il paziente come non-self e lo attaccano.
Il trapianto di midollo osseo è impiegato per il trattamento di
gravi deficit del sistema immunitario o emopoietico, come le
immunodeficienze primarie e alcune emoglobinopatie. Tra le altre
condizioni citiamo l’anemia aplastica, un deficit acquisito dell’emopoiesi, e le leucemie. Il trapianto di midollo osseo è impiegato nelle leucemie poiché la somministrazione di chemioterapia ad
alte dosi non elimina soltanto le cellule leucemiche, ma anche le
cellule staminali sane del paziente. In alcuni di questi casi può
essere impiegato il trapianto autologo, raccogliendo dal paziente
le cellule staminali prima della somministrazione della chemioterapia e infondendole subito dopo, così da consentire la sopravvivenza a una dose elevata di farmaci mielotossici e permettere
di somministrare una terapia antitumorale più efficace.
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Emopoiesi
Ep
Ap
Ep
T
a
b
Ap
FIG. 3.2 Emopoiesi nel fegato e nel midollo osseo (a) EE (MP) (b) EE (LP)
L’emopoiesi inizia nelle prime fasi della vita intrauterina in una
sede extraembrionaria, ossia nel mesoderma del sacco vitellino
(emopoiesi primitiva) [e viene poi sostituita da quella definitiva,
quando le prime cellule staminali emopoietiche originano dall’endotelio emogenico dell’aorta nella regione AGM (aorta-gonadi-mesonefro). N.d.C.]. Le cellule derivate dalla regione AGM si stabiliscono poi nei sinusoidi epatici, che sono gli spazi vascolari tra gli
epatociti Ep nell’immagine (a), dove si distinguono numerose
cellule emopoietiche colorate di scuro. Dal terzo al settimo mese di
gestazione, questo è il principale sito di emopoiesi. Con lo sviluppo degli abbozzi delle ossa, l’emopoiesi si instaura negli spazi tra
le trabecole ossee T di ogni osso. Alla nascita, le ossa forniscono lo
spazio sufficiente per accogliere tutto il tessuto emopoietico, ponendo così fine all’emopoiesi extramidollare. Durante la crescita
del bambino, gli spazi midollari si espandono velocemente e così,
progressivamente, il midollo viene occupato da adipociti Ap. Il
midollo emopoietico è macroscopicamente di colore rosso, mentre
il midollo in cui dominano gli adipociti è giallo. Nell’adulto, gran
parte del midollo delle ossa degli arti è giallo, mentre quello dello
scheletro assiale resta rosso ed emopoietico, anche se il 30-60% del
suo volume è occupato da adipociti. L’immagine (b) mostra un
midollo vertebrale adulto con un moderato numero di adipociti.
S
Ap
E
E
S
Ap
Mk
FIG. 3.3 Sinusoidi del midollo osseo EE (HP)
Il midollo osseo ha un’impalcatura di sinusoidi vascolari rivestiti
da cellule endoteliali E e spazi chiamati cordoni midollari, supportati da una rete di fibroblasti con lunghi e ramificati processi
citoplasmatici (detti cellule reticolari) e fibre di reticolina (formate
da collagene di tipo III). I macrofagi sono numerosi e anch’essi
possono presentare processi cellulari ramificati. Gli adipociti Ap e
le plasmacellule sono presenti in numero significativo. Il risultato
è un microambiente che supporta l’emopoiesi, e infatti i cordoni
midollari sono ricchi di cellule. I megacariociti Mk sono situati in
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prossimità dei sinusoidi S, cosicché i loro processi citoplasmatici
(propiastrine) possano rilasciare questi corpuscoli direttamente in
circolo. Anche le isole eritroblastiche si trovano in prossimità dei
sinusoidi, dove i precursori eritroidi aderiscono ai lunghi processi
citoplasmatici dei macrofagi che direzionano gli eritrociti verso i
sinusoidi e ne regolano l’immissione in circolo. I precursori mieloidi tendono a essere localizzati lontano dai sinusoidi, ma, poiché
granulociti e monociti sono dotati di motilità, una volta mature,
queste cellule possono migrare nei sinusoidi.
Ap adipocita E nucleo di una cellula endoteliale Ep epatocita Mk megacariocita S sinusoide T trabecola ossea
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Queste immagini di uno striscio di sangue midollare illustrano i vari
stadi dell’eritropoiesi [nell’aspirato midollare usato per gli strisci si
trovano sia le cellule ai diversi stadi di differenziamento contenute nei
cordoni midollari sia le cellule mature contenute nel sangue dei sinusoidi. N.d.C.]. Questo processo differenziativo prevede:
a
b
c
d
e
• Una progressiva riduzione delle dimensioni del citoplasma e del
suo contenuto di organelli, ottenuta attraverso divisioni cellulari che
riducono progressivamente il contenuto citoplasmatico nelle prime
fasi del processo.
• L’inattivazione e l’estrusione del nucleo.
• La progressiva sintesi di emoglobina da parte dei ribosomi e il suo
accumulo.
Il proeritroblasto, mostrato nell’immagine (a), è il primo precursore eritroide riconoscibile; si tratta di una cellula di dimensioni relativamente
grandi con cromatina fine e granulare, contenente uno o più nucleoli
chiari. Il citoplasma poco strutturato è spiccatamente basofilo a causa del
suo alto contenuto in RNA e ribosomi. Una sottile zona di citoplasma più
chiaro presente vicino al nucleo corrisponde all’apparato di Golgi.
I proeritroblasti si dividono e si differenziano, producendo cellule
più piccole chiamate eritroblasti basofili o normoblasti precoci, mostrati nella fotografia (b). Si tratta di cellule di piccole dimensioni dove
sono talvolta visibili addensamenti della cromatina.
Nello stadio successivo di differenziamento si formano gli eritroblasti policromatici (o normoblasti intermedi). In queste cellule il citoplasma sviluppa una colorazione grigiastra dovuta all’aumento dell’emoglobina. Dal momento che sussiste una commistione di basofilia ed eosinofilia, il termine impiegato per descrivere questo aspetto è policromasia.
La cromatina nucleare diviene sempre più condensata. Queste cellule non
sono più capaci di ulteriori divisioni mitotiche. L’immagine (c) mostra
eritroblasti policromatici in uno stadio precoce, mentre l’immagine (d)
mostra eritroblasti policromatici in uno stadio avanzato di maturazione.
L’ultima forma ancora nucleata, mostrata in figura (e), è l’eritroblasto ortocromatico (o normoblasto tardivo). Il suo citoplasma è ricco in
emoglobina ma contiene ancora ribosomi che mantengono la sintesi di
emogloblina. Gli organelli citoplasmatici sono degenerati. La cromatina
nucleare e il nucleo diventano estremamente condensati fino ad arrivare all’estrusione del nucleo. Il risultato è una cellula eritroide anucleata,
il reticolocita (Fig. 3.5).
Il processo di condensazione ed estrusione del nucleo può essere
incompleto, lasciando piccoli residui sferoidali di nucleo condensato
nell’eritrocita. Questi sono noti come corpi di Howell-Jolly e sono normalmente asportati dall’eritrocita con la porzione di citoplasma e di
membrana circostante dai macrofagi splenici e quindi non sono identificabili nel sangue. Tuttavia, in individui che abbiano subito una splenectomia è normale trovare nello striscio di sangue alcuni eritrociti
contenenti corpi di Howell-Jolly.
Gli eritrociti condividono un progenitore comune con i megacariociti.
Il fattore di crescita che stimola la proliferazione e il differenziamento del
progenitore verso la produzione di globuli rossi è l’eritropoietina, prodotta principalmente dai reni, ma nelle prime fasi del processo partecipano a questo processo anche la trombopoietina e alcune interleuchine.
