Υπo Ακρòπολη Il museo dell’ Acropoli di Atene Tesi di laurea di: Elena Cattadori 735986 Claudia Cerutti734466 Isabella Meraviglia735973 Relatore: Prof. Pier Federico Mauro Caliari Correlatori: Prof. Francesco Leoni Arch. Alessia Chiapperino Arch. Paolo Conforti Arch. Michele Di Santis Arch. Sara Ghirardini Arch. Samuele Ossola Arch. Sergio Savini Politecnico di Milano, Leonardo. Scuola: I Facoltà di Architettura, Mi Corso di studio: Architettura, Mi Anno Accademico 2010-2011 INDICE CAPITOLO 1. Viaggio nella storia dell’Acropoli CAPITOLO 2. I ‘Partenoni’ . 1 α La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla formazione della Polis 2 α . Il Partenone nella storia I primi insediamenti e l’epoca micenea p. 1-5 L’età oscura post-micenea XI – VIII sec. a. C. p.7 I miti p. 9- 11 . 1 β I templi arcaici di Athena Polias p.13- 15 . 1 γ L’acropoli classica Il Nuovo tempio dedicato ad Athéna Parthénos p.17 I Propìlei e il tempietto di Athèna Nìke. p.19 -27 L’ Eretteo o L’ultimo tempio di Athèna Poliàs p. 27-33 . 1 δ Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli durante i secoli p. 35-45 2 β . Il Protopartenone, il Partenone Arcaico, il Partenone Pericleo 2 γ. Il Partenone tra architettura e politica 2 δ. Il Partenone nel futuro CAPITOLO 3. Gli interventi sull’Acropoli 3 α. La nascita dello Stato Greco e l’interesse per la tutela dei monumenti nazionali. 3 β. Leo Von Klenze: il memorandum. 3 γ. Ludwig Ross: la scoperta della sottostruttura del Partenone e del Tempio di Atena Nike. 3 δ. Kyriakos Pittakis: la rimozione del layer medioevale e i primi interventi di restauro. 3 ε. La scoperta della porta di Beulè; la demolizione della Torre Franca e la costruzione del Museo dell’ Acropoli. 3 ζ. I grandi scavi: Kavvadias e Kawerau Balanos e il recupero dell’Antico splendore dell’Acropoli. 3 η. La seconda ricostruzione del Tempio di Atena Nike e il ‘restauro del restauro’. 3 θ. La commissione per la conservazione di monumenti dell’Acropoli. CAPITOLO 4. CAPITOLO 5. L’ area a sud-est del Partenone L’ area a sud-est del Partenone 4 α. Lo stereobate 5 α. Allestimento “Metoikesis” 4 β Le Mura Sud 5 β La storia “Perserschutt” 4 γ. I muri di ritenzione e gli strati di riempimento 5 γ.Il Progetto “υπo ακρòπολη” CAPITOLO 1 INDICE DELLE FIGURE fig. 26 Propilei, planimetria fig. 27 Ricostruzione del sistema di ingresso in epoca micenea (J. C. Wright, 1994) fig. 28 Tempietto di Athena Nike, Planimetria fig 1. Il muro Pelargikon (Boetticher) fig. 29 Fotografia di William James Stillman raffigurante il Tempietto di Atena Nike, facciata est, 1869 fig. 2 Sezione raffigurante la Fonte Klepsydra , profondo pozzo situato nel fronte nord-est dell’Acropoli di Atene (Kienast fig. 30 Balaustrata del Tempio di Atena Nike - p. (Vittoria che si slaccia un sandalo), 410-405 ca. a.C. 1981) fig. 31 Porzione del Fregio del Tempio di Atena Nike fig. 3 Muro in opera ciclopica. fig. 32 Dimitrios Constantin, Eretteo, Portico delle Cariatidi, 1865 fig. 4 Ricostruzione del pianoro dell’ Acropoli risalente al II millenio a.C. fig. 33 Eretteo, (Fergusson, 1880) fig. 5 Bastioni micenei fig. 34 Pianta dell’Eretteo (Tempio dei Pisistràtidi, Boetticher) fig. 6 Ricostruzione del Palazzo Miceneo del Wanàx fig. 35 Eretteo, Planimetria fig. 7 Ricostruzione dell’Acropoli in epoca micenea con il terrazzamento dove sorse il Palazzo fig. 36 Eretteo, ricostruzione del prospetto est fig. 8 Planimetria dell’Acropoli micenea fig. 37 Disegno ricostruttivo dell’ Acropoli alla fine del I secolo d.C. (Stevens, da ‘Hesperia’) fig. 9 La nascita di Atena di Gianfranco Bevilacqua fig. 38 Ricostruzione dell’ incendio che distrusse il Partenone visto dalla collina ad ovest del Licabetto (oggi Strefi), fig. 10 Planimetria dell’a Acropoli arcaica (Dooge 1908) a sinistra il Licabetto, in lontananza le alture del Pireo, il Golfo di Saronicco ed Egina. (M. Korres) fig. 11 Signed vase painting by the Athenian potter/painter Amasis (6th cent. B.C.), depicting Athena and Poseidon. The fig. 39 L’interno del Partenone dopo l’ incendio degli Eruli, dopo 267 d.C. (M. Korres) two figures are labeled ATHENAIA and POSEIDON. The inscription down the middle reads AMASIS MEPOIESEN (“Amasis fig. 40 Metopa deturpata durante il periodo paleocristiano made me”). Amasis may well have been African. (Illustration from a lithograph by Kaeppelin et Cie., ca. 1840. The actual fig. 41 Il Partenone come chiesa (J. Tavalos 1973) vase is in the Cabinet des Médailles, Bibliothèque Nationale de France, Paris.) fig. 42 Pianta dei Propilei nel 300 d.C. fig. 12 Raffigurazione della Nascita di Atena, Pittore Phryno ca. 560-550 a.C. fig. 43 Pianta dei Propilei nel 700 d. C. fig. 13 Tempio di Atena Polias, (Archaios Naos) fig. 44 Fortificazioni dei Propilei nel 300 d.C. fig. 14 Ricostruzione del Tempio di Atena Polias fig. 45 Fortificazioni dei Propilei nel 700 d.C., in alto la porta di Beulè fig.15 Ricostruzione dell’ Acropoli arcaica fig. 46 Il Partenone come Chiesa, (M. Korres) fig. 16 Immagini del frontone dell’ Antico Tempio di Atena fig. 47 Il Partenone come Moschea T(ravlos) fig. 17 Ipotesi sulla localizzazione dell’ Architettura H (M. Korres 1997 b) fig. 48 Ricostruzione della Planimetria dell’Acropoli nel 1687 fig. 18 Gruppo calcareo dal Frontone dell’ Hekatompedon, Heracle e Tritone. fig. 49 Facciata del Partenone in un disegno di Ciriaco d’ Ancona fig. 19 Gruppo calcareo dal Frontone dell’ Hekatompedon, demone a tre teste. fig. 50 Veduta dell’Acropoli nel 1600, era una piazzaforte difesa da un complesso sistema di fortificazioni che irrobustiva Fig. 20 a. Ricostruzione dell’ Acropoli della metà del VI secolo a.C. con il “Bluebeard temple” a Nord (Tempio di barbablù, la ripida parte naturale di roccia. Un basso bastione inglobava il Teatro di Erode Attico, sopra la seconda linea difensiva prende questa denominazione dalle sculture del frontone: tre corpi di uomo-serpente la cui barba era dipinta di blu.). seguiva il tracciato della cerchia antica. Da questi bastioni merlati emergevano i Propilei (sopraelevati e murati nel Me- b. Stessa ricostruzione nella quale si può vedere il tempio in posizione meridionale (dalla parte del Partenone) dioevo) e la Torre Franca. Disegni di I. Gelbrich. fig 51-fig. 52 Raffigurazioni dell’ esplosione del 1687 fig. 21 Ricostruzione della planimetria dell’area ovest dell’ Acropoli nel periodo Miceneo (Dinsmoor Jr. 1979) fig. 53 Due vedute del Partenone che consentono di valutare la gravità delle degradazioni subite dal monumento. fig. 22 Evoluzione dei Propilei: 1. Età classica; 2. Epoca arcaica; 3. Epoca micenea La prima, opera del pittore Gell, risale al 1801 , mentre la seconda è stata realizzata dal compagno di viaggio di Lord Byron (Tratto da: “Acropoli e mito, aspetti religiosi e motivi tradizionali nell’architettura e nell’urbanistica classiche” , M.C. Rug- , Hobhouse che vide il tempio nel 1810. gieri Tricoli.) fig. 54 nella pagina a fianco: ¬¬¬Veduta dell’ Acropoli dalla collina sopra l’Ilisso, fotografia di William James Stillman, 1869 fig. 22 Planimetria dei Propilei fig. 23 Propilei, sezione sull’asse ovest-est fig. 24 Planimetria dei Propilei fig. 25 Propilei, planimetria (bohn1882 ) 1 2 1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla formazione della Pòlis 1 α. La collina dell’Acropoli dalla preistoria alla formazione della pòlis. I primi insediamenti e l’epoca micenea Tra il IV e il III millennio a. C. sulle pendici nord-ovest e sud-est e sulla sommità stessa dell’altura, come prova il ritrovamento di fram- menti d’oggetti di ceramica, di pietra e d’ossidiana e alcune ossa d’animali a conferma di un’ affermazione di Tucidide (Tucidide II, 15, 3-6), si stanziarono in abitazioni rudimentali, gruppi di agricoltori e pastori, seguendo, probabilmente, il modello d’insediamento creato e diffuso dai villaggi neolitici della Tessaglia, Sesklo e Dimini: vale a dire dando vita ad un abitato imperniato su di un’altura scelta quale centro comune di raduno e di difesa ma anche sede delle abitazioni più importanti e magari di una “Casa della Comunità”, integrata a nuclei residenziali e produttivi sparsi. L’habitat permanente sulla piattaforma e sul fianco meridionale dell’altura si intensificò nel millennio successivo a cui risalgono abitazioni e sepolture “a tumulo” e “a cista” per adulti e bambini. Alla metà del II millennio, nel corso del XVI secolo a. C., nelle regioni della penisola greca giunsero, provenienti dal Nord, popoli di ceppo indoeuropeo e lingua greca suddivisi in dàmoi o gruppi indipendenti d’insiemi di tribù, ciascun dàmos fondato sul rapporto gerarchico tra un capo guerriero ed un popolo obbediente. Ove si stanziarono – soprattutto in Beozia, in Attica, in Argolide e in Messenia – i nuovi venuti perfezionarono e rafforzarono un sistema economico e sociale nettamente centralizzato, fondato sulla proprietà della terra a cui finì per corrispondere, di norma, un altrettanto chiaro insediamento bipolare sul territorio che presentava indubbie analogie con la tradizione neolitica: il wànax o re si insediò con la propria famiglia e con i più vicini funzionari su di un’altura dominante e i componenti del dàmos, proprietari della terra, si distribuirono nelle campagne in villaggi e fattorie sottostanti. CAP. 1 VIAGGIO NELLA STORIA DELL’ ACROPOLI « Blind are the eyes that do not shed tears while seeing, O, Greece beloved, your sacred objects plundered by profane English hands that have again wounded your aching bosom and snatched your gods, gods that hate England’s abominable north climate.» Lord Byron, Childe Harod Le conoscenze sull’ Atene di quei secoli sono, in vero, piuttosto confuse, sicuramente non paragonabili a quelle relative a Micene, la città-capoluogo del regno più potente da cui derivò l’appellativo di “micenea” alla nuova civiltà. Tuttavia, dalle ceramiche di varia fattura, dalle sepolture e dalle tracce di costruzioni ritrovate – specialmente in seguito al grande scavo condotto tra il 1885 e il 1890 dalla Società Archeologica Greca - è possibile restituire per grandi linee e con relativa tranquillità lo sviluppo dell’abitato sul sommo, sulle pendici e nei dintorni del colle. Tra la metà e la fine del XVI secolo a. C. sull’altura già si svolgeva una qualche attività produttiva: quasi di certo si produceva ceramica, parte per uso locale e parte da immettere nella rete di scambio organizzata dagli abitanti dell’isola di Egina; sorgeva, inoltre, al centro del lato Nord, affacciato sulle pendici, un edificio di ragguardevoli dimensioni, si direbbe ad unico vano, costruito con il calcare ricavato dal colle. A Sud, in pianura, fu ritrovata una tomba a cista, segno che l’ancor povero abitato di Atene cominciava ad orientarsi in direzione dell’Ilissos. Nel mezzo secolo successivo, tra la fine del XVI e la metà del XV a. C., l’apparizione di ceramica di qualità raffinata conferma che sulla sommità dell’altura si era insediata una famiglia egemone. Sarebbe del tutto logico pensare che sulle cinque terrazze livellate artificialmente nell’area settentrionale del colle si articolasse il palazzo di un wànax , ma, purtroppo, alla logica non corrisponde l’evidenza archeologica: le sole tracce di due basi di colonne non ci consentono di asserire con certezza che anche ad Atene fosse esistito un palazzo, simile a quelli, di sicura esistenza, centrati sui megara colonnati e lussuosi di Pilo, Tirinto e Micene. 3 fig 1. Il muro Pelargikon (Boetticher 1888) 4 1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla formazione della Pòlis Del resto, una vera coerente opera difensiva, che, di norma, si accompagnava ad un tal genere di edificio, non sorse sulla collina prima della metà del XIII secolo a.C.: spostato al confine del pianoro, costruito in opera ciclopica, vale a dire in massicci blocchi irregolari di calcare locale, un circuito di spesse mura – che Erodoto ricordò con l’appellativo di Pelargikòn o “Muro delle Cicogne” (fig.1) come lo chiamarono gli Ateniesi o anche Pelasgikon, termine che fa direttamente riferimento ad una popolazione mitica, i Pelasgi, che avrebbero occupato e tenuto l’Attica prima dell’arrivo dei Greci_[In ogni caso i termini erano usati in antico per identificare una fortificazione, un muro, che è ancora quello che cinge l’Acropoli in età arcaica ed è quello di cui sopravvivono resti in età classica e tutt’oggi]_trasformò l’altura in una vera e propria cittadella, in un’ akropolis (un’ alta città fortificata). Affiancato da un bastione di rinforzo alla difesa (fig. 5), l’accesso principale alla nuova acropoli si trovava ad occidente ove la salita si presentava meno impervia, mentre uno stretto sentiero risaliva il più ripido fianco nord-est giungendo ad una torre di guardia che presidiava lo sbocco sul pianoro sommitale, tra le terrazze e, se mai fosse esistita, verso la reggia. Un’ancor più ripida scala scendeva lungo il fianco nordovest alla fonte Klepsydra, una profonda cisterna d’acqua abbondante; ancora sul fianco settentrionale fu creata una seconda ripida scala per condurre ad una seconda cisterna. (fig.2) Nel frattempo, in sintonia con l’incremento demografico e con lo sviluppo economico, in pianura l’abitato si estendeva per nuclei separati con laboratori per la produzione artigianale e magazzini di stoccaggio, non solo seguendo l’iniziale direttrice verso l’ Ilissos ma interessando anche l’area orientale tra l’acropoli e il fiume e, in direzione opposta, la distesa settentrionale verso l’Eridano ; le corrispondenti necropoli s’accompagnavano ai diversi abitati e tra le tombe a cista usuali si distinguevano a tratti, allineate, testimoni di relativa ricchezza, tombe a camera famigliari precedute da un dromos (ingresso) e dotate di arredi. Un’ ulteriore cinta muraria, il cosiddetto Pelargikon inferiore, cingeva la città bassa, che doveva venirsi a disporre in corrispondenza delle pendici occidentali e in parte sud occidentali della stessa acropoli. fig. 2 Sezione raffigurante la Fonte Klepsydra , profondo pozzo situato nel fronte nord-est dell’Acropoli di Atene (Kienast 1981) 5 fig. 3 Muro in opera ciclopica. 6 fig. 4 Ricostruzione del pianoro dell’ Acropoli risalente al II millenio a.C. 1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla formazione della Pòlis L’età oscura post-micenea XI – VIII sec. a. C. A fig. 5 Bastioni micenei l collasso del potere e del sistema politico delle cittadelle micenee avvenuto sul finire del XII a. C. per cause ancor dibattute – cataclismi naturali, conflitti interni, nuova migrazione d’altri popoli Greci, la cosiddetta invasione o migrazione dei “Dori” secondo l’ipotesi un tempo più diffusa ma non sorretta da evidenti testimonianze archeologiche – seguì per oltre tre secoli un’età definita “oscura”, caratterizzata da contrazione demografica, recessione economica, autarchia, sparizione della scrittura (il lineare B dei Micenei), dal ritorno a forme più primitive e barbariche di vita e di relazioni sociali. Cosa accadde ad Atene ove, peraltro, non è stata rinvenuta alcuna traccia di distruzione o di devastazione violenta o di totale abbandono? Avvenne, probabilmente, quanto successe a Tebe, Orcomeno, Micene o Tirinto: che le pendici della rocca ed ampi inserti della pianura circostante divennero i deserti cimiteri di villaggi indipendenti tanto contratti da ospitare singoli clan legati da rapporti di parentela e guidati, all’occasione, da un capo o basileùs eletto entro e da una limitata assemblea composta dai principali possessori di terre. Nell’oscurità e nella confusione dei secoli post-micenei un testimone però ci assicura di un cambiamento avvenuto nella collina, non un testimone qualsiasi ma il poeta dei poeti epici: Omero. Nel canto VII dell’Odissea, dopo essere apparsa ad Ulisse gettato dalle onde sull’isola dei Feaci ed aver confortato il suo protetto circa il destino che lo attendeva, la dea “glaucopide” Atena, lascia la Scheria per prendere la via di Maratona e di Atene dove, ospite consueta e venerata, penetra nel palazzo possente del re Erettéo - en Erekthéos pukinòn dòmon (vv. 80-81). Nel canto II dell’Iliade, durante la rassegna degli eserciti partecipanti alla spedizione contro Troia, il contingente ateniese è chiamato démos o popolo del grande Erettéo, figlio della terra feconda che un tempo Atena allevò e collocò ad Atene, nel suo nel suo tempio sontuoso ( vv. 545-549). Pur nell’intrico dei problemi ancor dibattuti ed aperti della “questione omerica”, i più autorevoli studi concordano sul fatto che l’Iliade e l’Odissea abbiano preso forma nei “secoli oscuri” - come si voglia chiamare il periodo compreso tra XI ed VIII secolo a. C. - e che, unendo racconti fantastici ad avvenimenti reali, essi abbiano narrato e descritto insieme leggende, fatti, ambienti e luoghi storici d’età micenea e post-micenea senza distinzione, accentuando anzi le innegabili continuità; i più autorevoli studi concordano sul fatto che Omero sia stato il cantore di una lunga “età degli eroi” individuata nel periodo miceneo e che i Greci successivi acquisirono come proprio passato. E’ dunque legittimo confermare che il “possente palazzo”, con il quale potrebbe intendersi più semplicemente una vasta residenza di Erettéo, si trovasse sull’Acropoli in età micenea e che vi sorgesse anche, indipendente e non più come sacrario interno al palazzo, il “sontuoso tempio di Atena” dopo l’età oscura post-micenea, nel periodo cosiddetto “geometrico recente” vale a dire intorno agli inizi dell’ VIII secolo a. C.. E’ legittimo pensare che Omero colga e testimoni, in questo lungo intervallo di tempo, il passaggio dell’Acropoli ateniese da residenza principesca a santuario, santuario dominato da Atena. Ma chi era Erettéo abitante del “possente palazzo”? Perché Atena vi era così famigliare e perché, prima tra gli dei, possedette sull’acropoli un proprio témenos e un proprio sontuoso neòs? Le risposte si celano nel mito o, più precisamente, in due episodi mitici che fanno di Atene una “creatura” di Atena. I miti che nelle loro infinite versioni conobbero i Greci, furono creazione di cantori e poeti – in primo luogo di Esiodo e di Omero stesso - parlavano degli dei e degli eroi nati da capricciosi connubi con gli uomini. I miti non sono chimeriche fantasie, proiezioni – come sosteneva Jung – di un inconscio collettivo o d’un’umanità ancor allo stadio dell’infanzia; al contrario essi costituivano per i Greci verità7 fig. 6 Ricostruzione del Palazzo Miceneo del Wanàx fig. 7 Ricostruzione dell’Acropoli in epoca micenea con il terrazzamento dove sorse il Palazzo 8 fig. 8 Planimetria dell’Acropoli micenea 1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla formazione della Pòlis morali nascoste in immagini fan tastiche o nello svolgimento di un dramma, rispecchiavano la storia delle varie stirpi e delle numerose città e per metafore, spesso surreali, spiegavano e rammentavano ai membri d’una comunità le vicende all’origine della propria storia. La nascita di Atena Narra il poeta Esiodo nella Theogonia che Zeus sposò in prime nozze Metide, la coltissima dea del “saggio consiglio”; ma quand’essa stava per partorire, il marito se la inghiottì per timore che potesse nascere un figlio in grado di spodestarlo nel primato della saggezza. Ma la vita ormai concepita premeva per uscire al mondo e così fu il padre a dover partorire la figlia di Metide ch’era in lui: “levatrice” fu il dio Efesto che percosse la testa di Zeus dalla quale balzò fuori la dea Atena “dagli occhi di gufo” rivestita di tutto punto d’armi d’oro rutilante e lanciando come primo vagito un grido di guerra che riempì di sgomento gli dei dell’Olimpo, il cielo, il mare e la terra (Esiodo, Teogonia, 886-900; Pindaro, Olimpica VII 34 e sgg.; Apollodoro I .3. 6). L’anomalo parto era avvenuto sulle rive del lago Tritonis in Libia o, come altri vuole, su quelle del fiume Tritone in Beozia; fosse come fosse, la venuta al mondo della dea fu provvidenziale per gli abitanti che vivevano radunati intorno alla collina. Traduzione storica del mito. Secondo Apollodoro Platone indica Atena quale divinità protettrice di Atene e la identifica con la dea di origine libica Neith che risaliva ad un’epoca antichissima in cui non si onorava né si considerava la paternità; o, per dirla in altri termini, Atena era già venerata dai primi abitanti della Grecia con molti attributi della dea Madre-Terra e della dea di palazzo d’età micenea; la nascita da Zeus, pur riconoscendo il valore della paternità prima negletta la superiorità del ruolo del padre, legittimava l’inserimento di Atena tra gli dei della nuova civiltà in cui inizialmente prevaleva l’autorità maschile; ella ne costituiva, anzi, la più stimata, temuta e paritetica controparte. La disputa con Poseidone A fig. 9 La nascita di Atena di G. Bevilacqua pollodoro racconta (III, 14, I, 177-180) che, quando gli dei decisero di eleggere una città come propria dimora e di proteggerla in modo particolare (al tempo in cui Zeus iniziò a porre ordine nel cosmo), Poseidone per primo si recò in Attica e scagliò il proprio tridente sull’Acropoli facendovi apparire un “mare”- thàlassan - che Pausania precisa trattarsi di un pozzo d’ acqua. Sopraggiunse Atena che chiamò Cecrope - Kékrops – il “caudato”, dal busto d’uomo e coda di serpente, primo re dell’Attica, a testimone del suo insediamento accompagnato dall’impianto di un albero d’elaiav o d’ulivo nel suolo dell’Acropoli. Ne nacque una disputa e, affinché questa non degenerasse in zuffa violenta, Zeus propose che gli altri dei o, secondo altri, lo stesso Cecrope giudicassero vincitore chi dei due contendenti aveva offerto alla regione il dono più bello. Fu scelto l’ulivo e Atena divenne signora dell’Attica poiché con l’umile utilità aveva vinto l’ostentazione della forza che Poseidone esibì nuovamente dopo il verdetto inondando l’Attica. Traduzione storica del mito. L’ulivo piantato sull’Acropoli costituisce l’elemento simbolico che con più forza individua il radicamento della polis di Atene nell’Attica ed insieme esprime il legame della città con Atena perché l’olivo è da sempre legato alla dea, lucente nelle sue foglie come Atena lo era negli occhi; in quanto prodotto culturale l’olivo, inoltre, segna il processo di culturalizzazione della città alla pari dell’introduzione 9 fig. 10 Planimetria dell’ Acropoli arcaica (Dooge 1908) 10 1α. La collina dell’Acropoli dalla Preistoria alla formazione della Pòlis del vino e dei cereali. Il fallito tentativo di Poseidone sta a significare che gli Ateniesi, che si dichiaravano autoctoni e legati alla loro terra dai tempi più antichi, non vollero mai mostrarsi sopraffatti dagli altri Greci di diverso dialetto, di cui il burrascoso Poseidone costituiva espressione. Il “figlio” di Atena e la genealogia dei primi re di Atene Atena è normalmente considerata Parthenos o “Vergine”, ma talvolta viene invocata anche come Meter o “Madre” (da Pausania, da fig. 11 Decorazione proveniente da un vaso firmato dal pittore Amasis, pittura vascolare (sec.VI a.C.), raffigurante Atena e Poseidone. Eraclide). Secondo una logica estrema essa poteva considerarsi sia l’una che l’altra: madre perché era stata responsabile di una nascita pur senza aver concepito e, quindi, senza perdere la propria verginità. Nella versione di Apollodoro (Apollodoro, III, 14, 6, 188) all’origine di questa “maternità” virginale vi è il seme di Efesto che la dea avrebbe evitato con destrezza incurante del fatto, però, che esso, ripulito dalla sua coscia con un lembo di lana, cadendo al suolo fecondasse la Madre-Terra Gea, la quale, dopo aver partorito un fanciullo, lo consegnò seduta stante ad Atena, colei che aveva eccitato l’eiaculazione di Efesto. La dea affidò il bimbo, celato in un cesto, alle cure di Pandroso, la maggiore delle Agraulidi vale a dire delle figlie del re Cecrope e della sua sposa Agraulo (Aglauro e Aglauridi questi personaggi secondo Pausania). Divenuto adulto il fanciullo divino, chiamato Erittonio, nato cioè dall’incontro tra “lana e terra”, dopo aver scacciato Anfizione (terzo re), ch’era succeduto a Cranao (secondo re), regna come quarto re di Atene, ove innalza il simulacro della dea e istituisce in suo onore le feste Panatenee (III, 14, 6, 190). Dopo la sua morte, Erittonio venne sepolto nel tempio di Atena sull’Acropoli (III, 14, 7, 191), lasciando il regno al figlio Pandione (quinto re) che egli aveva generato con la ninfa Prassitea (III 14, 6, 190); a sua volta Pandione genera quattro figli con Zeusippe: Procne e Filomela e i due gemelli Eretteo e Bute (III 14, 8, 193); alla morte del padre, Erettéo sale al trono di Atene (è il quinto re, nipote del ‘figlio’ di Efesto e di Atena), Bute assume il sacerdozio di Atena e di Poseidone insieme (III 15, I, 196), segno di pacificazione tra le due divinità e coronazione del principio dinastico nella successione. Traduzione storica del mito. La verginità di Atena fu sempre difesa strenuamente dagli Ateniesi che così difendevano la purezza, vale a dire l’autonomia e la libertà, che si pretendevano mai intaccate, della propria città e della propria identità sin dai tempi più antichi. Il passo di Apollodoro (III, 14, I, 177) dedicato alle dinastie che regnarono sull’Attica si configura come una sorta di Anthropogonia che rispetta gli schemi della Theogonia di Esiodo e riflette il principio ideologico di radicamento al suolo proprio della tradizione degli abitanti dell’ Attica e, quindi, degli Ateniesi. Il rapporto con la terra è affermato già dai primi re: sia Cecrope che Cranao sono autòkthones, autoctoni e quindi gheghenes nato da Gea - la Terra - e riconduce alla fase caotica del mondo e a quella in cui Zeus iniziò ad instaurare l’ordine cosmico il cui primo raggiungimento fu la spartizione territoriale e la scelta di una propria città compiute dagli dei. La vittoria di Atena su Poseidone conduce l’Attica entro la sfera di suo padre Zeus, tutore dell’ordine, della giustizia e delle istituzioni cittadine. fig. 12 Raffigurazione della Nascita di Atena, Pittore Phryno ca. 560-550 a.C. 11 fig. 13 Tempio di Atena Polias, (Archaios Naos) 12 fig. 14 Ricostruzione del Tempio di Atena Polias fig.15 Ricostruzione dell’ Acropoli arcaica 1β. I templi arcaici di Athèna Poliàs. Il tempio di Athèna Poliàs I Il l “sontuòso” tempio di Atena sull’Acropoli ricordato da Omero sarebbe sorto sul finire dell’età oscura o, meglio, all’inizio del processo di formazione della pòlis ateniese, vale a dire durante il processo di unione dei villaggi sparsi dei “secoli oscuri” esistenti intorno alla collina in una comunità coordinata e organizzata di uomini liberi. Si può anche dire che il tempio sorse all’inizio del processo di formazione di un centro urbano che stava divenendo contemporaneamente il centro di uno stato composto dal nucleo urbano creatosi intorno all’Acropoli e dai villaggi sparsi nella chòra o territorio economicamente dipendente ed integrato. Il tempio rafforzava l’unione tra i vari nuclei abitati in nome del riconoscimento o meglio di un’appropriazione di una stessa storia e dell’adozione di una stessa divinità protettrice. tempio in cui - come dice Omero - Atena aveva accolto ed allevato Erettéo fu probabilmente il primo di una serie dedicata alla dea in quanto poliàs vale a dire poliade o protettrice della pòlis ed avrebbe ospitato un’antica statua lignea, si diceva piovuta sull’acropoli dal cielo. Ma il tempio in quale zona della collina si trovava ? Nel 1885 l’archeologo tedesco W. Doerpfeld, nell’area nord della collina, in posizione centrale, proprio sulla terrazza dove, secondo alcuni, sarebbe stata la reggia micenea - l’omerica reggia di Eretteo - scoprì le fondazioni di un ampio edificio; poco dopo, in un esteso e spesso riporto di terreno nell’area sud-sud/est dell’Acropoli, il greco P. Kavvadias ritrovò numerosi resti di due frontoni in pòros (calcare tenero del luogo) che nel 1904 un altro archeologo tedesco, T. Wiegand, ricompose attribuendoli a tre assetti di uno stesso edificio templare le cui fondazioni erano quelle scoperte da Doerpfeld a nord della collina e da identificare con l’arcaico tempio omerico di Atena: Dunque secondo Wiegand sull’Acropoli sarebbe sorto in età geometrica un solo tempio tre volte rinnovato. Il tempio, fatto risalire al VII secolo a. C., dotato di una ridotta cella anteriore e tre vani posteriori, fu battezzato “Architettura H”. Ma altri studiosi – il primo fu R. Heberdey nel 1919 - sulla base di un’ iscrizione risalente al 485-484 a. C. leggibile su di una metopa appartenuta all’ ”Architettura H” che menziona il tempio arcaico di appartenenza ed un hécatompédon o un tempio di cento piedi non meglio identificato sostengono che i frontoni ritrovati da P. Kavvadias coronavano due templi distinti ed entrambi già scomparsi nel 485-484 a.C.: l’uno - l’H - eretto sulle fondazioni scoperte da Doerpfeld, l’altro - l’ hécatompédon - eretto nell’area sud, sud/ovest dell’Acropoli, quella ove sarebbe sorto il futuro Partenone (dunque, secondo R. Heberdey i primi templi sull’acropoli sarebbero stati due, in posizioni diverse). Un solo grande tempio tre volte rinnovato o due templi distinti coronavano l’Acropoli arcaica, tra la metà del VII e la fine del VI secolo? La questione è praticamente inestricabile perché ciascuna delle due ipotesi solleva quesiti di difficile risposta. In entrambi i casi, però, dobbiamo per certo immaginare templi perìpteri esastili, vale a dire circondati sui quattro lati da perìstasis di 12 colonne sui lati lunghi13 fig. 16 Immagini del frontone dell’ Antico Tempio di Atena 14 1β. I templi arcaici di Athèna Poliàs. e 6 colonne sui fronti sormontati da timpani ospitanti gruppi scultorei di cui parti consistenti si conservano oggi al Museo dell’Acropoli. L’ipotesi di un tempio unico tre volte rinnovato si fonda sull’assoluta sintonia con i testi antichi che fino al VI secolo parlano sempre e solo di un tempio sull’Acropoli e di un culto di Atena, quello di Atena Poliàs. Secondo I. Beyer, nel suo primo stadio, databile intorno al 650 a. C., l’ “Architettura H” avrebbe avuto una cella in pòros locale, una perìstasis di 6 x 12 colonne in legno, il fronte occidentale sormontato dalla falda posteriore inclinata del tetto e solo quello orientale coronato da un timpano ; un timpano la cui parte destra avrebbe ospitato una possente leonessa che dilania un toro (Museo dell’Acropoli), tema d’ispirazione orientale, assoluta espressione di forza. Nello stadio successivo, 625-600 a. C., il tempio sarebbe stato dotato di colonne di pòros locale e coronato da due timpani della stessa pietra, uno per fronte. Ancora secondo I. Beyer, il timpano occidentale avrebbe mostrato al centro due leoni mentre sbranano un toro (fig 16.), immagine araldica quale contrapposizione di forze uguali. Nell’angolo sinistro dello stesso timpano per chi osserva, un altro gruppo scultureo (anch’esso conservato al Museo dell’Acropoli) avrebbe rappresentato Eracle in lotta con il mostro ittiforme Tritone, il quale fu vinto in lotta da Eracle. Le sculture di destra (anch’esse visibili al Museo dell’Acropoli) avrebbero raffigurato come spettatore della lotta (fig. 18)il mostro dai tre busti umani e unica coda di serpente che Omero chiama l’ halios geròn, il “vecchio del mare”. Nel terzo stato dell’ “Architettura H”, risalente al 520 o 505-500 a. C., Eracle scompare per lasciare prima protagonista Atena, come scompare il calcare sostituito dal marmo dell’isola di Paros; la dea è impegnata nella lotta vittoriosa contro i Giganti mentre il tonante padre Zeus la spalleggia dalla sua quadriga. E’ scomparsa la potenziale parità tra il dio o l’eroe e il mostro ed è scomparsa la rappresentazione sospesa e senza soluzione dello scontro a favore della rappresentazione di un esito, nel nostro caso di una vittoria. La tesi dell’ unico tempio suffraga quella anche dell’ Hécatompedon come edificio non templare qualora l’Hécatompedon non fosse considerato la stessa “Architettura H”. fig. 17 Ipotesi sulla localizzazione dell’ Architettura H (M. Korres 1997 b) L’ipotesi di due templi in due aree diverse, al contrario della precedente, si basa solo su considerazioni architettoniche, topografiche, religiose. Sostenuta da R. Heberdey, W. Dinsmoor, C. J. Herington, H. Schrader e M. Korrès essa poggia sulla constatazione di un orientamento livemente diverso dai sottostanti (meno di 4°) del diciannovesimo filare di blocchi della piattaforma di fondazione del futuro Partenone il che dimostrerebbe l’esistenza di un precedente Partenone con asse lievemente ruotato un poco più verso nord rispetto all’ultimo definitivo. Così l’hécatompédon ricordato dalla famosa metopa sarebbe l’ Ur-parthenon – il primo vero antenato dell’attuale Partenone, vale a dire un tempio risalente alla prima metà del VI secolo - 600-570 a. C.- dedicato al culto di Atena con l’epiclesi di Parthénos. Il suo assetto sarebbe stato, secondo M. Korrés, esattamente quello corrispondente alla seconda fase dell’ “Architettura H”, caratterizzata, nella restituzione di T. Wiegand, da un contrasto di forze tra strutture portanti e membrature portate: vale a dire da colonne doriche poste ad ampi intervalli con fusti a più rocchi scanalati piuttosto snelli memori delle antiche perìstasis lignee e, per contro, da possenti trabeazioni (in questo caso di più di 1,00 m. di altezza) sormontate da variopinti frontoni con i due leoni araldici al centro del frontone orientale, con la presentazione di Eracle all’Olimpo nell’angolo destro, con pantere puntinate scolpite nel marmo dell’Imetto poste entro le metope dei vestiboli. Nell’una o nell’altra ipotesi, comunque, la vita dell’unico tempio o della coppia dei templi di Atena sarebbe stata ugualmente breve. 15 fig. 18 Gruppo calcareo dal Frontone dell’ Hekatompedon, Heracle e Tritone. 16 fig. 19 Gruppo calcareo dal Frontone dell’ Hekatompedon, demone a tre teste. 1β. I templi arcaici di Athèna Poliàs. Nel 490 a.C. i Persiani sbarcano nella pianura di Maratona; intendono marciare su Atene che aveva sostenuto la rivolta delle colonie ioniche dell’Asia Minore. Di gran lunga inferiore per numero ma dotata di miglior armamento la fanteria pesante ateniese annienta e respinge l’esercito aggressore. In segno di ringraziamento per la vittoria in campo e la libertà salvata, gli Ateniesi decidono di erigere nell’area più alta dell’acropoli un gran tempio ad “Athéna Parthénos”, alla “vergine Atena”. Il Nuovo tempio dedicato ad Athéna Parthénos” I Fig. 20 a. Ricostruzione dell’ Acropoli della metà del VI secolo a.C. con il “Bluebeard temple” a Nord (Tempio di barbablù, prende questa denominazione dalle sculture del frontone: tre corpi di uomo-serpente la cui barba era dipinta di blu). b. Stessa ricostruzione nella quale si può vedere il tempio in posizione meridionale (dalla parte del Partenone) Disegni di I. Gelbrich. l nuovo tempio fu iniziato a sud, dove la piattaforma raggiungeva la sua massima quota ma subito discendeva ripida verso il tratto del Pelargikòn sul ciglio del dirupo meridionale. Rimuovendo depositi e detriti secolari ammucchiatisi su quel fianco, i maestri avevano raggiunto e messo a nudo il manto della roccia. Su di esso avevano eretto un’imponente piattaforma di fondazione - un prisma trapezoidale a base inclinata di blocchi squadrati di calcare di 30, 50 metri di larghezza, 82 metri di lunghezza, di 9,75 metri di massima altezza - su cui avevano costruito un crepidoma in blocchi di poros locale, avevano collocato i primi rocchi marmorei ancor grezzi della peristasi del tempio, molto probabilmente un periptero esastilo, quando, nel 480 a. C., a soli dieci anni dalla prima, una seconda spedizione persiana si riversò, per terra e per mare, sulle regioni della Grecia continentale. Atene fu evacuata ma messa a ferro e a fuoco dagli invasori e tutto quel che si trovava sull’Acropoli fu devastato, compreso, naturalmente, il nuovo tempio in costruzione, il cosiddetto “Partenone anteriore”. Riunite le proprie forze, i Greci di varie pòleis contrattaccarono: gli Ateniesi distrussero la flotta persiana nei pressi di Salamina, gli Spartani sbaragliarono l’esercito dinnanzi a Platea. Rientrati ad Atene i suoi abitanti ricostruirono in tempi brevissimi le proprie case, rafforzarono ed alzarono il muro di cinta dell’Acropoli e fecero voto di lasciare a memoria dei posteri le rovine dell’Acropoli tal quali le avevano ritrovate e d’inserire, anzi, i rocchi del tempio interrotto nella cinta difensiva da rafforzare Non durò a lungo il proposito dei memento lasciati per i posteri sull’Acropoli. Fra il 470 e il 467 a. C., infatti, lo statista Cimone promosse ed avviò la ricostruzione del tempio di Atena. In una quindicina d’anni o poco più, Callicrate era giunto quasi a completare al grezzo la perìstasi coronata dall’architrave, a predisporre alcune metope del fregio meridionale, ad ancorare con grappe alcuni segmenti di una base continua profilata alla maniera ionica destinata a raccordare stilobate e cella, quando fu improvvisamente allontanato dal cantiere e messo a dirigere la costruzione del corridoio fortificato che doveva congiungere Atene al Pireo. Cos’era accaduto ? Alla morte di Cimone, nel 450 a. C., erano crollate repentinamente le sorti del partito aristocratico e Pericle, appartenente a una delle maggiori casate di Atene, aveva guidato alla vittoria il contrapposto partito democratico Pericle sospese o cancellò tutte le iniziative di Cimone riguardanti l’Acropoli, sia il tempio in costruzione sia un piccolo tempio da erigere in onore di Athéna Nike già votato dall’Assemblea dei 500 nel 449 a. C. per commemorare le vittorie navali sui Persiani; egli istituì e presiedette una commissione incaricata del rinnovamento dell’Acropoli, affidò allo scultore Fidia il compito di dar corpo a un’effigie colossale della dea e, nel 447 a. C., fece iniziare un nuovo tempio dedicato ad Atena Parthénos - il terzo o addirittura il quarto nell’ipotesi dell’Architettura H come Ur-Parthenon - dall’ architetto Ictino, messo a capo di tanta impresa e di cui, al pari del malvisto Callicrate, non conosciamo che le opere successive. L’Assemblea dei cittadini mantenne il controllo generale sul cantiere nominando cinque supervisori - gli epistàtai - che annualmente avrebbero reso conto dei lavori e delle relative spese. 17 Ma delle vicende dei ‘Partenoni’ parleremo in maniera più approfondita nel capitolo 2. fig. 21 Ricostruzione della planimetria dell’area ovest dell’ Acropoli nel periodo Miceneo (Dinsmoor Jr. 1979) fig. 22 Evoluzione dei Propilei: 1. Età classica; 2. Epoca arcaica; 3. Epoca micenea (Tratto da: “Acropoli e mito, aspetti religiosi e motivi tradizionali nell’architettura e nell’urbanistica classiche” , M.C. Ruggieri Tricoli.) 18 fig. 23 Propilei, sezione sull’asse ovest-est 1γ. L’ Acropoli classica. I Propìlei C Mnesiclès ompiuto il Partenone, l’accesso principale all’Acropoli parve del tutto inadeguato alla maestà del tempio di Atena e, pertanto, nel 437 a. C. Pericle affidò l’incarico di ideare e costruire un nuovo passaggio monumentale sullo stesso luogo del primo all’architetto Mnesiclès, un allievo di Ictino che si rivelò all’altezza del maestro. L’accesso più antico, le “nove porte” d’età micenea, l’una dietro l’altra entro uno stesso baluardo del “Pelargikòn” , al tempo della caduta dei Pisistrati era stato trasformato in una porta monumentale vale a dire in un Propylon , che presentava un volume esterno simile a quello di un tempio in-antis privo di cella , di pianta rettangolare (17 x 14 metri di lato all’incirca), formato da pareti perimetrali in pòros e di quattro colonne marmoree tra ante laterali su ciascun fronte, comprendente, al proprio interno, un tratto del muro di cinta con cinque aperture. Dalla distruzione operata dai Persiani si era salvato solo l’angolo di sud-ovest dell’edificio. L’area ove ricostruire presentava difficoltà notevoli non solo per il permanere di consacrate vestigia, ma, soprattutto, per il dislivello di 1,30 metri da superare tra l’entrata al termine della salita e l’uscita sulla piattaforma rocciosa. ideò un edificio tripartito composto di un corpo centrale tra due ali avanzate (sud e nord) separate dal primo a mezzo di due recessi privi di copertura: volumi chiari e distinti per accogliere cittadini, stranieri e cortei diretti all’Acropoli, confini da valicare, non solo una bella parvenza da contemplare ma anche uno spazio da attraversare. L’allievo di Ictino modificò l’asse del precedente propìleo ed impostò il nuovo con direzione esatta est-ovest, agì nel contempo sul versante della collina ricavando rampe a gradini e tornanti nella viva roccia per ascendere all’Acropoli con minor fatica e conferendo al seno d’arrivo dinnanzi al Propylon il perimetro regolare di un rettangolo aperto sul lato ovest e chiuso su tre lati, come fosse la cavea di un teatro in pòros a quattro file di posti o gradinate. Il corpo che domina al centro è un edificio di pianta rettangolare e di contenute dimensioni, anfiprostilo, esastilo, con entrambi i fronti coronati da timpani privi di sculture. Le colonne doriche in marmo pentelico, che sostengono la trabeazione lievemente inarcata dei fronti, ripropongono lo stesso sistema di proporzioni delle colonne del Partenone (nei Propilei l’altezza delle colonne è pari a 5,47 volte il loro diametro inferiore, nel tempio di Atena pari a 5,48 volte il diametro del fusto alla base). Le colonne, dotate di entasis accentuata, ‘prendono’ vita inclinandosi appena verso l’interno e, in più, verso l’asse principale ove l’intercolumnio si amplia di un valore pari ad 1/3 dei laterali (da 3,63 a 5,44 metri) per accogliere ed evidenziare l’imbocco dell’ agevole rampa che, solcando il crepidoma, s’inoltra nel corpo del Propileo. Le due file di tre colonne ioniche per banda che fiancheggiano il passaggio contrappongono ai corpi robusti delle colonne doriche del fronte agili fusti scanalati a listelli (10, 29 metri l’altezza e 1,04 metri il diametro all’imoscapo) posti su basi attiche e coronati da capitelli a volute, conferendo allo spazio circostante il senso di una maggior estensione in altezza e in profondità. A chi percorreva, infatti, il sentiero inclinato si palesavano dietro l’intermettente barriera due vani simmetrici profondi quanto due intercolumni di facciata. Li copriva alla quota superiore dell’architrave del fronte un soffitto marmoreo a lacunari con rose e stelle dorate fig. 24 Planimetria dei Propilei in campo azzurro chiuso da fregi quadrati ad ovuli e dardi e da kymàtia lesbi e sostenuto da travi monolitiche di marmo, gettate tra le 19 fig. 25 Propilei, planimetria (bohn1882 ) 20 1γ. L’ Acropoli classica. fig. 26 Propilei, planimetria pareti estreme e i due semplici architravi anch’essi marmorei a tre fasce, sorretti dalle colonne ioniche interne. La leggerezza era solo apparente: in realtà le ampie luci tra i sostegni avrebbero chiesto travi di sezione molto consistente, Mnesìcle, al contrario, volle mantenere il loro spessore al disotto di quel che la situazione e la consuetudine consigliavano, rinforzando i giunti delle travi con grappe di ferro impiombate. Superati i 2/3 del percorso interno si presentava innanzi ai cortei una parete intermedia trasversale interrotta da cinque porte di dimensioni variabili e decrescenti ( 4,13 x 7,38 metri la centrale, 1,47 x 3,44 metri le estreme) e sollevata da cinque gradini che superavano e mascheravano il dislivello da superare; l’ultimo gradino rivestito di pietra nera eleusina, costituiva il segno forte di una barriera da superare, il momento di purificazione o di catarsi che il mondo antico annetteva al varco di un passaggio. All’innalzarsi della quota del pavimento corrispose un analogo sollevamento delle linee di gronda e del culmine del tetto, sicchè il manto a due falde della copertura risultò spezzata e sfalsata in due parti. Lo spazio sino a quel punto attraversato celava e anticipava nelle misure e proporzioni le parti più interne del Partenone: l’ampiezza misurata tra le pareti era la stessa del nàos del tempio di Atena (18,12 metri), la profondità misurata tra il limite interno del fronte e il fronte delle porte era la stessa dell’opistodòmo. Superate le cinque porte, cortei e pellegrini entravano nel vano orientale, posato sul piano della collina a mezzo di un basamento alto un solo gradino, mentre il sentiero interno proseguiva il proprio ininterrotto percorso inclinato. Il fronte prostilo esastilo, gemello dell’occidentale, prospettava sull’ampia distesa dell’Acropoli ove la rampa uscente dall’intercolumnio centrale moriva confondendosi con il terreno roccioso dinnanzi all’Athéna Promàchos di Fidia, la statua di Atena conduttrice di schiere dalla lancia dorata visibile fin dal Pireo. Le trabeazioni dei due fronti a quote diverse piegavano d’ambo le parti ad angolo retto posando sulle terminazioni ad anta dei muri laterali del corpo centrale del Propileo: la trabeazione orientale si spingeva all’interno sino alle cinque porte, quella occidentale si fermava sulle terminazioni ad anta. In tal modo l’architetto metteva in bell’evidenza, tanto verso le rampe di risalita dalla città, quanto verso il piano dell’Acropoli, la forma e il volume di un corpo principale inquadrato d’ambo le parti da due corpi laterali di minor altezza, perpendicolari o paralleli alle linee dei fronti . Due edifici laterali, infatti, furono iniziati, ad est, verso l’Acropoli e furono compiuti, ad ovest, verso le rampe. Ai lati del fronte prostilo orientale Mnesìcles aveva ideato due ampie sale ipostile entro volumi pieni (due sole porte per aperture), uguali e simmetrici in opera isodoma. Serrando sui due fianchi il corpo colonnato centrale, ne avrebbero accentuato l’ aggetto e la preminenza in altezza (tenuta minore di 1/5 di quella del Partenone). L’ala o l’aula sud, tuttavia, avrebbe imposto lo spostamento dell’adiacente santuario di Artemide di Brauronia (Artemide Brauronion) e la rimozione di un tratto del Pelargikòn da molti considerato sacro per la sua vetustà. I sacerdoti di Artemide si opposero fieramente e, comunque, nel 431, non essendosi ancora risolta la vertenza, lo scoppio della guerra del Peloponneso consigliò o comportò l’abbandono prima e l’ interruzione poi della costruzione delle due ali. Ad occidente, a destra e a sinistra del fronte esastilo del corpo centrale, alla distanza di un intercolumnio dalle colonne angolari, Mnesìcles innestò e protese due corpi di fabbrica perpendicolari, posati sul comune basamento che, avanzando lateralmente, accoglieva nel proprio seno l’arrivo delle rampe di risalita e del pendio. A entrambi i corpi laterali fu attribuito un fronte molto simile a quello di un tempio in-antis, sebbene non terminassero con timpani frontali ma con una delle quattro falde di un tetto a spioventi. Le due file speculari di tre colonne doriche comprese tra due ante con cui l’architetto risolse le facciate furono mantenute d’altezza pari a 1/3 delle colonne del corpo centrale, scolpite con analoghe proporzioni (5,85 metri l’altezza, 2,51 metri l’interasse, 1,07 metri il diametro inferiore) e poste a intervalli e interassi minori a partire dall’allineamento con il fronte centrale. Ciascuna delimitò un vestibolo antistante un ampio vano o…una parete che lo simulava. 21 fig. 27 Ipotesi ricostruttive del sistema di ingresso in epoca micenea (J. C. Wright, 1994) 22 1γ. L’ Acropoli classica. Il vestibolo settentrionale introduce ad una Pinacoteca, coronata esternamente da un fregio dorico continuo ed illuminata da due finestre laterali e da una porta eccentrica rispetto all’asse della sala ma centrata entro il penultimo intercolumnio antistante. Il vestibolo meridionale, al contrario, non introduce ad alcunché, delimitato come fu da una parete cieca dal momento che la costruzione di un corpo retrostante analogo alla Pinacoteca avrebbe imposto la demolizione di un tratto del Pelargikòn e comportato la separazione dell’area dell’Acropoli dal proprio baluardo naturale a guardia dell’accesso. Per salvare agli occhi dello spettatore la simmetria dei due bracci avanzati il fronte colonnato del vestibolo meridionale fu chiuso da un’anta isolata e per consentire la comunicazione allo sperone-baluardo il fianco occidentale fu lasciato aperto con un solo pilastro intermedio e la parete di fondo fu arretrata in corrispondenza dell’ultima colonna. Abbracciando con gli avancorpi il termine del pendio, solcando con il sentiero il corpo d’ingresso, Mnesìcles introdusse, forse per primo, l’idea che l’architettura potesse consistere non solo nella perfetta conformazione di un corpo splendidamente isolato ma anche nell’articolazione di masse in reciproco accordo e nella successione di spazi da attraversare. Accolto dalle due ali e dal corpo centrale nessuno poteva sottrarsi alla suggestione dell’esperienza spaziale; seguendo il proprio percorso ciascuno avvertiva il sottile conflitto di due direzioni-tensioni contrarie: l’apparire frontale del tempio, l’inoltrarsi della rampa, il dilatarsi oltre le colonne ioniche degli spazi laterali, il prospettarsi intermedio delle cinque porte, il fronte dei gradini da infrangere e superare, l’ultimo fronte potente del vestibolo orientale, l’estendersi oltre della spianata. Nessuno si era probabilmente accorto né degli ostacoli accidentali superati né delle asimmetrie celate. Di più non si poteva chiedere: raramente un architetto riuscì a fare altrettanto con pari chiarezza e semplicità. il tempietto di Athèna Nìke La storia del piccolo tempio di Athèna Nìke, tre volte ricostruito, inizia con un solenne principio seguito da una brusca interruzione. fig. 28 Tempietto di Athena Nike, Planimetria Da due lapidi con iscrizioni conservate al Museo Epigrafico di Atene si deduce che fin dal 450-449 , 449-448 a. C., l’Assemblea popolare aveva deciso di erigere, a fianco, quasi a “guardia” dei Propilei, un santuario in onore di Athèna Nìke, Atena Vittoriosa in battaglia, per commemorare il trattato di pace con la Persia conclusa da Callia. Il tempio, l’altare, il recinto dovevano essere costruiti tutti di marmo secondo le indicazioni già fornite dall’architetto Callicrate su incarico di Cimone. Ma, dalle stesse lapidi, si deduce, anche che, l’insieme fu iniziato solo nel 427-426 e concluso nel 424-423 la guerra contro Sparta iniziata, più di vent’anni dopo il decreto dell’Assemblea e cinque anni dopo la morte di Pericle che in vita si era mostrato, evidentemente, contrario alla costruzione patrocinata dal suo avversario politico Cimone. Il tempietto di Athèna Nìke sorse sullo sperone occidentale dell’Acropoli, un tempo parte del sistema difensivo miceneo e occupato fin dagli inizi del V secolo a. C. da un naìskos con altare antistante (dei quali restano visibili le fondazioni). Quando guidava il cantiere dei Propilei, Mnèsicles aveva provveduto ad ampliare, innalzare, rettificare il perimetro trapezoidale, il vol me prismatico e le facce dello sperone. Perfezionando l’appiombo delle pareti l’architetto dei Propilei aveva contemporaneamente provveduto alla rifinitura del loro rivestimento in opera isodoma di pòros coronata da lastre di marmo a profilo modanato e all’allineamento, in particolare, della faccia settentrionale con il fronte dell’ala sud del proprio edificio in costruzione. Spinto all’estremo limite ovest della terrazza per non invadere l’area esterna al Pelargikòn dedicata ad Artemide (causa prima dell’interruzione dell’ala sud dei Propilei) ed insieme per lasciar posto all’altare 23 ed allo spazio necessario allo svolgimento delle cerimonie rituali, il tempio costruito da Callicrate, di contenute dimensioni,interamente fig. 29 Fotografia di William James Stillman raffigurante il Tempietto di Atena Nike, facciata est, 1869 24 1γ. L’ Acropoli classica. fig. 30 Balaustrata del Tempio di Atena Nike - p. (Vittoria che si slaccia un sandalo), ca. 410-405 a.C. in marmo Pentelico, è un anfiprostilo tetrastilo con due fronti opposti di quattro colonne ciascuno; ma è un anfiprostilo del tutto particolare. Esso è privo di vestibolo e di opistòdomo ovvero dei due vani abitualmente posti tra due tratti di muri sporgenti dinnanzi e sul retro del nàos; eccezionalmente quest’ultimo è più largo che lungo (4, 14 x 3, 78 m) e tra le ante, vale a dire tra le estremità dei muri laterali, si trovano pilastri squadrati anziché le consuete colonne. Sull’ euthinterìa appena emergente e sporgente posa un crepidoma di gradini sottolineati da solchi rientranti tra la pedata e l’alzata. Una base di forma nuova, un’ elegante versione attica delle basi dei templi ionici elaborata da Callicrate (Carpenter la giudica “di superba bellezza”), con un primo toro minuto, una scozia intermedia lievemente concava ma notevolmente espansa, un secondo toro turgido con scanalature orizzontali, àncora allo stilobàte i fusti delle colonne e gli ortostati dei muri laterali. I fusti scanalati a listelli sono monolitici, troncoconici piuttosto massicci e accentuatamente rastremati, con altezza (m. 4,06) pari a 7,61 volte il diametro all’imoscapo (m. 0, 533); li coronano capitelli alquanto espansi - più espansi del consueto - nella colonna d’angolo con voluta esterna cadente e in diagonale visibile di fronte e di lato, con occhio convesso ricoperto da una foglia di bronzo dorato. Come dimostrano gli intercolumni di 1,03 m., pari a poco meno di due fusti accoppiati, Callicrate intendeva ottenere fronti fitti ed accentuati per resistere visivamente alla pienezza, esaltata dalla luce, dei muri isodomi laterali, composti da otto filari di blocchi di marmo, di cui l’ultimo dipinto con serie di fiori di loto e palmette, coronato da una sottile cornice a gola diritta o cyma recta. Sugli abachi dei capitelli e sulle cymae di coronamento delle pareti corre la parte superstite della trabeazione, composta da un architrave a tre fasce e da un fregio piuttosto alto (0,45 m) e continuo scolpito su ogni lato (per una lunghezza complessiva di 25,94 m). Il fregio correva sui quattro lati interamente cinto di lastre scolpite, esposte dal 1999 nel Museo dell’Acropoli, ad esclusione di quattro segmenti conservati al British Museum. Sul fronte una trentina di divinità difficilmente identificabili s’era riunita intorno al padre Zeus, Atena e Poseidone; sugli altri tre lati si svolgevano scene di battaglia, ma non delle mitiche lotte tra Greci e Centauri o tra Greci ed Amazzoni bensì – caso più unico che raro - quelle realmente avvenute tra Greci e Persiani, Greci e Tebani, Spartani o Corinzi. Lavoro collettivo di più botteghe, Il fregio è sicuramente successivo alle sculture del Partenone poiché il moto animato che vi affiora e le posture drammatiche assunte da molte figure cui corrispondono tortuosi drappeggi costituiscono lo sviluppo di posizioni e moti d’animo latenti nella compostezza controllata delle metope e del fregio del maggior tempio d’Atena. fig. 31 Porzione del Fregio del Tempio di Atena Nike Al di sopra del fregio pochi frammenti restano a testimoniare dell’esistenza di una cornice a cyma recta che sosteneva le gronde inclinate dei fronti dipinte a palmette e quelle rettilinee dei lati ritmate dalle protomi leonine per l’espurgo dell’acqua convogliata dagli embrici marmorei delle due falde del tetto. I frontoni (lunghezza pari a 4,45 m, altezza massima pari a 0,555 m) ospitavano anch’essi immagini di combattimenti che in tal caso, però, erano forse, per quel che ci è dato intuire da alcuni frammenti – una testa di Atena e torsi di guerrieri - quelli avvenuti tra Greci ed Amazzoni, tra Dei e Giganti. Un acroterio centrale a doppia figura in bronzo dorato come nel tempio degli Ateniesi a Delo (lo attesta un documento che riporta una spesa particolarmente elevata e lo comprova un antico inventario) svettava all’apice dei frontoni, due 25 figure isolate, probabilmente Vittorie dello stesso prezioso materiale, posavano sui vertici d’incontro tra cateti e base. fig. 32 Dimitrios Constantin, Eretteo, Portico delle Cariatidi, 1865 26 1γ. L’ Acropoli classica. La cella, ornata solo del bell’apparecchio dei suoi muri lapidei, decisamente nuda ed austera se confrontata con il suo involucro splendente e decorato, accoglieva una statua cultuale modesta, forse uno xoanon vale a dire di legno ed antica, raffigurante, eccezionalmente, una Vittoria aptera o senz’ali con una granata, simbolo ctonio, ed un elmo, trofeo di guerra, tra le mani, accompagnata, forse, da una seconda immagine in posizione eccentrica rispetto all’asse d’entrata. In un momento di euforia durante i difficilissimi anni di guerra contro Sparta, molto probabilmente in concomitanza con la vittoria (peraltro occasionale) ottenuta a Cizico da Alcibiade nel 410 a. C., gli Ateniesi decisero di cingere il santuario di Athéna Nike con un parapetto di marmo interamente scolpito: 32 lastre in altorilievo larghe mediamente 1,229 m. per una lunghezza di 41,71 m misurata dalla piccola scala che si arrampica al santuario dalle rampe d’accesso ai Propilei sino alle fondazioni dell’ala sud-ovest mai realizzata. Alto 1, 06 m ma dotato di plinto di base e di una modanatura di coronamento che riducevano, per ogni lastra, il campo utile per la scultura a 0,91m., il parapetto ospitò una cinquantina di figure, di alcune delle quali restano quasi integri i corpi, di molte significativi frammenti. Nessun guerriero è presente; appaiono ai nostri occhi solo figure di dee. Il soggetto è unico: sotto lo sguardo di Atena Vittorie alate preparano sacrifici e riti di ringraziamento. In una lastra a sud la dea dall’ampio cimiero che ha concesso agli Ateniesi il dono della vittoria (il frammento di un’insegna nemica scolpito altrove dice trattarsi ancora di guerre persiane) siede abbandonata su di un trono improvvisato di roccia, posando il braccio sullo scudo reggendo al contempo per un suo lembo il fluente mantello; dinnanzi a lei una Vittoria dalle amplissime ali in riposo sistema un trofeo mentre un leggerissimo chitone aderisce alle forme del suo corpo sinuoso riprendendosi in pieghe profonde prima di giungere a terra. In una lastra settentrionale, molto meglio conservata, due Vittorie conducono all’altare un torello recalcitrante: l’una lo guida, l’altra lo calma trattenendolo un poco, le vesti d’entrambe fluttuano in onde create dai loro opposti movimenti aderendo alle convessità dei ventri e dei seni. In una terza lastra meridionale, certamente la più celebre, una Vittoria è sorpresa dallo scultore mentre con gesto infantile slaccia un sandalo profanatore, l’ala ripiegata asseconda l’incurvarsi lieve del dorso mentre un chitone trasparente e leggero rivela la pienezza di un giovane corpo divino. La scultura dell’Attica, concentrata sulle sinuosità dei corpi femminili, nel parapetto del minuto santuario della Vittoria raggiunge l’espressione massima di una voluttà giovanile e il tocco della perfezione. Paionio di Mende, Callimaco, Alcamene: sono i nomi proposti per lo scultore; ma più di tutti probabile è quello di Agoracritos, allievo di Fidia, tornato per quest’impresa dal bronzo al marmo. L’ Eretteo o L’ultimo tempio di Athèna Poliàs Nel canto dell’Odissea che narra d’Ulisse all’isola dei Feaci, ed in quello dell’Iliade dedicato alla rassegna degli eserciti Achei , Omero fa menzione di due edifici ateniesi: la “splendida” reggia d’ Eretteo ed il “sontuoso” tempio dedicato ad Atena. I versi omerici (Odissea, VII°, 81;Iliade, II°, 549), mentre alludono ad un mito piuttosto intricato, sono in accordo con quanto, fino ad oggi, gli studi archeologici hanno stabilito, ossia l’esistenza d’un palazzo e d’un tempio risalenti al periodo miceneo od immediatamente sub-miceneo, che, si sovrapposero parzialmente nell’ area centro-settentrionale dell’acropoli, nel tempo in cui questa andava trasformandosi da rocca a santuario ( dalla fine del XII° secolo a. C. in poi). Il palazzo sarebbe appartenuto ad una dinastia di principi pre-ellenici fondatori della potenza dell’Attica prima del sinecismo di Teseo, tra i quali il mito annoverava la figura del re di Atene, Eretteo che originariamente si identificava con Erittonio frutto dell’amore di Efesto per Atena, ma concepito nel seno della madre Terra, allevato per incarico di Atena dalle figlie di Cecrope, un altro re-serpente partorito dalle divinità ctonie o sotterranee del luogo. Il tempio sarebbe il primo posseduto da Atena sull’area stessa del megaron del palazzo e 27 fig. 33 Eretteo, (Fergusson, 1880) 28 fig. 34 Pianta dell’Eretteo (Tempio dei Pisistràtidi, Boetticher) 1γ. L’ Acropoli classica. sostituito - al più tardi nel VII secolo, sotto il governo dei Pisistratidi - da una nuova costruzione, quando la dea assunse l’appellativo di Poliade (Poliàs), ossia quando divenne, da tutelare del palazzo, protettrice di tutta la pòlis. Secondo lo sviluppo dello stesso mito in età classica quando le figure di Erittonio ed Eretteo si separarono, il re ateniese fu ucciso in un impeto d’ira da Posidone che poi, in atto d’espiazione, assunse su di sè gli attributi del re ingiustamente fatto perire (gli attributi delle divinità pre-elleniche vennero assunti dalle nuove). Dopo la soluzione pacifica della loro contesa per il possesso dell’Attica e dell’acropoli, Atena ammise accanto al proprio il culto di Posidone-Eretteo, con cui condivise, addirittura, il suo tempio più antico. Tutta l’area del palazzo, del tempio e delle loro adiacenze, era dunque uno stratificarsi di testimonianze storiche dei primordi intrecciate al mito e conservava, ben visibili, i segni lasciati dagli dei: la polla salata fatta scaturire nella roccia dal tridente di Poseidone, l’ulivo fatto nascere miracolosamente sul suolo roccioso da Atena, le tombe di Cecrope e della figlia Pandroso. Si presentava, inoltre, spezzata in due parti da una balza rocciosa di quasi 3 m d’altezza: nella zona più elevata, a sud-est della separazione, rinforzata da un terrazzamento artificiale, poggiava il tempio d’Atena, nella inferiore, nord-occidentale, sgorgava la polla, nasceva l’ulivo e giacevano le tombe. Al centro dei sepolcri regali e delle tracce divine, per metà sulla piattaforma superiore e per metà sull’ inferiore, accanto all’antico, gli Ateniesi vollero costruire interamente in marmo pentelico un nuovo tempio di Atena Poliade, mentre il Partenone già rifulgeva con tutte le sue sculture. Sebbene completasse, in certo qual modo, il programma di rinnovamento di Pericle (morto nel 429 a. C.), la costruzione del tempio fu promossa da Alcibiade, dopo la pace di Nicia del 421 a. C.. Iniziato, probabilmente, in quello stesso anno, fu interrotto nel 413, a causa della sconfitta subita in Sicilia dagli Ateniesi; fu ripreso nel 409 e completato sul finire del secolo. Il nuovo - e terzo - tempio d’Atena Poliade consta di tre corpi in uno; il progetto e la costruzione furono opera dell’architetto Filocle; in epoca romana storici e letterati presero a chiamarlo, dall’appellativo di Poseidone, ‘Eretteo’ (Erekteìov). fig. 35 Eretteo, Planimetria Il corpo principale del complesso è (sostanzialmente) un anfiprostilo ionico a base rettangolare su un crepidoma di tre gradini (di 11,63 x 22,76 m di lato, misurati alla quota del gradino superiore) orientato sull’asse est-ovest. Il corpo del naos è suddiviso, al suo interno, in due celle opposte e separate, a loro volta diversamente articolate. La cella volta ad oriente - un unico vano più largo che lungo -, a quota superiore, poggiata sulla terrazza del tempio più antico, è preceduta da un vestibolo di tipo prostilo, compreso tra una parete con più aperture (una porta e due finestre) e brevi accenni di ante alle estremità e tra un fronte di sei colonne ioniche, alte e snelle (precisamente di 6,59 m. di altezza, 9,5 volte il diametro pari a 0,69 m.). Custodiva il più antico simulacro della dea, una statua di legno che si voleva caduta sull’acropoli direttamente dal cielo. La cella occidentale, alla quota inferiore, era suddivisa, con due tramezzi, in tre vani: due celle adiacenti - dedicate, probabilmente, al culto parallelo di Posidone ed Eretteo con gli altari di Efesto e di Bute, il primo sacerdote d’Atena - servite da un vestibolo comune, il cui fronte era costituito da insoliti sostegni, formati dalla combinazione di quattro semicolonne ioniche (verso l’esterno) e d’altrettanti semipilastri a base quadrata (verso l’interno), compresi entro due ante laterali, larghe ed appiattite. Un’ unica trabeazione corre, ininterrotta, sui quattro lati del naos - sulle colonne frontali ed al culmine delle pareti laterali di blocchi marmorei perfettamente squadrati e levigati - a sostegno d’un solo tetto a falde inclinate che , nelle intenzioni di Filocle, nulla doveva far trasparire dell’interna, singolare, suddivisione. Perciò le semicolonne- pilastro del fronte occidentale, stabilite addirittura d’altezza minore di quelle del fronte orientale, anche se mantenute all’incirca dello stesso diametro (meno snelle, quindi, alte 5,61 m e larghe 29 30 1γ. L’ Acropoli classica. all’imoscapo 0, 62 m), sono, di conseguenza, impostate su di un appoggio elevato, costituito, nel caso particolare, da una parete piena con l’aspetto d’un basamento inserito tra le basi delle semi-colonne ed il terreno, che sappiamo appartenere alla zona di quota inferiore dell’area del tempio. Il sostegno prospetta sul piano roccioso in cui verdeggiava l’ulivo d’Atena e posava il sepolcro di Pandroso, nella cella d’ un tempietto prostilo, tetrastilo; ma dal pianoro, completamente recintato - il Pandrosèion, dal nome della fanciulla che accoglieva - una porta ricavata tra i blocchi marmorei della parete - eccentrica e priva d’ornamenti, negandole importanza per dichiararne soltanto l’utilità - immetteva direttamente nel vestibolo, la cui antica denominazione, Prostomiaion o Prostomieo, indica trattarsi di un luogo affatto particolare, ossia di un vano anteposto ad uno stretto orifizio o ad una porta di limitata ampiezza. Sotto il pavimento del vestibolo, infatti, si aprivano una fossa ed una cavità (visibili attraverso fessure?): nella prima stagnava un laghetto salato in comunicazione con la polla di Poseidone, affiorante in una fenditura della roccia, posta al di fuori del corpo del naos ; la seconda racchiudeva la tomba di Cecrope e, parte, usciva all’esterno, entro la terrazzadel più antico tempio d’Atena, parte - accessibile dal Pandrosèion - rientrava sotto l’angolo sud-ovest del nuovo. Per abbracciare entro l’area del tempio il segno divino e la regale sepoltura ( testimonianze di verità storica del mito), Filocle progettò due corpi minori aggiunti, addossati al corpo principale ma ideati e costruiti con forme proprie, autonome e distinte. Al lato settentrionale del naos accostò un vestibolo ampio e profondo (di 10,60 m di larghezza e 6,75 m di profondità) con quattro colonne sul fronte ed una su ciascun lato. Poggiate su di un crepidoma a tre gradini, le colonne, particolarmente alte e snelle (7,63 m l’altezza; 0,82 m il diametro inferiore), presentano un’entasi lievissima e s’inclinano impercettibilmente verso l’interno (0,02 m appena) prima di raggiugere la trabeazione, il timpano volto a settentrione ed il proprio tetto a falde inclinate, il cui culmine cade esattamente al di sotto del geison del corpo principale. Ecentrico e spostato com’è verso l’estremità ovest della parete settentrionale il corpo del vestibolo sopravanza per un buon tratto quello del naos, nella misura utile a ricavare, nella sporgenza, un’apertura che conducesse al Pandrosèion, di cui il portico venne a costituire una sorta di propileo. Una seconda porta, la principale, dalle dimensioni monumentali e dal raffinatissimo decoro ( un rettangolo di 2,43 x 4,88 m di lato), conduce al Prostomieo mentre, perfettamente in asse con l’intercolumnio centrale, lascia, alla sua destra, l’entrata al recinto, alla sua sinistra un pozzo che racchiude una fenditura nella roccia - contenente la polla del mito- fatta sgorgare dal tridente di Posidone. E’ probabile che intorno al pozzo - illuminato da una corrispondente apertura, lasciata nel tetto - si svolgesse qualche rito collegato al culto del dio e che vi si potesse assistere dalle gradinate come fossero un segmento di cavea trapezoidale simile a quelle dei teatri più antichi, ottenute più ad est approfittando del dislivello dell’area. Sul lato meridionale del naos, sempre al termine della parete, verso occidente, l’architetto innestò un altro edificio. Una loggia, propriamente, costituita da un alto zoccolo o basamento, su cui poggiano, in luogo delle colonne, sei statue femminili - quattro sul fronte e due sui lati - che reggono un tetto piano a forma di baldacchino. Le fanciulle (o Korai) rappresentate portano sul capo fig. 36 nella pagina a fianco: Eretteo, ricostruzione del prospetto est un cesto, a guisa di capitello, ragion per cui alcuni presumono trattarsi delle Arrefore, ossia delle sacerdotesse che ogni anno scendevano al santuario di Afrodite ed Eros (sulle pendici dell’acropoli) con un dono misterioso o delle figlie di Cecrope con la cesta in cui si nascondeva il fanciullo-serpente Erittonio. 31 fig. 37 Disegno ricostruttivo dell’ Acropoli alla fine del I secolo d.C. (Stevens, da ‘Hesperia’) 32 1γ. L’ Acropoli classica. Si tratta, in ogni caso, di immagini che gli Ateniesi dovevano immediatamente associare a culti misterici ed antichi, con riferimento alla morte ed alla vita. Tanto più che la loggia si sovrappone all’andito della tomba di Cecrope, alla quale consentiva di scendere scendere, grazie ad una scaletta a gomito che attraversava il Prostomieo; è, si può dire, essa stessa la parte superiore o la sovrastruttura della tomba: ripropone, infatti, con lo zoccolo e il sistema di sostegni e copertura, la forma antica d’un monumento sepolcrale, la perfeziona, la nobilita e la stabilisce per il futuro (la tomba di re Mausolo, il “Mausoleo” di Alcarnasso, ne costituì l’esempio magnifico e colossale). Nel luogo cruciale dell’acropoli ove si sovrappongono e si confondono i miti con i miti, il mito con la storia, le tracce degli dei con le spoglie degli eroi, ogni vestigia è presa ed abbracciata entro l’Eretteo, entro il suo corpo principale ed entro quelli congiunti, ciascuno con la forma che discende solo dalla propria ragion d’essere o natura. L’intreccio dei miti spiega il “mistero” della forma complessiva. E’ perfettamente coerente a se stesso l’insieme di reliquari in cui consiste l’Eretteo, che squadre e squadre di abilissimi scalpellini (o raffinatissimi scultori?), sotto la guida di Filocle, resero preziosi nell’aspetto prodigandosi nel trattamento delle superfici e nelle decorazioni. Le Korai della loggia meridionale furono scolpite, probabilmente, dall’allievo di Fidia, Alcamène; la posa, comunque, - una gamba caricata dal peso, l’altra ripiegata all’indietro - che riproponeva quella dell’equilibrio chiastico o di contrapposizione alla maniera di Fidia e Policleto, conferisce ai corpi un lieve movimento o una sottile tensione che rinviano, a loro volta, per lo sforzo che implica, alla trabeazione portata (tenuta a quota decisamente inferiore a quella del corpo principale), costituita da un basso architrave a tre fasce, alleggerito da rosette (rimaste incompiute), e da una cornice a dentelli, come nei templi immensi della Ionia orientale. Riunendo e distinguendo anche la decorazione fu coerente con l’intento di Filocle e con lo spirito di tutto l’Eretteo. E’ interessante notare,sulla base dei precisissimi rendiconti finanziari rimasti, che alle decorazioni fu dedicata un’attenzione pari (se non superiore) alla costruzione. Nel 409 una commissione fece il punto della situazione, quando il cantiere temporaneamente si fermò a causa degli oneri imposti dagli eventi bellici che, tra l’altro, non erano favorevoli. Dalla relazione si deduce che il tempio era giunto fino all’imposta della trabeazione, che il portico nord stava per essere compiuto mentre lo erano del tutto il fronte orientale e la loggia delle Korai. Le colonne del fronte orientale non erano ancora scanalate e nemmeno le pareti erano rifinite del tutto. Fregio, geison, soffitto e tetto non erano iniziati. In resoconti successivi furono annotati il nome, la provenienza, la paga d’ogni lavoratore, compreso l’architetto (che era sostanzialmente considerato direttore dei lavori). Per tutti, senza distinzione, una dracma al giorno. I tagliapietra lavoravano in squadre da 4 a 7 persone, spesso padre e figli. Per scanalare una colonna un tagliapietra, da solo, impiegava 350 giornate lavorative, in squadra due mesi: dapprima l’arrotondamento della colonna messa in opera grezza; quindi un primo sfaccettamento corrispondente al numero delle scanalature e dei listelli; ancora l’escavazione delle scanalature; infine la levigatura e la pulitura definitive delle parti. Gli stessi tagliapietra lavorarono probabilmente alle figure del fregio, ciascuno secondo la propria inventiva, pur servendosi di un modello.. 