Nell’architettura del midollo (e all’osservazione di una sua sezione
istologica), i precursori eritroidi sono raggruppati in piccoli gruppi
sparsi, detti isole eritroblastiche. Ognuna di esse è organizzata attorno
a un macrofago che presenta lunghi processi citoplasmatici e invaginazioni della membrana cellulare che accolgono i precursori. I precursori
migrano lungo i processi citoplasmatici mentre maturano, raggiungendo così l’endotelio dei sinusoidi attraverso cui entrano nella circolazione. Questi macrofagi supportano il differenziamento attraverso contatti cellula-cellula e trasduzione di segnali intracellulari, e controllano il
rilascio degli eritrociti maturi nel sangue sinusoidale.
Ogni proeritroblasto in genere dà origine a 16 eritrociti in un tempo
che varia tra 5 e 7 giorni. In ognuna delle fotografie degli strisci, si vedono
numerosi eritrociti maturi, caratterizzati dall’assenza di nuclei e spesso da
una zona più pallida al centro, dovuta alla forma biconcava della cellula.
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
FIG. 3.4 Eritropoiesi (a)-(e) Giemsa (HP)
Anemia
L’anemia è una riduzione dell’emoglobina presente nel sangue
al di sotto dei livelli di normalità. Una ridotta produzione di
emoglobina (e quindi di eritrociti) da parte del midollo può avvenire a causa di una carenza di nutrienti essenziali, quali ferro,
vitamina B12, vitamina B9 (acido folico); oppure, a causa di un’insufficienza midollare primaria, nota anche come anemia apla-
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stica; oppure a causa di anomalie genetiche nel sistema di
produzione degli eritrociti (per esempio, la talassemia). In altri
tipi di anemie, gli eritrociti normalmente prodotti possono essere distrutti (anemia emolitica) a causa di diversi meccanismi, in
genere mediati da autoanticorpi, oppure possono essere persi
a causa di emorragie.
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Eritrociti
G
D
M
R
M
R
D
E
a
b
FIG. 3.5 Reticolociti (a) Blu di cresile/Eosina (HP) (b) ME ×16.000
I reticolociti sono globuli rossi immaturi e corrispondono allo
stadio in cui vengono rilasciati dal midollo osseo. Essi contengono
ancora alcuni mitocondri, ribosomi ed elementi di Golgi e continuano a sintetizzare emoglobina. La tappa finale di maturazione
a eritrociti avviene circa 48 ore dopo il rilascio. Il tasso di rilascio
dei reticolociti nella circolazione, in genere, eguaglia il tasso di
rimozione degli eritrociti senescenti da parte della milza e del
fegato. Dal momento che la vita media degli eritrociti circolanti è
di circa 120 giorni, i reticolociti costituiscono poco meno dell’1%
degli eritrociti circolanti [il che garantisce il ricambio di quel poco
meno di 1% di cellule ormai senescenti che ogni giorno viene rimosso. N.d.C.]. I reticolociti sono leggermente più grandi degli
eritrociti maturi e la loro colorazione è debolmente basofila a
causa della presenza residuale di ribosomi e RNA. Un aumento
dei reticolociti può essere sospettato all’esame di uno striscio di
sangue in base a un’aumentata e variabile basofilia delle cellule,
un fenomeno chiamato policromasia (molti colori). Un’identificazione e conta affidabile dei reticolociti richiede però tecniche specifiche, quali una colorazione sopravitale, mostrata nell’immagine
(a). Un campione di sangue fresco viene incubato con un coloran-
Complesso 4.1
Antigeni
Il perno
che determinano
il gruppo sanguigno
Il complesso dell’anchirina
Il supporto per i raggi
Anchirina
Dimeri di spectrina
I raggi
52
Giunzioni
spectrina-spectrina
Actina, tropomiosina
te basico, il blu di cresile, che produce un precipitato reticolare R
di colorazione blu, dovuto all’interazione del colorante con l’RNA
dei poliribosomi. L’identificazione e la conta dei reticolociti a uso
diagnostico vengono oggi fatte con metodi automatici come la
citometria a flusso.
L’immagine (b) mostra l’organizzazione ultrastrutturale di un
reticolocita e parte di un eritrocita maturo adiacente E, come
paragone. La densità del citoplasma del reticolocita è complessivamente minore, dovuta a una più bassa concentrazione di emoglobina. Sono ancora visibili ribosomi sparsi, accanto ad alcuni
mitocondri M, occasionali mitocondri in degenerazione D e un
piccolo residuo dell’apparato di Golgi G.
Quando si verifica una massiva perdita di eritrociti, per esempio a seguito di emorragia o emolisi, il tasso di produzione di
eritrociti da parte del midollo aumenta e la proporzione di reticolociti nel sangue circolante si eleva (reticolocitosi). Dal punto
di vista clinico, una conta di reticolociti elevata indica un midollo funzionale, mentre una conta bassa può indicare una produzione insufficiente o compromessa. È utile considerare questo
parametro quando si valuta uno stato di anemia.
FIG. 3.6 Citoscheletro dell’eritrocita
La membrana citoplasmatica dell’eritrocita è composta da un
doppio foglietto lipidico stabilizzato dalla presenza di numerose
proteine. Gli elementi caratterizzanti i diversi gruppi sanguigni
sono carboidrati e antigeni proteici presenti sulla superficie. La
spectrina è un grande dimero proteico con proprietà elastiche,
che forma una rete a forma di cupola geodetica subito al di sotto
della membrana plasmatica. Le molecole di spectrina si dispongono a raggiera a partire da un centro ancorato alla membrana e
contenente, tra le altre, la proteina 4.1, l’actina e la tropomiosina.
Ogni raggio di questa struttura è ulteriormente supportato per
tutta la sua lunghezza da un secondo complesso proteico contenente anchirina. All’estremità più distale, i raggi di spectrina
formano legami non covalenti spectrina-spectrina. Quando la
membrana dell’eritrocita si piega, le molecole di spectrina si allungano. Quando la deformazione diventa estrema, le giunzioni
dimeriche spectrina-spectrina si separano, consentendo al centro
e ai raggi di separarsi e riarrangiarsi, così da riassestare dinamicamente il citoscheletro. L’actina fa parte di un segmento contrattile, che probabilmente applica tensione alla spectrina.
D mitocondrio in degenerazione E eritrocita maturo FM eritrocita con forma a manubrio G residui dell’apparato di Golgi
M mitocondrio P piastrina R precipitato reticolare in reticolocita
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FIG. 3.7 Eritrociti (a) Giemsa (HP) (b) ME a scansione ×2400
(c) ME ×6000 (d) EE (HP)
L’eritrocita è una cellula altamente specializzata per la sua principale funzione di trasporto dell’ossigeno e dell’anidride carbonica. Esso consiste semplicemente in una membrana citoplasmatica supportata da un citoscheletro proteico e contenente un’elevata concentrazione di molecole di emoglobina e un numero
limitato di enzimi per il mantenimento cellulare. L’emoglobina è
una proteina contenente ferro che lega e rilascia l’ossigeno e garantisce la maggior parte del trasporto di ossigeno nel sangue.
[L’emoglobina contenuta nell’eritrocita è in soluzione semisatura
al 30%. Nei casi di diminuita solubilità dell’emoglobina (come nel
caso dell’anemia falciforme, causata da una mutazione della catena β dell’emoglobina), questa si aggrega e l’eritrocita perde
flessibilità e si deforma. N.d.C.].
La fotografia (a) mostra il caratteristico aspetto degli eritrociti in uno striscio di sangue periferico. La colorazione più chiara
della regione centrale è dovuta alla forma a disco biconcavo,
meglio visibile in microscopia elettronica a scansione nell’immagine (b). La forma a disco biconcavo garantisce una superficie del
20-30% maggiore rispetto a una cellula sferica dello stesso volume, facilitando così gli scambi gassosi. Questa forma, assieme
alla flessibilità del citoscheletro (Fig. 3.6), consente all’eritrocita di
deformarsi facilmente. Infatti, gli eritrociti che hanno un diametro
medio di 7,2 µm sono capaci di comprimersi e attraversare capillari di diametro di 3-4 µm. La forma a disco biconcavo è determinata non soltanto dal citoscheletro, ma anche dal contenuto di
elettroliti e acqua e dalla composizione lipidica della membrana.