33 fig. 38 Ricostruzione dell’ incendio che distrusse il Partenone visto dalla collina ad ovest del Licabetto (oggi Strefi), a sinistra il Licabetto, in lontananza le alture del Pireo, il Golfo di Saronicco ed Egina. (M. Korres) 34 fig. 39 L’interno del Partenone dopo l’ incendio degli Eruli, dopo 267 d.C. (M. Korres) 1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli durante i secoli Le trasformazioni degli edifici dell’Acropoli durante i secoli Il Partenone: Nostra signora di Atene L’inizio del Cristianesimo in Grecia risale ai tempi di San Paolo: ma nonostante la forza della predicazione dell’apostolo i cittadini delle antiche poleis non si staccarono e non si stancarono presto degli antichi dei. Gli Ateniesi costruirono le loro prime chiese solo intorno agli inizi del V secolo d. C.: una sull’isola dell’Ilissos con impianto basilicale a tre navate e transetto a croce ridotto, l’altra, a pianta centrale tetraconca nel cortile della Biblioteca di Adriano. Nella città, tuttavia, aleggiava ancora il ricordo del glorioso passato che, del resto, l’Acropoli ed i suoi edifici quotidianamente testimoniavano. Perché non far uso dei loro spazi e volumi circondati ed ornati di colonne e che, con calibrati ma non esagerati accomodamenti, si potevano trasformare in chiese? Non fu difficile intravedere una chiesa nel Partenone già suddiviso in tre navate e senza più l’ingombro della statua cultuale di Atena scomparsa ormai da tempo (forse già nell’incendio del 267 d. C.): fu sufficiente pensarlo rovesciato entro l’immutato bel corpo esteriore scandito da colonne di marmo. E così, ruotato di 180°, con l’ingresso volto al tra- monto del sole e dedicato non più alla Vergine Atena ma alla Vergine Maria, il Partenone non solo divenne una chiesa ma la chiesa cattedrale: Nostra Signora di Atene. fig. 40 Metopa deturpata durante il periodo paleocristiano fig. 41 Il Partenone come chiesa (J. Tavalos 1973) In seguito alle trasformazioni, il pronàos ovest divenne l’esonartece, l’opistodòmo un vasto endonartece con tombe e battistero; l’interno del nàos, con l’apertura di tre porte e l’inserimento di un cancello, divenne il corpo occidentale costituito da tre navate e confinante con lo spazio orientale dell’altare e del coro absidato aggettante provvisto di syntronon che, nel XII secolo, l’arcivescovo Nikolaos Ayothodoritis fece ampliare ulteriormente fino ad inglobare le due colonne centrali del pronàos. La lastra centrale del fregio interno alla peristàsi (e culmine della processione scolpita) dovette essere smontata per far posto sul fronte est all’emergere del cilindro absidale ed alcune lastre sui lati lunghi vennero ugualmente rimosse per accrescere il vano d’altrettante finestre aperte sul tetto ad illuminare lateralmente l’interno; anche il timpano ovest fu spezzato tra le figure di Poseidone e di Iris per aprire una finestra nella torre della scala a chiocciola che dal pronaos saliva al sottotetto (nessuno può dire dove e come finirono le figure eliminate). Con i vuoti e le distruzioni che presentavano ancora nel 1674 i timpani furono disegnati da un anonimo pittore fiammingo (un tempo si credeva il francese Carrey) al seguito della spedizione del marchese Nointel; ritraevano uno stato ancora invidiabile delle sculture prima delle ulteriori distruzioni causate dalla guerra di Morea (il Peloponneso). Quanto alle metope, furono scalpellate quelle dei fronti e del lato nord per rendere incomprensibili soggetti giudicati inequivocabilmente pagani, furono risparmiate, invece, la Centauromachia del lato sud perché interpretata come serie di lotte contro demoni e la metopa d’angolo nord-ovest (la XXXII nord) con le figure acefale di Atena ed Era in cui si volle vedere la rappresentazione dell’Annuncio a Maria ispirata anzitempo ad ignari artigiani dalla infinita Sapienza del vero Dio. Analoga conversione fu attuata all’Eretteo, ove la differenza di quota dei vani interni al naos rendeva l’intervento più complesso. Il piano di calpestio fu abbassato al livello del prostomiaion che divenne un esonartece accessibile lateralmente dall’entrata monumentale del portico nord e frontalmente da quella rivolta ad ovest comunicante con il recinto del pandroseion che divenne un atrium semi- 35 fig. 44 Fortificazioni dei Propilei nel 300 d.C. fig. 42 Pianta dei Propilei nel 300 d.C. 36 fig. 43 Pianta dei Propilei nel 700 d. C. fig. 45 Fortificazioni dei Propilei nel 700 d.C., in alto la porta di Beulè 1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli durante i secoli nato qua e là di nuove tombe. Tre porte, la maggiore al centro e le minori a lato, ricavate sul muro trasversale in poros delle due antiche celle occidentali, formarono gli accessi ad altrettante navate; navate distinte da serie di colonne in marmo verde fino al traguardo dell’iconostasi, oltre la quale si allungava di traverso un finto transetto prima del coro situato nell’abside semicilindrica spinta e per metà incavata nel portico esastilo del tempio. Ne risultò una chiesa d’impianto sobrio e chiaro che alcuni graffiti superstiti suggeriscono dedicata alla Théotocos, alla Vergine Madre di Dio. Il varco monumentale dei Propilei che segnavano il passaggio dal profano al sacro non mutò né forma né destinazione pur se la pinacoteca e il tempio di Atena Nike furono rispettivamente adattati ad abitazione e cappella arcivescovili; fin dal regno di Claudio (44 d. C.), comunque, le rampe a tornanti di risalita avevano lasciato posto ad una scalinata frontale il cui accesso dopo l’invasione degli Eruli (267 d. C.) e sotto il regno di Probo (276 e 282 d. C.) era stato protetto da una porta fortificata, chiamata in seguito porta “Beulè” dal nome dell’archeologo che la riscoprì. Succedendo ai funzionari bizantini, al tempo delle Crociate s’alternarono al governo della città e d’un territorio che andava dalla Megaride alle Termopili signori Borgognoni (1204 -1311), Catalani (1311 –1388) e Fiorentini (1388 – 1458), fregiandosi tutti del titolo di duca d’Atene. Gli edifici dell’Acropoli rimasero quel che erano ad eccezione dei Propilei trasformati progressivamente in un castello fortificato, residenza ducale. I francesi s’erano limitati a creare nel corpo centrale suddiviso dalle due serie di colonne ioniche un vestibolo che dava accesso alla pinacoteca sopraelevata di un piano adattata ad appartamenti con terrazza e cappella al di sopra dell’ala settentrionale. Il fiorentino Antonio Acciaiouli (1403 – 1435) fu più radicale: incorporò senza nulla distruggere colonne e pilastri antichi entro nuove spesse murature di chiusura d’atrio, vestibolo e residenza proteggendo il tutto con avancorpi e bastioni difensivi; sbarrata la porta “Beulè” e ripristinate le antiche rampe, innalzò una torre di guardia nel portico sud dinnanzi al tempietto di Atena Nike. Il sette dell’aprile 1436 giungeva ad Atene, provenendo dalla Beozia e percorrendo presumibilmente la strada che si snodava sul fondo valle tra il Parnete e il Pentelico, il mercante-umanista italiano Ciriaco de’ Pizzicolli, più noto come Ciriaco d’Ancona. La visione che da lontano lo attrasse subito non poté essere che quella dell’Acropoli. In un cattivo latino, appreso da autodidatta, Ciriaco ci ha lasciato nei Commentari del suo viaggio (perduti, ma di cui possediamo una trascrizione secentesca) le prime più immediate impressioni di questa sua prima visita (ne segui un’altra nel 1444), offrendoci un quadro, con animo tra lo stupefatto e lo struggente, delle condizioni d’una terra e d’una citta un tempo celeberrime ed allora del tutto derelitte: «... Arrivai ad Atene - scrive il Pizzicolli -, e vidi da ogni parte grandi muri edificali ridotti in rovine dal tempo, presenti per ogni dove, dentro citta e fuori, per la campagna, edifici di marmo inimmaginabili, palazzi e templi sacri, e sculture d’ogni tipo, opere mirabili per l’arte stupenda di chi le aveva eseguite; ed enormi colonne. Il tutto pero in stato di grande rovina, in tanti mucchi da ogni parte”. Ma ciò che soprattutto merito la maggiore attenzione era il sovrastare della rocca cittadina con il suo imponente e meraviglioso tempio marmoreo della divina Pallade, opera, anch`essa divina, di Fidia. Esso consta di ben 58 colonne del perimetro di sette piedi, ed e da ogni parte ornato con sculture di nobilissima fattura, sull’una e sull’altra fronte, nonché sulla fascia più alta delle pareti. All’esterno, sugli architravi, si può ammirare una battaglia di centauri, prodotto meraviglioso dell’arte dello scultore » 37 fig. 46 Il Partenone come Chiesa, (M. Korres) fig. 47 Il Partenone come Moschea T(ravlos) 38 Mediante la forza che non escluse azioni diplomatiche, gli Ottomani conquistarono l’Acropoli nel 1456, riconfermando la natura ormai acquisita di fortezza, sede proibita ai cristiani di una guarnigione militare e del suo comandante insediato nel palazzo degli Acciaiuoli. Partenone ed Eretteo non subirono che blande trasformazioni: cancellando i supporti della liturgia cristiana il primo fu convertito in moschea segnalata all’esterno da un minareto che spuntò ritto come una lancia dal pronaos ovest, il secondo in un harem. Nell’atrio dei Propilei trovarono posto polveri da sparo che nel 1640, colpite da un fulmine, deflagrarono danneggiando gravemente colonne e copertura. I Nel settembre 1687, approfittando delle sconfitte subite dai Turchi alle porte di Vienna ed entrati nella “ Santa Lega ” con l’Austria, la Polonia ed il papa, i Veneziani, al comando del doge Francesco Morosini e del generale in capo delle truppe lo svedese conte Koenigsmark, riuscirono a riconquistare la Morea da cui mossero fino ai piedi dell’Acropoli sbarcando al Pireo con i propri cannoni. Un nugolo di palle investì le mura rinforzate anche con le pietre del tempietto di Atena Nike smontato per l’occasione e il Partenone ove la scarna guarnigione turca aveva ammassato le polveri dopo il fulmine sui Propilei (?)e radunato donne e bambini. Le trecento vittime delle esplosioni furono compiante assai meno degli edifici danneggiati. Il Partenone ne uscì trasformato in fumante rovina: nàos e pronàos quasi del tutto distrutti, otto colonne della perìstasis a nord e cinque a sud abbattute, parti del fregio spezzate, copertura volata in frantumi. Salito sull’Acropoli, il vincitore Morosini pensò bene di far calare dal frontone occidentale le quadrighe di Poseidone e di Atena con l’intenzione di trasportarle a Venezia: ma le corde si spezzarono e le statue s’infransero sulla piattaforma sommitale della collina. L’anacronistica conquista della Morea durò ben poco. Turchi si riguadagnarono Grecia ed Atene appena un anno dopo ed una moschea di modeste dimensioni e priva di minareto, ruotata con il suo portico verso nordovest, s’annidò nuovamente nel cuore sconvolto del Partenone. Tornata la calma e ristabilita la pigra e sciatta amministrazione ottomana, l’Acropoli, tornata sede della guarnigione, accolse per tutto il successivo XVIII secolo meno ingombranti e turbolenti visitatori. Con il finanziamento dell’inglese aristocratica “Società dei Dilettanti” che si adoperava nel campo delle arti per un ritorno all’antico, l’architetto N. Revett e i pittori J. Stuart e W. Pars, grazie a compensi distribuiti qua e là, tra 1751 e 1753 riuscirono indisturbati a comporre in due riprese un’infinità d’acquerelli che poi tradussero in più sobrie incisioni pubblicate in quattro volumi tra 1762 e 1816: indubbiamente la prima raffigurazione precisa degli edifici dell’Acropoli o di quel che restava di essi. Tale non si può definire invece il corpus delle pur suggestive ed esuberanti composizioni del pittore francese Le Roy ,che ritrasse l’Acropoli nel 1755, dopo gli inglesi, ma che riuscì a pubblicare le proprie vedute nel 1758, prima di loro. 39 fig. 48 Ricostruzione della Planimetria dell’Acropoli nel 1687 40 1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli durante i secoli Dalla veduta alla copia e da questa al desiderio di possesso di qualche originale i passi furono brevi, incoraggiati dalla compiacenza mercenaria dei custodi. Affascinato dalle testimonianze di un grande passato immerse nel torpore del presente, il conte Choiseul Gouffier, avendo già pubblicato con successo il primo volume di un Voyage pittoresque de la Grèce, (1781), mentre era ambasciatore di Francia presso l’impero Ottomano inviò come proprio agente personale ad Atene, ch’egli ancora non conosceva, lo scultore Sébastian Fauvel ad eseguire copie in gesso delle metope e del fregio del Partenone e di due Korai dell’Eretteo. Mentre per suo ordine i gessi venivano esposti al Louvre affinchè li ammirassero tutti i parigini, l’ambasciatore non tardò a far chiedere al capo-guarnigione da Fauvel il permesso di prelevare segmenti del rilievo, una cariatide…insomma, quanto più poteva. Fauvel, tuttavia, si mantenne più che moderato dinnanzi al crescendo dei desideri e si limitò ad inviare in Francia solo due metope (una fu intercettata dagli inglesi) ed il frammento con le Ergastine del fregio, mentre cercò di arrestare una spoliazione di enorme portata che stava concludendosi sotto i propri occhi. fig. 49 Facciata del Partenone in un disegno di Ciriaco d’ Ancona fig. 50 Veduta dell’Acropoli nel 1600, era una piazzaforte difesa da un complesso sistema di fortificazioni che irrobustiva la ripida parte naturale di roccia. Un basso bastione inglobava il Teatro di Erode Attico, sopra la seconda linea difensiva seguiva il tracciato della cerchia antica. Da questi bastioni merlati emergevano i Propilei (sopraelevati e 41 murati nel Medioevo) e la Torre Franca. fig 51 -fig. 52 Raffigurazioni dell’ esplosione del 1687 42 1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli durante i secoli Nel 1801 lo scozzese lord Elgin, ambasciatore d’Inghilterra presso la Sublime Porta, ottenne il permesso di prelevare dall’Acropoli “qualche” lapide iscritta e “qualche” scultura. L’autorizzazione non precisava trattarsi solo di quelle cadute intorno o anche di quelle rimaste ancorate agli edifici ma Sir Elgin non si fece scrupolo di interpretare la concessione a proprio favore e ordinò al drappello di artisti che lo aveva seguito per eseguire i calchi delle sculture sotto la guida del pittore napoletano Lisieri di rimuovere e calare dal Partenone metope, fregio e quel che restava dei frontoni. E’ vero che si trattò di uno spoglio pressoché totale ma è anche vero che, al fine di porre al sicuro e sotto gli occhi di artisti e cittadini inglesi uno dei massimi capolavori dell’umanità, si spogliava un edificio destinato a perire tra l’indifferenza e l’incuria di Greci ed Ottomani, soliti a far uso dei marmi come materiali da costruzione o per estrarre calce a vantaggio delle umili case sorte entro la cinta dell’acropoli. Complicazioni belliche e diplomatiche resero avventuroso il trasferimento delle sculture, perché la Francia, tornata in buoni rapporti con la Sublime Porta, mediante il suo nuovo ambasciatore ed approfittando del termine del mandato di lord Elgin, riuscì ad imbarcare su di un proprio vascello tanto le modeste raccolte di Choisel-Gouffier quanto il “bottino” del gentiluomo scozzese. La flotta inglese, però, sbarrò il passo e sequestrò il carico dell’imbarcazione francese. I marmi raggiunsero Londra ove furono acquistati per una cifra modesta - 35.000 lire – dallo Stato, non senza incertezze sul loro effettivo valore e polemiche sull’operato dell’ex-ambasciatore ma infine affidati per sempre al British Museum istituito nel 1753, rinnovato nel 1823-1846 da Robert Smirke (e, ai nostri giorni, da Norman Foster). Dallo scoppio alla fine della guerra d’indipendenza greca, tra 1821e1833, s’alternano gli assedi all’Acropoli: ora sono i Turchi ad asserragliarsi, ora sono i Greci a difendersi. Il cannoneggiamento ordinato e guidato da Réschid Pascià nell’agosto 1826, oltre ad infliggere nuove ferite al Partenone, colpisce duramente l’Eretteo: crolla parte del portico nord, già quartier generale della difesa greca, è sfondato quasi interamente il muro sud mentre due sole Korai restano in piedi. Nel 1834 la Grecia libera offre la corona al giovane Ottone, figlio di Ludovico I° di Baviera ardente ammiratore dell’Ellade; seduta stante è inviato ad Atene, designata capitale del nuovo regno, il celebre architetto Leo von Klenze, proprio colui che stava conferendo un volto “ellenico” a Monaco, con il compito di aiutare i colleghi S. Kléanthès e N. Schaubert a redigere il piano della città, progettare il nuovo palazzo reale, avviare il restauro della martoriata Acropoli. fig. 53 Due vedute del Partenone che consentono di valutare la gravità delle degradazioni subite dal monumento. La prima, opera del pittore Gell, risale al 1801 , mentre la seconda è stata realizzata dal compagno di viaggio di Lord Byron , Hobhouse che vide il tempio nel 1810. 43 44 1δ. Le trasformazione degli edifici dell’Acropoli durante i secoli Per la collina, immediatamente smilitarizzata, quattro sono i punti cardine del programma. Primo: demolizione delle opere militari ad eccezione di qualche elemento di particolare interesse architettonico; secondo: sgombero delle macerie e restauro del Partenone mediante riuso dei blocchi riconoscibili accompagnato dall’ integrazione di nuovi purché chiaramente distinguibili e dalla raccolta in bell’ordine di tutti gli elementi originali ma non più utilizzabili; terzo: restauro dei Propilei e dell’Eretteo, creazione di un museo all’estremità ovest del pianoro e di portici per ospitare le sculture; quarto: piantagione d’alberi intorno al Partenone. In alternativa all’Acropoli - Museo con l’eliminazione di ogni marmo che non fosse pericleo od immediatamente successivo, K. F. Schinkel, l’ormai celebre architetto berlinese impegnato a far rinascere l’antico nella capitale prussiana, in un progetto del 1834 avanzava l’idea di re-innestare la vita delle istituzioni sulla collina: da trasformare in Museo e Reggia insieme, in un labirintico intreccio di corpi ed ali di fabbriche,colonnati e giardini con Partenone ed Eretteo inseriti al loro interno come maestose impareggiabili rovine. Ma come poteva il sentimento collettivo della nuova nazione accettare l’unione dell’antico al nuovo, lì, su quella collina ove s’innalzavano i monumenti che tutta Europa considerava testimoni ed espressione degli inizi della propria civiltà? (aggiungere qlc sul progetto Schinkeliano). Nel segno della più intransigente restituzione dell’antico e solo di quello risalente al V secolo a. C., il programma di von Klenze partì nella primavera del 1835 affidato alla guida di L. Ross, nominato Direttore Generale delle Antichità. Si inaugurava l’era dei restauri o, meglio, dei rimontaggi o delle ricomposizioni degli edifici dell’Acropoli giunti attraverso le traversìe della storia mutilati, svuotati, scalfiti, scoloriti, spogliati. Ross aprì due cantieri: l’uno ai Propilei, l’altro al Partenone; il primo per demolire il muro che sbarrava trasversalmente le rampe di accesso, il secondo per liberare dalle macerie lo stilobate del tempio. Bisogna dire a merito di Ross che prima di porre mano – come da programma - a qualsiasi ricostruzione, sentì l’esigenza di attuare scavi che, attraverso la datazione degli oggetti eventualmente ritrovati, potessero restituire le vicende dell’Acropoli sin dall’inizio della sua vita: egli fu tra i precursori della stratigrafia, un metodo di scavo che avvicina alla scienza l’archeologia. fig. 54 nella pagina a fianco: Veduta dell’ Acropoli dalla collina sopra l’Ilisso, fotografia di William James Stillman, 1869 45 CAPITOLO 2 INDICE DELLE FIGURE fig. 1 Piante a confronto: sopra arcaico Partenone; sotto Partenone Pericleo fig. 2 Sovrapposizione delle Piante dei ‘Partenoni’ fig. 3 Pericle fig.4 Athena Varvakeion ,copia di età romana dell’Atena di Fidia fig.5 Ricostruzione dell’ Opistodomo del Partenone (C. Mingkwan) fig. 6 Schemi illustrativi delle correzioni ottiche del Partenone fig. 7 Ricostruzione della camera interna del Partenone con la stauta crisoelefantina di Fidia fig. 8 Ricostruzione del frontone est del Partenone fig. 9 Particolare della cromia del fregio fig. 10 Ipotesi di Fergusson riguardo la copertura dell’ Hekatompedon, si notano le due interruzioni in corrispondenza dei vani luce per l’illuminazione diretta fig. 12 Il Partenone dal lato est con la Moschea ricostruita da Boetticher fig. 13 James Stuart, autoritratto mentre disegna l’Eretteo fig. 14 Plastico ricostruttivo della Moschea all’interno del Partenone fig. 15 Muro nord dell’Acropoli con i rocchi di colonna appartenenti al tempio arcaico, fotografia del 1890 fig. 16 Rocco di colonna ancora oggi presente nell’ aea sud del Partenone fig. 17 Piante dei ‘Partenoni’: sovrapposizione. In nero l’antico partenone e tratteggiato il partenone pericleo (Doerpfeld) fig. 18 Gradini scolpiti nella roccia, lato ovest del Partenone fig. 19 Sezione di dettaglio sul colonnato sud, confronto tra Partenone arcaico e Partenone classico (B. H. Hill) fig. 20 Sezioni totali dell’ Acropoli. 1879 fig. 21 Porzione del Fregio del Partenone raffigurante le processioni Panatenee fig. 22 Metopa XXX del lato sud del Partenone raffigurante la battaglia tra Centauri e Lapiti, 447-432 a.C. fig. 23 Il Partenone e le sue sculture, posizionamento fig. 24 Ricostruzioni del Frontone Est del Partenone a fig. 25 Ricostruzioni del Frontone Est del Partenone b fig. 26 Angolo sud- est del Pre- Partenone (M. Korres) fig. 27 Ricostruzione delle Pendici sud dell’Acropoli nel periodo pre-persiano. (M. Korres) fig. 28 Ricostruzione dell’ Acropoli prima della distruzione persiana, veduta dall’angolo sud- est fig. 29 Planimetria generale del progetto di F. Schinkel, 1834 fig. 30 Prospetto sud del Progetto di Schinkel per il Palazzo del re Otto sull’Acropoli di Atene fig. 31 Dipinto di Le Roy, Il Partenone da sud- est, 1755 fig. 32 Dipinto di C. Hansen, Il Partenone da nord- est, 1835 fig. 33 Galimov, Progetto per un Museo di architettura e arte: ‘The Temple City’, 1988 47 48 2α. Il Partenone nella storia 2 α. Il Partenone nella storia L CAP. 2 I ‘PARTENONI’ « Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così.» Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C. a costruzione del vecchio tempio di Atena ebbe inizio subito prima o subito dopo la battaglia di Maratona del 490 a.C., ma fu raso al suolo dai persiani durante la loro breve occupazione di Atene nel 480 a.C. . La decisione di riedificare i monumenti devastati dell’Acropoli non nasceva semplicemente da una nostalgia del passato, ma guardava al presente, e anche al futuro. Politicamente, Atene era più potente che mai, stato firmato un trattato con i persiani che garantiva alle città greche l’immunità da interferenze esterne e rispondeva allo scopo di fondare, in seguito alle guerre persiane, la lega delio-attica, capeggiata da Atene, la quale, tuttavia, era più di un semplice centro di potere, era anche il polo indiscusso di una stupefacente rinascita intellettuale e artistica, che nei secoli a venire ha segnato profondamente la storia dell’Europa e del mondo intero. Oltre al comando militare anche l’amministrazione del tesoro della neonata lega navale, restava in mano ateniese: gran parte di esso alla fine servirà all’erezione dei maggiori monumenti dell’Acropoli. Il nuovo tempio avrebbe dovuto essere il simbolo visibile e l’incarnazione della fiducia in sè stessa e dell’orgoglio con cui la generazione di Pericle affrontò il mondo, e un’ispirazione per tutte le altre, presenti e future. Come si vedrà meglio nel paragrafo successivo, B. H. Hill nel suo saggio “The Older Parthenon”, aveva ricavato la planimetria di un tempio precedente disposto e in parte eretto quasi sulle stesse fondamenta del Partenone attuale. Osservando le due piante sovrapposte, subito balza all’occhio che i due templi hanno molto in comune. Se si eccettua il fatto che il Partenone posteriore è leggermente più lungo (di una sola colonna), e notevolmente più largo (di due colonne), la pianta posteriore riproduce la precedente quasi in ogni dettaglio. In entrambe, a ciascuna estremità del santuario interno, si trovano dei bassi portici con colonne indipendenti, ed ogni portico è diviso in due locali da una parete cieca. La cella sul retro è relativamente piccola, con profondità uguale o inferiore alla larghezza, mentre l’altro scompartimento, cui si accede attraverso un ampio archivolto che si apre dal portico frontale, è assai più lungo e ha file di colonne interne che lo dividono in un’ampia navata e in navate laterali più strette. Il progetto posteriore riproduce la disposizione sostanziale del precedente, in forma ampliata senza però far corrispondere un proporzionale incremento degli elementi costitutivi della struttura. I nuovi muri non sono più spessi, né le colonne più grosse; la rampa di scalini esterna non è più ampia, quindi presumibilmente non più alta. Fu proprio alla luce di queste osservazioni che maturò la teoria di Hill secondo cui la proporzione degli elementi che costituivano la soprastruttura del nuovo tempio non avvenne proprio perché si riutilizzarono gli elementi del tempio precedente. Ma questa è un’altra storia. Pericle fu eletto ininterrottamente stratega per un lungo trentennio, dal 460 al 429 a. C., questo gli diede modo di essere considerato il vero e unico reggitore di Atene, ancorché proprio in quegli anni e per sua opera la città raggiunse costituzionalmente il livello più alto di democrazia che il mondo antico abbia mai conosciuto. Oltre agli interventi atti al consolidamento dell’egemonia marittima, nel crescente prosperare della città, non si poteva non sancire visibilmente nell’aspetto della città e quindi dell’Acropoli che ne era il centro sacrale e ideale, il segno di un primato che voleva essere soprattutto morale, per quelle virtù per cui si attribuiva principalmente agli ateniesi l’opera decisiva di difesa di tutta la Grecia. Conclusa una pace con la Persia tutte le risorse e le energie potevano essere rivolte alla creazione del complesso monumentale dell’Acropoli. Già intorno al 450 a. C. si era decisa la costruzione del tempio di Atena Nike da collocare sul bastione di sud-est dominante l’accesso all’Acropoli. Percle pensò di accordare la costruzione del piccolo tempio con una nuovo più solenne edificio di accesso , i celebri Propilei, affidati a Mnesicle. Si prospettò anche un nuovo tempio dedicato ad Eretteo il cui edificio primitivo, sul lato settentrionale dell’Acropoli, vicino all’Hekatonpedon pisistrateo, era stato distrutto dall’invasione persiana. 49 Fig. 1 Piante a confronto: sopra arcaico Partenone; sotto Partenone Pericleo 50 fig. 2 Sovrapposizione delle Piante dei ‘Partenoni’ 2α. Il Partenone nella storia Ma su tutti ebbe la preminenza il nuovo tempio dedicato ad Atena. I lavori del nuovo edificio iniziarono nel 447 a.C. e furono completati nel 432 a.C. Non conosciamo molto bene i piani dettagliati della sua costruzione. Gli spiriti animatori ne furono Pericle, rieletto anno dopo anno alla guida del governo, e lo scultore Fidia, che aveva recentemente realizzato una colossale statua di Athena Promachos che si ergeva all’ingresso dell’ Acropoli e che di lì a poco si sarebbe dedicato al tempio di Zeus a Olimpia. Fidia sembrerebbe essere stato il direttore artistico di tutto il programma pericleo di costruzione di nuove opere. L’architetto principale, in questa fase, fu Ictino. «In un certo senso», scrive Wycherly, «il Partenone deve essere stato opera di un comitato. Per molti versi fu opera di tutto il popolo ateniese, non solo perché centinaia di cittadini contribuirono alla sua costruzione, ma perché la responsabilità finale spettava all’ assemblea, che confermava gli appalti che approvava e verificava la spesa di ogni singola dracma». Il tempio, costruito tutto in marmo bianco del vicino fig. 3 Pericle Pentelico, era in stile dorico, periptero, cioè con una fila di colonne che circonda la cella , anfiprostilo cioè con i due fronti della cella aventi colonne antistanti. Le colonne di ciascun fronte erano otto e quelle di ciascuno dei due lati lunghi diciassette, schema che costituiva una innovazione rispetto alla pianta più Lo stilobate, il basamento su cui si erge, misurava 30,87 metri di larghezza e 69,54 metri di lunghezza. Tutto il massiccio di fondazione del tempio, lo stereobate, era fatto di poros, lo zoccolo si articolò in una linea di tre gradini. La cella occupa gran parte dello stilobate e il corridoio creato dalla peristasi risulta stretto. La lunghezza della cella era superiore ai cento piedi; essa infatti fu divisa in due parti , quella in cui si doveva collocare la statua della dea, lunga effettivamente cento piedi, l’altra divisa da quattro colonne era il vero e proprio Parthènon, la parte posteriore riservata alla custodia del tesoro o del peplo sacro. Il nàos è preceduto e seguito da una fila di sei colonne. La cella ospitante la statua di Athena era tripartita in navate da due doppie file di colonne doriche che misurano 1,9 metri di diametro e sono alte 10,4 metri. Le colonne , di ordine dorico, si erigevano direttamente sul pavimento senza piedestallo, con la scanalatura continua fino al capitello sobriamente decorato. In stile dorico così come i triglifi e le metope del fregio esterno, ma sono individuabili anche riferimenti ionici, come l’allargarsi del fronte costituito da otto colonne e il fregio che correva ininterrotto sui lati esterni della cella: questa commistione di elementi dorici e ionici si presentava come un tratto assolutamente originale. L’altezza dei singoli timpani era di 3,46 metri, la larghezza di 28,35 metri e la profondità di 0,91: è soprattutto nella loro decorazione, fatta di statue a tutto tondo, che si poteva ammirare in tutta la sua grazia l’intervento diretto della mano di Fidia. Tutto il progetto è basato su sottili e raffinatissimi calcoli che organizzano in modo equilibrato e razionale la costruzione. Vitruvio riferisce come Ictino, insieme con Karpion, scrisse un trattato sul Partenone: il rapporto 9:4 regola le misure del basamento, della larghezzae dell’altezza, dell’interasse e del diametro delle colonne, della lunghezza e della larghezza della cella. Raffinatissime sono le correzioni ottiche, nella curvatura delle linee orizzontali (stilobate, frontone, cornici dei lati lunghi), nell’inclinazione delle colonne verso l’interno, 51 nell’ingrossarsi delle colonne angolari; gli intercolumni degli angoli sono contratti per attenuare il contrasto angolare. fig.4 Athena Varvakeion ,copia di età romana dell’Atena di Fidia 52 fig.5 Ricostruzione dell’ Opistodomo del Partenone (C. Mingkwan) 2α. Il Partenone nella storia fig. 6 Schemi illustrativi delle correzioni ottiche del Partenone Tutto ciò rendeva il tempio simile a un organismo vivo, organicità che trovava compimento nella sua policromia, nell’ azzurro, rosso e oro delle parti architettoniche (triglifi, cornici e cassettoni), nel rosso, blu, verde e bronzo dorato delle sculture. La pianta dell’edificio non fornisce alcuna indicazione riguardo la cromia. Essa mostra il consueto impianto architettonico tipico del tempio greco: un peribolo esterno di colonne che circonda una semplice camera interna anche se qui, in realtà, si tratta di due vani interni, caratteristica inconsueta che costituisce l’eccezionalità del Partenone. L’entrata principale, ad est, conduceva nel vano più grande, dove giganteggiava la grande statua d’oro e avorio. Intorno al vano, su tre lati, correva un colonnato a due piani, con una fila di colonne che ne sosteneva un’altra soprastante. Ad un certo punto, dopo che l’edificio era stato completato davanti alla statua fu installato un bacino poco profondo, destinato a contenere acqua. Il bacino doveva servire a riflettere la luce che entrava nell’ambiente da est, attraverso la porta principale e attraverso le due sole finestre della stanza, che si trovavano in alto sul muro est. Sempre dall’estremità est si poteva accedere al tetto, attraverso una scala nascosta nello spessore del muro. Gli storici dell’architettura si sono accapigliati per quasi duecento anni sul modo in cui questo tetto fosse costruito. Studi moderni concordano nel dire che la copertura fosse costituita da una superficie continua fatta di tegole di marmo, sostenuta da travicelli di legno. Durante il periodo classico, l’accesso alla camera ovest era possibile solo attraverso la sua porta esterna. Caratteristica principale di questo ambiente erano il gruppo di quattro colonne collocate al centro di esso, e, in contrasto con il luogo in cui si trovava la statua, la sua tenebrosa oscurità. Sembra effettivamente che questa stanza più piccola fosse completamente priva di finestre. Il Partenone, come lo ha recentemente definito un archeologo, era una “cassaforte”. L’edificio conservava i tesori di proprietà della dea, che, nella pratica, non sempre erano facilmente distinguibili dalle proprietà dello Stato. La presenza di tutti questi oggetti di valore determina un’enorme differenza nel nostro modo di concepire l’immagine del Partenone, il suo uso quotidiano e, inevitabilmente, la sua sorveglianza. Immagazzinamento e sicurezza devono essere stati in cima alla lista delle priorità. I nudi muri indicati sulla pianta dell’edificio erano coperti da armadi e da scaffali in grande quantità e il pavimento era disseminato di casse. Per proteggere i tesori contenuti nel portico, furono alzate delle palizzate o delle inferriate in mezzo alla fila interna di colonne, sia all’estremità est che ovest dell’edificio: : i fori di queste installazioni sono ancora chiaramente visibili. Ben lontana dall’immagine per noi consueta di un edificio aperto, quella che si parava di fronte ai visitatori, quando salivano i gradini verso l’ingresso del vano principale est, era una barriera metallica. Il fatto che il Partenone fosse come un forziere, non contrastava con i normali impieghi dei templi greci. Nell’antica Grecia la religione era soprattutto un evento che si svolgeva all’aria aperta: il rituale fondamentale del sacrificio dell’animale aveva luogo intorno ad un altare esterno. Il compito principale del tempio era di alloggiare la statua della divinità. fig. 7 Ricostruzione della camera interna del Partenone con la stauta crisoelefantina di Fidia Il Partenone, così com’era stato eretto nell’età di Pericle, durò solo per due secoli; purtroppo un incendio nel II secolo a.C. , danneggiò gran parte degli interni, incluso il colonnato interno, il soffitto e la statua di culto. Il tempio fu restaurato, con una nuova statua modellata sulla base dell’originale, nel 165-160 a.C., probabilmente a opera di Antioco, re di Siria, segno evidente che il Partenone era un monumento la cui importanza si estendeva ben al di là dei confini della città. Nel 267 d.C. il Partenone venne nuovamente distrutto, stavolta a causa dell’invasione degli Eruli. Nel 362-363 d.C. l’imperatore Giuliano intraprese un ambizioso progetto di restauro come parte della sua campagna per ristabilire la religione pagana in un mondo sempre più cristiano. Ciò significa che l’edificio rimase in rovina per circa un centinaio di anni. I danni causati al monumento erano gravi: il grande tetto in marmo crollò e si frantumò al suolo e le strutture erano indebolite a causa dell’alta temperatura raggiunta dall’incendio appiccato dagli Eruli. Il restauro rispettò la pianta della fase precedente e ricostruì poco di 53 fig. 9 Particolare della cromia del fregio fig. 8 Ricostruzione del frontone est del Partenone 54 fig. 10 Ipotesi di Fergusson riguardo la copertura dell’ Hekatompedon, si notano le due interruzioni in corrispondenza dei vani luce per l’illuminazione diretta 2α. Il Partenone nella storia Ad ciò che era andato perduto: solo le stanze interne furono provviste di un tetto in terracotta mentre il colonnato esterno fu lasciato senza copertura. Le due file di colonne presenti nella cella furono ripristinate fedelmente utilizzando materiale di reimpiego. un certo punto nel V secolo d.C., probabilmente durante il regno di Teodosio II, il Partenone fu chiuso per ordine del governo di Costantinopoli. Poco dopo fu convertito, come tanti altri templi pagani, in una chiesa cristiana, dedicata alla Santa Sapienza. Nel Questo comportò numerose e gravose modifiche al suo impianto. Fu costruita un’abside all’estremità est, che incorporava due delle colonne prostili e bloccava l’ingresso alla cella. Rimaneva dunque un unico ingresso all’edificio attraverso l’opistodomo, che fungeva da nartece o portico della chiesa. Furono ricavati tre ingressi nel muro tra l’opistodomo e la cella. In questo modo l’orientamento dell’edificio fu ribaltato per essere in linea con la consuetudine cristiana. Il pavimento all’ estremità est fu rialzato per formare un presbiterio, sopra il quale fu posto un altare sormontato da un baldacchino supportato da quattro colonne in porfido. Lungo la parte interiore dell’abside correva un synthronon o panca rialzata semicircolare per il clero, con un trono di marmo per il vescovo al centro. Non è chiaro se sia mai esistita una galleria femminile (matroneo). Il tetto, che forse era malandato, fu rialzato lungo l’asse centrale dell’edificio, e tra il tetto vecchio e quello nuovo furono poste delle finestre per far filtrare la luce. Il peristilio fu trasformato in un muro con la chiusura degli spazi tra colonna e colonna all’incirca fino a metà della loro altezza. È probabile che l’interno della nuova chiesa sia stato decorato con mosaici e dipinti, direttamente sul marmo o affrescati su uno strato di intonaco. Su alcune parti di muro ne sono ancora visibili le flebili tracce. Ma non sappiamo pressoché nulla delle prime decorazioni cristiane, molte delle quali è comunque probabile che siano state rimosse o intonacate durante l’iconoclastia dominante nell’VIII e all’inizio del IX secolo. 1458 il presidio franco sull’Acropoli si arrese ai turchi ottomani. Durante il periodo di dominazione turca, l’Acropoli fu trasformata in una fortezza occupata dalle truppe turche e non era facilmente accessibile ai visitatori. Il Partenone divenne una moschea al fine di servire il presidio. I suoi mosaici e affreschi furono imbiancati o intonacati. Le prime descrizioni di Atene da parte di visitatori post rinascimentali risalgono al periodo dell’ occupazione turca. In particolare, i disegni dell’Acropoli e della sua struttura realizzati nel 1674 per l’ambasciatore di Luigi XIV, il marchese di Nointel, offrono una rappresentazione accurata e dettagliata dell’ esterno del Partenone e delle sue sculture. I disegni furono attribuiti a Jacques Carrey di Troyes, e vengono spesso chiamati “i disegni di Carrey”, anche se ora sappiamo con certezza che furono opera di un artista anonimo. Le descrizioni e le illustrazioni del dottore e antiquario francese Jacques Spon di Lione e del suo compagno di viaggio, il botanico inglese George Wheler, che visitarono Atene nel 1676 con una lettera di raccomandazione del marchese di Nointel, sono particolarmente interessanti, dal momento che fu loro concesso di entrare nel Partenone. Il resoconto del loro viaggio in Grecia fu pubblicato a Lione nel 1678 in tre volumi in folio ricchi di illustrazioni; 178 pagine del secondo volume sono dedicate ad Atene. 