L’immagine in microscopia elettronica a trasmissione (c) mostra gli eritrociti in un capillare. La classica forma a manubrio FM
è visibile quando il piano della sezione attraversa la sottile zona
centrale al centro della cellula. Si notino l’assenza di organelli
interni e l’alta densità agli elettroni dovuta agli atomi di ferro
contenuti nell’emoglobina. Nell’immagine è anche visibile una
piastrina P.
Gli eritrociti hanno un’alta affinità per l’eosina e appaiono intensamente colorati di arancio-rosso nelle immagini di tessuti in
EE, come nella fotografia (d). Negli strisci di sangue la colorazione
varia con il tipo di colorante di Romanowsky impiegato, ma è
generalmente rosso-brunastro, come in figura (a), oppure grigio.
Il trasporto di ossigeno da parte dell’emoglobina non è dipendente dal metabolismo dell’eritrocita; gli eritrociti, tuttavia, usano
energia per mantenere i gradienti di elettroliti attraverso la membrana plasmatica, [contrastare la pressione osmotica dovuta all’alto contenuto proteico. N.d.C.] e proteggersi dal danno ossidativo.
L’energia richiesta per questi processi deriva dal metabolismo anaerobico del glucosio, in quanto essi non posseggono mitocondri.
b
FM
FM
P
c
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
a
d
La vita media di un eritrocita è di 120 giorni. Essendo privi
di organelli, gli eritrociti non sono in grado di ricambiare enzimi
e proteine di membrana deteriorate né di riparare i danni. Allo
stesso tempo, il metabolismo anaerobico garantisce all’eritrocita
una vita media relativamente lunga, poiché riduce la produzione
di radicali ossidanti che danneggiano i componenti cellulari. Gli
eritrociti deformati in modo irreversibile e quelli con un citoscheletro che abbia perso flessibilità vengono rimossi dalla circolazione grazie all’azione dei macrofagi nella milza e nel fegato.
L’esame del sangue aiuta a determinare le cause di anemia
Nei casi di carenza di ferro, la produzione di emoglobina è difettosa e gli eritrociti prodotti sono di piccola dimensione. Gli eritrociti con questo aspetto sono descritti come ipocromici e
microcitici, il che significa, rispettivamente, che hanno una scarsa colorazione e una piccola dimensione delle cellule.
Le vitamine B12 e B9 (acido folico) sono necessarie per la
maturazione e la divisione nucleare. Nel caso di un deficit di
queste vitamine, la maturazione del nucleo e le divisioni cellulari
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restano indietro rispetto allo sviluppo del citoplasma, dando origine a precursori eritroidi di notevoli dimensioni e con nuclei
abnormemente grandi e cromatina aperta rispetto allo stadio di
maturazione citoplasmatica.
Queste cellule sono dette megaloblasti e il processo patologico che porta alla loro formazione viene definito anemia megaloblastica. Gli eritrociti risultanti sono anch’essi grandi e denominati macrociti.
53
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Granulopoiesi
FIG. 3.8 Granulopoiesi (a)-(e) Giemsa (HP)
EO
a
b
c
Questa serie d’immagini illustra i vari stadi del processo di differenziamento dei granulociti neutrofili. Gli stadi di sviluppo degli eosinofili e
basofili sono simili.
Il mieloblasto (a) è lo stadio più precoce della granulopoiesi identificabile morfologicamente. Questo nome è tuttavia inappropriato e
deriva dall’erronea assunzione che i granulociti fossero l’unico tipo di
leucociti prodotto dal tessuto mieloide (ossia dal midollo osseo). I mieloblasti sono cellule grandi con cromatina dispersa, vari nucleoli di
grandi dimensioni e un citoplasma basofilo. Forme più differenziate di
mieloblasti (mieloblasti II) presentano un piccolo numero di granuli
primari azzurrofili (violacei). Nonostante la differenziazione finale di
queste cellule a granulociti sia stata provata biologicamente, essa non è
visibile fino allo stadio di mielocita, quando la produzione di granuli
secondari (specifici) ne consente l’identificazione. L’immagine mostra
anche un eritroblasto ortocromatico EO.
I promielociti (b) sono lo stadio successivo di maturazione e hanno
abbondanti granuli primari azzurofili. Essi possono mostrare una leggera condensazione della cromatina all’interno di una struttura cromatinica altrimenti dispersa.
I mielociti (c) sono identificabili dalla comparsa di granuli secondari o specifici e da una progressiva condensazione della cromatina; tale
processo continua per varie divisioni cellulari successive. Il numero e la
proporzione di granuli primari diminuiscono progressivamente, diluiti
dalle successive divisioni del citoplasma, mentre aumenta, di contro, la
produzione dei granuli specifici. Il mielocita mostrato in figura è un
mielocita neutrofilo, caratterizzato da citoplasma di colorazione rosa a
causa della presenza di granuli secondari neutrofili. I mielociti eosinofili avrebbero invece granuli specifici eosinofili e così per i basofili.
Il metamielocita (d) è una cellula terminalmente differenziata, incapace di ulteriori divisioni mitotiche. Esso inizia un processo di segmentazione nucleare, mostrando un nucleo progressivamente indentato e un citoplasma sempre più maturo. I precursori immediati dei granulociti maturi tendono ad avere un nucleo irregolare a ferro di cavallo
e perciò sono detti forme a banda (e).
I neutrofili immaturi vanno a far parte di un pool di riserva funzionale trattenuto nel midollo e corrispondente al prodotto di circa 5 giorni di attività midollare. Al momento dell’immissione in circolo, circa
metà di queste forme a banda entra a far parte della circolazione sanguigna, mentre il resto aderisce all’endotelio dei piccoli vasi, formando
il cosiddetto pool marginato. Questi pool constituiscono un’importante
riserva che può essere mobilizzata all’occorrenza (per esempio, in risposta a chemiotassine).
Se la richiesta aumenta notevolmente, anche i mielociti e i metamielociti sono mobilizzati in circolo e, da qui, nei tessuti; questo fenomeno è
noto come left shift (sbilanciamento a sinistra, ovvero verso i precursori).
Al contrario, il fenomeno di aumento delle forme mature è detto right
shift (sbilanciamento a destra), ma non è comunemente osservabile.
Il normale processo di sviluppo nel midollo dal mieloblasto al mielocita impiega 6 giorni e dal mielocita al rilascio di un neutrofilo maturo nel sangue altri 7 giorni. La produzione è stimolata da una serie di
fattori di crescita e citochine, inclusi G-CSF, GM-CSF, IL-3 e IL-5.
d
e
54
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b
MT
c
d
FIG. 3.9 Neutrofili (a) Giemsa (HP) (b) EE (HP) (c) EE (MP) (d) Giemsa (HP)
I neutrofili rappresentano dal 40 al 60% dei leucociti circolanti nel
sangue, con una concentrazione tra 1 e 5 × 109/L. Il loro diametro
varia tra 12 e 14 µm. La vita media di un neutrofilo è di pochi giorni, e infatti queste cellule sono raramente visibili nei tessuti normali.
Durante la maturazione i neutrofili mostrano una progressiva
segmentazione del nucleo, con le cellule più giovani che hanno 2
lobi, quelle intermedie da 3 a 4 lobi e le cellule più mature 5 lobi.
Il citoplasma è rosa, granulare e leggermente puntinato a causa
di numerosi piccoli granuli (di diametro da 0,2 a 0,8 µm) circondati da membrana, come nella fotografia (a). Questi granuli includono i granuli primari azzurrofili (violacei), i granuli secondari specifici, i granuli terziari e i granuli secretori. Nelle colorazioni di routine, i granulociti mostrano un citoplasma rosa o
rosso chiaro, come nell’immagine (b).
I neutrofili abbandonano i vasi in risposta a stimoli chemiotattici generati dall’infiammazione. Sono cellule ad alta motilità che
fagocitano i batteri e li uccidono fondendo il fagosoma con i granuli primari e producendo radicali ossidanti. In alcune condizioni
essi possono degranulare rilasciando all’esterno il contenuto dei
granuli ricco in mediatori dell’infiammazione, enzimi antibatterici
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
a
ed enzimi che degradano la matrice tissutale. Ammassi di neutrofili e oro detriti sono riconoscibili nel pus, come mostrato nell’immagine (c). [I neutrofili riconoscono la presenza di microrganismi
e/o di danno tissutale attraverso recettori di membrana (pattern
recognition receptor ‒ PRR ‒, appartenenti alla famiglia dei recettori toll-like ‒ TLR) che legano alcuni tipi di molecole tipicamente
prodotte da certe famiglie di patogeni (pathogen-associated molecular pattern, PAMP) o derivate da danno cellulare (damageassociated molecular pattern, DAMP). Se lo stimolo è elevato, il
neutrofilo può espellere il proprio DNA che, grazie alla natura di
polimero anionico viscoso, va a costituire la cosiddetta trappola
extracellulare dei neutrofili (NET o rete) che intrappola i patogeni
e contribuisce alla consistenza gelatinosa del pus. N.d.C.]. I neutrofili extravasati non rientrano nella circolazione sanguigna, ma
vanno incontro a lisi o apoptosi nei tessuti.
Nei neutrofili del sangue di individui di sesso femminile, il
cromosoma X inattivato può essere visibile sotto forma di una
piccola appendice nucleare a mazza di tamburo MT nel 3% circa
dei neutrofili, come in immagine (d). [Questa appendice è nota
anche come corpo di Barr. N.d.C.].
TABELLA 3.2 Prodotti funzionali dei granuli dei neutrofili
Tipo di granuli
Principali componenti attivi
Azioni biologiche
Granuli primari
Mieloperossidasi
Defensine dei neutrofili
Distruzione e degradazione dei microrganismi fagocitati
Granuli secondari
specifici
Lisozima, gelatinasi, collagenasi, lactoferrina,
catelicidine, transcobalamina I
Sostanze antimicrobiche e degradazione
della matrice extracellulare
Granuli terziari
Gelatinasi
Molecole di adesione
Degradazione della matrice extracellulare
Esposizione sulla membrana plasmatica
Granuli secretori
Proteine di membrana
Esposizione sulla membrana plasmatica; recettori
per il legame alla membrana delle cellule endoteliali
Degradazione dei tessuti
Enzimi, fosfatasi alcalina ecc.
EO eritroblasto ortocromatico MT appendice a mazza di tamburo
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55
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Granulociti
P
N
N
S
S
P
P
FIG. 3.10 Neutrofilo ME ×10.000
In microscopia elettronica, i neutrofili presentano tre aspetti caratteristici. Il primo è rappresentato dai numerosi lobi nucleari N,
con cromatina condensata; questi lobi appaiono separati nelle
sezioni sottili in ME. Come secondo aspetto, il citoplasma contiene molti granuli rivestiti da membrana. I granuli primari P sono
grandi, sferoidali ed elettrondensi. I granuli secondari o specifici
S sono più numerosi e piccoli, hanno spesso forma di bacchetta
e sono di densità variabile. I granuli terziari e i granuli secretori
non sono facilmente distinguibili da altre vescicole rivestite da
membrana. Il terzo aspetto è che gli altri organelli citoplasmatici
sono scarsi. In aggiunta, il citoplasma è particolarmente ricco in
granuli di glicogeno dispersi. Il neutrofilo maturo ha pochi organelli deputati alla sintesi proteica e ha una capacità limitata di ri-
generare le proteine secrete; esso tende a degenerare dopo una
stimolazione che ne abbia attivato fagocitosi e degranulazione. La
scarsità di mitocondri e l’abbondanza di glicogeno nei neutrofili
riflettono l’importanza del metabolismo anaerobico. La produzione di energia via glicolisi permette ai neutrofili di funzionare
anche nell’ambiente poco ossigenato di un tessuto danneggiato.
I neutrofili sono dotati di alta motilità, capaci di attraversare gli
spazi extracellulari con un movimento ameboide guidato da uno
pseudopodio ondulante, generalmente proiettato in avanti a
orientare la direzione del movimento. La motilità e l’attività fagocitaria sono dimostrate dall’alta presenza di proteine contrattili, actina e miosina, ma anche da tubulina e proteine associate ai
microtubuli.
Funzioni dei neutrofili
I neutrofili circolanti sono attratti da fattori chemiotattici (chemiotassine) rilasciati dai tessuti danneggiati o generati dall’interazione di anticorpi con gli antigeni di superficie dei microrganismi
(vedi Cap. 11). Le chemiotassine stimolano i neutrofili e li inducono a fondere i granuli secretori con la membrana cellulare, così
da esporre proteine di adesione che permettono al neutrofilo di
aderire all’endotelio vascolare e di iniziare a muoversi all’interno
dei tessuti. [Il processo di uscita dal vaso (extravasazione) inizia
con il rotolamento (rolling) della cellula, mediato da lectine sulla membrana delle cellule endoteliali dei piccoli vasi attivati
dall’infiammazione, e prosegue con l’arresto mediato dal legame
alle caderine e l’attraversamento della parete (diapedesi). Il riconoscimento di un microrganismo attraverso un TLR di membrana
o degli anticorpi a esso legati stimola la fagocitosi da parte del
neutrofilo. N.d.C.]. Come prima tappa della fagocitosi, il microrganismo è avvolto da pseudopodi che progressivamente si fondono tra loro, racchiudendolo in una vescicola endocitica detta
fagosoma. Il fagosoma si fonde quindi con i granuli citoplasmatici, in particolare i granuli primari, che scaricano il loro contenu-
56
to esponendo il microrganismo a una potente miscela di proteine
antimicrobiche, in un ambiente acido. L’uccisione del microrganismo è favorita dalla generazione di perossido d’idrogeno e
anione superossido, prodotti dalla riduzione enzimatica dell’ossigeno (burst ossidativo).
L’attività fagocitaria dei neutrofili (e dei monociti) è favorita
dal rivestimento del microrganismo da parte di anticorpi ed elementi del complemento (opsonine). I neutrofili hanno recettori di
superficie per la porzione Fc (costante) delle immunoglobuline e
per varie proteine del complemento. Questi recettori si legano
alle opsonine e stimolano l’internalizzazione mediante fagocitosi.
Questo stimolo alla fagocitosi è noto come opsonizzazione.
Se si verifica un sufficiente stimolo dei recettori del neutrofilo, esso può esocitare il contenuto dei suoi granuli per degranulazione, che si verifica attraverso la fusione della membrana
dei granuli con la membrana citoplasmatica e l’espulsione del
contenuto. I granuli terziari sono i primi a essere rilasciati, seguiti dai granuli specifici (secondari) e, raramente, anche dai
granuli primari.
N lobo nucleare P granulo primario S granulo secondario
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a
S
b
FIG. 3.11 Basofili (a) Giemsa (HP) (b) ME ×10.500
I basofili, nell’immagine (a), sono la forma di leucociti meno comune e rappresentano <0,5% dei leucociti del sangue. Hanno dimensioni intermedie (diametro 14-16 µm) tra i neutrofili e gli eosinofili.
Un basofilo maturo ha un nucleo bilobato che però è spesso coperto da numerosi granuli specifici fortemente basofili (blu scuro), che
sono più grandi ma in numero minore rispetto a quelli degli eosinofili. Il contenuto dei granuli è altamente solubile in acqua e possono quindi dissolversi durante la preparazione istologica.
I basofili originano nel midollo osseo emopoietico, condividono un precursore comune con gli eosinofili e si sviluppano
attraverso stadi differenziativi analoghi a quelli descritti per i
neutrofili e gli eosinofili. I basofili migrano nei tessuti in risposta
a uno stimolo infiammatorio e a chemiotassine. Si ritiene che non
possano rientrare in circolo e la durata della loro vita media nei
tessuti è incerta.