55 fig. 11 Il Partenone come Moschea (M. Korres) 56 fig. 12 Il Partenone dal lato est con la Moschea ricostruita da Boetticher 2α. Il Partenone nella storia Nel 1687 un’armata veneziana, composta perlopiù da mercenari, assediò Atene nel tentativo vano di cacciare i turchi dalla Grecia. Il 26 settembre, durante un bombardamento dell’Acropoli da parte del conte svedese Koenigsmark, un colpo di mortaio penetrò attraverso il soffitto del Partenone e provocò l’esplosione delle scorte di polvere da sparo che i turchi avevano ammassato nell’edificio. Qualche giorno più tardi la città si arrese ai veneziani. Il Partenone era stato pesantemente danneggiato dai combattimenti. La porzione centrale dei colonnati della parte lunga e le colonne nel portico est erano andate distrutte, così come la parte superiore dei muri della cella, mentre il colonnato interno era stato abbattuto. Nel corso dei due anni di occupazione veneziana, l’edificio subì ulteriori danni per via della rimozione delle sculture. Il comandante veneziano Francesco Morosini, ansioso di emulare il doge Enrico Dandolo, che nel 1204 aveva riportato indietro con sé da Costantinopoli i quattro cavalli di bronzo che ora adornano la facciata della basilica di San Marco, cercò di portar via le sculture del frontone ovest del Partenone. Il peso delle sculture, però, era eccessivo per gli strumenti che i suoi ingegneri avevano a disposizione, ed egli riuscì solo a danneggiare gran parte di esse. Il Partenone non poteva più fungere da moschea dopo il bombardamento veneziano. Ma a un certo punto, tra il 1689 e il 1755 , una piccola moschea priva di fondamenta fu costruita all’interno dei muri della cella e non fu demolita finché una grossa sezione collassò nel 1842. fig. 13 James Stuart, autoritratto mentre disegna l’Eretteo Nel 1799 Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, fu nominato ambasciatore britannico presso il governo ottomano. Le sue intenzioni iniziali non risultarono ben chiare, ovvero se fosse interessato semplicemente a copiare le sculture del Partenone o a impossessarsi di alcuni esemplari di esse. L’esplosione avvenuta con il bombardamento del Partenone da parte dei Veneziani danneggiò in maniera molto pesante il lato sud del tempio mettendo a nudo il fregio interno, rimasto ‘celato’ in periodo cristiano. Bisogna pensare che il Partenone che si trovava dinnanzi a Elgin era un edificio molto differente a quello che potrebbe trovarsi di fronte oggi un visitatore contemporaneo. Si trattava di un edificio quasi del tutto abbattuto: colonizzato da una moschea, invaso dalla baraccopoli di una guarnigione e per oltre un secolo spogliato dalla gente del luogo e dai visitatori. Non fu certo cosa difficile dunque per lui convincersi che i marmi sarebbero stati più al sicuro sotto sua tutela. Fu così che, se non si può dire che saccheggiò un ‘sito archeologico’ , nel senso che noi potremmo intendere, Elgin mise in atto una spietata e sistematica rimozione delle sculture ancora esistenti di una preziosa testimonianza dell’antichità classica, incurante del fatto che il suo gesto avrebbe privato le generazioni future di poter mirare ancora una volta il tempio nella sua originaria integrità. In generale poi non si criticò tanto l’idea che Elgin trasferisse in Inghilterra i pezzi trovati scavando o quelli che erano stati murati nelle case turche dell’Acropoli; ma i critici manifestarono il loro orrore per gli scalpelli, le seghe, le corde e le carrucole che segnarono lo smembramento delle parti più alte dell’edificio ancora esistenti per asportarne le sculture, tanto che si ritenne la barbaria degli agenti di Elgin persino peggiore di quella dei Turchi. Ultima fase “distruttiva” del Partenone avvenne durante la guerra greca d’indipendenza. Solo nel 1835 l’Acropoli finì sotto la giurisdizione del neonato Servizio Archeologico Greco, che da allora si occupa di tutte le questioni relative alla conservazione, agli scavi e al 57 restauro della struttura. fig. 14 Sezione trasversale all’estremità orientale 58 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico 2 β. Il vecchio e il nuovo Partenone (protopartenone, partenone arcaico, partenone classico) Va osservato che il primo stadio, nella costruzione di un tempio greco, consisteva nella delimitazione materiale del progetto entro i termini del circuito esterno dei gradini.Sul gradino superiore un tamburo di base fissava per ciascuna delle colonne la dislocazione. Questi rocchi erano cilindri di marmo grossolanamente sbozzati che mostravano quale sarebbe stato l’aspetto definitivo delle colonne solo dove il rocchio poggiava sullo stilobate: lì, per 2-5 centimetri di altezza, l’inizio delle 20 scanalature delle colonne appariva accuratamente intagliato, fornendo una guida per la lavorazione definitiva dell’intero fusto. Questa operazione non sarebbe stata eseguita prima che tutto il resto del tempio fosse stato eretto. Il fatto che alcuni rocchi di base, insieme a blocchi per i gradini che erano stati scartati, si trovino incorporati nel muro dell’Acropoli, indica che la pianta di un tempio era stata disegnata sulla relativa piattaforma ma la costruzione non era progredita oltre uno stadio preliminare. Sulla natura del motivo dell’interruzione dei lavori non esiste il minimo dubbio: l’invasione ad opera dei persiani nell’autunno del 480 a. C. È opinione comune che i tamburi di colonna incorporati nel muro settentrionale dell’Acropoli dovevano essere stati danneggiati in un certo momento dal fuoco a causa della devastazione dell’Acropoli da parte dei Persiani. Da questa premessa risulta che all’epoca dell’attacco persiano era stata iniziata, sulla piattaforma sottostante l’attuale Partenone, la costruzione di un tempio a colonne; ma i lavori non avevano ancora superato la fase iniziale quando furono interrotti e poi abbandonati a seguito dei gravi danni causati dagli invasori. Ma qual era il progetto del tempio che si stava costruendo? Partendo dal presupposto che si dovevano collocare sedici colonne su ciascuna delle fiancate, l’unica disposizione plausibile vuole sei colonne sulla fronte e sul retro. Questa supposizione dipende dal calcolo che otto colonne sarebbero state troppo fitte sulla piattaforma, mentre il numero di sette va escluso perché nei templi greci del periodo maturo non si trova mai un numero dispari di colonne: così facendo una colonna avrebbe occultato l’asse centrale che permetteva la visuale, attraverso la porta, della statua oggetto di culto. Ma se questo era effettivamente il progetto originario sorge il problema del perché non sia stata costruita una piattaforma più piccola e proporzionata al tempio da erigere al di sopra. Qui ci viene in aiuto il diagramma della figura 14: se lì la stratificazione del riempimento IIc è stata registrata correttamente, allora la piattaforma doveva sporgere sopra il livello del terreno; così non sarebbe stato né prudente né sicuro far giungere i gradini del tempio fino al bordo della piattaforma oppure si giudicò troppo costosa l’opera di innalzamento del muro di ritenzione poligonale fino che arrestasse con la piattaforma la caduta di materiali dovuta all’inclinazione. 59 fig. 15 Muro nord dell’Acropoli con i rocchi di colonna appartenenti al tempio arcaico, fotografia del 1890 60 fig. 16 Rocco di colonna ancora oggi presente nell’ aea sud del Partenone 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico Durante gli anni seguenti al 490, quelli cioè che intercorsero fra la vittoria greca a Maratona e la terribile vendetta persiana del 480-479, fu costruita la grande piattaforma, furono collocati i gradini per un tempio e si cominciò appena l’erezione di una fila di colonne periptere. Ogni ulteriore lavoro venne sospeso a causa della distruzione della città messa in atto dai Persiani. Per ovviare alle immediate conseguenze della guerra dopo la ritirata persiana, il compito più urgente che si imponeva agli Ateniesi , privi di difesa e riparo, allorché rioccuparono la città fu quello della ricostruzione delle case, il restauro e l’estensione del muro di cinta della città. Non viene menzionata la costruzione di alcun nuovo tempio per la dea Atena negli anni appena successivi all’invasione persiana e si asserisce che per trent’anni la piattaforma restò vuota e inutilizzata. Ma ancora una volta , è dalle mura seppellite a sud del Partenone che dobbiamo cercare di ottenere qualche risposta su eventi accaduti quasi duemilacinquecento anni fa. L’argomentazione si basa sul muro di ritenzione a pietre squadrate (numero 3 figura 14), che, si può dimostrare, risale a un periodo posto fra gli ultimi anni settanta e i primi anni sessanta del secolo V. Poiché la sua costruzione denota una ripresa dell’attività edilizia intorno alla piattaforma del tempio, dobbiamo presumere che si stava lavorando a un tempio almeno venti anni prima che Pericle succedesse a Cimone, nel 449 a.C., e desse inizio, nel 447, all’attuale Partenone con Ictino come capo architetto. Un documento storico riporta i rendiconti annuali di ricevute ed esborsi attinenti alla costruzione del Partenone pericleo che venivano presentati annualmente dai tesorieri di Atena. I rendiconti coprono i quindici anni che vanno dal 447 al 432 a.C.; negli ultimi cinque anni di tale periodo non si ebbero esborsi per il Partenone , ad eccezione di spese per le sculture dei frontoni. Appare certo che in tutte le altre parti il tempio era terminato nel 438 a.C. Per l’anno precedente si trovano menzionati l’acquisto di avorio e pagamenti agli intagliatori. Le grandi porte del tempio sono incluse nella frammentaria registrazione relativa all’anno 440-439 a. C.; e due anni prima si trova scritta la parola ‘colonna’ in riferimento probabilmente alla scanalatura finale delle stesse, operazione in genere effettuata dopo il completamento della struttura del tempio. 61 fig. 17 Piante dei ‘Partenoni’: sovrapposizione. In nero l’antico partenone e tratteggiato il partenone pericleo (Doerpfeld) 62 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico Da queste considerazioni si potrebbe dedurre con certezza quasi assoluta che, a parte dettagli finali e applicazione del colore, si impiegarono solo cinque anni per costruire il Partenone pericleo. Tuttavia è materialmente impossibile che una struttura così imponente e magnifica di marmi, magistralmente tagliati e composti, possa essere stata innalzata in così breve tempo senza avere del materiale a portata di mano che non il marmo delle cave di Pantelico situate a due miglia di distanza. È passato quasi un secolo da quando B. H. Hill pubblicò il suo saggio The Older Parthenon, nel quale aveva ricavato la planimetria di un tempio precedente all’attuale (figura 17), disposto e in parte eretto quasi sulle stesse fondamenta del Partenone attuale. Hill osservò che dietro il gradino più basso del tempio attuale è situato un blocco angolare, facente parte di una rampa di scalini costruiti per qualche edificio precedente; con ciò riuscì a dimostrare che questo blocco preesistente non era mai stato spostato dalla posizione attuale, e non era che uno d’una intera serie di blocchi analoghi, situati dietro il gradino più basso del fianco sud del Partenone attuale. Inoltre, questi gradini più antichi appartenevano verosimilmente alla fila più bassa della rampa. Poiché il blocco d’angolo si trovava ancora al proprio posto, ne veniva localizzata a questa estremità dell’edificio, la sud-occidentale, la colonna d’angolo del tempio più antico. A sua volta la scoperta di blocchi di marmo scartati e provenienti dal gradino più alto della stessa rampa, recanti i segni per la collocazione delle colonne, rilevò il diametro di base delle colonne stesse. Da queste informazioni, combinate con le dimensioni note della piattaforma e con le dimensioni dedotte dall’area delimitata dai gradini del tempio, Hill riuscì a calcolare che sedici colonne erano destinate ai fianchi e sei alle due estremità. I restanti elementi del progetto furono dedotti in parte da altri blocchi di marmo scartati, e in parte da una presunta rassomiglianza con la sistemazione interna del Partenone attuale. La pianta che ne risultò è presentata nella figura 17, sovrapposta in una scala identica alla pianta del tempio attuale. Se si esamina attentamente la figura 17, la piattaforma può essere identificata con il rettangolo più esterno delineato con la riga nera piena. Si noterà che il tempio più piccolo, e più antico, è centrato simmetricamente sulla piattaforma, a differenza del Partenone esistente. Come si può osservare dalla pianta, un passaggio circondava il tempio più antico fra il gradino inferiore e l’estremità della piattaforma, lasciando uno spazio di quasi 3,60 metri da ciascuno dei lati inferiori del tempio e di 2,60 metri lungo i fianchi. Contrariamente, il Partenone attuale è situato sulla piattaforma senza alcun riguardo per la simmetria. A ovest i gradini del tempio si estendono proprio lungo il bordo della piattaforma mentre sul lato inferiore, quello orientale, la piattaforma si estende per 4,26 metri oltre i gradini del tempio, e a sud lo spazio aperto al di là del gradino inferiore misura appena 1,68 metri. Sul lato settentrionale il colonnato del Partenone è stato esteso molto oltre la piattaforma, su una nuova opera muraria aggiunta successivamente, prova del fatto che la piattaforma e il tempio precedente furono concepiti come parti integrali di un unico disegno e che il Partenone attuale si potrebbe definire un «intruso» entro un progetto concepito diversamente. 63 fig. 18 Pianta del Partenone classico 64 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico La Tuttavia sono molteplici le questioni che sorgono attorno all’antico Partenone, in primo luogo in merito a chi fosse l’autore del progetto e quanta parte di esso venne effettivamente costruita. Hill riteneva di aver recuperato la pianta del tempio in costruzione all’epoca dell’invasione persiana; in realtà dalle prove ricavate dalle analisi stratigrafiche (figura 14), risulta chiaramente che la pianta così ingegnosamente ricavata da Hill non era quella del progetto prepersiano ma quella del tempio in corso di costruzione dopo l’allontanamento dei Persiani. Volgendo l’attenzione alla domanda su quanto del «Partenone cimoniano» fu realmente costruito non mancano varie indicazioni utili a dare una risposta accettabile anche se non completamente certa. Incorporata nelle fondamenta di sostegno sotto il pavimento di marmo del presente Partenone si trova una lastra di marmo con i bordi intagliati secondo il profilo illustrato nella figura 5. Questa lastra, insieme ad altri sei blocchi incorporati nel muro occidentale del Partenone (figura 15), devono in origine aver fatto parte del Partenone cimoniano. Il blocco ora sotto il pavimento del tempio è stato identificato come blocco terminale per il muro del santuario mentre gli altri sei blocchi un tempo facevano parte della base a gradini dello stesso muro. Ora, è normale nell’ordine ionico, che un muro del genere rechi una base profilata corrispondente a quella delle colonne ioniche esterne. Ma, siccome le colonne doriche non hanno base, mancava un motivo logico per collocare una base profilata ai piedi del muro del santuario di un edificio dorico. Si potrebbe quindi obiettare che questi blocchi, con un profilo che ricorda quello della base della ben nota colonna attico-ionica, non poteva provenire dal Partenone precedente. Tuttavia, il tempio di Efesto , dorico di stile e appartenente al periodo immediatamente successivo a quello in cui fu interrotta la costruzione del Partenone cimoniano, ha una base muraria con un profilo assai simile. Se ne deduce che l’architetto il quale disegnò il Partenone cimoniano scelse questa caratteristica ionica per il suo tempio dorico. Ma non è tutto. Durante l’esplorazione delle fondamenta del tempio di Efesto, si osservò che l’intero colonnato esterno venne eretto prima che fosse disegnato qualsiasi altro elemento della pianta; ne deriverebbe, riguardo al quasi contemporaneo Partenone cimoniano, che, poiché la costruzione del santuario interno era già stata iniziata, il colonnato esterno doveva essere ormai completato quando si smise di lavorare al tempio. risposta sul perché il lavoro di costruzione fu interrotto può essere soltanto che ciò accadde per l’intervento di Pericle nel 448 a.C. con un nuovo e più ambizioso progetto. Sulla base dell’opinione corrente, secondo cui la pianta del tempio ricostruita da Hill rappresenta un progetto la cui realizzazione era stata iniziata prima dell’invasione persiana, senza essere mai stata portata oltre la sistemazione del circuito di gradini e l’erezione di alcune colonne, è sempre sembrato strano, anzi inesplicabile, che il Partenone pericleo abbia mantenuto esattamente le stesse dimensioni di base (e presumibilmente quasi la stessa altezza) per le sue colonne. Ma ora ci si presenta una spiegazione semplice e immediata: le colonne del Partenone posteriore ebbero le stesse dimensioni di quelle del Partenone precedente perché erano le stesse colonne, smontate e rimesse a posto. 65 fig. 18 Gradini scolpiti nella roccia, lato ovest del Partenone 66 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico Accettata Che le colonne del Partenone appartengano all’architettura ateniese di una generazione più antica è indicato anche dallo spessore in rapporto all’altezza dal momento che vi fu una continua tendenza verso colonne più snelle nel corso dei secoli V e IV a. C. inoltre, l’altezza delle colonne esterne del Partenone riproduce esattamente quella delle colonne esterne del tempio di Zeus a Olimpia, eretto durante il decennio 460-450. Ora, è molto improbabile che tale dimensione sia stata copiata ad Atene da un architetto pericleo; invece un costruttore cimoniano contemporaneo poteva ben indursi ad adottarla. l’ipotesi per cui le colonne dell’edificio antecedente fornirono il materiale per quello successivo, sorge spontaneo chiedersi perché Ictino non lasciò le colonne dove stavano, invece di smontarle e rimetterle in piedi, e questo per spostarle solo di un brevissimo spazio. Si troverà risposta nella comparazione delle due piante del Partenone. Più precisamente si rileverà che in quella posteriore il numero delle colonne è stato aumentato da sei a otto sulla fronte e sul retro, da sedici a diciassette sui lati. L’aumento a otto colonne sul fronte fu imposto dall’esigenza di lasciar libera la veduta centrale assiale attraverso le porte esterne. Il cambiamento da sedici a diciassette colonne sui fianchi invece ha come motivo quello di rispettare la tradizione canonica secondo la quale il numero delle colonne sui fianchi doveva essere pari al doppio delle colonne dei lati brevi, più una. È stato calcolato che, mentre le colonne del Partenone attuale distano fra loro mediamente di 4,295 metri, tra quelle del tempio antecedente l’intervallo era superiore di 0,105 metri. Può sembrare una differenza trascurabile; tuttavia in una fila di diciassette colonne si giunge complessivamente al metro e mezzo. Una spiegazione plausibile al drastico e costoso passaggio di progetto, oltre al fatto che otto colonne per diciassette costituiva una scelta più canonica riferita a quel decennio, può essere trovata nel fatto che Pericle patrocinò l’erezione di una colossale statua d’oro e di avorio della dea, la cui esecuzione fu affidata a Fidia, lo scultore da lui protetto. Le dimensioni della statua erano tali da non consentire il suo collocamento nel Partenone antecedente. Tuttavia, per quanto questa possa rappresentare una delle ipotesi, devono esservi state forze maggiori che costrinsero al mutamento del progetto. Il passaggio ad un colonnato di otto per diciassette,pur comportando in tutto solo sei colonne in più, causava serie difficoltà per adattare allo stereobate la struttura ampliata. Vari erano i motivi per cui le colonne già erette non potevano essere lasciate al loro posto sul fianco meridionale o su ognuna delle due estremità. Se ci si fosse limitati ad aggiungere una colonna alla fine della serie già esistente, la rampa di scalini sarebbe sporta in fondo oltre la piattaforma, cosicché sarebbe occorso estendere la piattaforma per contenerli e sostenerli. Inoltre come Hill riuscì a dimostrare, il gradino più basso del Partenone antecedente non era stato costruito in marmo ma si era adoperata una pietra calcarea grigia, scelta 67 adottata anche dall’architetto del tempo di Efesto. fig. 19 Sezione di dettaglio sul colonnato sud, confronto tra Partenone arcaico e Partenone classico (B. H. Hill) 68 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico Nonostante ciò a Ictino la cosa non piacque e così escogitò la soluzione, geniale e praticissima, di ricoprire i tre gradini cimoniani con una nuova scalinata di marmo, sistemando i nuovi gradini davanti a quelli vecchi e allo stesso livello. L’unico inconveniente dovuto a questa alterazione fu che si rese necessario spostare in avanti tutte le colonne, dato che nel tempio greco il peristilio è allo stesso livello del bordo esterno del gradino più elevato, e questo gradino (o stilobate) adesso era stato ampliato. A occidente, sul retro del tempio, Ictino spostò i gradini con le colonne fino al bordo estremo della piattaforma così da guadagnare una quantità equivalente di spazio sulla piattaforma stessa a est, lungo il lato frontale. Dalla pianta risulta invece evidente che a nord il Partenone ampliato non poteva essere contenuto tutto sulla piattaforma; occorrevano altre fondamenta per la fila di diciassette colonne, con la loro gradinata. Che questa aggiunta sia stata realmente effettuata si può facilmente verificare oggi: lì le fondamenta sono esposte in vista, e non occorre un occhio professionalmente esercitato per rendersi conto, dal corso delle giunture nell’opera muraria, che nuovi blocchi furono incastrati per aumentare qui il sostegno dei gradini e delle colonne attuali. La curiosa morfologia della roccia dell’Acropoli che si eleva in un crescendo continuo da ovest verso est giustifica l’altrettanto singolare conformazione dello stereobate: il risultato è che mentre si dovettero porre in opera varie file di blocchi per le fondamenta nella metà occidentale del fianco settentrionale, a est invece il livellamento sotto il gradino inferiore si poté ottenere semplicemente seguendo il corso della roccia originaria. Se il tempio fosse stato esteso ulteriormente verso est, sarebbe stato necessario scavare per una notevole profondità nella viva roccia. Ciò potrebbe spiegare perché Ictino abbia spostato il tempio verso ovest per quanto la piattaforma lo permetteva, e inoltre ne abbia accorciato la lunghezza complessiva di 1,79 metri, ravvicinando tra loro le colonne di alcuni centimetri. Va osservato che oltre alle colonne, si poteva disporre di una notevole quantità di materiale da riutilizzare. Nel suo classico articolo The Older Parthenon, Hill aveva acutamente osservato: «Il gradino inferiore della cella dell’attuale Partenone è composto in larga parte di blocchi presi dal vecchio tempio e riutilizzati, come è dimostrato dal fatto che hanno due serie di intagli per le grappe [...]. Ora, i blocchi di cui si è così dimostrata un’utilizzazione precedente sono lunghi in media 1,77 metri. Si tratta di una lunghezza standard nella sottostruttura del Partenone precedente, non però normale per il Partenone attuale. È comunque la lunghezza media di venti su ventinove blocchi del gradino inferiore sul lato nord della cella, e di numerosi blocchi sugli altri lati. Tutti questi materiali erano stati senza dubbio impiegati nel Partenone antecedente». «Esistono nel Partenone altre anomalie, che con tutta probabilità non si sarebbero avute in un edificio completamente nuovo. Così, le colonne che incorniciano il portico frontale sono più sottili di quelle corrispondenti del retro; inoltre il diametro di queste ultime è identico a quello di alcuni rocchi eccezionalmente piccoli, incorporati nel muro nord dell’Acropoli.». Basandosi su queste e su altre prove, Hill dichiarò che «in sede di progettazione,il Partenone attuale, fu concepito per molte dimensioni esattamente uguale al tempio precedente, in modo che alcuni blocchi di questo, non troppo guasti, potessero essere impiegati per il nuovo edificio». In sintesi : 69 fig. 20 Sezioni totali dell’ Acropoli. 1879 70 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico le testimonianze passate in rassegna dimostrano che un Partenone anteriore era in corso di costruzione durante il periodo in cui Cimone esercitò il potere durato fino alla morte di Cimone stesso, nel 450 a.C.. Fu allora che Pericle, affidando a Ictino il progetto del tempio modificato, sostituì al Partenone di Cimone l’edificio più ambizioso e assai più costoso, i cui resti maestosi sono ancora in piedi dopo duemilacinquecento anni. fig. 21 Porzione del Fregio del Partenone raffigurante le processioni Panatenee Compito più difficile che quello di provare l’esistenza di un Partenone cimoniano parzialmente completato, è quello di stabilire quanta parte fosse stata costruita prima che Pericle sospendesse i lavori. Se come afferma Hill «il Partenone attuale fu concepito per molte dimensioni esattamente uguale al tempio precedente, in modo che alcuni blocchi di questi potessero essere impiegati per il nuovo edificio», è proprio questa identità di dimensioni che preclude la possibilità di distinzione fra vecchio e nuovo materiale nel tempio attuale. È vero, naturalmente, che la leggera diminuzione dell’intervallo fra le colonne comportava un corrispondente accorciamento delle travi dell’architrave, nel caso che queste fossero reimpiegate; ma questo fatto non avrebbe lasciato alcuna traccia visibile sui blocchi di marmo. D’altro canto c’era invece una caratteristica nelle metope, che nessun mutamento delle misure poteva alterare, e nessun rifacimento nascondere. Questa caratteristica eterna era lo stile scultoreo dei rilievi della metopa stessa. Un visitatore del British Museum che esamini i marmi di Elgin, ponendo attenzione alle loro qualità artistiche, non può non rimanere colpito dall’assenza di armonia stilistica fra le metope da una parte, e le statue del frontone e il fregio parietale dall’altra. Il progresso naturalistico nel rendere il dettaglio anatomico e nel porre le figure in azione è così grande, e così pienamente sviluppati sono gli accorgimenti estetici per rappresentare il panneggio nella processione panatenaica del fregio e delle statue superstiti dei due frontoni, da far pensare che nessuna differenza tecnica data dall’impiego fra il bassorilievo e altorilievo, o fra altorilievo e figure a tutto tondo, può mitigare la semiarcaica severità e rigidità anatomica manifesta nelle metope. Il contrasto di stile è così marcato da suggerire un intervallo di una intera generazione artistica, pari a circa venti anni. La spiegazione a tutto ciò potrebbe dunque rafforzare la teoria dell’esistenza di un vecchio Partenone e la risposta a questa disomogeneità di tendenza a questo punto diviene ovvia: le metope esistenti che rappresentano il combattimento fra Lapiti e Centauri furono scolpite per il Partenone di Cimone. Un secondo criterio che fa da complemento a quello dello stile scultoreo, conferma l’origine cimoniana di queste metope. Siccome l’intervallo tra le colonne cimoniane era stato accorciato nella versione periclea, ogni metopa della vecchia struttura sarebbe risultata troppo grande per quella nuova. Un accorciamento sarebbe stato necessario nel fregio, se alcuni dei blocchi alternati dei triglifi e delle metope erano stati squadrati e scolpiti prima di venire collocati in sede. Pertanto le vecchie metope o si sarebbero dovute scartare completamente, oppure ridurre a una dimensione appropriata. Non c’è da stupirsi che sia stata scelta la seconda alternativa: tagliare qualche centimetro di marmo era un lavoro da poco in confronto alla spesa e alla perdita di tempo cui si sarebbe andati incontro scolpendo una nuova serie di metope. Il fatto che i rilievi scolpiti sulle metope fossero stilisticamente superati dai tempi e apparissero fuori 71 fig. 22 Metopa xxx del lato sud del Partenone raffigurante la battaglia tra Centauri e Lapiti, 447-432 a.C. fig. 23 Il Partenone e le sue sculture, posizionamento 72 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico moda con le loro rigide pose e i loro schemi compositivi arbitrari non fu motivo sufficiente a farli scartare. Essi furono invece relegati sul fianco meridionale, il meno frequentemente visitato e il meno visibile del tempio. Se il lavoro fosse stato eseguito con cura, senza mutilare i rilievi scolpiti, non si sarebbe lasciata nessuna traccia visibile dell’operazione. Fortunatamente, ma solo per l’interesse degli studiosi, il lavoro fu eseguito in fretta e malamente, indizio sicuro, questo, che fu compiuto nel corso stesso dell’operazione con cui le metope venivano fissate al loro posto. I muratori incaricati di sistemarle nel fregio ben sapevano che, una volta inserite le metope nelle scanalature dei triglifi, nessuno si sarebbe accorto se i bordi erano rifiniti o meno; il visitatore che esamini le metope del British Museum vedrà che più della metà di esse hanno una o entrambe le estremità tagliate rozzamente. Se è poi un osservatore più attento, noterà inoltre che in quattro piccole metope alcune parti dei rilievi sono state asportate sul bordo per permettere che il triglifo potesse sporgere sopra di esse. In base alle supposizioni sopra ampliamente argomentate si potrebbe quindi concludere che soltanto ventiquattro metope scolpite erano finite e pronte per il Partenone di Cimone allorquando fu sostituito da quello di Pericle. Ora, è semplice calcolare che il Partenone antecedente, con sei colonne per sedici, avrebbe richiesto dieci metope per ogni facciata e trenta per ciascuno dei fianchi; così, le ventiquattro metope ultimate sarebbero state troppo numerose per le due facciate, ma insufficienti per il fregio dell’uno o dell’altro fianco. È probabile che le botteghe degli scultori avessero ricevuto in anticipo l’ordinazione di scolpire le metope, affinché fossero pronte quando l’edificio fosse giunto a uno stadio di lavorazione così avanzato, da poterle sistemare sul tempio. Dato che il numero delle metope ultimate e raccolte non era sufficiente per il fregio di uno dei lati lunghi del Partenone cimoniano, è molto probabile che non ne sia stata messa a posto nessuna, e di conseguenza l’opera cimoniana non sia andato oltre l’erezione delle colonne del peristilio e l’inizio della costruzione delle mura del santuario. Sopravvenuto allora il nuovo progetto ad opera di Pericle, ogni ulteriore lavoro fu sospeso. La genesi del tempio più celebre del periodo classico è così articolata, piegata a fattori politici e storici, orbitata di teorie di esperti e storici che è difficile delinearla senza restare imprigionati nella sua complessità o rischiare di sfatare il mito dell’idealismo umanistico che per molto è stato attribuito al tempio. Le teorie sopra esposte, debitamente soppesate e valutate, conducono a conclusioni che per semplificare possono essere ricondotte a tre proposizioni basilari: 1_ Nel 490 a. C. o poco dopo fu progettato sull’Acropoli un tempio dedicato ad Atena. Fu eretta un’alta piattaforma di pietra per sostenere il futuro tempio. I tamburi di base del colonnato erano già disposti nel 480 a. C., quando sopravvenne l’invasione persiana. Questi rocchi andarono dispersi, insieme ad altro materiale da costruzione accumulato sul posto, durante o dopo l’invasione persiana. Il tempio progettato è generalmente conosciuto come «il Partenone anteriore». 73 fig. 24 Ricostruzioni del Frontone Est del Partenone a 74 2β. Il Protopartenone, il Partenone arcaico, il Partenone classico 2_ Fra il 468 circa e il 465 a. C., per iniziativa di Cimone fu progettato un nuovo tempio per Atena nello stesso luogo e con la stessa pianta dell’«anteriore». Il capomastro direttore dei lavori va identificato con Callicrate. Il tempio venne iniziato e portato avanti per meno della metà; allora i lavori vennero bruscamente interrotti da Pericle, all’atto di assumere il potere dopo la morte di Cimone, nel 450 a.C. 3_ Asceso Pericle al potere, fu progettato un terzo tempio, da erigere nello stesso luogo ma con pianta ampliata. Callicrate fu sollevato dall’incarico e sostituito da Ictino. Questi ebbe il compito di disegnare e costruire un nuovo tempio su scala più maestosa, impiegando tutto il materiale dell’edificio non ultimato disponibile. Nel 438 a. C. il tempio era ormai completato nelle sue strutture; nel 432 a. C. erano terminate le sculture dei frontoni. È questo il tempio le cui rovine s’innalzano ancora oggi sull’Acropoli. Rimangono tuttavia molti i dubbi sulla vera ragione per cui Pericle abbia dovuto operare un così vistoso cambiamento ad un’impresa architettonica già compiuta praticamente per metà. Ospitare la nuova statua di Atena o «correggere» le proporzioni del tempio precedente, troppo allungate per il gusto della seconda metà del secolo v, sono valide spiegazioni che non legittimano però l’atto tanto drastico di Pericle se non fosse che a questi motivi si aggiunge il violento antagonismo che animava le fazioni politiche a cui Pericle e Cimone erano a capo. Durante il periodo in cui si costruiva attivamente il Partenone primitivo la rivalità tra i due, nel contendersi il controllo politico sullo stato e sul suo impero insulare, minacciava spesso di sfociare in aspri mutamenti di potere, accompagnati da sfrenati atti di vendetta e successive rappresaglie. Non sorprende quindi il fatto che il conflitto tra Cimone e Pericle sia sfociato anche in campo architettonico qualora fosse in gioco la dimostrazione della propria magnificenza attraverso un’opera memorabile. Il Partenone tra architettura e politica Per rendersi conto dell’asprezza dei reciproci rapporti tra Pericle e Cimone e delle ripercussioni che la politica può avere avuto sul tempio che si andava costruendo in onore della dea protettrice della città, bisogna spostarsi dalla storia dell’architettura a quella degli uomini. L’aspra rivalità, la gelosia, l’odio personale che dovevano contrassegnare le carriere politiche di Cimone e di Pericle ebbero probabilmente inizio durante la loro prima giovinezza. La loro rivalità ebbe certamente tutta l’apparenza, e tutta la ferocia, di una vendetta familiare. Il padre di Cimone, Milziade, era stato messo sotto accusa da Santippo, il padre di Pericle, e condannato a una fortissima multa dopo il fallimento della sua spedizione clandestina contro Paro nel 488 a. C. Cimone non ereditò subito l’influenza e la potenza politica del padre. Solo nel 468 a. C., alla morte di Aristide, egli raggiunse una posizione di preminenza nel partito aristocratico, il partito allora dominante nella politica ateniese, in opposizione al partito popolare, di cui Pericle doveva divenire il principale esponente ed il capo. Le grandi capacità militari di Cimone si erano già rivelate mentre era in vita Aristide, con una fortunatissima campagna punitiva in Tracia e col comando della flotta attica nell’Ellesponto e nel Mar di Marmara. Fu dopo la morte di Aristide, tuttavia, che la reputazione militare di Cimone raggiunse l’apice, con alcune gesta che non sarebbero mai più state uguagliate da alcuni ateniesi per terra o per mare. In una famosa campagna contro i Persiani in Asia Minore egli intercettò la flotta nemica al largo della foce del fiume Eurimedonte,nel 75 fig. 25 Ricostruzioni del Frontone Est del Partenone b 76 2 γ. Il Partenone tra architettura e politica golfo di Panfilia, presso la moderna città turca di Antalya. Dopo aver annientato completamente il nemico sul mare, Cimone senza alcun respiro per riprendersi dopo la precedente battaglia sbarcò le sue forze sulla vicina costa, e in un aspro combattimento non solo ebbe la meglio, ma mise in rotta completa le forze persiane e ne saccheggiò il campo, assicurandosi con la duplice vittoria un enorme bottino. A questo punto si può ricordare che: dall’arricchimento derivato al tesoro ateniese da questa impresa furono tratti i fondi per costruire il grande muro meridionale dell’Acropoli a cui si è fatto più volte riferimento nel capitolo precedente. La data precisa della famosa battaglia non è certa, ma quasi tutti gli autori la collocano negli anni 467-466 a. C. In quell’epoca, a giudicare dalla relativa cronologia delle mura di sostegno della terrazza meridionale del Partenone e dalle metope con Centauri e Lapiti in stile più arcaico, la costruzione del tempio di Atena era già iniziata. Altre risorse ancora divennero disponibili dopo il 463 a. C. In quell’anno Cimone guidò un’altra spedizione navale, diretta questa volta all’Egeo settentrionale, contro l’isola di Taso, che si era staccata dalla Lega Delia dopo che Atene l’aveva trasformata in un impero da lei dominato. La difficile vittoria che Cimone riportò sul nemico assediato non soltanto ricondusse nell’alleanza un membro importante: essa consentì ad Atene l’accesso alle miniere d’oro, favolosamente ricche, della vicina Tracia meridionale, che Taso aveva fino allora sfruttato per se stessa. Sarebbe però errato ritenere che la potenza di Cimone e la sua influenza sugli affari pubblici ateniesi fossero dovute soltanto ai successi militari. La personalità più importante della fazione aristocratica dipendeva dalla conservazione della propria autorità da parte di quella stessa fazione; e ciò a sua volta si otteneva grazie al favore partigiano del supremo tribunale di Atene, il Consiglio dell’Areopago. Aristotele nel suo trattato su La costituzione degli Ateniesi afferma: «Dopo le guerre mediche, l’Areopago riacquistò la sua forza e governò la città [...]