Dopo colorazione con blu di toluidina, un colorante basico,
i granuli dei basofili legano il colorante ma appaiono di colore
viola. Il fenomeno per cui una struttura fa virare il colore del
colorante legato è noto come metacromasia (vedi anche
Fig. 4.20).
In microscopia elettronica, come nell’immagine (b), il basofilo mostra i granuli specifici (secondari) di forma ovale e di grandi dimensioni, ripieni di materiale elettrondenso. All’interno dei
granuli sono anche individuabili (non in questa immagine) cristalloidi, lipidi spiraliformi e inclusioni dense.
I granuli hanno un nucleo di glicosaminoglicani solfati, in
particolare condroitin solfato e, in minore quantità, eparan solfato, che sono responsabili della loro caratteristica colorazione.
Funzionalmente, i granuli contengono istamina, altre sostanze
vasoattive ed enzimi (Tab. 3.3).
I mastociti sono cellule residenti nei tessuti con varie analogie con i basofili; anch’essi derivano dal midollo emopoietico
ma vanno considerati una linea cellulare distinta (vedi anche
Fig. 4.20).
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
S
TABELLA 3.3 Prodotti funzionali dei basofili
Prodotti
Azioni
Proteina basica maggiore
Stesso prodotto degli eosinofili
Tossicità per alcuni parassiti
Proteina di Charcot-Leyden
Come per gli eosinofili ma prodotta in minore quantità
Istamina e altre ammine vasoattive
Modulazione della permeabilità e del tono vascolare
Congestione ed edema
Triptasi
Enzima; utilizzato come marcatore per l’attività di basofili
e mastociti
Carbossipeptidasi
Enzima
Leucotrieni e prostaglandine
Mediatori di natura lipidica
Interleuchina (IL)-4, IL-13, exotassine
Rilascio di citochine
Fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF)
Rilascio di fattori di crescita
Funzioni dei basofili e dei mastociti
I basofili e i mastociti hanno recettori ad alta affinità per la porzione Fc delle IgE; pertanto sono capaci di legare IgE, una classe di immunoglobuline coinvolte nei fenomeni allergici. Il legame
di questi recettori alle IgE complessate con l’antigene stimola la
degranulazione della cellula causando una reazione di ipersensibilità immediata (anafilattoide). Appartengono a questo tipo
di reazioni la rinite allergica (febbre da fieno), l’asma bronchiale,
l’orticaria cutanea e lo shock anafilattico (antigeni comuni che
possono scatenare tali reazioni includono antigeni delle arachidi,
il veleno delle api, la penicillina).
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I basofili e i mastociti prendono anche parte alla risposta
immunitaria innata alle infezioni (vedi Cap. 11) e facilitano il reclutamento dei neutrofili prima dell’innesco di una risposta immunitaria adattativa. Essi svolgono anche un ruolo nella difesa
dai parassiti, come nella risposta alle larve di alcune specie di
vermi che migrano attraverso la cute (larva migrans cutanea).
Un aumento del numero dei basofili nel sangue si riscontra
frequentemente in pazienti affetti da lesioni premaligne del midollo emopoietico, come la mielodisplasia, e da leucemia mieloide
cronica (LMC).
57
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Granulociti
a
b
FIG. 3.12 Eosinofili (a) Tessuto, EE (HP) (b) Striscio di sangue, Giemsa (HP)
Gli eosinofili rappresentano dall’1 al 6% dei leucociti circolanti
nel sangue; il loro numero subisce variazioni circadiane, essendo
maggiore al mattino e più basso nel pomeriggio. La produzione
di eosinofili dal midollo è controllata dalla citochina interleuchina 5 (IL-5) e, in misura minore, dall’interleuchina 3 (IL-3) e dal
fattore stimolante le colonie granulocito-monocitarie (GM-CSF).
Gli eosinofili circolano nel sangue per circa 18 ore, dopodiché
fuoriescono dai capillari per entrare nei tessuti, dove risiede la
maggioranza (>95%) degli eosinofili.
In condizioni normali, gli eosinofili tissutali sono identificabili nella mucosa del tratto gastrointestinale, specialmente nell’intestino. Un basso numero di eosinofili, probabilmente in transito,
si trova anche nella milza e nei linfonodi.
Gli eosinofili entrano in altri tessuti in risposta a segnali chemiotattici generati dalla mucosa infiammata o nel corso di una
reazione allergica; questi segnali includono le chemochine eotassina-1 ed eotassina-2, IL-5 e alcuni leucotrieni. Il processo di extravasazione attiva parzialmente gli eosinofili, che vengono poi
ulteriormente attivati dai mediatori rilasciati nel corso di una risposta immunitaria di tipo T helper 2 (TH2), quali IL-5, IL-3 e
GM-CSF. Una stimolazione adeguata causa il rilascio di granuli
e dei mediatori. A differenza dei neutrofili, gli eosinofili non sono
cellule fagocitarie.
Si pensa che gli eosinofili possano sopravvivere a lungo nei
tessuti (8-12 giorni o anche di più), ma i dati sperimentali a riguardo sono ancora pochi. Gli eosinofili in genere non ritornano
in circolo; nell’intestino migrano nel lume del viscere o vanno
incontro a lisi.
Un eosinofilo (diametro 12-17 µm) è più grande di un neutrofilo e facilmente riconoscibile per l’abbondanza di grandi granuli
specifici, che si colorano di rosso brillante con l’eosina, come nella
fotografia (a), e di un rosso mattone con i metodi di Romanowsky,
come nell’immagine (b). La maggioranza delle cellule presenta un
nucleo bilobato, ma, con il procedere della maturazione nel tessuto,
il nucleo può segmentarsi ulteriormente. I granuli citoplasmatici,
densamente impaccati, possono parzialmente oscurare il nucleo.
I granuli specifici sono circondati da membrana, hanno dimensioni uniformi e contengono una matrice e un cristalloide a reticolo cuboidale (Fig. 3.13). Essi contengono proteine estremamente
alcaline (cioè basiche), in particolare la proteina basica maggiore
(major basic protein, MBP). Altre proteine sono la proteina cationica degli eosinofili (eosinophil cationic protein, ECP), la neurotossina derivata dagli eosinofili (eosinophil-derived neurotoxin,
EDN) e una perossidasi eosinofila (eosinophil peroxidase, EPO).
Queste proteine esercitano azione tossica su molti parassiti, alcuni
virus a RNA e in certi casi anche sui tessuti.
TABella 3.4 Prodotti funzionali degli eosinofili
58
Prodotti
Funzioni
Proteina basica maggiore
Tossicità per alcuni parassiti
Degranulazione di mastociti e basofili
Neurotossina degli eosinofili (EDN)
Ribonucleasi con attività antivirale
Proteina cationica degli eosinofili (ECP)
Danni alle membrane cellulari
Degranulazione dei mastociti
Perossidasi degli eosinofili (EPO)
Generazione di radicali ossidanti dall’ossigeno, incluso
l’anione superossido, e di acido ipobromico (da ioni bromuro)
Istaminasi, fosfolipasi, fosfatasi acida, arilsulfatasi, catepsina
Enzimi
Leucotrieni e prostaglandine
Mediatori di natura lipidica
Interleuchina (IL)-1, IL-2, IL-4, IL-5, IL-8, IL-13, fattore
di necrosi tumorale α (TNF-α)
Citochine
Fattore di crescita trasformante β (TGF-β), fattore di crescita
dell’endotelio vascolare (VEGF), fattore di crescita derivato
dalle piastrine (PDGF)
Fattori di crescita
Proteina cristallina di Charcot-Leyden (galectina-10)
Non nota, forma cristalli nei tessuti
M mitocondrio N nucleo R ribosomi REl reticolo endoplasmatico liscio REr reticolo endoplasmatico rugoso S granuli specifici
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M
S
R
REr
a
REr
S
R
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
REl
N
R
b
FIG. 3.13 Eosinofilo (a) Uomo, ME ×25.000 (b) Topo, ME ×20.000
In microscopia elettronica queste cellule sono caratterizzate dai
granuli specifici S grandi e ovoidali, ognuno contenente un cristalloide allungato. Nell’uomo, come mostrato in immagine (a), i
cristalloidi sono relativamente elettrontrasparenti e di forma irregolare; in molti altri mammiferi, hanno invece una forma discoidale più regolare.