. Per questo motivo gli Ateniesi si inchinarono davanti alla sua autorità e in questo periodo furono ben governati». La composizione del tribunale faceva sì che i suoi membri fossero propensi a favorire la fazione aristocratica di Cimone. Erano infatti tutti ex arconti, carica a cui si era eletti annualmente; siccome vi potevano accedere soltanto le classi più ricche dei cittadini, l’atteggiamento benevolo del tribunale verso il partito aristocratico di Cimone era saldamente assicurato. E così un inaspettato complesso di circostanze aveva offerto ai rivali di Cimone un espediente per farlo precipitare dal potere. Già un tentativo precedente era fallito ma ritornato ad Atene dopo la conquista dell’isola di Taso e dopo aver annesso sbrigativamente le miniere d’oro situate sulla terraferma antistante, Cimone fu trascinato in giudizio sotto l’accusa di non aver spinto i suoi eserciti più avanti nella Macedonia perché il re di quello stato lo aveva segretamente corrotto affinché non invadesse il suo regno. In tale occasione, secondo il racconto di Plutarco, peraltro alquanto contraddittorio, Pericle fu l’accusatore più veemente contro Cimone, salvo poi ad apparire fra i più moderati durante il processo. Forse Pericle si rendeva conto che non si poteva infliggere una condanna in base a un’accusa indimostrabile. Naturalmente Cimone fu assolto. Ma ben presto dei guai molto più seri si abbatterono su di lui. Un anno prima del processo, uno spaventoso terremoto devastò Sparta, facendo crollare edifici e case e riducendo allo stremo la popolazione che contò tra le vittime un gran numero di giovani ragazzi che si trovavano in una palestra. Venne proclamata la legge marziale in quanto i servi iloti delle campagne lacedemoni avevano approfittato del difficile momento per tentare un’insurrezione generale. 77 fig. 26 Angolo sud- est del Pre- Partenone (M. Korres) 78 2 γ. Il Partenone tra architettura e politica Cimone I suoi focolai locali furono repressi; ma più seri furono gli sviluppi nella vicina Messene, i cui abitanti ribelli si rifugiarono entro la fortezza del monte Itome, resistendo a tutti i tentativi spartani di sloggiarli. Dopo più di un anno di inutili sforzi, Sparta chiese l’aiuto di Atene. Un aspro dibattito divise l’assemblea ateniese: Efialte, a capo del partito popolare, si opponeva a che venisse data assistenza al più formidabile rivale e potenziale nemico di Atene; Cimone invece, capo della fazione aristocratica, la quale aveva costantemente intrattenuto rapporti amichevoli con Sparta, sosteneva che la Grecia non poteva permettersi di essere politicamente disunita finché la Persia ne minacciava la libertà. Preferendo la sopravvivenza di Sparta alla supremazia di Atene, Cimone persuase il popolo a inviare una grossa forza per aiutare Sparta. Il risultato della missione deluse le aspettative di Cimone. Mentre l’assedio si protraeva, gli Spartani cominciarono a nutrire dei sospetti contro gli Ateniesi venuti in loro aiuto. Temendo un tradimento, essi cacciarono di punto in bianco l’alleato ateniese e i soldati tornarono a casa a mani vuote, umiliati e indignati. Fu a questo momento che la popolazione di Atene, irritata per l’immeritato e offensivo trattamento, sfogò la propria rabbia su Cimone, che per le sue inclinazioni filospartane era stato direttamente responsabile dell’accaduto. fu condannato con voto maggioritario all’ostracismo per il periodo di dieci anni, e di conseguenza dovette lasciare Atene. Per quanto inaspettato fosse questo incidente, le sue conseguenze furono ancora più sorprendenti. Il malanimo fra Atene e Sparta sfociò in una aperta ostilità quando, poco dopo il malinteso sulla Messenia, un corpo di spedizione spartano fu inviato a Delfi per «liberarla» dal controllo che Atene aveva appoggiato. Di ritorno da Delfi, le forze spartane si accamparono poco a nord della frontiera Attica, a Tanagra, e verso quella località gli Ateniesi marciarono per affrontarle. Ora tra le due potenze militari vi era guerra aperta. In questa occasione Cimone, giunto al quarto anno di esilio, diede prova della sua inalterabile devozione alla terra che lo aveva scacciato. Poiché l’esercito ateniese aveva oltrepassato la frontiera dell’Attica per avanzare su Tanagra, Cimone poté raggiungerlo senza timore di essere arrestato. Ma quando si offrì di guidare gli uomini della sua tribù nel combattimento contro gli Spartani, e la notizia giunse ad Atene, l’assemblea votò che Cimone doveva essere cancellato dai ranghi perché vi era il rischio di un suo tradimento, considerate le sue note inclinazioni filospartane. Prima di ritirarsi Cimone schierò i suoi fedeli compagni, che insieme a lui condividevano la fama di essere ferventi filospartani, in prima linea nella battaglia nel tentativo di dissipare l’accusa di cui erano fatti segno da parte dei cittadini ateniesi. Stretti alla promessa fatta a Cimone caddero tutti in combattimento lasciando dietro sé il rimpianto e il rimorso degli Ateniesi di averli accusati ingiustamente. Dopo questo fatto la città non si ostinò oltre nella sua avversione verso Cimone. A Tanagra gli Ateniesi avevano subito infatti una grave sconfitta ed entro breve s’aspettavano un’invasione da parte di Sparta; quindi richiamarono Cimone dall’esilio, ed egli tornò. Subito dopo il suo rientro, Cimone pose fine alla guerra e riconciliò Sparta con Atene. Il richiamo di Cimone dall’esilio e il suo successivo arbitrato nel conflitto con Sparta gli restituirono abbondantemente il favore popolare e di conseguenza la sua autorità politica ne uscì rafforzata. Cimone era ormai un uomo ricco, grazie al suo patrimonio privato oltreché per i suoi stretti rapporti con Callia l’uomo più dovizioso di Atene, che aveva sposato sua sorella Elpinice. Valendosi del suo solido patrimonio, Cimone cominciò a conquistarsi partigiani politici 79 80 2 γ. Il Partenone tra architettura e politica fig. 27 Nella pagina a fianco: ricostruzione delle Pendici sud dell’Acropoli nel periodo pre-persiano. (M. Korres) fra i cittadini più poveri con doni generosi, distribuiti indiscriminatamente. Cercò inoltre di aumentare la propria popolarità piantando platani per ombreggiare l’Agorà e creando parchi e campi di gioco in tutta la città, preoccupandosi soprattutto di trasformare il quartiere dell’Accademia in un boschetto ricco di acque con viali ombreggiati per passeggiare e piste aperte per le corse. Contro una così vasta liberalità Pericle non poteva sperare di competere, nonostante le cospicue sostanze ereditate. Ma, una volta al potere, gli si offerse un modo assai più efficace per acquistarsi il favore delle moltitudini, distribuendo le ricchezze dello stato invece che le sue rendite personali. Questo fatto merita particolare attenzione, perché ebbe attinenza diretta con la costruzione del Partenone. Ad Aristide viene attribuita l’organizzazione originaria della Lega Delia quale confederazione di stati greci, per la maggior parte insulari, con lo scopo di intraprendere operazioni offensive e difensive contro l’aggressione persiana. Per costituire un congruo fondo della lega, i membri potevano contribuire a loro scelta o fornendo navi da guerra o l’equivalente in denaro. Il nome della lega derivava dal fatto che il sinodo dei suoi membri la dirigeva dal tempio di Apollo e Artemide situato nell’isola di Delo, nell’Egeo centrale. Lì venivano depositati i contributi in denaro della lega, con un comitato di tesorieri, gli hellenotamiai, incaricati di amministrarli. I fondi della lega continuavano quindi ad essere depositati nel tempio di Delo, dove però vi era il rischio che qualche membro dissidente che abbandonava la lega avrebbe potuto appropriarsene e usarli per sé. Fu quindi naturale, e forse inevitabile, la precauzione di trasferire questi fondi, nei quali Atene aveva così grande interesse, dalla piccola Delo, circondata dal mare, alla capitale continentale. Pertanto, nel 454 a. C. il capitale in denaro accumulato dalla lega fu trasferito ad Atene; lì gli hellenotamiai continuavano ad amministrarlo, ovviamente, con maggior vantaggio della propria città. È affermazione comune che sia stato Pericle il responsabile di questo trasferimento del tesoro imperiale sotto la sua più immediata supervisione personale. Ma se quanto viene riferito in queste pagine è esatto, e Cimone fu richiamato dall’esilio all’inizio del 456 a. C. e ridivenne allora il capo del suo partito e il leader politico dello stato, ne consegue che il trasferimento del tesoro confederale da Delo ad Atene nel 454 deve aver avuto luogo sotto la sua egida, e non per autorità di Pericle. Niente comunque indica che Cimone abbia usato i fondi della lega, ora per lui così accessibili, se non per lo scopo originario e corretto di equipaggiare e mantenere la flotta, di nome confederata, ma di fatto quasi soltanto ateniese. Infatti, nel quarto anno dopo il trasferimento del tesoro ad Atene, Cimone s’imbarcò per un’ambiziosa impresa, con cui voleva infrangere il dominio persiano sull’Egitto e su Cipro, eliminando il saliente occidentale dell’enorme impero del Gran Re. La impresa fallì, e la duplice spedizione fu abbandonata allorché Cimone, a seguito di ferita contratta in battaglia o di una malattia, morì nell’isola di Cipro, e la flotta tornò ad Atene col cadavere del suo illustre comandante. Come scrisse George Grote nella sua History of Greece: «da allora in poi non furono più prese iniziative da Atene e dalla sua confederazione contro i Persiani». Conseguenza diretta fu la famosa pace di Callia, che tante dispute ha suscitato fra gli storici moderni. Ma se davvero questa pace fu conclusa dopo la morte di Cimone, il fatto che sia stato suo cognato a negoziarla ne fa comunque uno dei più grandi successi del partito cimoniano, peraltro ormai avviato verso due decenni di declino. Infatti la morte di Cimone contrassegnò il crollo politico della fazione aristocratica. Ma del resto si sa, la caduta di uno è la risalita di un altro. E così fu per il partito popolare la cui guida passo a Pericle, allora appena trentaduenne. Pericle non sembra aver preso in età giovanile parte molto attiva alla vita politica, essendo un rinnegato della sua classe e del partito che gli si addiceva; cosicché gli riusciva difficile conquistare la fiducia e il favore della gente comune. 81 82 fig. 28 Ricostruzione dell’ Acropoli prima della distruzione persiana, veduta dall’angolo sud- est 2 γ. Il Partenone tra architettura e politica Di discendenza aristocratica Pericle si alleò con la gente comune per opportunismo politico e, come afferma Plutarco, «cercò di entrare nelle grazie delle masse per procurarsi la sicurezza e la forza necessaria a combattere l’avversario [Cimone]». I Esisteva infatti come si già stato detto fra le due famiglie un’inimicizia di lunga data. Nel 462, Pericle aveva accusato pubblicamente Cimone, cercando di farlo multare, come già il padre, per cattivo uso del comando militare affidatogli. Un esempio attestato e ancor più impressionante dell’attività caparbia e senza scrupoli svolta da Pericle in politica contro l’avversario di una vita, si ebbe nel 450 a. C., mentre Cimone era ancora in vita. Si ricorderà che nella primavera di quell’anno Cimone comandava le forze alleate ateniesi in una spedizione contro l’isola di Cipro. Durante la sua assenza dal paese natio Pericle propose all’assemblea popolare, e riuscì a fare ratificare, un decreto per cui soltanto coloro i cui genitori erano entrambi ateniesi di nascita potevano continuare a essere considerati cittadini. Qualunque fosse l’intento della sua iniziativa, l’effetto immediato sarebbe stato quello di privare Cimone della cittadinanza ateniese e quindi del comando militare e politico, dato che sua madre Egesipile era una principessa trace, e non una cittadina ateniese. L’improvvisa morte di Cimone a Cipro, avvenuta prima che le disposizioni della nuova legge potessero applicarsi contro di lui, spiega presumibilmente perché questa non entrò in vigore ad Atene e dimostra come questa proposta altro non fosse se non un’occulta manovra politica di Pericle contro il suo illustre nemico. Contrariamente a ciò che afferma Plutarco, può darsi che Pericle si fosse fatto paladino delle classi inferiori per un autentico interesse verso il loro benessere e un sincero attaccamento alla loro causa e non soltanto per motivi di strategia politica o per odio personale contro Cimone. Tuttavia egli non divenne mai, né diede segno di voler diventare, un uomo del popolo nel pensiero o nell’azione; ma se ne tenne sempre separato, con un’aria di accondiscendente superiorità, tanto che gli sarebbe costata l’alienazione se non fosse stato che la gente comune, paradossalmente, lo ammirava e ne scusava il distacco olimpico per il suo prestigio intellettuale e per la protezione che ne derivavano. Indubbiamente, per quanto questo atteggiamento possa aver contribuito alla supremazia politica di Pericle, l’intensità del suo patriottismo era fuori discussione, dato il suo generoso desiderio di rendere Atene splendida e grande. Pericle era più intelligente di Cimone e possedeva un’ampiezza di vedute sociali negata agli aristocratici conservatori; fu la sua mente ambiziosa, più di ogni altro fattore isolato, a creare la grandezza politica e artistica dell’Atene del secolo V. due decenni del suo dominio assoluto sull’impero attico dal 450 al 429 a. C. hanno giustamente preso il nome di età di Pericle da questo uomo eccezionale. Ciò nonostante egli sembra essere stato tremendamente sleale nei confronti dei suoi avversari politici; la sua razzia nelle ricchezze nazionali, incluse le somme versate dagli alleati di Atene per la mutua difesa, pur incentivando l’economia locale, non apportò un beneficio durevole alla prosperità generale. I risultati immediati furono però assai lusinghieri, specie per quanti beneficiarono della liberalità del governo. Fu escogitata astutamente una serie di riforme monetarie per migliorare le condizioni finanziarie delle classi più povere e rafforzarne la fedeltà al partito. Fu stabilito un onorario fisso per i giurati dei tribunali. Gli uomini sotto le armi avevano diritto ad una paga regolare, come pure i rematori e gli altri membri degli equipaggi addestrati per la flotta. Fu addirittura istituito un fondo destinato a rimborsare la spesa dell’ingresso alle rappresentazioni drammatiche nel teatro di Dioniso a quanti non se lo potevano permettere. 83 84 2 γ. Il Partenone tra architettura e politica La minaccia di una plebe oziosa e troppo numerosa fu eliminata inviando coloni a insediarsi in terre straniere che per un motivo o un altro non potevano opporsi alla loro venuta. Infine, ai rimasti in patria fu assicurata l’occupazione con un ambizioso programma di lavori pubblici, per i quali l’acquisto dei materiali e il pagamento della manodopera era finanziato dal tesoro statale. A capo della lista di queste imprese, che davano un incentivo economico ad ogni artista, artigiano e manovale, vi era il nuovo e immensamente costoso progetto del Partenone, seguito, dopo il suo completamento, da una monumentale porta in marmo che si apriva sull’Acropoli: i famosi Propilei. In merito alla colossale opera del Partenone coronata dalla realizzazione della monumentale statua per il culto di Atena, rivestita d’avorio e coperta d’oro, abbiamo un brano sovente citato della Vita di Pericle di Plutarco, che dà l’idea dell’inimmaginabile quantità di materiali e l’enorme numero di operai specializzati e di artigiani coinvolti: Furono usati come materiali la pietra, il bronzo, l’avorio, l’oro, l’ebano, il cipresso; furono impiegate le arti che li trattano e lavorano, cioè falegnami, scultori, fabbri, scalpellini, tintori, modellatori d’oro e d’avorio, pittori, arazzieri, intagliatori, per non dire di coloro che importarono e trasportarono tutte queste merci: armatori, marinai e piloti in mare, carradori, allevatori, conducenti, cordai, tessitori, cuoiai, terrazzieri e minatori. Ogni categoria aveva poi schierata sotto di sé, come un generale il proprio corpo d’armata, una folla particolare di manovali, che erano le membra di cui si serviva per disimpegnare la sua mansione. Così la complessa opera proseguì fino a quando, nove anni dopo, la statua da venerare venne installata nel nuovo santuario di Atena sotto la supervisione del suo ideatore, lo scultore Fidia. Intanto il grande tempio che la custodiva si ergeva ormai terminato così come lo aveva progettato il capo architetto Ictino, con le sue modanature colorate, con i suoi soffitti a cassettone di legno all’interno e di marmo all’esterno, le sue alte e ornate porte pieghevoli e le grate di bronzo dorato. In tutta questa impresa entusiasmante, resa possibile da una prodiga distribuzione della ricchezza imperiale, poca gloria ebbe l’architetto Callicrate, a cui era stata affidata la costruzione del vecchio tempio, spodestato probabilmente da Pericle a causa dell’antagonismo politico, piuttosto che dall’animosità personale, in ossequio al suo veto a tutte le attività «cimoniane» sull’Acropoli. Dopo la morte di Cimone e la successione di Pericle al potere politico, Callicrate venne rimosso dalla carica di architetto responsabile di ogni costruzione sull’Acropoli. Se prestiamo fede ai sarcastici versi del contemporaneo poeta comico Cratino, citato da Plutarco, emergerebbe che, invece di facilitare il compito di Callicrate, Pericle fece il possibile per ostacolarlo. Si ritiene che a causa dello stesso Pericle venne temporaneamente sospesa la costruzione del tempietto di Atena Nike, sempre su progetto di Callicrate, a riconoscimento dei successi militari di Cimone e di quelli diplomatici di Callia, che sarebbe inevitabilmente diventato un perpetuo memoriale all’eterno nemico politico, un memoriale che Pericle non avrebbe facilmente tollerato. E così avvenne anche con l’iniziativa di Cimone per il tempio di Atena sulla cima dell’Acropoli; Pericle la sostituì con un progetto più grandioso, da eseguire sotto la supervisione di un capo costruttore scelto da lui stesso: Ictino. MANCA PARTE AZZURRA DA AGGIUNGERE? 85 fig. 29 Planimetria generale del progetto di F. Schinkel, 1834 86 2 δ. Il Partenone nel futuro Il Partenone nel futuro Nomi Le campagne di restauro del Partenone iniziarono nel XIX secolo, con tentativi occasionali di ricollocare in posto alcune sezioni perdute. di Pittakis, Ross e Von Klenze sono legati a questi primi provvedimenti migliorativi, che ebbero luogo in un periodo di ottimismo e di classicismo romantico che trasformò i monumenti dell’acropoli in simboli della civiltà occidentale. L’incarico Il primo approccio di restauro venne fatto durante il regno di Ottone; con il riconoscimento dell’Indipendenza dello Stato Greco avvenuto nel 1830 ebbero inizio i primi sforzi sistematici per la difesa e la rivalorizzazione delle antichità classiche. Leo von Klenze, architetto della corte di Monaco, traccerà le linee direttrici degli interventi sull’Acropoli per tutto il XIX secolo come: la sistemazione dell’acropoli come spazio archeologico con l’allontanamento di ogni altra funzione incompatibile; demolizione delle fortificazioni medioevali all’acceso occidentale dell’Acropoli, dei resti del palazzo medioevale ai Propilei, e di tutti i resti di monumenti di fasi posteriori, resti che vengono giudicati come arte di decadenza, creazioni di epoca barbara. É il periodo in cui viene fondato il primo museo dell’Acropoli, di realizzazione dei primi scavi archeologici e di interventi di restauro sui monumenti: il Tempio di Athena Nike (1835-1836, 1844), l’Eretteo (1837-1840, 1846-1847), il Partenone (1841-1844) e i Propilei (18501854). I decenni sessanta e settanta dell’Ottocento, sotto il regno di Giorgio I, si portano avanti ‘piccoli’ lavori di consolidamento e di sostegno, con le sole eccezioni della costruzione del Museo dell’Acropoli (1865-1874) e della demolizione della cosiddetta “Torre Franca” (in realtà Torre degli Acciaiuoli) nel 1875. Negli anni 1885-1909, anni fecondi per il restauro dei monumenti grazie alle condizioni favorevoli dovute al rapido sviluppo economico e alla stabilità politica della città, venne redatto il “Primo programma di restauro del Partenone” (1898-1902), e si restaurò l’Eretteo (1902-1909). Si sviluppa l’esigenza di un operare più scientifico, che si manifesta con l’istituzione di una commissione interdisciplinare di esperti che decide e controlla i lavori. dell’esecuzione dell’opera fu affidato ad un ingegnere, Nikolas Balanos. errori Nel 1898-1902, 1911 e 1913 furono eseguiti lavori statici e di manutenzione sulla trabeazione dei lati occidentali e orientali del Partenone e tra il 1923 ed il 1933 venne completato il restauro di tutto il colonnato nord e parte di quello sud, intervento sui muri lunghi della cella e sulla porta occidentale. L’intenzione era quella di migliorare l’immagine dei monumenti tramite anastilosi con l’uso dell’abbondante materiale disponibile a terra. Nonostante gli sforzi compiuti Balanos commise comunque una serie di molto gravi, tra cui quello di affidarsi all’uso del ferro all’interno dei blocchi di marmo, di scalpellare gli elementi antichi al fine di facilitare il loro riposizionamento e di scambiare le posizione di quelli simili quando non riusciva ad individuare la loro posizione originale. 87 fig. 30 Prospetto sud del Progetto di Schinkel per il Palazzo del re Otto sull’Acropoli di Atene 88 2 δ. Il Partenone nel futuro La ro del Partenone, che comprende l’anastilosi del colonnato nord e di una parte di quello sud, l’anastilosi parziale del pronao della parte ovest, del frontone est (1921-1933). Anche nel dopoguerra i lavori sull’Acropoli sono piuttosto limitati. L’intervento più significativo fu quello che interessa l’ala sud-ovest dei Propilei (1947-1957) diretto da Anastasios Orlandos, fondatore dello studio della storia dell’architettura in Grecia, durante il quale si corressero gli errori dei restauri precedenti. Sotto la sua direzione si effettuarono lavori di manutenzione, dal 1960 al 1964, sui muri della cella, sulla pavimentazione e sul basamento del Partenone. Negli anni ‘40 cominciò ad apparire tragicamente evidente l’influenza catastrofica del ferro così largamente impiegato negli interventi di Balanos. Lo sviluppo gigantesco di Atene e la sua trasformazione in metropoli moderna, il raggruppamento di grandi complessi industriali nella pianura attica, determinarono l’aumento dell’inquinamento atmosferico che favorì il processo di ossidazione del ferro. dilatazione che il ferro subisce per via della ruggine fu all’ origine dei problemi più gravi subiti dal Partenone e da altri monumenti. Balanos, inoltre, nel cercare di rendere evidente la differenza dei rocchi nuovi da quelli antichi nei colonnati nord e sud, li costruì utilizzando una roccia calcarea con un rivestimento esterno molto spesso di malta in cemento, e li rafforzò con barre di ferro che cominciarono presto ad arrugginirsi e a svilire l’aspetto delle colonne. La situazione strutturale del Partenone quindi, si è rivelata molto peggiore di quanto ci si aspettasse. Quando iniziò lo smantellamento degli elementi architettonici, contenenti ferro arrugginito, risalenti ai lavori di restauro di Balanos, ne furono portati alla luce altri che non erano mai stati rimossi dai tempi antichi. Questi elementi presentavano fratture di varie dimensioni causate da incendi passati o dall’esplosione del 1687, poi aggravate dai successivi terremoti. Per cercare di porre rimedio a questi problemi nel 1975 è stata istituita dal Ministero della Cultura una commissione interdisciplinare di esperti (archeologici, architetti, ingegneri e chimici) la “Commissione per la Conservazione dei Monumenti dell’Acropoli”, che ha come compito lo studio, la programmazione, la supervisione e l’esecuzione di tutte le opere necessarie al completamento del restauro dell’Acropoli. La consapevolezza della grande responsabilità di fronte a decisioni che implicavano interventi drastici sui monumenti di tale valore ha condotto la Commissione ad approfondire la problematica riguardante gli scopi ed i metodi di restauro, al fine di ricercare quelle soluzioni che limitassero al massimo le possibilità di errore. I principi della Carta di Venezia del 1964 sono stati adottati negli interventi sull’Acropoli: _ L’auspicata collaborazione tra studiosi (art. 2) assicurata dalle molteplici specializzazioni degli studiosi che eseguono le ricerche e da coloro che le esaminano. _ Conservazione dei monumenti intesi come testimonianza storica, scientifica e come opera d’arte (art. 3) _ Conservazione dell’ambiente circostante (art. 6). _ Rispetto dell’autenticità del monumento e redazione di uno studio archeologico prima di un qualsiasi intervento (art. 9) 89 fig. 31 Dipinto di Le Roy, Il Partenone da sud- est, 1755 90 fig. 32 Dipinto di C. Hansen, Il Partenone da nord- est, 1835 2 δ. Il Partenone nel futuro _ Uso di nuove tecnologie parallelamente a metodi tradizionali (art. 10), _ Inserimento armonico degli elementi nuovi e la loro riconoscibilità rispetto a quelli originali (art. 12) _ Reinserimento degli elementi fuori posto (art. 15) _ Meticolosa documentazione prima e durante l’intervento, pubblicazione dei lavori una volta terminati (art. 16) Il notevole valore archeologico e storico di questi monumenti e la pluriennale esperienza raggiunta dalla Grecia nel campo del restauro dei monumenti classici ha portato alla definizione di altri principi complementari strettamente legati al carattere dell’architettura classica Greca quali la reversibilità dell’intervento e il mantenimento dell’autonomia dei singoli elementi architettonici nel pieno rispetto del loro essenziale funzionamento statico. Nel 1983 venne pubblicato uno studio sulla ristrutturazione del Partenone a cura di di Bouras e Korres. Si tratta di uno studio globale che comprende una completa analisi storica, architettonica e tecnico-costruttiva del tempio con proposte di intervento suddivise in dodici programmi di lavoro riguardanti le varie zone del monumento: le facciate, i muri lunghi della cella, i porticati interni, il pronao e l’opistodomo, il basamento ed i pavimenti. L’intervento prevede lo smontaggio delle parti del monumento restaurate in precedenza, la sostituzione dei ferri ossidati e dei completamenti in cemento del restauro di Balanos con marmo Pentelico oltre al corretto ricollocamento dei blocchi smontati e restaurati. M. Korres nella sua ricerca identificò inoltre molti elementi del Partenone sparsi sull’Acropoli, sulle pendici della collina, nella città bassa che dovevano essere ricollocati nella posizione originaria. Questo progetto di restauro del Partenone fu diviso in dodici programmi diversi che furono implementati gradualmente a partire dal 1983. Il primo programma riguardava la parte est del tempio e includeva non solo la rimozione delle putrelle di ferro arrugginite introdotte da Balanos, ma anche la rimozione di tutte le metope, che furono date in custodia al museo; il temporaneo smantellamento del lato nord-est delle trabeazioni, così come di tutte le cornici; il completamento della cornice sul lato sud-est per ragioni di staticità. Un secondo programma concerneva il completamento, ancora una volta per ragioni di staticità, della quinta colonna da est, appartenente al colonnato sud. Il programma relativo all’ opisthonaos (la parte posteriore della cella) includeva non solo l’unione dei frammenti di numerosi elementi architettonici, ma anche lo smantellamento del fregio ovest del tempio, unico superstite del saccheggio di Elgin, e il suo trasferimento all’interno del museo in linea con i principi sanciti dalla Carta di Atene. Le sculture del fregio furono rimpiazzate da riproduzioni in pietra artificiale. L’ampliamento e il complementare restauro del lato antico della cella sono tuttora in corso. Parti del muro che erano state erette indiscriminatamente durante l’intervento di Balanos sono state smantellate, e sono in corso studi dettagliati per stabilire la posizione originaria dei blocchi calcarei. Il programma dei lavori sul colonnato nord del Partenone è iniziato nel 2001 e continua tuttora. Infatti, otto delle colonne erano state restaurate da Balanos (1923 -1933), tuttavia non solo tutti gli elementi corrispondenti delle trabeazioni erano in pessime condizioni per via delle barre di ferro e delle putrelle che vi erano incorporate, ma i rocchi di cemento creati ad hoc e quelli antichi, oltre che i capitelli, erano stati posizionati erroneamente, ragion per cui dovettero essere effettuati dei nuovi studi per determinare la loro corretta posizione. L’intervento sul lato nord fu esteso verso ovest al fine di smantellare e ricollocare nel nuovo museo altre sette metope, sfortunatamente rovinate, che verranno poi sostituite con delle copie. Il programma di intervento sul pronaos (‘anticamera’) del Partenone, iniziato nel 1994, non aveva un carattere di salvataggio ma di risanamento. Anche se la prostasis interna sul lato est del tempio era crollata insieme alle sue sei colonne nell’esplosione del 1687, vari rocchi e architravi erano sparsi a terra e potevano essere restaurati con apposite aggiunte. Infine, furono erette due colonne insieme alle loro architravi e altre tre a un’ altezza minore. Le nuove colonne aggiunte, al contrario di prima, non vennero scalpellate. 91 fig. 33 Galimov, Progetto per un Museo di architettura e arte: ‘The Temple City’, 1988 92 2 δ. Il Partenone nel futuro Queste I lavori di restauro del Partenone sono ancora oggi in corso e a differenza dei restauri precedenti, che avevano come unico obiettivo quello di rimediare ai danni senza pensare troppo alle conseguenze in modo da prolungare lo sfruttamento dell’edificio alle funzioni più varie, mirano alla conservazione e alla valorizzazione del monumento in modo da lasciarne testimonianza anche alle generazioni che verranno. Il metodo è rigorosamente scientifico, i principi da seguire ben delineati. Le nuove integrazioni sono eseguite partendo da calchi delle parti mancanti riprodotte in parte da sofisticate macchine a controllo numerico e in parte, quasi come un tempo, dal meticoloso lavoro artigianale di scalpellini. aggiunte sono realizzate in marmo pentelico proveniente dalle cave di Dionysos che, essendo più recente, si differenzia dal marmo antico per il colore più chiaro. I materiali adottati, mai invasivi, sono compatibili con i materiali autentici in modo da non causare danni in futuro. L’unico punto debole che si potrebbe rimproverare al restauro in corso è forse dato dal fatto che un approccio così scientifico, quasi prossimo alla ‘perfezione’,rischia di eliminare molte tracce storiche, che seppur tristi, costituiscono i piccoli pezzi che vanno a comporre più di duemila anni di storia del Partenone. Riguardo a questo interessanti sono le considerazioni fatte da Eugenio La Rocca, sovrintendente per i Beni Culturali del Comune di Roma: «… Alla fine dei lavori emergono tre interrogativi proprie della disciplina del restauro: 1. Discende da quel fenomeno di selezione operato dal tempo e dalla storia. L’Acropoli che oggi si vede è il risultato di un ripristino ottocentesco,che ha voluto privilegiare l’isolamento dei monumenti e la cancellazione di qualunque stratigrafia storica posteriore alla prima età imperiale. Noi vediamo una delle tante immagini possibili dell’Acropoli che è frutto di una scelta culturale di un determinato momento storico. 2. Si decide di ricostruire per intero monumenti scomparsi,dei quali erano conservati gli elementi architettonici costruttivi. Il caso del Tempio di Athena Nike che ora è parte integrante del paesaggio dell’Acropoli ma è stato interamente costruito nell’Ottocento. 3. Anche i restauri del passato diventano documenti storici da conservare e preservare perché fanno parte integrante della continuità di vita dei monumenti che è componente essenziale per una corretta lettura storica. Ma cosa fare se quei restauri sono stati eseguiti in modo poco ortodosso? 93 CAPITOLO3 INDICE DELLE FIGURE fig. 1 Nella pagina a fianco: Leo Von Klenze, Veduta ideale di Atene, 1846 fig. 2 Ritratto di Leo von Klenze fig. 3 Nella pagina a fianco: P. von Hess, Ricevimento del re Otto di Grecia ad Atene, 1834-1839 fig. 4 Ritratto di Ludwig Ross fig. 5 Frontespizio del libro: Die Akropolis von Athen di L. Ross; E. Schaubert; C. Hansen. Berlino, 1839 fig. 6 Propilei, veduta prima della demolizione della torre franca nel 1876 fig. 7 L. Ross, Tempio di Atena Nike fig. 8 Porta di Beulè, 1854 fig. 9 Intervento di Pittakis, ricostruzione del muro nord della cella del Partenone (fotografia di Balanos) fig. 10 Dodwell, Loggia delle Cariatidi (si può osservare la sostituzione da parte di Lusieri, a seguito di Lord Elgin il quale fece sostituire la seconda Cariatide con un pilastro in mattoni fig. 11 I Propilei prima del 1890 fig. 12 Planimetria generale con il Museo a sud est (Boetticher 1888) fig. 13 Nella pagina a fianco: Petros Moraites, I Propilei e l’ Eretteo, 1870 fig. 14 Efebo di Kritios, (Il torso è stato trovato nel 1865 durante gli scavi per gettare le fondamenta del Museo: la testa 23 anni più tardi, tra il Museo e la parete parete sud dell’ Acropoli. fig. 15 Ritrovamenti scultorei nella Perserschutt (colmata persiana: in primo piano il Moscophoros e il torso dell’ Efebo di Kritios, alcuni frammenti di Korai) fig. 17 Restauro del Partenone, progetto di N. Balanos, impalcature nell’angolo sud-est fig. 18 Loggia delle Cariatidi dopo la ricostruzione di Balanos, 1908 fig. 19 Trasferimento delle Cariatidi al Museo dell’ Acropoli fig. 20 -21 Percorsi: prima e dopo l’intervento di restauro fig. 22 Equipaggiamento per il restauro della Commissione per la Conservazione dei monumenti sull’ Acropoli 95 96 3 α. La nascita dello Stato Greco e l’interesse per la tutela dei monumenti nazionali. La nascita dello Stato greco e l’interesse per la tutela dei monumenti nazionali La fine della Guerra d’indipendenza greca lasciò Atene completamente in rovina e la maggior parte dei suoi monumenti antichi distrutti. L’accampamento turco che si era insediato sull’Acropoli, con le case e i giardini che possiamo vedere nelle rappresentazioni del XVIII e XIX secolo, erano stati ridotti in un mucchio di rovine nel mezzo del quale spiccavano il Partenone, l’Eretteo e i Propilei che avevano tutti subito di gravi danni durante i due assedi dell’Acropoli. Il riconoscimento dell’indipendenza dello Stato Greco dal Protocollo di Londra nel 1830 fu un punto di riferimento nella storia dei monumenti antichi. Il nuovo Stato era culturalmente orientato verso una mentalità occidentale, considerato erede dello spirito ellenico e al contempo attrattore per la diaspora intellettuale greca. Infatti fu solo dopo che la nuova forza politica entrò nella corrente di pensiero europeo che per la prima volta vennero fatti diversi sforzi per proteggere e mettere in mostra l’enorme patrimonio archeologico. Dalla metà del XVIII secolo l’Europa ha sviluppato un interesse nelle antichità classiche, un coinvolgimento suscitato dalle prime pubblicazioni scientifiche dei monumenti greci, dai grandi ritrovamenti nell’Italia meridionale e dalla creazione di collezioni archeologiche che furono per la prima volta aperte al pubblico. J. J. Winckelmann, fedele alle idee dell’Illuminismo, introdusse il primo trattato sullo sviluppo dell’arte antica, fondando così la scienza dell’Archeologia. Winckelmann proclamò l’incomparabile perfezione della bellezza classica e chiese ai suoi contemporanei di investigare e imitare l’arte greca. Osservare così le opere d’arte da un punto di vista illuministico e critico portò alla considerazione delle creazioni artistiche allora contemporanee come separate dalle opere d’arte del passato; questo a sua volta rese le persone consapevoli della necessità di preservare i materiali antichi. Gli sforzi per iniziarono n generalmente usando solo i materiali antichi rinvenuti con l’idea di ripristinarne la loro originaria bellezza. Il movimento ‘classicheggiante’ fu importato in Grecia dai tanti architetti e archeologi che arrivarono ad Atene, la nuova capitale dello Stato greco, durante il periodo della Reggenza, in particolare nei primi anni del Regno di Ottone di Wittelsbach, principe ereditario di Baviera eletto nel 1832. Molti di loro contribuirono a costruire la nuova città in stile neoclassico; offrirono il loro talento all’appena fondato Servizio Archeologico e si dedicarono alla ricerca scientifica e allo sviluppo dei metodi di esibizione dei monumenti antichi, in particolare le splendide rovine dell’Acropoli. CAP. 3 GLI INTERVENTI SULL’ ACROPOLI « Sono entrato all’Acropoli e ho visto pezzi di marmo ammucchiati in mezzo alla massa caotica di capitelli, frammenti di colonne, marmi grandi e piccoli, c’erano proiettili, palle di cannone, teschi umani e ossa, molti dei quali vicino alle esili cariatidi dell’Eretteo.» Cristopher Neezer 97 98 3 β. Leo Von Klenze: il memorandum. Leo von Klenze: il memorandum Dal giugno al settembre del 1834 Leo Von Klenze (1784-1864), il famoso architetto alla corte di Monaco di Baviera, visitò Atene e il suo breve soggiorno incise molto sugli sviluppi delle vicende dei monumenti dell’Acropoli. Von Klenze, una delle personalità di spicco del clas- sicismo romantico, presentò 3 memorandum alla Reggenza e al Re Otto che enunciavano per la prima volta le linee giuda per ricostruire e scavare sull’Acropoli. Le proposte che egli enunciò nel memorandum si possono riassumere tramite questi assunti: 1. Rimuovere le fortificazioni che non presentavano interesse archeologico, strutturale, artistico, specialmente quelle che mostravano un imminente pericolo di crollo, come ad esempio le fortificazioni collocate di fronte ai Propilei. 