La fotografia (b) mostra un eosinofilo all’interno di un tessuto di topo; anche in questa specie, i cristalloidi sono relativamente elettrontrasparenti. Gli eosinofili contengono pochi mitocondri,
un esteso reticolo endoplasmatico liscio REl e tracce di reticolo
endoplasmatico rugoso REr. Si notano anche ribosomi R liberi e
il nucleo N bilobato.
Eosinofili in patologia
Gli eosinofili sono cellule infiammatorie multifunzionali. Essi
hanno un ruolo centrale nella difesa dai parassiti, specialmente i vermi (elminti), e nell’induzione e mantenimento della risposta infiammatoria allergica; esempi di quest’ultima sono le riniti allergiche (febbre da fieno) e l’asma. Gli eosinofili svolgono
anche un ruolo nelle infezioni virali e, in misura minore, in vari
processi infiammatori, nonché un ruolo secondario come cellule presentanti l’antigene. [Grazie all’azione immunomodulatoria delle sostanze contenute all’interno dei granuli, gli eosinofili possono contribuire ad attenuare la risposta immunitaria
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ad alcune popolazioni di flora batterica residente (per esempio,
la flora batterica intestinale). Gli eosinofili possono, in alcuni
casi, espellere il loro DNA mitocondriale al fine di creare una
rete extracellulare viscosa (NET) che intrappola i microrganismi, come accade per i neutrofili, che però utilizzano il DNA
nucleare. N.d.C.].
I processi infiammatori che coinvolgono gli eosinofili risultano
spesso in un aumento del numero di queste cellule nel sangue
(>0,5 × 109/L), una condizione nota come eosinofilia, che può
essere dovuta a parassitosi e/o condizioni allergiche.
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Piastrinopoiesi
N
I
a
E
E
Mk
b
c
FIG. 3.14 Piastrine e megacariociti (a) Giemsa (HP) (b) EE (MP) (c) ME ×6000
I megacariociti sono responsabili della produzione delle piastrine e
sono le cellule più grandi reperibili nel midollo osseo (30-100 µm).
Negli strisci, come nella fotografia (a), mostrano grandi nuclei polilobati contenenti sparsi aggregati di cromatina e nucleoli poco cospicui e un abbondante citoplasma ricco di granuli fini e basofili. Nelle
preparazioni istologiche colorate in EE, come nell’immagine (b), i
megacariociti Mk sono facilmente riconoscibili per la loro dimensione, i nuclei lobulati e il citoplasma abbondante, chiaro ed eosinofilo.
Lo sviluppo e la maturazione dei megacariociti sono complessi e i precursori precoci non sono riconoscibili in modo affidabile
in microscopia ottica. Il precursore del megacariocita nel midollo
è detto megacarioblasto.
Le cellule mature sono poliploidi, essendo andate incontro a
vari cicli di replicazione del DNA non seguiti da divisione citoplasmatica (endomitosi). Una cellula matura può andare incontro
fino a sette duplicazioni successive dei componenti nucleari e
citoplasmatici senza divisione cellulare; da qui originano le grandi dimensioni e il nucleo multilobato.
Mentre le cellule maturano, il citoplasma si riempie di fini
granuli basofili che riflettono una profusione di organelli citoplasmatici, granuli, vescicole e tubuli. C’è anche un esteso sistema
di membrane di demarcazione, complesse invaginazioni della
membrana plasmatica che sono alla base della frammentazione
del citoplasma, che dà origine alle piastrine.
60
I megacariociti si trovano adiacenti ai sinusoidi del midollo
osseo e, quando sono maturi, estrudono pseudopodi, noti come
propiastrine, verso il lume del sinusoide. Questi pseudopodi poi
si frammentano rilasciando le piastrine. Un megacariocita può
entrare per intero nel lume dei sinusoidi, e infatti queste cellule
sono occasionalmente reperibili nei capillari polmonari, dove presumibilmente rilasciano piastrine. La proporzione di piastrine
rilasciate in questi due siti non è nota, nonostante si pensi che il
rilascio midollare sia predominante.
Ogni megacariocita genera da 2000 a 4000 piastrine. Una persona adulta necessita di circa 100 milioni di megacariociti (108)
per produrre 2 × 1011 nuove piastrine ogni giorno.
Al microscopio elettronico le cellule mature mostrano, come
nell’immagine (c), una zona perinucleare N con i classici organelli (apparato di Golgi, reticolo endoplasmatico liscio e rugoso,
granuli in maturazione e centrioli), una zona intermedia I con un
esteso sistema di membrane di demarcazione interconnesse e una
zona esterna E ancora più ricca di membrane e filamenti del citoscheletro.
I megacariociti e gli eritrociti hanno un precursore comune.
La produzione, il differenziamento e la maturazione dei megacariociti sono in parte regolati dalla trombopoietina, un fattore di
crescita prodotto principalmente dal fegato, assieme a interleuchine (IL-3 e IL-11) e ad altri fattori di crescita.
E piastrine in formazione e mature (zona esterna) I zona intermedia Mk megacariocita N zona perinucleare Pi piastrina
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a
b
FIG. 3.15 Piastrine (a) Giemsa (HP) (b) ME ×18.000
L’immagine (a) mostra alcune piastrine Pi. Le piastrine (trombociti)
sono piccoli frammenti anucleati di citoplasma, prodotti dai megacariociti. Le piastrine hanno forma tonda, ovale o a disco biconvesso, con diametro compreso tra 1,5 e 3,5 µm. Negli strisci di
sangue hanno un aspetto granulare colorato di viola al centro, a
causa dei numerosi organelli, mentre la parte periferica risulta
pallida e poco visibile. Il numero di piastrine circolanti nel sangue
varia da 150 a 500 × 109/L, e la loro vita media va da 5 a 10 giorni.
Le piastrine posseggono la maggior parte degli organelli delle altre cellule, a parte il nucleo. I granuli ben visibili in ME (b)
possono essere classificati come segue:
• Granuli a, di dimensioni e forma variabili, contenenti numerose proteine dell’adesione cellulare, fattori della coagulazione e fattori di crescita per la riparazione tissutale.
• Granuli densi, altamente elettrondensi, contenenti serotonina, ADP, ATP, Ca2+ e Mg2+.
• Lisosomi, come in ogni cellula contenenti gli usuali enzimi
litici (vedi Cap. 1).
Le piastrine sono sorprendentemente complesse. Esse presentano
una banda marginale di microtubuli alla periferia del citoplasma,
associata ad abbondanti proteine contrattili, actina e miosina, che
costituiscono un apparato contrattile.
All’interno della banda marginale di microtubuli e diffuso per
tutto il citoplasma, si trova il sistema tubulare denso (dense tubular system, DTS), costituito da sottili tubuli membranosi dal contenuto elettrondenso. Questi tubuli contengono Ca2+ e gli enzimi
necessari alla sintesi dei mediatori lipidici dell’attivazione piastrinica, in particolare la cicloossigenasi e la trombossano sintetasi.
Le piastrine contengono anche un sistema di canali di membrana interconnessi, il sistema canalicolare connesso alla superficie (SCCS), che è in continuità con l’ambiente esterno tramite
invaginazioni della membrana citoplasmatica. I granuli si fondono con questo sistema per rilasciare il loro contenuto all’esterno.
Le piastrine sono complesse anche dal punto di vista funzionale e presentano più di 50 tipi diversi di recettori di superficie.