2. Ripulire e ricostruire il Partenone, continuare gli scavi nell’area del tempio per un’ estensione di 20 piedi e riordinare i reperti ritrovati. Ricollocare le sculture sia nella moschea costruita all’interno del Partenone che nel Theseion. Conservare i blocchi architettonici che potevano essere utilizzati per la ricostruzione nei pressi del tempio. I frammenti che invece non apparivano funzonali a tale scopo ma che presentavano un loro intrinseco valore artistico dovevano essere raggruppati in pile di marmo per trasmettere una sorta di immagine pittoresca della rovina. Il risultante materiale architettonico che giaceva a terra doveva essere rimosso dall’Acropoli e venduto come meteriale da costruzione. 3. La ricostruzione del Partenone doveva iniziare sul lato a Nord il quale risultava più visibile dalla città e dal Palazzo. Bisognava riutilizzare dapprima i rocchi di colonna originali ed eventualmente, dove essi mancavano, avrebbero dovuto essere sostituiti tramite l’utilizzo di nuovi rocchi in marmo con il presupposto di mostrarli nella loro originalità e cioè senza alcun tentativo di camuffare la provenienza contemporanea del materiale. Laddove metope, triglifi e architravi fossero stati rinvenuti sarebbe stato neccessario riposizionarli sopra alle colonne in modo da preservarne il carattere pittoresco. Il modus operandi avrebbe dovuto essere lo stesso nell’ intero edificio: procedendo per anastilosi anche per le murature della cella, in quanto alcuni dei blocchi originari erano a portata di mano. Sul lato Sud le colonne macanti avrebbero dovuto essere escluse senza compromettere però la visione d’insieme. La scala a chiocciola appartenente alla chiesa cristiana doveva essere demolita e rimpiazzata nel caso in cui fosse stato necessario un mezzo di accesso alla sovrastruttura, con una scala leggera collocata all’interno dell’edificio. fig. 2 Ritratto di Leo von Klenze fig. 1 Nella pagina a fianco: Leo Von Klenze, Veduta ideale di Atene, 1846 4. Dopo la ricostruzione del Partenone l’area a Est dello stesso, dove sarebbe stato costruito in seguito il museo dell’ Acropoli, avrebbe dovuto essere interamente sgomberata dalle rovine. Stessa sorte sarebbe toccata all’ Eretteo e ai Propilei, i quali avrebbero dovuto essere ricostruiti come parte del Partenone. Il livello originario del terreno sarebbe dovuto rimanere intatto, così come le rovine dei muri di contenimento, le basi e le fondazioni. 99 100 3 γ. Ludwig Ross: la scoperta della sottostruttura del Partenone e del Tempio di Atena Nike. Rispetto Leo von Klenze non solo stese un programma per gli scavi e le ricostruzioni, ma concepì e curò un piano per rimuovere il presidio militare dall’Acropoli che da quel momento iniziava a manifestare i caratteri di un sito archeologico. L’ architetto bavarese affidò la supervisione dei lavori al giovane archeologo Ludwig Ross, il quale insieme all’architetto Stamatios Kleanthis e ad Eduard Schaubert ricavò un budget per 3 anni di lavori sull’Acropoli. Von Klenze studiò inoltre l’architettura del Partenone e condusse piccoli scavi sul lato settentrionale del Partenone e dei Propilei. Il 10 Settembre 1834, prima che Klenze lasciasse Atene, fu organizzata una cerimonia sull’Acropoli e in quell’ occasione il ripristino di un fusto di colonna nel punto originario diede inizio all’inaugurazione della campagna di restauro. Il re Otto si sedette all’interno del Partenone sopra ad un trono decorato con rami di ulivo, mirto e alloro; la sua presenza e lo splendore della cerimonia espresse il desiderio dello stato di proteggere e mostrare i monumenti che si identificavano con la rinascita dell’ intera nazione. Il patrocinio di Leo Von Klenze riflettè lo spirito di ammirazione per l’antichità che caratterizzò tutte le operazioni intraprese sull’Acropoli nel XIX secolo: “tutte le vestigia delle barbarie devono essere estirpate dall’Acropoli e da tutta la Grecia e i resti del glorioso passato potranno brillare con un nuovo splendore come solida base per un presente e un futuro glorioso.” ai criteri moderni questi interventi furono spesso sbagliati e nocivi per il materiale antico. Tuttavia vennero eseguiti in linea con lo spirito del tempo in cui non erano ancora stati formulati principi teorici scientifici e il risultato dei restauri dipendeva essenzialmente dalla sensibilità di chi eseguiva il lavoro. Ludwig Ross: la scoperta della sottostruttura del Partenone e del Tempio di Atena Nike. fig. 4 Ritratto di Ludwig Ross fig. 3 Nella pagina a fianco: P. von Hess, Ricevimento del re Otto di Grecia ad Atene, 1834-1839 Verso la fine del Dicembre 1834 iniziarono i lavori di restauro sull’ Acropoli, sotto la direzione di Ludwig Ross, Gustav Eduard Schaubert e Christian Hansen, il quale sostituì l’architetto greco Stamatios Kleanthis. Ross decise che il suo primo compito avrebbe dovuto essere quello di rintracciare i resti del tempio distrutto dai persiani. Dall’inizio del gennaio 1835, ottanta operai lavorarono costantemente alla rimozione dei riempimenti attorno al Partenone e nei pressi della piattaforma del tempio dove, oltre a numerose sculture e iscrizioni, nel 1835-1836, fu portata alla luce l’ immensa sottostruttura prima ancora che venissero condotti studi dettagliati sul tempio pericleo e sulle sue origini. Chiaramente i risultati degli scavi furonono sorprendenti: non solo si scoprì che il Partenone Pericleo giaceva su questa sottostruttura enorme, ma diventò presto evidente che tale opera era stata costruita per un tempio diverso. La sagoma regolare della piattaforma in poros non coincideva, infatti, sia in dimensioni che in posizione, con quella del Partenone di Pericle. Intanto, la demolizione dei bastioni turchi di fronte ai Propilei permise di scoprire molte parti architettoniche appartenenti all’edificio, iscrizioni, e molti gradini della scalinata romana posta a sud- est. 101 fig. 5 Frontespizio del libro: Die Akropolis von Athen di L. Ross; E. Schaubert; C. Hansen. Berlino, 1839 102 fig. 6 Propilei, veduta prima della demolizione della torre franca nel 1876 3 δ. Kyriakos Pittakis: la rimozione del layer medioevale e i primi interventi di restauro. Ma tutte le attenzioni erano incentrate sul lato sud del bastione che era stato costruito con il marmo del Tempio di Atena Nike quando i veneziani stavano assediando l’Acropoli nel 1687. I ritrovamenti superarono di gran lunga le aspettative e consentirono una ricostruzione parziale del tempio ionico. Ross scrive quanto segue: «Dopo che iniziammo a demolire il bastione nei primi giorni dell’ Aprile 1835 ci ritrovammo proprio al di sopra dei resti del Tempio di Athena Nike sul lato est e per questo motivo tale porzione fu rinvenuta per prima. Allo stesso tempo raggiungemmo le fondazioni del tempio all’estremità sud del bastione; trovammo 3 gradini, l’intero podio della cella e due basi di colonne dell’angolo sud est, una delle quali con una parte del fusto ancora nel punto originario: e ora c’è ragione di sperare che questa meravigliosa parte di architettura possa essere parzialmente ricostruita.» Di conseguenza i lavori proseguirono e nel mese di luglio del 1835 si ebbero quasi tutti i resti del Tempio raggruppati nell’area di fronte ai Propilei ad eccezione di alcune parti che sembravano mancare completamente ma che al contempo erano facilmente comprensibili per quanto riguardava la collacazione. La ricostruzione del Tempio ebbe inizio nel dicembre dello stesso anno e terminò nel maggio successivo. Per la costruzione delle nuove colonne venne utilizzato marmo pentelico, che fu quindi inserito nei tre fusti rotti e in una nuova base. Per i nuovi blocchi utilizzati per sostituire o completare quelli della cella venne invece scelta la roccia calcarea. Il lato nord e quello est furono ricostruiti all’altezza dell’architrave e gli altri due lati restanti rimasero completi per metà. Il Tempietto di Atena Nike fu il primo monumento classico in grecia ad essere completamente ricostruito. Nel 1835 Ross lavorò anche all’Eretteo, dove scavò il portico nord. Dal luglio 1836, dopo che Ross rassegnò le sue dimissioni, Kyriakos Pittakis divenne ufficialmente direttore delle operazioni sull’Acropoli secondo un decreto reale. Kyriakos Pittakis: la rimozione del layer medioevale e i primi interventi di restauro fig. 7 L. Ross, Tempio di Atena Nike Pittakis (1798-1863) fu un archeologo ateniese, noto per i suoi tentativi di proteggere durante la Guerra d’Indipendenza i monumenti greci a cui si dedicò con estrema tenacia fino alla morte. Inizialmenente era assistito da due architetti: E. Schaubert e E. Laurent e dallo scultore svizzero Imhof aiutato dall’italiano Andreoli. Dal 1842 Pittakis collaborò con l’Archeological Society e con Alexandros Rizos-Rangabè : un grande archeologo greco del tempo. Pittakis si occupò di molteciplici attività sull’Acropoli e nei suoi dintorni, infatti proseguì sia nelle operazioni di demolizione, rimuovendo i livelli superiori di riempimento,sia agli scavi iniziati da Ross. La campagna cominciò nell’area dei Propilei dove nel 1836 demolì i resti del palazzo medioevale, le volte dei Franchi nella Pinakotheke e le costruzioni a volte turche nell’edificio centrale, e scavò sotto al pavimento dello stesso edificio. Durante i due anni seguenti proseguirno gli scavi nei pressi dell’Eretteo e dell’area dove sorgeva l’antico tempio di Atena (tra Partenone ed Eretteo). All’interno di quest’ultimo Pittakis scavò sotto al pavimento della chiesa cristiana trovando tombe nella navata sud e una grande cisterna nella stanza occidentale. Inoltre scavò in piu punti nell’area circostante portando alla luce il corpo e svariati frammenti della 103 fig. 8 Porta di Beulè, 1854 104 3 δ. Kyriakos Pittakis: la rimozione del layer medioevale e i primi interventi di restauro. T Cariatide n. 6 e la testa della Cariatide n. 5. Nel 1938-39 proseguirono gli scavi all’interno del portico est dei Propilei e in questa occasione l’intera area fu smantellata fino al lato ovest del Partenone. Qui furono rinvenuti molteplici e importantissimi frammenti scultorei, iscrizioni e 30 basi di statue. L’area ad est dell’Eretteo fu ripulita e alcuni scavi nel pronao del Partenone portarono alla luce altre iscrizioni e rilievi. Nel 1844-45 i lavori nella zona dell’Eretteo ricominciarono e i resti del magazzino di polvere da sparo turco vennero rimossi dal portico nord. In quegli stessi anni gli archeologi avviarono anche alcuni scavi nell’area a Sud del Partenone dove furono ritrovati alcuni blocchi del fregio e una quantità di iscrizioni a ovest, verso i Propilei. Nel 1848-49 gli scavi proseguirono a nord-est dei Propilei fino all’Eretteo. Ma gli scavi più importanti sotto la direzione di Pittakis vennero compiuti dal 1856 al 1860, quando l’angolo sud est del Partenone fu ripulito per dare spazio alla nuova sede del Museo dell’Acropoli. La grande cisterna a est del Partenone fu demolita e vennero all luce i gradini scavati nella roccia per il terrazzamento a ovest del Partenone. Al termine di questi lavori Pittakis credeva che gli scavi sopra all’Acropoli fossero giunti a conclusione. Kavvadias scrisse a proposito degli scavi 1856-60: « utte le strutture posteriori sono state rimosse, ci sono stati ritrovamenti importanti e sostanzialmente tutta la parte centrale dell’Acropoli è stata scavata fino al raggiungimento della quota della roccia.» fig. 9 Intervento di Pittakis, ricostruzione del muro nord della cella del Partenone (fotografia di Balanos) Pittakis effettuò inoltre progetti di conservazione e ampie ricostruzioni: dal 1837al 1840 nell’ area adiacente l’ Eretteo vennero ricostruite alcune parti delle mura sud e nord, le colonne del portico nord e dell’angolo sud-est vennero consolidate; la Cariatide n.5 che era stata riparata da Imhof fu riposizionata. Nel 1842-1845, insieme a Rizos-Rangabè, fu redatto un progetto di ricostruzione del Partenone: alcune colonne dei colonnati nord e sud furono ricostruite e 158 blocchi che giacevano attorno al tempio furono ricollocati nel muro sud dell’edificio interno. I resti della Moschea, costruita all’interno del Partenone nel XVII secolo, furono rimossi. Nel 1834-1844 portarono a termine la ricomposizione del Tempio di Atena Nike completando le mura a ovest e a sud, ricostruendo la maggior parte delle travi a vista e il soffitto cassettonato di entrambi i portici; inoltre il pavimento fu reso impermeabile e tutti i monumenti vennero recintati. Nel 1850 venne restaurata una parte della rampa di risalita principale dei Propilei accanto al Tempio di Atena Nike, seguendo un piano redatto dall’Architetto francese Desbuisson. Nel 1854 venne ripristinato il crepidoma della Pinakotheke. Nella ricostruzione degli edifici Pittakis riutilizzò semplicemente i blocchi che giacevano a terra in modo azzardato, senza preoccuparsi di stabilire l’esatta posizione originaria di ciascuno di essi. Usò fissaggi in ferro e riempì gli spazi vuoti tra i blocchi con mattoni ordinari, rinforzò le colonne con pesanti anelli in ferro. La preoccupazione principale dell’architetto durante questi anni intensi di lavoro sull’ Acropoli fu la salvaguardia dei materiali che giacevano sul terreno attorno ai monumenti e l’archiviazione dei reperti ritrovati negli scavi. 105 fig. 10 Dodwell, Loggia delle Cariatidi (si può osservare la sostituzione da parte di Lusieri, a seguito di Lord Elgin il quale fece sostituire la seconda Cariatide con un pilastro in mattoni) 106 3 ε. La scoperta della porta di Beulè; la demolizione della Torre Franca e la costruzione del Museo. Infatti, a partire dal 1833 Pittakis iniziò la creazione della prima collezione di reperti archeologici nei Propilei. Durante gli anni seguenti continuò a collezionare frammenti di architetture e sculture che aveva conservato appartenenti ai quattro edifici classici e alle strutture successive che ancora si trovavano sull’Acropoli. Pittakis e il suo lavoro in generale, non solo quello riguardante i monumenti dell’Acropoli, fu oggetto di innumerevoli critiche: perfino il suo collaboratore, A. Rizos-Rangabè lo accusò successivamente di essere grossolano e poco metodico. Queste critiche provenivano dagli ambienti colti, dalle classi istruite in diretto contatto con l’Europa , specchio del conflitto che sorse in Grecia, sotto al regno del Re Otto (1833-1863) tra gli Occidentali e i greci. Giudicati al giorno d’oggi i criteri dell’operato di Pittakis sull’Acropoli sono senza dubbio molto lontani da qualsiasi procedura scientifica, ma i suoi sforzi nel raccogliere e salvaguardare il materiale antico ampliamente disseminato sull’altura, rimarrà per sempre un contributo prezioso. Grazie allo zelo quasi fanatico di Pittakis una quantità di antichità che in altro modo sarebbero irreparabilmente andate perse sono state salvate e tramandate di generazione in generazione per studi e ricerche. Anche nelle ricostruzioni in alcuni casi egli anticipò le pratiche moderne, se si pensa che intervenì prima che venissero concepiti i principi originari del Restauro contemporaneo. Per esempio, rispettò il materiale originario unendo tra loro i frammenti e molte parti delle sue ricostruzioni erano fornite di iscrizione con la data del lavoro. La scoperta della porta di Beulè, la demolizione della Torre Franca e la costruzione del Museo. Un Al tempo di Pittakis archeologi francesi e architetti, molti dei quali Pensionnaires dell’Accademia francese a Roma, (Prix de Rome), stavano investigando, scavando e ricostruendo i monumenti dell’Acropoli. Nel 1846-1847 l’architetto A. Paccard ristrutturò il portico delle cariatidi con l’aiuto dei contributi francesi; posizionò delle colonne a sostituzione di antiestetiche murature e puntelli di sostegno tra le Cariatidi, che fino a quel momento avevano sostenuto la sovrastruttura, la Cariatide n. 6 venne ristrutturata dall’archeologo Andreoli e ricollocata nel punto originario. La Cariatide conservata al British Museum fu rimpiazzata da una di terracotta; il podio e l’architrave furono grossolanamente riparati con nuovi blocchi in modo dannoso per la struttura antica. Nel 1852-53 l’Archeologo E. Beulè scavò a ovest dei Propilei. Al termine delle sue ricerche che consentirono la scoperta dell’ultima porta, che è oggi conosciuta con il nome dell’ archeologo che la scoprì, la maggior parte delle fortificazioni successive sull’ingresso ovest dell’Acropoli erano state cancellate. Nel 1862 l’Archeologo tedesco C. Botticher stava lavorando sull’Acropoli. Rimosse i resti dell’abside della chiesa dalla cella del Partenone e scavò attorno all’Eretteo, andando sotto al livello della roccia e trovando blocchi archeologici, frammenti di fregi dell’Eretteo e iscrizioni. anno più tardi il Governo decise di costruire un nuovo Museo progettato dall’Architetto Kalkos nell’area a Sud Est del Partenone. I lavori di costruzione iniziarono nel 1865 e terminarono nel 1874. 107 108 3 ζ. I grandi scavi: Kavvadias e Kawerau Balanos e il recupero dell’Antico splendore dell’Acropoli. I due interventi più importanti sull’Acropoli tra il 1870 e il 1885 riguardavano il consolidamento del Partenone e la demolizione della Torre Franca. Nel 1870-1872 i seguenti lavori vennero svolti sul Partenone sotto la supervisione di P.Eustratiadis, General Ephor of Antiquities: l’architrave della porta occidentale e i blocchi superiori furono rinforzati mediante tondini di ferro, un arco di mattoni e muratura grezza di pietre e mattoni; l’italiano Martinelli si occupò del restauro dei fregi occidentali in situ. Nel 1875 H. Schliemann stanziò i fondi con cui demolire la Torre Franca. «...che stava nascondendo la parte ovest dei Propilei e guastava l’armonia dell’intera Acropoli.» Quest’impresa fu animata da uno spirito purificatore che è andato ben oltre le proposte di Von Klenze secondo le quali la torre doveva essere conservata come una pittoresca traccia delle fortificazioni medioevali dell’Acropoli. La demolizione della Torre suscitò accese polemiche nei salotti ateniesi più colti. Nella seconda metà del XIX secolo in Grecia era emersa una tendenza verso l’apprezzamento del passato medioevale come un collegamento inalienabile della continuità storica della nazione e questo ha portato a prendere una posizione contro l’annientamento degli ultimi resti medioevali sull’Acropoli. Tra il 1875 e il 1885 ci furono piccoli scavi ed esplorazioni, il più importante dei quali furono le ricerche di R. Bohn dei Propilei e del Tempio di Athena Nike nel 1880 e uno scavo nell’area tra il museo e il lato Est del Partenone iniziato dall’Archaeological Society nel 1882 e interrotto l’anno seguente. Questi preludevano agli scavi finali dell’Acropoli nel 1885-1890 che hanno prodotto reperti sorprendenti e inaspettati. I grandi scavi: Kavvadias e Kawerau fig. 12 Planimetria generale con il Museo a sud est (Boetticher 1888) le La grande campagna di scavi sull’Acropoli iniziò a Nord est dei Propilei il giorno 11 Novembre 1885. Gli scavi erano condotti dalla Greek Archaeological Society, grazie a un sussidio concesso dallo stato, sotto la direzione di P. Kavvadias che era a quel tempo Eforo Generale delle Antichità. Da Marzo 1886 in avanti G. Kawerau fu l’architetto degli scavi. Il programma di Kavvadias era stato redatto in anticipo: scavi fino al piano della roccia su tutta l’Acropoli secondo le seguenti disposizioni: _il piano della roccia e i reperti dovevano essere accuratemente conservati per essere elaborati e se necessario fotografati; successivamente aree scavate sarebbero state riempite e coperte con terra e pietre informi che giacevano attorno in modo da ripristinare il livello del suolo di epoca Classica; _i reperti degni di nota sul livello della roccia non dovevano essere ricoperti ma lasciati visibili; tutte le strutture successive ancora esistenti dovevano essere rimosse; tutti i reperti architettonici valutabili dovevano essere disposti ordinatamente; i materiali appartenenti a uno dei quattro edifici classici dovevano essere raccolti e posizionati accanto all’edificio di appartenenza; gli 109 110 3 ζ. I grandi scavi: Kavvadias e Kawerau Balanos e il recupero dell’Antico splendore dell’Acropoli. Il edifici devono essere liberati da qualsiasi superfetazione. Kavvadias portò avanti fermamente questo programma senza interruzioni fino al 1890. Nel 1886 l’intera area dai Propilei all’Eretteo fu scavata: fuono molti i ritrovamenti di figurine di terracotta, ceramiche, sculture, iscrizioni. 25 Gennaio 1886, 14 delle famose Korai arcaiche emersero vicino all’angolo sud est dell’Eretteo, prova tangibile della distruzione persiana dell’Acropoli. Un altra grande scoperta di quegli anni fu la scalinata classica nel Muro Nord, le fondazioni del Vecchio Tempio di Athena, le prime architetture e sculture arcaiche di roccia porosa oikemata (serie di stanze, Pausania). Nel 1887 gli scavi continuarono a Est dell’Eretteo, esponendo l’area al livello della roccia fino all’angolo Sud Est del Museo. Durante questo lavoro furono costruite le scale che portavano alla corte Nord dell’Eretteo. Il magazzino turco sotterraneo di polvere da sparo chiamato “Tholos” che servì come magazzino per i ritrovamenti fu demolito; furono ritrovati i resti del Palazzo Miceneo e del crepidoma del tempio di Roma e di Augusto, resti delle mura Micenee e l’ergasterion (laboratorio) a Est del Museo. Nel 1888 fu effettuato uno scavo al di sotto del pavimento del nuovo Museo dove venne ritrovata la continuazione del circuito delle Mura Micenee. L’operazione di scavo più importante fu condotta nell’area tra l’angolo sud Est del Partenone e l’angolo Sud-ovest del Museo, dove venne alla luce il “poros layer”, con le sue grandi quantità di sculture e architettura di roccia calcarea porosa. Gli scavi procedettero nell’area tra il Partenone e le Mura Sud dell’Acropoli, raggiungendo una profondità di 10-14 metri, rivelando i 22 corsi appartenenti alle fondazioni del Vecchio Partenone nel lato Sud, successivamente su quello ovest le fondazioni della Chalkotheke. Nel 1889 gli scavi continuarono a ovest lungo le mura sud fino ai Propilei; furono cosi scoperte le fondazioni del Santuario di Artemis Brauronia. Nello stesso anno l’area centrale fu ripulita; molti frammenti di architetture disseminati a Nord del Partenone vennero ordinati; altri scavi furono effettuati nell’ opisthòdomos (ossia lo spazio posto dietro la cella) del Partenone nei punti in cui i solai erano mancanti al fine di indagare la muratura delle fondazioni del Tempio di Athena Nike. Agli inizi del 1890 l’area attorno ai Propilei fu ripulita fino alla porta di Beulè dove vennero demoliti anche gli ultimi resti appartenente all’epoca dell’impero Ottomano. Nel Febbraio 1890 gli scavi sull’Acropoli terminarono. Pieno di orgoglio Kavvadias annunciò nell’ Archaiologikon deltion: “In questa forma finale la Grecia lascia in eredità l’Acropoli al mondo civilizzato - una testomonianza del genio greco, un monumento venerabile finalmente ripulito di tutti i resti barbari, un archivio unico di squisite opere d’arte del mondo antico, uno stimolo costante per tutti i popoli civilizzati a lavorare insieme in amicizia che li indirizza al nobile compito di promuovere studi archeologici.” Gli obiettivi degli scavi erano stati raggiunti con successo. I magnifici ritrovamenti magnifici arricchirono il Musei dell’Acropoli e il Museo Nazionale e stimolarono la ricerca non solo sull’Acropoli ma di tutta l’Arte antica. fig. 13 Nella pagina a fianco: P. Moraites, I Propilei e l’ Eretteo, 1870 111 fig. 14 Efebo di Kritios, (Il torso è stato trovato nel 1865 durante gli scavi per gettare le fondamenta del Museo: la testa 23 anni più tardi, tra il Museo e la parete parete sud dell’ Acropoli. 112 fig. 15 Ritrovamenti scultorei nella Perserschutt (colmata persiana: in primo piano il Moscophoros e il torso dell’ Efebo di Kritios, alcuni frammenti di Korai) 3 ζ. I grandi scavi: Kavvadias e Kawerau Balanos e il recupero dell’Antico splendore dell’Acropoli. Balanos e il recupero dell’Antico splendore dell’Acropoli Nel 1894 i Monumenti dell’Acropoli, specialmente i Partenone, furono danneggiati da un forte terremoto che resero necessaria un operazione di salvataggio. Dal 1894 al 1898, anno in cui iniziarono i lavori, ci fu polemica per l’entità del lavoro che doveva essere svolto sul Partenone e su come bisognasse agire. Si compose così una commissione internazionale formata dagli Architetti L. Magne, J. Durm, F. Penrose che redasse il primo report analitico riguardante le patologie del Partenone e i possibili metodi per contrastarle. Lo scambio di opinioni sulla questione del restauro del Partenone portò ad alcune decisioni basilari, come l’esclusione di una possibile ricostruzione attraverso interventi limitati al consolidamento della struttura.In alcuni casi i vecchi blocchi sarebbero stati rimpiazzati e aggiunti nuovi materiali. Il lavoro doveva essere svolto in accordo con “i metodi tradizionali” usando staffe di ferro e tasselli di piombo rivestiti di malta o cemento. Nel 1898 i lavori iniziarono nel Partenone sotto la supervisione di N. Balanos, ingegnere civile greco e continuarono fino al 1902. La conservazione venne effettuata sui capitelli e sugli architravi del portico ovest, sui sostegni del fregio occidentale, sui capitelli e architravi del colonnato occidentale, in entrambe le estremità del frontone ovest e nell’angolo nord est del frontone est che fu smontato e successivamente rimontato. Durante gli anni seguenti N. Balanos procedette lavorando su altri monumenti dell’Acropoli. Dal 1902-1909 Balanos portò a termine una cospicua operazione sull’Eretteo: nel Portico Nord, tutti gli architravi, un parte di fregio e i cornicioni vennero rimessi a posto e il tetto fu ricostruito; sul lato ovest fu ripristinata la trabeazione. Inoltre venne eretto nuovamente il muro a sud e furono corretti gli interventi maldestri di Paccard nel portico delle Cariatidi, dove sia le statue che il soffitto cassettonato furono interessati da un intervento conservativo. Dal 1909 al 1917 Balanos lavorò sui Propilei. Furono ripristinati gli architravi del portico est, fu ricostruito l’angolo nord-est e la parte nord del soffitto a cassettoni. Nel passaggio principale centrale la colonna sud.est in stile ionico fu ricostruita così come il corso superiore del muro della porta che gli ha permesso di ricostruire l’angolo sud est del soffitto. Nel 1921 Balanos propose la ricostruzione del colonnato Nord del Partenone completo di trabeazione, usando i materiali antichi che giacevano a terra attorno al tempio con l’aggiunta, laddove si rendesse necassaria, di nuovi rocchi di colonna con un nucleo di cemento rivestito da pietra calcarea porosa. Questa proposta diede adito a molte discussioni tra archeologi e architetti, non solo in Grecia ma anche all’estero. Le reazioni variavano da un rifiuto totale della proposta sulla base di criteri estetici e storici , all’accettazione della stessa con riserve e osseravazioni riguardanti la necessità di una completa documentazione prima delle operazioni in modo che fosse prima possibile determinare la posizione corretta dei frammenti, e dubbi sul quanto restaurare e quali materili fossero da utilizzare. Alla fine la proposta di Balanos fu accettata. I lavori iniziarono nel 1923 e nel 1933 i lavori vennero terminati: l’intero colonnato nord e una parte del colonnato Sud fu ricostruito e restaurato; vennero effettuate riparazioni sul frontone e sul portico a est: l’arco inserito all’ingresso ovest nel 1872 venne rimosso e fu rimpiazzato da un architrave in cemento rinforzato; durante le operazioni dirette da Pittakis- Rangabè le mura interne a nord e sud furono completate con mattoni ora rimossi. 113 fig. 17 Restauro del Partenone, progetto di N. Balanos, impalcature nell’angolo sud-est 114 3 ζ. I grandi scavi: Kavvadias e Kawerau Balanos e il recupero dell’Antico splendore dell’Acropoli. Ad eccezione del colonnato, Balanos usò il marmo Pentelico per ricomporre i blocchi antichi e per quelli completamente ristrutturati. Usò staffe in ferro sia per tenere insieme i frammenti antichi, sia per attaccare i nuovi frammenti marmorei a quelli antichi; i morsetti di ferro, sia crudamente rivestiti in piombo che non rivestiti affatto, sono stati coperti con malta cementizia. In molti casi sono state incorporate travi di ferro spesse e molto lunghe nei blocchi antichi per motivi statici. Bisogna sempre ricordare che Balanos stava lavorando in un momento in cui era sorto in Europa un nuovo dibattito sui problemi del restauro dei monumenti. Agli inizi del 1883 infatti, C.Boito, ingeniere italiano, formulò i primi principi scientifici e giudiziosi sulla conservazione dei monumenti. Egli sosteneva che il rispetto per il carattere storio di un monumento richiedeva che questo non fosse alterato. Interventi di conservazione e restauro sono necessari, a differenza della ricostruzione che deve essere fatta solo in casi estremi e usando meno aggiunte possibili. Laddove debbano essere aggiunti dei materiali nuovi, questi devono essere resi ben distinguibili da quelli originali. Oggi Qualsiasi fase delle operazioni di restauro deve errere scritta e al termine dei lavori dovrebbe esserci una pubblicazione scientifica. Queste tesi, successivamente ampliate e elaborate in base alle nuove scoperte, sarebbero diventate poi le basi della Carta di Atene del 1931, il primo documento internazionale ufficiale, valido sul restauro. Questi nuovi concetti, si rifletterono nelle discussioni e negli scontri che precedettero i due progetti di ricostruzione del Partenone e obbligarono N. Balanos- insieme a P. Kavvadias e all’Architetto Tedesco W.Dorpfeld (che al tempo era per eccellenza il maggior investigatore sui monumenti dell’Acropoli)- a formulare, e alla fine teorizzare, le linee guida prima di iniziare l’Anastilosi. Per la prima volta questa operazione fu effettuata in Grecia e le linee guida riportavano: “collezionare i blocchi che si erano preservati, riparare gli stessi in modo da poterli riposizionare”. Il materiale nuovo doveva essere utilizzato solo dove strettamente necessario. Balanos, tuttavia spesso non praticava ciò che aveva proclamato. Consapevole di continuare l’opera del Classicismo del XIX secolo, e: «volendo fornire un’immagine più completa dei monumenti come se avessero subito meno devastazione e esaltandoli recuperando una parte del loro antico splendore», procedette ricostruendo una grande parte degli edifici usando il materiale antico a disposizione ma senza affrontare il problema di dove questo fosse collocato originariamente. Inoltre mise insieme blocchi architettonici (capitelli e soffitti a cassettoni in particolare) unendo antichi frammenti di provenienza sconosciuta. Non esitò mai nel tagliare frammenti antichi per ottenere superfici piatte per unirli con la forza, dimostrando così un’indifferenza per l’architettura antica, che ha avuto conseguenze disastrose. Antichi blocchi architettonici furono ulteriormente segnati da tagli profondi che devastarono una grande quantità di marmi antichi a causa dell’ inserimento dei morsetti di ferro e di travi. tutti le critiche a proposito del lavoro di Balanos sottolineano l’uso spropositato del ferro che arrugginì e si gonfiò in un tempo molto breve a causa del peggioramento delle condizioni atmosferiche, frantumando il marmo e infliggendo così danni terribili ai monumenti. 115 fig. 18 Loggia delle Cariatidi dopo la ricostruzione di Balanos, 1908 116 fig. 19 Trasferimento delle Cariatidi al Museo dell’ Acropoli 3 η. La seconda ricostruzione del Tempio di Atena Nike e il restauro del restauro. Balanos tuttavia non può essere incolpato ulteriormente per l’utilizzo di cemento armato, utilizzato per il consolidamento di ampie fasce dei monumenti e per la creazione di nuovi sistemi di supporto; l’ingegnere, che si laurò alla famosa Ecole des Ponts et Chaussées, stava semplicemente seguendo le piu diffuse pratiche contemporanee e applicò la tecnologia del tempo in un modo che era impressionante per il livello di competenza tecnica in Grecia in quel momento. Alla conferenza internazionale dell’ ICOM tenutasi ad Atene nel 1931 il lavoro di Balanos infatti trovò approvazione e consenso; l’articolo 4 della Carta di Atene, scritto durante la conferenza, proclamava l’affidabilità della nuova tecnica del cemento armato e la fiducia nella sua efficacia applicata all’ anastilosi. La seconda ricostruzione del Tempio di Atena Nike e il restauro del restauro A L’intervento di Balanos fu l’ultima operazione drastica che fu attuata sull’Acropoli, ciò nonostante l’unica altra operazione a grande scala realizzata negli anni seguenti fu la seconda ricostruzione del tempio di Athena Nike nel 1935-1940. Questo intervento fu necessario alla luce della scoperta , frutto delle ricerche del 1934, che entrambe le fondazioni dei templi e la fondazione del Bastione erano in allarmante stato di conservazione. Lo smantellamento preliminare di entrambi i templi e del bastione rese possibile l’analisi archeologica all’interno dei bastioni che a sua voltà portò alla scoperta di culti precedenti. Fino al 1939 rimase in carica Balanos il quale proseguì alla stregua degli anni precedenti. Balanos succedette nel 1940 A.Orlandos, il quale aveva studiato molto attentamente l’architettura di questi templi. Negli interventi precedenti del 1834-35 e 1843-44 alcuni blocchi di murature e architravi erano stati erroneamente collocati; il merito di Orlandos fu quello di porre rimedio a questi e altri errori di epoche precedenti. Orlandos, un pioniere nel campo dell’architettura greca antica, diresse i lavori sull’Acropoli per il ventennio successivo. Il lavoro seguente venne eseguito sui Propilei sotto la sua supervisione: la ricostruzione dell’ala sud est nel 1947-57 nel corso della quale vennero rimosse alcune tracce della Torre Franca ; la colonna sud-ovest, la vicina anta e il molo centrale furono ricostruiti, nel 1956 la pietra calcarea (poros) delle fondamenta delle mura della Pinakotheke furono consolidati. La salita attuale tramite rampa è stata disposto sulla base di reperti recenti di studiosi americani. Orlandos pianificò per ripristinare il soffitto del porticato ovest del Partenone in marmo. Una proposta ripetutamente presa in esame dal 1942-1960 e di volta in volta approvata, come nel 1950, quando le travi del soffitto e le ‘casse ‘ vennero intagliate, e ancora nel 1960, ma non fu mai concretamente realizzata. A. Orlandos, l’ultimo ad effettuare gli interventi in base a idee puriste, iniziò nel 1953 a demolire la scala a chiocciola di origine cristiana all’ interno del Partenone, ma questo lavoro fu prontamente arrestato. 117 fig. 20 -21 Percorsi: prima e dopo l’intervento di restauro 118 3 θ. La commissione per la conservazione di monumenti dell’Acropoli. Nel 1960-1964, al fine di proteggere l’edificio dall’ acqua piovana sigillò le porte laterali della chiesa cristiana e restaurò il pavimento in marmo e il crepidoma in poros. Dal 1940 le prime conseguenze disastrose dello sconsiderato uso del ferro nel restauro Balanos erano già divenute evidenti. Nei decenni successivi i monumenti si deteriorarono rapidamente e nuove cause di devastazione si sommarono al problema principale del ferro arrugginito. I nuovi problemi erano legati all’insufficienza statica, ai cambiamenti fisici, chimici e biologici nelle superfici in marmo a causa dell’inquinamento atmosferico e, non da ultimo, alla protezione antisismica necessaria. La commissione per la conservazione dei monumenti sull’acropoli A partire dal 1965 la Soprintendenza Archeologica ha tentato di far fronte alla situazione mediante le consuete procedure di conservazione e mantenimento, come per esempio ricollegando frammenti con puntali in ottone e cemento di Meyer, sigillando giunture con malta di cemento, sostituendo i morsetti di ferro visibili con quelli in ottone ed estraendo l’ acqua piovana. Nel 1975 però divenne evidente che un intervento a grande scala fosse assolutamente necessario ma i requisiti andavano molto al di la delle capacità dell’Eforo. Pertanto, sulla base delle proposte fatte da Dontas (che fu Eforo dell’Acropoli), allora Ministro della Cultura e della Scienza Trypanis, supportato dal Primo Ministro Karamanlis , venne creato un gruppo di lavoro composto da specialisti, archeologi, architetti, ingegneri chimici e civili il cui compito era quello di studiare, pianificare, curare e programmare i lavori necessari per la conservazione dei Monumenti dell’Acropoli. Dal momento che i membri del Commissione per la Conservazione dei monumenti dell’Acropoli erano specializzati in molti campi diversi, i problemi furono trattati con le dovute precauzioni per garantire che le decisioni concernenti l’intervento fossero il più obiettive possibili, prima istituendo una procedura con cui le fasi di studio e la pianificazione fossero controllate e testate in molti modi diversi nel gruppo di lavoro stesso, tramite l’organizzazione di incontri scientifici a livello internazionale e al primo posto della classifica di consulenza del comitato per i problemi archeologici del Ministero della Cultura. Particolare attenzione fu riservata alla questione dell’ intervento -assodato il valore unico dei monumenti- sull’Acropoli. Durante il periodo dal 1975-1977 il lavoro del Gruppo si concentrò soprattutto sull’ accertamento dei fatti: i problemi che interessavano i monumenti dell’Acropoli furono registrati e studiati in modo approfondito. Presto fu chiaro che i problemi più gravi erano causati principalmente dall’utilizzo di giunture in ferro arrugginite utilizzate nei restauri di inizio secolo e ai cambiamenti fisici, chimici e biologici sulle superfici di marmo determinati dal rapido aumento di inquinamento atmosferico nelle immediate vicinanze dei monumenti nel corso degli ultimi trent’anni. Furono dibattuti anche i problemi legati all’ inadeguatezza statica, alla necessità di protezione contro gli effetti dei terremoti e contro l’usura della pavimentazione di roccia provocata dal passaggio di migliaia di visitatori. Nel 1977 il gruppo di lavoro, che diventò la permanente Commissione per la Conservazione dei Monumenti dell’Acropoli, nell’ambito del nuovo regolamento di amministrazione del Ministero della Cultura e delle Scienze ha pubblicato lo studio per il restauro dell’ Eretteo: il monumento che poneva i problemi più difficili. Nel Dicembre 1977 questo studio è stato presentato presso l’International Meeting sul restauro ad Atene, dove fu approvato da greci 119 ed esperti stranieri: archeologi, architetti, specialisti per anastilosi, ingegneri civili, sismologi e chimici ingegneri. fig. 22 Equipaggiamento per il restauro della Commissione per la Conservazione dei monumenti sull’ Acropoli 120 3 θ. La commissione per la conservazione di monumenti dell’Acropoli. I lavori iniziarono nel 1979 per l’Eretteo e durarono fino al 1985. Secondo la proposta enunciata nello Studio le parti già ricostruite dell’edificio furono smantellate e sottoposte ad un trattamento di conservazione. I morsetti arrugginivi furono rimossi e sostituiti da pinze in titanio e dove necessari furono eseguiti restauri in marmo nuovo dando inizio all’ennesima ricostruzione utilizzando anche in questo caso il titanio, il quale risolse positivamente il problema di crepe e fratture. Dal 1977 in poi il Partenone è stato sistematicamente studiato e indagato e nel 1983 venne pubblicato uno Studio per il suo restauro. Dopo essere stato sottoposto alla critica in occasione del Secondo Incontro Internazionale per il Restauro dei Monumenti dell’Acropoli, tenutosi ad Atene nel Settembre 1983, iniziarono i lavori. Un cantiere di lavoro con attrezzature moderne è stato installato sul lato sud del Partenone dove i reperti architettonici che appartengono al Partenone, prima sparsi per tutta l’Acropoli, sono stati raccolti. Lo smantellamento del tempio iniziò presto e l’ intera operazione di salvataggio dell’edificio e di ricostruzione quasi totale grazie alle aggiunte in marmo nuovo è tutt’oggi in atto. Ormai quasi conclusi sono anche i lavori per la conservazione e ricostruzione dei Propilei e le tempio di Atena Nike, che hanno richiamato maestranze da tutta la Grecia per individuare la posizione originaria dei blocchi che giacevano per l’Acropoli e ricollocarli, con l’aggiunta dove necessaria, di nuove parti create artigiamalmente e con estrema precisione. La maggior parte dei lavoratori oggi proviene infatti dalle Isole greche dove c’è una antica tradizione della lavorazione del marmo: gli artigiani ora continuano il lavoro dei loro antenati, utilizzando gli stessi metodi e gli stessi strumenti per salvare un capolavoro che appartiene non solo alla Grecia, ma all’intera umanità. Il lavoro sull’Acropoli ha naturalmente interessato e mosso persone da tutto il mondo. Lo Stato ellenico, essendo ben consapevole del suo grande impegno nella protezione di questi monumenti unici, ha provveduto all’assegnazione di tutti i fondi necessari per preservare e conservare i monumenti dell’Acropoli anche se già dal 1983 la CEE si è impegnata a coprire la maggior parte delle spese dei lavori del Partenone. Da vent’anni a questa parte l’Acropoli da l’impressione di essere ancora un grande cantiere, con i monumenti in parte smontati, impalcature in ogni dove, macchine e operai, presentando un quadro forse simile a quello di età Periclea, quando il complesso architettonico fu creato. Noi tutti speriamo che in futuro i monumenti dell’Acropoli saranno restaurati e al sicuro, in un clima che avrà riacquistato la sua precedente purezza e traslucenza, qualità strettamente legata al carattere di architettura classica greca. 121 CAPITOLO 4 INDICE DELLE FIGURE fig. 22 (fig. 14 cap. 2) Sezione trasversale all’estremità orientale fig. 23 Tavola A dal libro di J.A. Bundgaard ‘Parthenon and the Mycenaean city on the heights’ fig.1 Pianta schematica delle sottostrutture del Partenone In linea di massima, la tavola è costituito da copie dei disegni di Kawerau. In alcuni punti sono stati necessari arrangia- fig 2. Sezione schematica delle sottostrutture del Partenone menti. fig. 3 Nella pagina a fianco: Dettaglio degli ultimi corsi dello Stereobate Le lastre di pietra no. 20 e la moschea nella cella del Partenone sono tratti da una tavola di L. A. Winstrup del Royal Aca- fig. 4 Stereobate, lato sud ovest demy di Copenhagen, datato Atene, dicembre 1850. fig. 5 Wilhelm Doerpfeld Numeri rossi: Kawerau indicano i livelli della superficie della roccia. fig. 6 William Dinsmoor Numeri sul podio e nel Partenone indicano il numero dei corsi visibili, contati a partire dall’elemento più basso (all’angolo fig. 7 Sezione trasversale del lato sud del Partenone, strati di riempimento (Ross 1855) sud-est). fig. 8 Pendice sud dell’ Acropoli (1967) k.l.m.n.o.p. Edificio IV (Ergasterium). fig. 9 Rocchi di colonna appartenenti al crepidoma del Pre- Partenone, 479 a.C., utilizzati per il rinforzo delle mura nord, i I dati dei conci esistenti da l a m non corrispondono e sono quindi lasciati fuori. blocchi hanno un diametro di ca. 1.94 e 1.98 m (fotografia M. Korres) q. Parte di una terrazza costruita su piccole pietre. fig. 10Pianta e prospetto delle Mura sud, sono indicate le parti originali e le aggiunte posteriori. Le linee 1-12 indicano il r. Il contrafforte può indicare una sosta temporanea nella costruzione di K3. posizionamento delle sezioni teoriche (nella pagina precedente) (M. Korres) fig. 24 Ricostruzione dei paramenti murari situati nella parte orientale dell’ Acropoli, tra le Mura sud e il podio del Parte- fig. 11 Sezioni teoriche delle Mura sud (viste da ovest) (M. Korres) none; da ‘The excavations of Athenian Acropolis’, J. A. Bumdgaard, Copenhagen 1974 fig. 12 Piante e prospetto dei restauri effettuati sulle Mura sud. Le frecce indicano le ipotetiche corsie di trasporto delle fig. 25 Sezione trasversale est- ovest della collina dell’Acropoli, sono indicati i materiali di riempimento. pietre (M. Korres) fig. 26 Tamburo e concio di colonna a guisa di argine per i movimento del terreno fig. 13 Sezione degli Scavi 1885- 1890 fig. 14 Pianta dell’ acropoli dopo gli scavi del 1885- 1890. Da: P. Kavvadias e G. Kawerau, Die Ausgrabung der Akropolis vom Jahre 1885 bis zum jahre 1890 fig. 15 Pianta con il posizionamento teorico del Donario Attalide lungo le mura a sud (E. Dintino su una pianta di M. Korres) fig. 16 Ricostruzione della visibilità del complesso statuario attalide dalla città. Il parapetto è stato ripristinato mediante l’aggiunta di due corsi o di due corsi e un elemento di finitura. (M. Korres) fig. 17 Ricostruzione del Donario Attalide: posizionamento dei piedistalli posizionati al centro della sommità delle Mura sud (M. Korres) fig. 18 Ricostruzione del Donario Attalide: posizionamento dei piedistalli posizionati a ridosso del parapetto delle Mura sud (M. Korres) fig. 19 Angolo sud-est delle Mura di cinta dell’Acropoli, è possibile osservare i resti dei due laboratori: edificio IV e V fig. 20 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90 che riproduce il piccolo donario situato sulle Mura sud dell’ Acropoli fig. 21 Sezioni I; II; III; IIIa; IV; V Sezioni trasversali del riempimento all’ estremità orientale dell’ Acropoli, tra le mura a sud e il podio del Partenone (Bundgaard) Il tratto dal podio a S2 in II, III, III bis e IV sono state ricavate dai rilievi diretti di Kawerau. Il resto invece è il risultato dello studio di alcuni schizzi, mancanti di misure precise e da fotografie contemporanee. 123 124 4α. Lo Stereobate Lo Stereobate Si può salire sull’Acropoli molte volte senza mai sospettare che la prima vaga impressione secondo cui il tempio di Atena si erga proprio sulla sommità della roccia dell’Acropoli, non è propriamente esatta. In realtà esso si regge su gigantesche fondamenta di opere murarie (quasi invisibili). Questa poderosa sottostruttura si estende su un’area lunga circa 82 metri e larga 30,5. In certi punti raggiunge l’altezza massima di 9,75 metri sopra lo strato di roccia, ed ora si trova, tranne che nei punti più elevati, completamente nascosta sottoterra, pressappoco com’era durante l’età antica, dopo che su di essa fu innalzato il Partenone. Negli anni 1885 e 1990 uno scavo sistematico della superficie dell’Acropoli portò alla luce il grande basamento murario, rivelando l’esistenza di una serie di muri notevolmente affondati nel suolo e disposti su una linea approssimativamente parallela alla piattaforma del tempio e ad una distanza variabile da essa. Questa spettacolare operazione di riscoperta delle sostruzioni del tempio, considerato l’apogeo dell’architettura greca, avrebbe portato ad uno stimolante mutamento nella fruizione dello stesso come del resto di tutta l’acropoli, se non fosse che la ricolmata di terra, fatta eccezione per alcuni preziosi volumi, ne offuscò pian piano la memoria tanto nel popolo greco quanto nei distratti visitatori che quotidianamente affollano l’Acropoli. Lo studio di questi muri sotterranei, di fortificazione o sostegno, delineò un quadro storico dell’ordine in cui queste sottostrutture furono erette: CAP. 3 GLI INTERVENTI SULL’ ACROPOLI «Bisogna tendere alla determinazione di standard per affrontare il problema della perfezione. Il Partenone è un prodotto di selezione applicato a uno standard. L’architettura agisce attraverso gli standard. Gli standard sono un fatto di logica, di analisi e di studio scrupoloso; si stabiliscono a partire da un problema ben posto. La sperimentazione fissa definitivamente lo standard». 1 2 3 4 5 6 miceneo poligonale conci squadrati cimoniano XIII sec a.C. 495 a.C. 470-460 a.C. 467-466 a.C. pericleo stereobate fig 2. Sezione schematica delle sottostrutture del Partenone Le Corbusier, da ‘Vers une Architecture’, 1920 125 fig.1 Pianta schematica delle sottostrutture del Partenone fig. 4 Stereobate, lato sud ovest 126 4α. Lo Stereobate fig. 5 Wilhelm Doerpfeld fig. 6 William Dinsmoor fig. 3 Nella pagina a fianco: Dettaglio degli ultimi corsi dello Stereobate Qualche notizia quanto la loro cronologia si poté probabilmente ottenere esaminando la massa di materiale eterogeneo gettato per colmare il ripido abbassamento del terreno esistente tra l’alta piattaforma del tempio e il muro di fortificazione dell’Acropoli. Lì infatti fu dissotterrata una grande quantità di materiali di scarto di ogni genere celata dalla superficie attuale. Se si potesse fissare la data di fabbricazione delle ceramiche si arriverebbe a una stima approssimativa dell’epoca in cui fu effettuato il riempimento. Sfortunatamente, nel periodo in cui l’area fu scavata, sebbene si tenesse un’ampia documentazione di ciò che si trovava man mano che lo scavo progrediva, non si apprezzava adeguatamente il valore della ceramica come testimonianza, da un lato perché la cronologia della pittura vascolare attica non era ancora stata fissata con esattezza, e dall’altro perché l’analisi della stratificazione, con la determinazione dell’ordine degli strati successivi di terra, detriti e manufatti non era ancora diventata la massima preoccupazione della scienza degli scavi. Vari anni passarono prima che si facesse un proficuo tentativo per valutare le testimonianze cronologiche venute alla luce in quest’area. Nel 1902 Wilhelm Dörpfeld pubblicò un articolo intitolato “La data del Partenone più antico”, in cui diede la sua prima ben ponderata interpretazione dell’importanza del materiale scavato per la storia del Partenone. I risultati a cui pervenne non furono tuttavia pienamente conclusivi. Toccò allora ad un grande specialista di architettura greca, William Bell Dinsmoor, sfruttare l’occasione , in un tentativo eroico e in gran parte coronato da successo, di ottenere dati cronologici sufficienti per fissare le date entro cui racchiudere la costruzione della piattaforma del tempio e per ciascuno dei cinque muri nascosti sotto il moderno terrazzamento dell’area. Molte delle conclusioni a cui giunse lo studioso americano furono stupefacenti. Si è detto che i cinque tratti di muro dissotterrati durante gli scavi sono indicati come «miceneo», «poligonale», «a conci squadrati», «cimoniano» e «pericleo». Il passo successivo della restituzione stratigrafica si compie tenendo presente i tipi di costruzione dei muri, che variano notevolmente nella tecnica e offrono quindi qualche indizio per individuarne le epoche e gli scopi relativi. Il muro 1, identificato come miceneo, è un settore dell’antichissima cintura di protezione intorno alla sommità dell’Acropoli. Questa altura calcarea rappresentava un esempio tipico di roccia micenea dove aveva sede il Wanax, il signore, e sorgevano le dimore che circondavano il suo palazzo. Se la costruzione del muro di cinta risalga realmente a mille anni prima del Partenone o meno, è cosa di scarsa importanza. Esso è costituito da un paramento esterno di grossi blocchi calcarei, da un altro interno composto da blocchi di minori dimensioni e da un riempimento fatto di terra e pietra: la datazione dei frammenti ceramici trovati tra gli interstizi collocano l’erezione del muro al più tardi al XIII secolo a. C. avanzato. Poggiato su roccia compatta e costruito con blocchi rozzamente squadrati ma uniti con molta abilità in modo da formare un bastione dello spessore medio di 4,6 metri, questo muro suppliva in solidità laddove era carente in altezza. Anche per questo, gli invasori persiani trovarono sul lato opposto dell’Acropoli un punto debole, da cui riuscirono ad arrampicarsi sulla rocca saccheggiando e devastando la cittadella sacra ad Atena. Venne quindi costruito sulla pendice meridionale della collina rocciosa, a una distanza variante fra 15,2 e 30,5 metri dalla piattaforma del tempio, oltre la vecchia cerchia di mura, una nuova e molto più alta struttura di blocchi squadrati di pietra calcarea, quella cimoniana, sistemati in corsi uniformi a un’altezza media di 12 metri. Essa superava così in altezza la grande piattaforma del tempio, anche se, per la sua base posta molto più in basso rispetto al pendio roccioso, non andava oltre il suo undicesimo corso murario. Questo divario fu in seguito colmato con l’aggiunta di una cinta muraria ancora più ampia, quella periclea , che portò il muro di fortificazione dell’Acropoli nel lato sud del Partenone quasi a livello con la sommità della piattaforma. Con quest’ultima aggiunta si conclude, 127 fig. 7 (fig. 14 cap. 2) Sezione trasversale all’estremità orientale 128 4α. Lo Stereobate le senza riscontrare difficoltà di distinzione o di interpretazione, la stratificazione della cinta muraria dell’Acropoli nella sua parte meridionale, costituita dunque dai muri «miceneo», «cimoniano» e «pericleo». Ma come spiegare invece l’esistenza dei muri «poligonale» e «a conci squadrati», che di primo acchito non sembrano avere una precisa utilità o uno scopo comprensibili in quello che potremmo definire il lato oscuro del Partenone? Una traccia è leggibile in un dettaglio edilizio apparentemente secondario, notato quando i due muri furono messi allo scoperto. In entrambi, solo la faccia esterna, cioè quella lungo il pendio, era stata allineata correttamente e finita. Ciò prova in modo conclusivo che entrambi i muri dovevano servire come sostegni per trattenere i detriti e i materiali di riempimento (terra, pietrisco o scarti dei muratori), gettati alle loro spalle per formare una specie di terrazzamento fra i muri stessi e l’alta piattaforma del tempio. Da tempo si sapeva che la piattaforma sottostante il Partenone posava direttamente sulla roccia originaria. Ciò che non si sapeva è che opere murarie della piattaforma non furono elevate usando impalcature sempre più alte , ma invece, mano a mano che la costruzione progrediva, il livello del terreno adiacente veniva alzato ammucchiando il suolo smosso e tutto il materiale di scarto disponibile (Si tratta dell’area IIa indicata nell’immagine 7, che si incunea nello strato esistente del suolo più antico contrassegnato dal numero romano I). Conseguentemente man mano che l’altezza della piattaforma aumentava, il riempimento gettato al suo lato diveniva un terrapieno sempre più ripido. Al fine di impedire che questo materiale poco compatto fosse portato via dalla pioggia fu eretto il muro di sostegno con tecnica poligonale (contrassegnato con il numero 2), adoperando cioè dei blocchi di forme diverse tagliati in modo da combaciare l’uno con l’altro. Come mostra l’immagine 2, il corso di questo muro fu disposto in linea approssimativamente parallela alla piattaforma, per dar luogo ad una terrazza degradante larga circa 13 metri. Nell’immagine 1, che riproduce la copia del disegno originale di Dörpfeld eseguita da Dinsmoor, viene fatta distinzione tra lo strato di riempimento IIb, che forma una terrazza a livello della metà dell’altezza della piattaforma, e uno strato IIc , sovrapposto, che degrada fino alla cima del muro poligonale. Dato che la tecnica di costruzione è molto differente, essendo il primo in pietre semipoligonali, i due muri non possono essere stati eretti in periodi contemporanei. Siccome poi nell’antichità classica la tecnica poligonale era più antiquata rispetto a quella isodoma con pietre squadrate, e siccome il muro «poligonale» non avrebbe avuto alcuna necessità se già fosse stato eretto quello «a conci», più alto, possiamo quindi concludere che il «poligonale» lo precedette. Inoltre, se ci fosse già stato il muro «a conci squadrati» a fare da sostegno lungo una pendice terrazzata costituita con materiale di riempimento, non sarebbe stato costruito il muro «poligonale»; mentre, col muro «poligonale» già in sede, la colmata della cinta muraria micenea sarebbe rimasta scoperta e disponibile per l’erezione su di essa, del muro «a conci». Un ragionamento simile conferma anche la priorità del muro «a conci» rispetto al muro «cimoniano»: l’erezione del muro «a conci» sarebbe stata inutile se il muro esterno dell’Acropoli, immensamente più robusto, fosse già stato al suo posto. Dopo avere toccato il vecchio muro di cinta dell’Acropoli all’incirca in linea col lato est del Partenone, il muro a pietre squadrate fu fatto continuare al di sopra di esso lungo il suo bordo esterno, fino al punto in cui si piegava nettamente nell’angolo ovest della piattaforma. A questo punto il muro «a conci» si divideva dal muro di cinta per seguire un tracciato diverso , a forma di triangolo rettangolo. 129 fig.8 Pendice sud dell’ Acropoli (1967) 130 4β. Le mura a sud Questa Questi dati fondamentali portarono Dinsmoor alla conclusione che le fondamenta del Partenone si potevano collocare intorno al 495 a. C. a giudicare dall’altezza del materiale di riempimento ammucchiato contro lo stereobate nel II strato, la costruzione dello stesso fu completata dunque in questa fase iniziale, e l’area adiacente, scoperta, fu rivestita con uno strato di detriti e terra che discendeva ripida fino al muro di sostegno poligonale, probabilmente lasciando ancora visibili i quattro corsi di pietra più alti della piattaforma. Ma si ha la prova che era stata iniziata anche la costruzione del tempio vero e proprio, prova visibile nella forma caratteristica del muro di fortificazione attorno all’Acropoli. Lì infatti, nel settore nord, non lontano dal punto in cui i Persiani irruppero nella cittadella nel 480 a. C.,e più precisamente subito a nord dell’Eretteo , costruito nel tardo secolo V, si può scorgere una serie di grossi tamburi di marmo , solidamente incorporati nel lato esterno del muro. Soprattutto perché si deve scartare la possibilità di qualsiasi collocazione altrove, si ritiene che siano stati trasportati nella posizione attuale dalla precedente collocazione sulla piattaforma del Partenone. conclusione è di importanza vitale per assegnare alcune date storiche all’erezione di uno tra i più famosi monumenti al mondo. Essa stabilisce infatti che il progetto di un nuovo grande tempio per la dea protettrice della città di Atene fu iniziato nel 490 a. C. o poco dopo. Questa conclusione è di importanza vitale per assegnare alcune date storiche all’erezione di uno tra i più famosi monumenti al mondo. Essa stabilisce infatti che il progetto di un nuovo grande tempio per la dea protettrice della città di Atene fu iniziato nel 490 a. C. o poco dopo. Quello fu infatti l’anno della vittoriosa battaglia di Atene contro gli invasori persiani, battaglia nella quale la città greca frustrò il tentativo dei nemici di costruire una testa di ponte nella baia di Maratona. Le osservazioni di Dinsmoor dimostrano che il progetto di un nuovo tempio per Atena fu una conseguenza della vittoria di Maratona , e che la sua realizzazione iniziò con la costruzione di una piattaforma ambiziosamente ampia e alta, per poter erigere il maestoso tempio dedicato ad Atena Poliade nel punto più alto della città. Le Mura a sud fig. 9 Rocchi di colonna appartenenti al crepidoma del PrePartenone, 479 a.C., utilizzati per il rinforzo delle mura nord, i blocchi hanno un diametro di ca. 1.94 e 1.98 m (fotografia M. Korres) Costruito dopo il successo conseguito da Cimone nella campagna di Eurimedonte nel 466 a. C., la parete sud ha un tratto orientale lungo 165 m e uno occidentale lungo 130 metri che si incontrano ad angolo ottuso. Guardando l’esterno, la sua unica parte visibile, difficilmente si può distinguere la muratura originale dal momento che venne alterata da imponenti contrafforti, spessi rivestimenti e riparazioni. Otto stretti contrafforti, sono distribuiti con scansione serrata su una lunghezza di 87 metri; il primo si trova a 15 metri dall’angolo del muro sud-est, mentre l’ottavo si trova di fronte l’angolo sud-est del Partenone. La loro parte inferiore è stata costruita grazie il riutilizzo di grosse pietre antiche mentre la parte superiore, caratterizzata da una forte pendenza verso l’interno di macerie. Tre ampi contrafforti, a distanza ravvicinata e regolare, sono distribuiti invece su un tratto a sud lungo 65 metri posto quasi esattamente di fronte al Partenone. Costituiti da macerie e frammenti marmorei, delimitano porzioni di mura risultati di ampie ricostruzioni, anch’esse, in macerie murarie. 131 fig. 10 Pianta e prospetto delle Mura sud, sono indicate le parti originali e le aggiunte posteriori. Le linee 1-12 indicano il posizionamento delle sezioni teoriche (nella pagina precedente) (M. Korres) fig. 11 Sezioni teoriche delle Mura sud (viste da ovest) (M. Korres) 132 4β. Le mura a sud Anche Così come rivestimento continuo, costituito di macerie e frammenti di marmo, ricopre per circa 110 metri un tratto di mura che va dall’angolo sud-ovest del Partenone sino alla fine delle mura verso ovest. Sostituzioni di parti danneggiate del paramento con nuove porzioni murarie sono frequenti fra e sopra i contrafforti (dove il fronte antico è ancora rintracciabile in alcuni punti) ma si verificano ripetutamente anche in parentesi murarie di più recente fattura, del tipo [b] e [c]. La più recente aggiunta, effettuata tra il 1936 e il 1944, consiste in un nuovo rivestimento di malta a imitazione del bugnato applicato principalmente sui muri di tipo [d] tra la fine del muro a est fino al primo contrafforte, e in misura minore da questo al secondo contrafforte. Queste aggiunte non solo occludono la vista del muro originario ma ne alterano anche la struttura e ne rendono di difficile comprensibile lo sviluppo in pianta. Nonostante ciò minuziose indagini hanno condotto a risultati soddisfacenti sulla stratigrafia e la composizione delle mura di cinta. Il rivestimento del muro tra gli stretti contrafforti, di tipo [d] e [e], è nuovo, ma nel complesso il muro mantiene ancora il suo spessore originale. A partire dagli ampi contrafforti, invece, con l’aggiunta del rivestimento il muro si è inspessito. Il rivestimento continuo è molto spesso e costituito da un impasto molto forte. Per i suoi primi 40 metri a partire da est, la sua parte alta sostituisce quasi esattamente la distrutta fila esterna del penultimo corso della parete sud. Tuttavia, internamente, molti blocchi di quell’assisa posizionati di tesa sono ancora ben conservati; inoltre un taglio insieme ad una serie di fori praticati sulla loro faccia superiore mostrano come il corso successivo fosse costituito da una singola riga di testate. Lungo la sua lunghezza rimanente il rivestimento non sempre sostituisce la massa esterna dell’antico muro andata distrutta. se nella parte inferiore inspessisce il muro sud considerevolmente, l’antico paramento è riscontrabile già ad una profondità di circa 50 centimetri. In aggiunta a tutte queste malformazioni costruttive, il muro è stato gravemente distorto dall’enorme pressione della terra di riempimento dietro di esso, che lo ha inclinato e fessurato lungo tutta la sua lunghezza. Il layout originale del muro, la costruzione e l’ altezza sono state ricostruite grazie alle osservazioni emerse dalle indagini condotte sulle mura. Come detto precedentemente, il muro si compone di due lunghe sezioni che si incontrano ad angolo ottuso; una sezione transitoria inserita tra i due tratti, lunga 15 metri, ne attenua leggermente l’unione. Alla fine delle mura, verso est, un’altra smussatura lunga 13 metri segna il passaggio al muro orientale. Ma maggiori informazioni sono contenute nel lato che per molto tempo è rimasto nascosto alla vista degli studiosi, il lato interno delle mura sud. Questa faccia è stato portata alla luce e resa accessibile per motivi di studio in tempi diversi. Nel 1836, all’estremità meridionale, su scavo di Ludwig Ross, è rivelato un tratto di esso, la cui posizione coincide grosso modo con la corte d’ingresso dell’attuale museo. Qui si scoprì la parte superiore di un muro che sembrava essere larga circa 6,5 metri. Tuttavia lo scavo era abbastanza profondo da mostrare che questa larga sommità consisteva in soli sei assise; sotto di essi c’era solo riempimento di terra in quanto la muratura sottostante doveva avere un’ampiezza decisamente minore. Rimuovere la terra per raggiungerne il fronte avrebbe significato compromettere la stabilità dei sei corsi superiori. Vedendolo un decennio più tardi, Penrose lo interpretò come una piattaforma atta ad accogliere il gruppo Attalide. Nel 1864 un’altra porzione di questa piattaforma, dalla trincea di Ross verso l’angolo sud-est dell’Acropoli, fu scoperta quando l’area venne scavata per costruire il nuovo museo. Nel 1888 i restanti 160 m dal museo al Brauroneion sono stati scavati fino al substrato roc 133 fig. 12 Piante e prospetto dei restauri effettuati sulle Mura sud. Le frecce indicano le ipotetiche corsie di trasporto delle pietre (M. Korres) 134 4β. Le mura a sud cioso. La larga piattaforma si blocca in un punto circa all’altezza di metà del lato sud del Partenone. La faccia interna della piattaforma, soprattutto la parte sottostante, non poteva essere raggiunta e quindi rimane semisconosciuta. Inoltre, il lato settentrionale della piattaforma, anche se completamente esposta meritò solo un disegno, una sezione stratigrafica di un segmento di I7 metri che va dal museo a ovest, vista da nord e rilievo fotografico decisamente ridotto. Un segmento di 20 metri, immediatamente a ovest del cortile interrato del museo, venne esposto una seconda volta nel 1950 quando vennero costruiti i nuovi magazzini del museo, ma ancora una volta nessun disegno e nessuna fotografia vennero pubblicati. La superficie interna del muro sud è stata invece approfonditamente studiata dal termine occidentale della larga piattaforma al Brauroneion. Per i primi 45 metri, le condizioni erano molto sfavorevoli per la fotografia. Kawerau ha registratolo stato di fatto in tre disegni abbozzati in scala 1:100 riferendo qualche informazione riguardo le dimensioni. I successivi 52 metri, che terminano al santuario di Artemide Brauronia, sono stati rilevati e fotografati solo in maniera approssimativa. I restanti 45 metri che terminano al Brauroneion, ampiamente scavati, non sono stati indagati oltre e nessuna fotografie o altri disegni sono stati fatti. Tuttavia, utilizzando segmenti ancora disponibili per lo studio e le fotografie e rappresentazioni effettuate durante lo scavo del 1888, la forma e la struttura del muro possono essere visualizzati attraverso disegni di sezione realizzate in più punti lungo la sua lunghezza. Le principali caratteristiche strutturali emerse sono le seguenti: _ il muro poggia le proprie fondazioni direttamente sulla roccia. _ Le sue assise sono perfettamente orizzontali e consistono in blocchi ortogonali in media di 0,5 metri di altezza, 0,65 metri di profondità e 1,3 metri di lunghezza, posizionati con alternanza regolare di giunture. La porzione più a ovest utilizza, per una lunghezza di 50 metri, grandi blocchi disposti in filari singoli posizionati in costa. _ I filari non sono completamente continui nell’ intera lunghezza. In alcuni punti, ora in gran parte oscurati, essi variano leggermente di livello, altezza, larghezza o struttura. La maggior parte di questi cambiamenti sono di importanza limitata, ma alcuni testimoniano invece, come vedremo, diverse fasi costruttive. _ Ad ogni assisa è stata data una leggera battuta d’arresto verso l’interno, producendo un’inclinazione verso l’interno del muro. _ La sua parte inferiore è sempre la più spessa e la più forte. Esso include anche numerosi elementi architettonici del primo Partenone periptero, posizionati verso l’esterno: blocchi di stilobate, blocchi di muro, rocchi di colonne e architravi. _ Sopra le parti inferiori costruite irregolarmente, il muro è costruito quasi esclusivamente utilizzando i normali conci in pietra porosa, larghi due piedi attici (che possiamo stabilire come un’unità), lungo quattro piedi (due unità) e alto 1,5/ 1,75, disposti in corsi disposti di testa o di taglio o in entrambe le combinazioni. Di conseguenza il suo spessore è variabile e può essere definito in termini antichi come diplinthon, ovvero due unità costituite da due blocchi paralleli disposti di taglio e uno posizionato di testa, triplillthon, tre unità formate da tre blocchi paralleli messi di taglio o uno di taglio più uno di tesa, e così via fino al dekaplinthon, dieci unità formate dall’unione di più combinazioni, per le parti di maggiore spessore. La sua parte più sottile, il parapetto è monoplinthon, si compone cioè di singoli corsi di blocchi disposti di taglio. _ Lo spessore del muro diminuisce progressivamente al crescere delle assise. Il filare più basso supera i 5 metri di spessore mentre immediatamente sotto il parapetto è solo due o tre unità di spessore, nonostante la sua piena larghezza sia conservato solo in alcuni punti. Il sistema costruttivo utilizzato si basa dunque sulla combinazione alternata di tagli e teste, sistema applicato fino all’ultimo corso. Ciò che sorgeva su di esso poteva essere solo un elemento che fungeva da parapetto, con pietre ben levigate posizionate perpendicolarmente. 