Esse rispondono al danno vascolare per bloccare il sanguinamento, partecipano alla coagulazione del sangue e promuovono la
riparazione tissutale. Quando l’endotelio viene danneggiato, le
piastrine aderiscono al collagene esposto e ad altre proteine della
membrana basale sottostante tramite i loro recettori di membrana. Ne segue l’attivazione che porta alla contrazione del sistema
di microtubuli e alla degranulazione con il rilascio del contenuto
dei granuli, serotonina e ADP. Le piastrine attivate producono
anche il mediatore lipidico trombossano. Questi segnali richiamano altre piastrine e ne stimolano l’adesione, portando così alla
formazione di un tappo piastrinico.
Le piastrine attivate assumono una forma stellata con lunghi
pseudopodi. La successiva contrazione dei citofilamenti riduce il
diametro del coagulo, attraverso un fenomeno noto come retrazione del coagulo.
Le piastrine rilasciano anche una serie di fattori di crescita che
simulano la riparazione tissutale, tra cui il fattore di crescita
derivato dalle piastrine (platelet-derived growth factor, PDGF)
e il fattore di crescita trasformante b (transforming growth factor b,
TGF-b). Molti dei prodotti delle piastrine sono ereditati dal megacariocita di origine, ma alcuni sono captati dal plasma via endocitosi mediata da recettore e poi accumulati nei granuli, come,
per esempio, la 5-HT (serotonina).
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
Pi
Malattie delle piastrine
Un ridotto numero di piastrine è una condizione nota come trombocitopenia. Livelli bassi, in particolare <20 × 109/L, sono associati a spontaneo sanguinamento dei piccoli vasi (con formazione
di petecchie), in genere a livello della cute e della parete intestinale; questa è una condizione potenzialmente letale.
Vi sono diverse malattie genetiche dovute alla mutazione di
varie proteine che compromettono la funzionalità delle piastrine.
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La più comune di esse è la malattia di von Willebrand, dovuta a
difetti del fattore di von Willebrand (FVIII-vWF), un complesso
fattore di adesione prodotto dall’endotelio e dai megacariociti.
Anche alcuni farmaci possono compromettere l’attività delle
piastrine. L’aspirina (acido acetilsalicilico) blocca l’enzima cicloossigenasi, inibendo la produzione di trombossano e quindi la
funzionalità delle piastrine.
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Monociti
M
G
a
G
M
M
P
b
d
Gr
c
Fig. 3.16 Monociti (a)-(c) Giemsa (HP) (d) ME ×20.000
La monocitopoiesi, cioè il processo di formazione dei monociti,
si distingue in tre stadi morfologici successivi. Il primo è lo stadio
di monoblasto, illustrato nella fotografia (a). Queste cellule in
seguito maturano, sviluppando granuli citoplasmatici che iniziano a conferire al citoplasma un aspetto a vetro smerigliato; in
questo stadio, la cellula è detta promonocita, come mostrato
nell’immagine (b). I promonociti proliferano e maturano a monociti, visibili nel campione (c). Un tipico promonocita effettua due
divisioni cellulari successive per produrre quattro monociti in un
processo che impiega circa 60 ore.
I monociti sono i più grandi tra i leucociti (possono raggiungere i 20 µm di diametro) e costituiscono dal 2 al 10% dei leucociti circolanti nel sangue periferico. Essi circolano nel sangue in
media da 3 a 4 giorni prima di migrare nei tessuti. Queste cellule
hanno alta motilità e attività fagocitaria e possono maturare nei
tessuti a macrofagi residenti tissutali, dove possono sopravvivere
a lungo, proliferare e assumere forma e funzioni diverse. Tra le
cellule di origine monocitaria si annoverano anche le cellule dendritiche della milza e dei linfonodi, le cellule di Langherans della
cute, le cellule di Kupffer del fegato, gli osteoclasti e la microglia
del sistema nervoso. Anche se tutte queste cellule originano dal
compartimento mieloide e condividono alcuni progenitori con i
monociti, la loro migrazione nei tessuti avverrebbe solo in certe
fasi precoci dello sviluppo e il loro mantenimento sarebbe garantito in condizioni normali dalla proliferazione in situ.
I monociti, nella fotografia (c), sono caratterizzati da un grande nucleo eccentrico che si colora meno intensamente degli altri
leucociti a causa di una cromatina meno addensata. La forma del
nucleo è variabile, ma in genere presenta una profonda indentatura nella parte del nucleo rivolta verso il centro della cellula,
avendo così l’aspetto tipico di un ferro di cavallo. Possono essere evidenti due o più nucleoli. Il citoplasma è abbondante e si
colora di grigio-blu pallido con il metodo di Romanowsky. Si
vedono anche numerosi piccoli granuli lisosomali colorati di
viola e vacuoli citoplasmatici che conferiscono l’aspetto a vetro
smerigliato.
In microscopia elettronica, immagine (d), è evidente che il
citoplasma contiene vari ribosomi, poliribosomi e un po’ di reticolo endoplasmatico rugoso. L’apparato di Golgi G è ben sviluppato e localizzato, con il centrosoma in prossimità dell’indentatura del nucleo. Sono evidenti anche molti piccoli mitocondri M
di forma allungata. Brevi pseudopodi P si estendono dalla cellula, riflettendone l’attività fagocitaria e i movimenti ameboidi.
I granuli citoplasmatici Gr dei monociti sono elettrondensi e
omogenei. Metà di essi assomiglia ai granuli primari (azzurrofili)
dei neutrofili e contiene mieloperossidasi, fosfatasi acida, elastasi
e catepsina G. L’altra metà è costituita da granuli secretori contenenti proteine del plasma, proteine di adesione di membrana e
fattore di necrosi tumorale α (tumor necrosis factor alfa, TNF-α).
I monociti sono in grado di espletare fagocitosi e digestione
lisosomale in modo continuativo grazie alla capacità di rigenerare i propri componenti e di utilizzare un metabolismo aerobio
oppure anaerobio a seconda della disponibilità di ossigeno nel
tessuto.
Funzioni dei monociti
I monociti circolano nel sangue e rispondono a segnali chemiotattici provenienti dai tessuti danneggiati, dai microrganismi e dai
focolai di infiammazione migrando nei tessuti e differenziandosi
in macrofagi. Grazie alla loro attività fagocitaria e al ricco contenuto di enzimi idrolitici, essi incorporano e degradano i detriti dei
tessuti e i corpi estranei. I monociti sopravvivono e proliferano
nei tessuti come macrofagi se vengono adeguatamente stimolati da fattori di crescita, come l’M-CSF, il GM-CSF e l’IL-3, ma non
rientrano nella circolazione sanguigna.
62
I macrofagi presentano recettori per molte citochine e chemiochine, tra cui l’interferone γ (IFN-γ), una citochina prodotta dai
linfociti T (vedi Cap. 11).
Essi possono processare gli antigeni e presentarli alle cellule
T per promuovere la risposta immunitaria adattativa.
Possono anche secernere numerose chemiochine, citochine
e fattori di crescita implicati nell’infiammazione, nella riparazione
e rigenerazione dei tessuti.
G apparato di Golgi Gr granuli Lb linfoblasto Lc linfocita M mitocondrio P pseudopodio
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Lc
a
b
d
c
II. Principali tipi di tessuto n Capitolo 3: Sangue, emopoiesi e midollo osseo
Lb
Fig. 3.17 Linfociti (a-c) Giemsa (HP) (d) ME ×15.000
I linfociti hanno un ruolo fondamentale nei meccanismi di difesa
immunologici e saranno descritti in dettaglio nel Cap. 11. La
produzione di linfociti da parte della cellula staminale emopoietica inizia nel midollo. La più precoce cellula riconoscibile è il
linfoblasto Lb, illustrato nella fotografia (a), con un linfocita Lc
adiacente. Il linfoblasto è più grande del linfocita e presenta
cromatina nucleare fine e dispersa, piccoli nucleoli pallidi e scarso citoplasma. Alcuni linfoblasti maturano nel midollo diventando linfociti B, altri raggiungono il timo dove maturano in linfociti T, mentre altri ancora differenziano in cellule natural killer
(NK) nel midollo.
I linfociti circolano attraverso i vari tessuti linfoidi e gli altri
tessuti del corpo attraverso i vasi sanguigni e linfatici. Essi transitano continuamente attraverso i tessuti e ritornano nella circolazione come parte del processo di sorveglianza immunitaria. Le
cellule linfoidi hanno una vita media variabile da alcune settimane a un tempo indefinito e, a differenza dei granulociti, non sono
cellule terminali; essi possono infatti proliferare, e infatti la maggior parte della loro proliferazione avviene proprio nei tessuti. La
linfopoiesi è un’attività costante del midollo, ma proporzionalmente minoritaria.
I linfociti costituiscono dal 20 al 40% dei leucociti circolanti,
variando da 1 a 4,5 × 109/L. I linfociti sono i più piccoli tra i
leucociti, solo leggermente più grandi degli eritrociti. Essi presentano in genere un nucleo rotondo, oppure ovale, densamente
colorato con cromatina addensata e relativamente scarso citoplasma chiaro, basofilo e agranulare, come si nota nel leucocita del
campione (a). Questi piccoli linfociti sono forme “inattive”.
Una parte dei linfociti normali è più grande e con nuclei più
grossi, più citoplasma e un piccolo numero di granuli citoplasmatici. Queste forme sono dette grandi linfociti granulari (large
granular lymphocytes, LGL) e rappresentano le cellule natural
killer o linfociti T citotossici nell’immagine (b).
Lo stato del nucleo e la quantità di citoplasma sono dipendenti dall’attività della cellula. Quando si trovano in fase di attivazione o proliferazione, i linfociti aumentano la loro dimensione
e presentano nuclei più grandi, con cromatina dispersa, nucleoli
grandi e visibili e citoplasma più abbondante. Alcune di queste
cellule reattive possono circolare nel sangue, in particolare durante i processi infiammatori; i linfociti B attivati possono stabilirsi
nei tessuti e maturare a plasmacellule che vivono più a lungo e
secernono abbondanti anticorpi.
L’immagine ultrastrutturale in (d) mostra un piccolo linfocita
circolante all’interno di un capillare polmonare. Il nucleo è rotondo ma leggermente indentato e la cromatina moderatamente addensata; non sono presenti nucleoli. Il citoplasma sparso contiene
pochi mitocondri, un rudimentale apparato di Golgi, poco reticolo endoplasmatico e, di contro, un gran numero di ribosomi liberi.
La membrana plasmatica mostra piccole proiezioni citoplasmatiche che sembrano piccoli microvilli.
Malattie dei linfociti
La mononucleosi infettiva è un’infezione virale dovuta al virus di
Epstein-Barr. Tra i suoi sintomi vi sono linfoadenopatia (ingrossamento dei linfonodi) e, spesso, un notevole incremento della
conta di linfociti ematici (linfocitosi). Nei linfociti circolanti sono
evidenti una marcata attivazione e cambiamenti reattivi, da cui il
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nome della patologia. Un aumento di piccoli linfociti di piccola
taglia e forma omogenea è invece evidenziabile nel sangue di
pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC), una patologia
oncoematologica più frequente nell’anziano.
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Riepilogo
RIEPILOGO
L’esame del sangue (esame emocromocitometrico, abbreviato più comunemente in emocromo) generalmente prevede la
conta delle cellule nel sangue e informazioni sulla dimensione degli eritrociti e delle piastrine. Questi parametri variano
in diverse condizioni. I valori di normalità nel neonato variano con l’età e possono cambiare da un giorno al successivo.
I valori di normalità del bambino sono diversi da quelli dell’adulto e i valori nell’uomo e nella donna sono diversi a partire dall’adolescenza e fino alla menopausa. Vi sono anche differenze legate all’etnia, piccole differenze dovute alla tecnologia di conta impiegata e differenze dovute alla calibrazione del singolo strumento. Per tutte queste ragioni, i numeri
delle conte ematiche riportati in Tab. 3.5 sono semplicemente indicativi. Per facilitare l’interpretazione dell’emocromo, ogni
laboratorio di analisi fornisce appropriati intervalli di normalità di ogni parametro calibrati sulla demografia dei pazienti.
Le informazioni riguardanti le dinamiche cellulari, quali la vita media e il tasso di produzione, non sono parte dei
normali esami ematologici.
TABella 3.5 Caratteristiche dei principali tipi cellulari del sangue
Eritrociti
Dimensioni
Numero
in circolo
6,7-7,7 µm
12
3,9-6 × 10 /L
Percentuale
dei leucociti
totali
Neutrofili
Eosinofili
Basofili
Linfociti
12-14 µm
12-17 µm
14-16 µm
9
5-20 µm
9
Monociti
Piastrine
16-20 µm
1,5-3,5 µm
150-500
× 109/L
1,5-7,5 ×
109/L
0,04-0,5 ×
109/L
<0,2 × 10 /L
1,5-4 × 10 /L
0,2-0,8
× 109/L
40-75%
1-6%
<1%
20-50%
2-10%
6-9 giorni
dallo stadio
di mielocita
1 giorno
dallo stadio
di precursore
maturo
2-3 giorni
dallo stadio
di promonocita
4-5 giorni
dallo stadio
di megacariocita
precoce
0,17 × 109
2,5 × 109
piastrine
da ~106
megacariociti
Durata
media del differenziamento
5-7 giorni
dallo stadio
di proeritroblasto
7 giorni
dallo stadio
di mielocita
6-9 giorni
dallo stadio
di mielocita
Tasso giornaliero
di produzione
dal midollo
per kg di peso
corporeo
3 × 109
1,5 × 109
0,22 × 109
Tempo medio
di permanenza
in circolo
120 giorni
8-12 ore
18 ore
3 giorni
In transito
30 ore
7-10 giorni
Vita media
dopo rilascio
dal midollo
120 giorni
3-4 giorni
3-12 giorni
Giorni:
più a lungo
nei tessuti(?)
Variabile
Giorni: anche
anni come
macrofago
tissutale
7-10 giorni
TABella 3.6 Funzioni dei principali tipi cellulari del sangue
Tipo cellulare
Funzione
Altre informazioni
Globuli rossi
(eritrociti)
Trasporto di ossigeno
e anidride carbonica
Cellule terminali anucleate; specializzate per flessibilità meccanica; vita media
120 giorni; contengono alte concentrazioni di emoglobina
Neutrofili
Infiammazione
e difesa antibatterica
Cellule terminali differenziate; migrano nei tessuti e non ritornano in circolo;
contengono numerosi granuli con funzioni pro-infiammatorie e antimicrobiche;
fagocitano e distruggono i batteri
Eosinofili
Infiammazione
e difesa da parassiti
Cellule terminali differenziate; migrano nei tessuti e non ritornano in circolo;
contengono numerosi granuli con funzioni pro-infiammatorie e antiparassitarie
Basofili
Infiammazione, allergie
e difesa da parassiti
Cellule terminali differenziate; migrano nei tessuti e non ritornano in circolo;
contengono numerosi granuli con funzioni pro-infiammatorie
Monociti
Infiammazione e difesa
dalle infezioni
Migrano nei tessuti e maturano in macrofagi; possono diventare cellule
residenti a lungo termine nei tessuti con forma e funzioni specializzate;
fagocitano microrganismi e detriti; principale fonte di produzione di citochine
Linfociti
Risposta immunitaria
adattativa
Dopo maturazione negli organi linfoidi primari possono proliferare nei tessuti
e ricircolano attraverso il sangue
Piastrine
(trombociti)
Coagulazione del sangue
(emostasi)
Corpuscoli cellulari anucleati prodotti dalla frammentazione del citoplasma
dei megacariociti; principale fonte di fattori di crescita nei siti di danno
vascolare e tissutale
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