135 fig. 13 Sezione degli Scavi 1885- 1890 136 fig. 14 Pianta dell’ acropoli dopo gli scavi del 1885- 1890. Da: P. Kavvadias e G. Kawerau, Die Ausgrabung der Akropolis vom Jahre 1885 bis zum jahre 1890 4β. Le mura a sud Il La sua assisa superiore (quella immediatamente sotto il parapetto) accanto al Brauroneion è circa 10 centimetri più alto della superficie della roccia livellata all’interno del santuario, che è stato in seguito coperto da uno strato di terra di circa 10 centimetri di spessore. Il suo lato superiore (come indicato dal penultimo filare parzialmente conservato), dal Brauroneion all’angolo sud del Partenone, sorgeva all’altezza del riempimento di fronte ai gradini, intagliati nella roccia, della terrazza occidentale del tempio. Questo riempimento consisteva in un sottile strato di terra che copriva la superficie livellata della roccia. Una striscia allineata lungo la parte inferiore dell’ alzata più bassa dei gradini definisce esattamente la sua profondità. La parte superiore verso l’angolo sud-est è andata quasi completamente perduta. Tuttavia, i resti esistenti (l’angolo, alcuni blocchi a 15 metri da esso e possibili tracce in altri due punti) indicano l’altezza originale di un solo corso in più, come ad ovest. La maggior parte degli studiosi concorda nell’attribuire la parete sud all’attività svolta sull’Acropoli da Cimone attorno il 460 a. C. come anticipato in precedenza il muro presenta delle discrepanze che delineano abbastanza precisamente le fasi che scandirono la sua costruzione: _ a causa della forte pendenza dell’Acropoli nel suo versante sud, la prima fase costruttiva del muro, a partire dal livello più basso della roccia, ha cercato di portare il paramento a livello della quota più alta usando forte bugnato al fine di creare una solida base per il resto del muro e creando sentieri per il trasporto della pietra. _La prima fase, contrassegnata nelle immagini con il numero 1, consiste in un tratto di 130 metri di lunghezza e sei di altezza dove la roccia raggiunge il suo punto minimo (circa 6 metri sotto la parte superiore dei grandi architravi riutilizzati dal primo Partenone). Anche se la sua faccia interna non è stata raggiunta da nessuna parte durante il Grande scavo, deve essere almeno 5 metri di spessore, grazie all’impasto eccezionalmente forte utilizzato nei filari inferiori. Dal momento che la roccia sale verso per tutta la lunghezza del muro, l’altezza media di questa fase di costruzione è circa 2,5 metri ed il suo volume poco più di 2000 metri cubi. Il lungo, ripido e isolato, non poteva essere agevolato dal trasporto della pietra lungo i sentieri convergenti sull’Acropoli dall’esterno; ma fortunatamente questo non si rese necessario. muro, infatti, venne quasi interamente costruito con materiali del primo Partenone periptero resisi disponibili quando questo tempio fu sostituito dal più recente Partenone cimoniano, e da pietre in calcare duro provenienti dalla cinta muraria micenea o dalla cima rocciosa dell’Acropoli stessa. Questo stadio è l’unica parte delle mura sud che potrebbe essere anteriore alla sua fase principale di costruzione di trent’anni al massimo. _ Il secondo stadio, distinto dai numeri 2α e 2β, sorgeva sulla parte più bassa del bordo occidentale. La sezione 2α è lunga circa 110 metri e alta 6; consiste in un hektaplinthon, raggiunge dunque quasi i 5 metri di spessore. I quattro filari più alti della sezione 2α sono incompleti e formando una sequenza di quattro gradini decrescenti verso est. Dal momento che la roccia sale verso ogni estremità (soprattutto verso ovest) e anche nel suo lato interiore, la sua altezza media è di circa 3 metri ed il suo volume di circa 3000 metri cubi. Quando venne costruito il tratto, per accedere all’area anche qui molto ripida, si utilizzava una rampa temporanea collocata nella metà occidentale dell’ultima Calcoteca, in modo che le pietre potessero essere trasportate attraverso i Propilei e la via Panatenaica. _ La fase successiva, la numero 3, in parte sovrapposta alle sezioni 2α e 2β, si estende dall’angolo sud-ovest dell’Acropoli, passa per 137 fig. 15 Pianta con il posizionamento teorico del Donario Attalide lungo le mura a sud (E. Dintino su una pianta di M. Korres) 138 4β. Le mura a sud il Brauroneion fino a terminare in un punto che si trova a 18 metri a sud della Calcoteca. La porzione ha una lunghezza di 55 metri e un’altezza di 3,4. ---Il suo corso più basso ha uno spessore di 2,2 metri, il successivo di 1,7 mentre i cinque superiori hanno uno spessore che non supera l’1,1 metri. Eccezionalmente, questi ultimi cinque filari consistono in blocchi disposti per taglio di dimensione più grande, di misura 5 per 3 piedi attici. Il volume di pietra impiegata è di circa 280 metri cubi, trasportato dagli stessi sentieri utilizzati per le sezioni 2α e 2β. Presumibilmente la porzione è stata costruita in una fase iniziale al fine di facilitare il trasporto delle pesanti pietre dall’area interna ai Propilei al sito della parete sud in costruzione. Nella sua parte terminale, verso est, la terra di riempimento per un breve tempo prese la forma di una rampa discendente fino al livello della sezione 2α (come mostrano le frecce della terza fase nell’immagine 3). _ La fase numero 4, è stata costruita sopra la porzione 1 fino l’altezza della sezione 2α. La sezione 4, un heptaplinthon lungo circa 180 metri, formato da un volume di pietra pari a 2500 metri cubi, è suddivisa in una serie di sottosezioni di costruzione, ognuna con un proprio sentiero di trasporto. È molto probabile che le prime sottosezioni siano state costruite in contemporanea con la fase 3 mentre che le rimanenti siano state costruiti in diversi stadi con numerose sovrapposizioni e aggiustamenti sia in orizzontale che filare per filare. _ La fase numero 5, di fatto separata dal muro sud vero e proprio, è rappresentata dall’ausiliario muro di contenimento ad angolo retto che sorge di fianco all’angolo sud-ovest del podio del Partenone. Questo muro e spesso collegato direttamente con il Partenone di costruzione periclea, causa di fraintendimenti per quanto riguarda la cronologia della mura sud. È tuttavia probabile che questo muro di contenimento, composto anch’esso da diverse sezioni, provvedeva a fornire un’ulteriore via di trasporto supplementare per il migliaio di blocchi destinati alla sezione centrale del muro sud. Analogamente, si rese necessaria l’aggiunta di altri due o tre sentieri che conducevano dall’angolo nord-est del Partenone al sud, sud-est ed est al fine di fornire l’enorme numero di blocchi destinati alla costruzione dei 100 metri di tratto di muro verso l’angolo est dell’Acropoli. Per non parlare poi delle mura est in fase di cantiere simultaneamente a quelle meridionali. Solo la presenza di cinque o sei sentieri di trasporto equamente distribuiti poteva permettere a questo grande progetto di essere completato nel breve frangente storico e archeologico in cui è stato ultimato. _ La fase numero 6 si compone di due assise inferiori adiacenti alla parte superiore dei gradini della sezione 2α, così come altre quattro parzialmente sovrapposti ad ovest si innestano sul termine della pendenza orientale della sezione 3 e ad est incontrano l’estremità orientale della Calcoteca. Questa fase, molto più spessa della sezione 3, è tetraplinthon per la maggior parte della la sua lunghezza e il suo volume è di circa 250 metri cubi. _ La fase successiva, la numero 7, sovrapposta alla sezione 4, è costituita da cinque assise pentaplinthon; il suo il volume è di circa 1300 metri cubi. Per il trasporto delle pietre sono stati utilizzati i gradini superiori della sezione 2α, il riempimento all’interno della sezione numero 5 e i sentieri già descritti ad est del Partenone. _ Le fasi 8 e 9 vennero costruite quasi contemporaneamente; la sezione numero nove riempie l’intervallo esistente tra le fasi 6 e 7. _ La fase 10 si sovrappone alla sezione 7; comprende sette assise tetraplinthon e il suo il volume è circa 1500 metri cubi. _ le tappe successive, la 11 e la 12, sovrapposte alle sezioni 6 e 9, sono triplinthon per la maggior parte della loro lunghezza. _ La fase numero 13, sovrapposta alle sezioni del tratto occidentale, ha una lunghezza di circa 40 metri e si compone di cinque assise triplinthon, i cui primi due andati perduti. _ La fase finale, la numero 15, probabilmente costruita sotto Pericle (quasi in contemporanea con la sezione 14, la parte più alta della parete di contenimento) è molto consistente, circa 3000 metri cubi, e sicuramente la più distintiva in quanto molto più spessa (dekaplinthon al massimo) rispetto al resto del muro sottostante; da qui deriva il nome attribuitogli durante gli scavi, “sommitale” o 139 fig. 17 Ricostruzione del Donario Attalide: posizionamento dei piedistalli posizionati al centro della sommità delle Mura sud (M. Korres) fig. 16 Ricostruzione della visibilità del complesso statuario attalide dalla città. Il parapetto è stato ripristinato mediante l’aggiunta di due corsi o di due corsi e un elemento di finitura. (M. Korres) fig. 18 Ricostruzione del Donario Attalide: posizionamento dei piedistalli posizionati a ridosso del parapetto delle Mura sud (M. Korres) 140 4β. Le mura a sud Lo “piattaforma larga.” Come già detto il muro sud si assottiglia gradualmente dal basso verso la sua sommità. Contrariamente qui, a partire da un punto di fronte alla nona colonna del Partenone, per un tratto lungo 45 metri verso est, la sezione del muro si amplia fino a quasi 6,5 metri. I filari di pietra che sporgono rispetto allo spessore del paramento sottostante poggiano direttamente sulla terra di riempimento. L’estremità occidentale di questa ampia cima è ancora visibile in una delle diverse buche di visualizzazione volutamente lasciate aperte sull’Acropoli per mostrare i risultati degli scavi. Purtroppo, nel 1880 le sue giunture sono state sigillate con la malta al fine da preservare la piattaforma dalla pioggia oscurando la rapporto strutturale tra i filari e il resto del muro. Nelle sezioni di Dorpfeld e di Kawerau la piattaforma sembra costruita in modo uniforme al resto delle mura, come se fossero una parte più spessa superiore di esse, mentre nel disegno dello stato di fatto di Kawerau e nelle sezioni del restauro di Bundgaard sembra essere una sommità distinta lungo il lato interno del muro. A giudicare dalle fotografie e dai resti visibili dello scavo una piattaforma distinta è probabile solo per il tratto più occidentale, situato all’interno dell’ Ergasterion. La maggior parte di questa ampia cima è ora nascosta alla vista. Il tratto a ovest del museo non è mai stato ripulito dallo strato di terra mentre la metà esterna della parte a sud del museo è stata ricoperta a partire dal 1889 da ammassi di architetture e dal 1983 dalla gru necessaria al progetto di restauro dell’Acropoli e dai suoi binari. Tuttavia, i resti visibili e quelli registrati prima dell’ l’installazione della gru mostrano che la maggior parte del filare superiore è andato perso. Dal momento che le parti accessibili della piattaforma sono poche, sparse e danneggiate, uno strumento di livellamento è stato utilizzato per stabilire la forma dei suoi corsi e il loro reciproco rapporto. Anche se non possiamo conoscere le disposizioni esatte dei blocchi all’interno di questa massa muraria, la sua forma può essere delineata abbastanza dettagliatamente. Il filare più basso è formato da blocchi regolari posizionati di testa eccetto nella parte orientale dove i blocchi sono disposti di taglio in modo da aumentare l’altezza del filare. La sua parte più occidentale è più stretta, costituita di due teste invece che di due e mezzo. Per la maggior parte della sua lunghezza il terzo filare è costituito da blocchi posti di taglio al fine di aumentare la sua l’altezza. La fila più interna è costituita da barelle mentre il resto da teste. Ad ovest questo filare è composto da blocchi messi di piatto. I successivi quarto, quinto e sesto filare consistono in teste e barelle disposte in maniera molto regolare. Oltre ai filari di blocchi furono depositati strati di pietrisco, ghiaia, argilla e detriti provenienti dal sacco persiano, stipati dietro le mura in modo da formare corsie di trasporto per il materiale e creare il cantiere all’aperto. Il suo volume totale è stato stimato nella impressionante cifra di 60000 metri cubi. scopo della creazione di una così ampia piattaforma non è chiaro. Una delle supposizioni avanzate è quella che l’ampliamento era destinato a fungere da base per il monumento votivo agli Attalidi. L’ultimo di questi livelli di riempimento, integrato con materiale più fine, rappresentava il livello di calpestio del terrazzamento in fianco al Partenone. Per quanto riguarda la parete Est, questa sembra essere la diretta continuazione della parete sud. Un’importante testimonianza è conservata nel blocco superiore dell’angolo sud-est. Un fatto rilevante da segnalare è che lungo tutto il muro est nessuna costruzione classica si trova al di sopra del livello di questo blocco d’angolo. Quindi, contro ogni aspettativa il muro est non è mai salito al di sopra 141 fig. 19 Angolo sud-est delle Mura di cinta dell’Acropoli, è possibile osservare i resti dei due laboratori: edificio IV e V 142 4β. Le mura a sud di questo’ultimo, e l’angolo nord-est della cittadella è stato lasciato totalmente privo di mura di cinta. A causa di questa lacuna, per raggiungere il livello della terrazza del Partenone avrebbe richiesto l’aggiunta di sette filari di pietra. Il piano originale era quello di aggiungere anche questi corsi, ma venne annullato o rinviato per motivi sconosciuti. Alcuni studiosi sostengono che il muro non venne completato a causa della guerra del Peloponneso o per la paura di aumentare la pressione esercitata dalla terra di riempimento o ancora per una certa riluttanza dovuta al fatto che l’opera avrebbe rischiato di ridurre la visibilità del Partenone unita ad una ritrosia ad interferire con la preesistente costruzione a sud-est qualora questa fosse davvero il misterioso santuario di Pandione e non un semplice laboratorio, come invece veniva sostenuto nella pubblicazione del resoconto del Grande Scavo. In ogni caso, il passaggio necessario per completare il terrazzamento a sud-est del Partenone è stato messo in attesa per secoli. La parte nord-est dell’Acropoli era con ogni probabilità murata non prima del III secolo d. C., mentre non lontano dalla facciata est del Partenone,sopra un consistente strato di terra, una dozzina di fusti di colonna inutilizzate, sparse in modo casuale, dominarono la scena fino a quando la zona fu ricoperta di case medievali. Mal costruite, in gran parte realizzate in mattoni in argilla e detriti, hanno dovuto essere ricostruite e sostituite più volte nel corso dei secoli, un processo che gradualmente ha innalzato il livello del suolo di diversi metri. Infine il sito è stato oggetto dei già citati scavi archeologici del XIX secolo, che hanno cercato di ricostruire teoricamente non solo ciò che esisteva un tempo, ma anche di comprendere le intenzioni dei costruttori per quanto riguarda le parti lasciate incompiute. fig. 20 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90 che riproduce il piccolo donario situato sulle Mura sud dell’ Acropoli 143 sezione I fig. 21 Sezioni I; II; III; IIIa; IV; V Sezioni trasversali del riempimento all’ estremità orientale dell’ Acropoli, tra le mura a sud e il podio del Partenone (Bundgaard) Il tratto dal podio a S2 in II, III, III bis e IV sono state ricavate dai rilievi diretti di Kawerau. Il resto invece è il risultato dello studio di alcuni schizzi, mancanti di misure precise e 144 da fotografie contemporanee. sezione II sezione III sezione IIIa sezione IV sezione V 145 fig. 22 Sezione trasversale del lato sud del Partenone, strati di riempimento (Ross 1855) 146 4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento sotto lo stereobate Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento sotto lo stereobate I Il l processo di realizzazione del terrapieno lungo tutta l’area meridionale dell’Acropoli, e soprattutto sotto il Partenone, al fine di ricreare un terrazzamento piano dal quale fosse possibile ammirare il tempio, ha avuto origine al momento stesso della costruzione del podio. Il principio utilizzato nel riempimento si nota chiaramente nel luogo nel quale ha avuto inizio, immediatamente ad est della collina di roccia e di fronte al centro del tempio di Atena (figura 22, sezione II). L’orizzonte che segna l’inizio dei lavori sul podio si distingue molto chiaramente: è la parte superiore della roccia. Sopra questa linea il riempimento è diviso in diagonale da spessi strati di ghiaia degradanti verso sud a partire da un punto a circa 5 metri dal podio. profilo può essere seguito attraverso le sezioni III e IV fatte in prossimità dell’angolo sud-est, angolo del podio, che vanno dalle mura di cinta meridionali fino al punto in cui la roccia affiora in superficie. Le sezioni mostrano che il terrapieno è stato accumulato contro il podio, e da esse emerge che la terra è cresciuta successivamente durante l’erezione del basamento. Il primo passo è stato compiuto con il collocamento di tre grossi blocchi costituiti da detriti di edifici in pietra porosa distrutti. È ragionevole prevedere che provenissero da pezzi del vecchio Partenone, smantellato per lasciare spazio al nuovo tempio. Sopra quello il terrapieno è costituito da strati di terra divisa in sottili strisce costituite da fini schegge di pietra porosa. Nessun scheggia grossolana, né in pietra porosa né in marmo, è stata trovata nel terrapieno originale. Grazie a questa scoperta, viene esclusa l’affermazione spesso fatta che i blocchi del podio e del tempio siano stati prima modellati qui. Noi sappiamo, in parte grazie ai blocchi conservati così come sono stati scoperti, in parte dalle iscrizioni successive, che la cava fornì i blocchi approssimativamente squadrati e in ampie dimensioni. Le prime lavorazioni delle pietre richiesero strumenti pesanti che produssero schegge grossolane in masse tali da sommergere completamente i rifiuti più fini delle fasi successive nella formazione dei blocchi. I depositi rilevati in cantiere, al contrario, provenienti dall’erezione del tempio, derivano dalla rifinitura delle giunzioni, dalla disposizione dei filari, dalla levigatura delle pareti e delle colonne e lavori analoghi di precisione che richiedono scalpelli, raspe o oggetti simili che producono i rifiuti fini in quantità moderate. Poiché solo fini schegge di pietra porosa e polvere di pietra sono stati trovati nel terrapieno originale ne consegue che i blocchi del podio non sono stati modellati sul terrapieno durante l’ erezione, ma in un cantiere situato a distanza. Per la maggior parte del periodo di costruzione il podio può essere stato accessibile, per il trasporto del materiale, solo da ovest. Di conseguenza, il cantiere degli scalpellini deve avere giaciuto sul crinale tra il tempio in costruzione e il muro P1. Ciascuno delle dodici assise più alte del podio contiene almeno 500 blocchi. Poiché dovevano essere formati da file di varia lunghezza i mastri dovevano aver avuto lo spazio necessario a disporre le serie completate prima del collocamento, per assicurarsi che fossero rispettati l’ordine e le misure. Partendo dal presupposto che non più di una superficie di filari è stato in opera contemporaneamente, anche questa eventualità avrebbe comunque richiesto tutta l’estensione occupata dai blocchi , vale a dire approssimativamente la stessa area del podio, trenta per settantacinque metri. 147 148 4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento sotto lo stereobate Lo Durante la costruzione del podio nessuna operazione di trattamento del marmo può avere preso posto qui, ma questo non significa che tale lavorazione sia stata avviata solo a completamento dello stereobate. Dal momento che il cantiere si sarebbe reso accessibile dopo la conclusione della fondazione, è ragionevole prevedere che Callicrate al più presto aveva disposto agli scalpellini di modellare i blocchi di marmo per il primo Partenone lungo il lato nord ed est della piattaforma in modo che ogni mastro potesse lavorare vicino al sito e rendere immediatamente disponibili i manufatti portati a compimento. Questo è confermato dal fatto che i resti grossolani che compongono la maggior parte del riempimento lungo la parete della cittadella sono esclusivamente in poros ad ovest del tempio, in poros mescolato a marmo di fronte al tempio, e prevalentemente in marmo ad est di esso. Lo strato inclinato di ghiaia indica un allargamento dello spazio in cima al terrapieno da 5 a 9 metri. La datazione è rintracciabile grazie al tamburo di marmo ritrovato nel terrapieno originale. Poiché è ovviamente scivolato dall’alto, ed è stato trovato completamente sepolto nel Iayer inclinato di ghiaia, è stato dedotto che probabilmente è precipitato per caso e il fatto che non sia più stato recuperato successivamente, giustifica il suo ottimo stato di conservazione. La conservazione è davvero così perfetta che siamo in grado di accertare che il fondo del tamburo non è parallelo con la parte superiore. Questo dimostra che è stato messo nella propria posizione sullo stilobate del primo Partenone e la parte superiore incisa per neutralizzare la curvatura e produrre l’inclinazione della colonna. La perdita del tamburo di colonna non può essere successa mentre il primo Partenone era in costruzione ma deve essere avvenuta durante lo smantellamento del tempio stesso. D’altra parte, è ovvio che fosse andato perso prima che lo stilobate del Partenone pericleo fosse pronto a riceverlo. Questo restringe notevolmente il periodo della sua scomparsa, diciamo qualche mese dopo l’adozione del nuovo edificio progetto nell’estate del 447 a. C.. Il tamburo non può essere semplicemente scomparso scivolando giù per il pendio del terrapieno sottostante. La sommità del terrapieno era già stata allargata e il tamburo era stato posto sullo strato di terra, ma abbastanza lontano da esso. Durante uno dei famigerati nubifragi greci il bordo si ruppe e il tamburo venne completamente inghiottito dalle masse di ghiaia in movimento che defluivano a causa della pendenza. Probabilmente non era questo il solo tratto in cui il bordo si spezzò in quella occasione. La sezione III mostra un blocco dello stilobate del Partenone cimoniano ai piedi del pendio che, è ragionevole. La sezione III illustra inoltre un blocco dello stilobate del Partenone cimoniano ai piedi del pendio che, è ragionevole prevedere, scivolò nella stessa occasione. Nessuna ricerca venne fatta per quanto riguarda i blocchi perduti, ma l’argine fu riparato dal deposito di ghiaia lungo il pendio. smantellamento del tempio precedente deve essere stato uno dei primissimi compiti che spettarono ad Ictino nel 447a.C. Dato che l’obiettivo era quello di ri-costruire il tempio sullo stesso identico diametro di colonna dei fusti precedenti, gli elementi del primo Partenone dovevano essere disposti intorno ai quattro lati in modo che fosse immediatamente chiaro dove e in che ordine i tamburi dovevano essere disposti sullo stilobate. Lo spazio doveva essere preparato tutto intorno al tempio per accogliere i pezzi nell’ordine corretto prima che iniziasse lo smembramento del tempio cimoniano. A nord lo spazio necessario si ottenne semplicemente rimuovendo la fascia supplementare in cui gli scalpellini di Callicrate avevano lavorato, al di fuori delle nuove fondazioni. 149 fig. 23 Tavola A dal libro di J.A. Bundgaard ‘Parthenon and the Mycenaean city on the heights’ In linea di massima, la tavola è costituito da copie dei disegni di Kawerau. In alcuni punti sono stati necessari arrangiamenti. Le lastre di pietra no. 20 e la moschea nella cella del Partenone sono tratti da una tavola di L. A. Winstrup del Royal Academy di Copenhagen, datato Atene, dicembre 1850. Numeri rossi: Kawerau indicano i livelli della superficie della roccia. Numeri sul podio e nel Partenone indicano il numero dei corsi visibili, contati a partire dall’elemento più basso (all’angolo sud-est). 21. Resti di una cisterna, utilizzata per un periodo da Pittakis come “museo”. 22. Blocco di marmo. 23. Scavo di Tschira: lastre di pietra seppellite nel terreno. a. Resti di una casa; b. di una fornace; c. di una casa. d. Taglio nella roccia, presumibilmente la sommità di una capanna preistorica. e. Punto più profondo della roccia. f. Tamburo e bugnato. g. Strati inclinati di riempimento. h. I tamburi trovati da Ross sul piano come segnalato da Penrose. i. Angolo sud-est di un triangolo di roccia non-levigato . k.l.m.n.o.p. Edificio IV (Ergasterium). I dati dei conci esistenti da l a m non corrispondono e sono quindi lasciati fuori. q. Parte di una terrazza costruita su piccole pietre. r. Il contrafforte può indicare una sosta temporanea nella costruzione di K3. 150 I II III III a 151 IV S2 Ricostruzione del paramento murario S2. Ricostruzione del Paramento murario S4. fig. 24 Ricostruzione dei paramenti murari situati nella parte orientale dell’ Acropoli, tra le Mura sud e il podio del Partenone; da ‘The excavations of Athenian Acropolis’, J. A. 152 Bumdgaard, Copenhagen 1974 Ricostruzione del paramento murario S3,parete sud Ricostruzione del paramento murario S2. 4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento sotto lo stereobate A sud, la parte superiore del terrapieno offriva una comoda sede per lo stoccaggio dei pezzi, ma Ictino dovette raddoppiare lo spazio disponibile. Lo ottenne, molto saggiamente, scaricando i rifiuti da nord lungo il pendio a sud e a est; in questo modo avvenne che scaglie di marmo fecero la loro prima apparizione a sud del tempio, proprio all’interno degli strati di riempimento. A questo schema appartengono i muri S3, S4 e probabilmente anche l’S5. M uro S 3 S3 non è un muro nel senso comune del termine. Per circa due terzi della sua lunghezza consiste in un solo filare, diviso in quattro parti dalla fine ovest del punto T , salendo dalla roccia fino al muro S2. Solo in un tratto è ben conservato. Questo mostra per un tratto due filari, tra cui, quello superiore con solo la metà, quella verso nord, dello spessore della parete. Dal momento che corre precisamente sulla linea ai piedi dell’angolo dove il terrapieno raggiunge il suo massimo ampliamento e venne costruito nel medesimo periodo, non c’è dubbio al fatto che esso marcava l’estensione da dare all’allargamento. Nel punto di intersezione con S2 aumenta fino a tre filari, e più in là un quarto segna l’aumento di spessore del nuovo riempimento. Molto interessanti sono le coppie isolate di conci x, x che segnano il punto più alto del muro. Ciò significa che questa parte di S3 è stata costruita filare per filare, riversando più materiale all’interno per evitare spreco di materiale. È emerso che questi corsi superiori non si resero necessari. Per questo i costruttori di S4 ne tolsero un paio nei punti x. M uro S 4 S4 non è uno, ma due muri. A sud-ovest ai margini della discesa, arriva così vicino al podio che il necessario spazio aggiuntivo può essere ottenuto solo con la costruzione di una sorta di torre, due pareti sporgenti da P2 e che si incontrano ad angolo retto. Durante gli scavi trovarono roccia all’interno del triangolo unita a blocchi del muro demolito della cittadella a dimostrazione del fatto che nessun edificio aveva preso posto qui prima del 447. Sopra questi blocchi il riempimento giaceva in strati di orizzontali di diversa altezza. La terrazza prese forma riempiendo il triangolo murario che si alzava, filare per filare. Il rafforzamento esterno, prima del muro sud e poi dell’ovest, dimostra che si è verificato un aumento abbastanza forte fino all’ estremità superiore di S2, ma da lì al podio è cresciuto di un solo corso. Il filare superiore della parete ovest inizia sulla prosecuzione della linea del lato sud del podio e si intervalla con il terzo filare dall’alto. Il filare inferiore del lato sud dell’S4 invade il sedicesimo corso della parete della cittadella. Si è rilevato che le quindici assise sopra questo punto sono costruite tutte con conci regolari. S4, poi, si erge sulla sommità di K1 che, di conseguenza, era già esistente al momento in cui Ictino fu assunto nel 447. M uro S 2 M uro S 5 L’S2 originale, collocato su una pendenza più dolce, è costruito quasi esclusivamente mediante l’utilizzo di blocchi grezzi ricavati dall’Acropoli tramite una tecnica poco regolare e reca una sovrastruttura che consiste principalmente in conci di edifici in poros distrutti, così come S4 e S3. Inoltre, i blocchi sono sapientemente assemblati in modo tale da formare una facciata perfettamente liscia, in posizione arretrata di una decina di centimetri su S2. Il contrasto tra le due parti è così evidente che Kawerau e Dorpfeld considerarono questa sommità, qui segnata con S5, essere il vero e proprio muro, e la sottostante parte sua fondazione, da cui si può ricavare che il ben conservato tratto di S2 tra i punti 11 e 12 non han alcun progetto di fondazione e che l’ S5 ha metà dello spessore di S2. A giudicare dalla materiale utilizzato S5 è parte dello schema di 153 fig. 25 Sezione trasversale est- ovest della collina dell’Acropoli, sono indicati i materiali di riempimento. 154 4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento sotto lo stereobate ampliamento, e infatti una consistente quantità di ghiaia poteva essere risparmiata con la costruzione del muro sui resti di S2. La porzione rilevata è solo quella esposta in quanto il muro deve resistere alla spinta esercitata dagli strati di riempimento. Quando fu scoperto, infatti, S5 aveva un inclinazione in avanti così pronunciata che gli archeologi non osarono rimuovere la terra direttamente di fronte ad esso per non rischiare di farlo collassare. È deduzione ovvia che il cedimento che inghiottì il tamburo nella sezione II è stato causato da un tratto corrispondente a tale muro, che mostra un filare di blocchi squadrati ai piedi dell’allargamento, che potrebbero benissimo aver costituito un muro. Che l’incidente non fu limitato all’estremità occidentale del terrapieno ampliato appare dal fatto che S3 è stato interrotto in due punti, e l’intervallo riparato da un piccolo intervento di pietre. Due elementi in marmo nel punto f (immagine a lato), un tamburo e un concio, sono posti qui per arginare movimenti simili all’interno del terrapieno. M uro S 7 Tracce Dall’altra parte la grande barriera di pietra S7 viene disegnata lungo la depressione tra il terrapieno allargato e la roccia; potrebbe così essere appartenuto ad un collegamento successivo tra i laboratori sulla punta orientale dell’Acropoli e il sito costruttivo. Il primo passo per la ricostruzione del tempio fu l’estensione della fondazione a nord-ovest. Dal momento che l’angolo è costituito da blocchi dello stiIobate prelevati dal primo Partenone, l’estensione non è stata messa in opera fino a quando il tempio non fu completamente smantellato. Vale la pena notare che mentre il lato nord-ovest del podio di Callicrate era destinato ad essere visibile fino alla roccia, e che deve essere di conseguenza rimasto nudo fino a 448, la parte aggiunta da Ictino può non essere mai stata pensata allo scopo di rimanere fuori terra. Esso è costruito con blocchi non adatti ad omologarsi alle altezze delle assise esistenti del podio e non è stata portata avanti l’accurata finitura, iniziata da Callicrate, delle quattro assise superiori visibili sotto la euthynteria del secondo Partenone. E ‘abbastanza chiaro che l’intenzione, fin dall’inizio, era quella di nascondere l’angolo con una terrazza, e dal momento che la fondazione aggiunta sul lato nord non era di meticolosa fattura, essa doveva girare l’angolo e correre lungo tutto il lato settentrionale fino al punto in cui la roccia raggiunge l’euthynteria del secondo Partenone. La terrazza non può essere stata realizzata prima che il tempio venisse nuovamente eretto ma si può tranquillamente presumere che la sua realizzazione è stato fatta poco dopo. materiali sono riscontrabili nella fila di cinque ‘pozzi’ scavati nella roccia livellata ad est, praticati al fine di accogliere un filare di alberi. fig. 26 Tamburo e concio di colonna a guisa di argine per i movimento del terreno La sequenza di fori termina dove comincia la pendenza della roccia poiché, da qui in poi, sono stati scavati nella terra del terrazzamento. Se gli alberi segnano il centro della terrazza, essa probabilmente aveva un larghezza di nove metri. Tornando alla sezione II, siamo ora in grado di tracciare l’orizzonte che indica l’inizio della ricostruzione del nuovo tempio: costeggiando la cima di K1 si giunge alla parte superiore dello strato di riempimento. Tutti i riempimenti sopra di questa linea sono stati fatti dopo che i danni causati dal collasso del muro in seguito al nubifragio furono riparati, circa nella primavera del 446. Più vicino a K, è depositato un layer identico in spessore contenente corsi delle mura della cittadella. Ne consegue che il muro è stato costruito contemporaneamente al riempimento dietro di esso, e la datazione alla primavera del 446 155 fig. 27 Rocco di colonna probabilmente appartenente al periodo pre-persiano, è possibile vederne tutt’oggi l’ ottimo stato di conservazione (Fotografie marzo 2011) 156 4γ. Le mura di ritenzione e gli strati di riempimento sotto lo stereobate si applica anche a K2 e dimostra che il riempimento a ovest di S4 è stato riversato alla stessa maniera del tratto che corre attraverso e oltre l’ S4 fino al punto vicino alla Brauronion, dove K1 raggiunge l’altezza del muro di cinta. Verso est, al contrario, la datazione non può essere applicata più avanti del punto in cui passa la sezione II. Nella sezione IV, venti metri più avanti verso est, uno spesso Iayer di rifiuti in marmo segna il completamento del secondo Partenone. La linea scende fino alla cima di K1 mostrando che a quel tempo nessun riempimento era stato fatto sopra quel livello; dato che il muro presuppone il riempimento, che serva da impalcatura per K2, deve essere esserci stato un intervallo tra le sezioni II e IV. Il resto delle mura sud della cittadella, sopra K1, contrassegnate dalla sigla K3, risale al 438 a. C.. Il riempimento dietro K2, a ovest di S4, consiste per la maggior parte in trucioli di pietra porosa, che indicano che una terrazza stava prendendo forma sul crinale ovest del cantiere dove era stato eseguito il lavoro per i conci del podio del tempio. A est di S4 consistenti depositi di scaglie di marmo grezzo indicano che in quest’area venivano scolpiti i blocchi per il primo Partenone. Ma la componente più cospicua del riempimento retrostante K2, in particolare a ovest di S4, sono frammenti irregolari di calcare dell’Acropoli depositato in sacche di grandi dimensioni. Queste ultime sono così grandi che le pietre non possono essere state raccolte sulla superficie della roccia durante una semplice opera di sistemazione. Esse dovevano provenire da un ampio taglio della roccia effettuato in un’area vicina. Infatti l’Acropoli venne tagliata nella la sua larghezza da una linea di undici metri ad ovest del podio viene tagliato nella la sua larghezza da una linea di undici metri ad ovest del podio, cioè appena fuori l’area su cui il fronte ovest del primo Partenone deve essere stato depositato durante lo smantellamento, per formare un’area piana a quota 151 metri. Dal momento che questa è l’unica fonte plausibile per l’immenso accumulo di frammenti di pietra calcarea nel riempimento dietro K2 ne consegue che la roccia venne tagliata durante l’erezione di questo tratto del muro nella primavera del 446, e appartiene al sistema stesso. 157 CAPITOLO 2 INDICE DELLE FIGURE CAPITOLO 5 fig.1 Visione aerea dell’Acropoli, 1940. fig.2 Copertina del catalogo della mostra ‘Metoikesis’, Lizzie Calligas fig.3 Interno del ‘vecchio’ museo dell’ Acropoli, Lizzie Calligas fig. 4 Fotografia di una Kore imballata e pronta per il trasferimento, Lizzie Calligas fig. 5 Disegno dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard fig. 6 Fotografia dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard fig. 7 Copertina del volume ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard fig. 8 Plastico dell’ Acropoli Periclea fig. 9 Plastico dell’ Acropoli Micenea fig. 10 Plastico dell’ Acropoli medievale fig. 11 Statuine in terracotta fig. 12 Anfora Proto Panatenaica a figure nere. fig. 13 Lekythos a fondo bianco, a sinistra, Caronte e Hermes. fig. 14 Moscophoros fig. 15 Cavaliere Rampin fig. 16 Kore di Archermos (675) fig. 17 Kore di Anenore (681) fig. 18 Rocco di colonna probabilmente appartenente al pre- Partenone fig. 19 Capitello Ionico fig. 20 Persiano in ginocchio, Vaticano. fig. 21 Galata in ginocchio, Venezia. fig. 22 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90, riproduzione del Piccolo Donario Attalide sulle mura sud dell’ Acropoli. fig.1 Visione aerea dell’Acropoli, 1940. 160 Allestimento “Metoikesis” Nella serie “Metoikesis”, Lizzie Calligas fotografa le statue antropomorfe (Korai) nel Vecchio Museo dell’Acropoli nel 2007, immediatamente prima del loro trasloco nel Nuovo Museo dell’Acropoli, congelando ne l tempo il momento della loro ricollocazione, la loro ‘metoikesis’ o trasloco, un momento di partenza e perdita. Calligas ha potuto girovagare nel luogo che era stato la casa di questi esempi unici della scultura antica sulla pietra sacra dell’Acropoli e fermarli su pellicola. Il suo obiettivo mette a fuoco le sculture stesse avvolte in panni bianchi e pronte per essere trasportate: scatti a figura intera o immagini di arti selezionati, occasionalmente anche gruppi di statue. La realtà della situazione è resa in modo chiaro ma solo indirettamente attraverso immagini di piccoli dettagli della numerazione di una cassa o di un tinta blu dei muri. Tutto ciò offre stimoli visivi che alludono sia a un luogo specifico (il vecchio piedistallo, materiali da imballaggio, arti esposti vicino ad altri impacchettati e la caratteristica Museo dell’Acropoli) che agli eventi che vi si stanno svolgendo (l’impacchettamento delle statue per il trasloco). Queste immagini non hanno un intento documentaristico, sono bensì riprese impressionistiche di un momento critico nella vita di queste specifiche statue. “Al vecchio museo”. Lizzie Calligas H CAP. 5 « Ogni volta che il Partenone viene distrutto, per ricostruirlo ci vuole un po’ più di tempo e il compito si fa un po’ più diffiicoltoso. [...] Un giorno, del Partenone non resteranno che dei frammenti imprigionati nei musei; delle copie sulle rive del Mississippi, del Kelani, del Tamigi, della Sprea, del Forth o del Danubio; i disegni di Stuart e Revett; milioni di fotografie sbiadite; e centiinaia di panegirici, da quello di Tucidide a questo che sto scriivendo io. E allora, liberato dalla sua essenza fisica, il Partenone sarà diventato nient’ altro che un’ idea e, finalmente, sarà perfetto.» Edward Hollis ,LA VITA SEGRETA DEGLI EDIFICI. « o trascorso molte ore nella stanza in cui erano allestite le korai, osservandole da tutti i lati e soffermandomi sui dettagli delle loro forme. L’allestimento a semicerchio in fondo alla sala, con uno sfondo blu scuro che sembrava avvolgere quei corpi, e la luce filtrante dalle finestre creavano un’atmosfera magica. L’estetica dello spazio rifacentesi agli anni ’50, in concomitanza con la bellezza assoluta delle sculture arcaiche, creava un’atmosfera molto particolare. Tuttavia, la ricollocazione delle opere nel nuovo spazio avrebbe prodotto un altro effetto, chiaramente molto differente. L’attuale disposizione delle statue, nonostante avesse in passato emozionato moltissime persone, tra cui visitatori, pellegrini e viaggiatori, non avrebbe più suscitato la stessa sensazione. Inoltre, l’idea che queste korai venissero, per la prima volta in 2500 anni, trasferite dalla roccia dell’Acropoli mi suscitava un certa malinconia, come se fossero sradicate dal loro spazio naturale.» 161 fig.2 Copertina del catalogo della mostra ‘Metoikesis’, Lizzie Calligas fig. 3 Interno del ‘vecchio’ museo dell’ Acropoli, Lizzie Calligas 162 fig. 4 Fotografia di una Kore imballata e pronta per il trasferimento, Lizzie Calligas La storia Già dopo i fortunati scavi condotti sull’Acropoli alla fine dell’Ottocento era evidente che il piccolo edificio costruito a partire dal 1865 a est del Partenone non era in grado di contenere i meravigliosi pezzi recuperati. Per questo, si pensò prima alla costruzione di un nuovo edificio sull’Acropoli – il cosiddetto “piccolo museo”, che non trovò però realizzazione – e poi, nel 1946-7, ad un ampliamento di quello già esistente. L’idea di un nuovo museo nacque nel 1976 ad opera del primo ministro Konstantinos Karamanlis, che indicò in Makriyianni, il quartiere che si estende oltre Odos Dionysiou Areopagitou, il luogo deputato alla costruzione. Tuttavia, sono occorsi ben trent’ anni – e una serie di tentativi falliti – perché l’idea iniziale potesse realizzarsi: solo nel 2001, infatti, è stato indetto con successo il concorso per l’assegnazione del progetto, che ha visto trionfare l’idea dell’architetto franco-svizzero Bernard Tschumi, in collaborazione con Michael Photiadis. I lavori di costruzione del nuovo edificio si sono conclusi nel 2007, quando il vecchio museo dell’Acropoli è stato chiuso e le opere sono state trasportate nella struttura appena realizzata. Il nuovo Museo dell’Acropoli è stato inaugurato ad Atene il 20 giugno del 2009. Perserschutt Termine coniato da Doerpfeld nel 1887: si intende la massa dei detriti derivanti dai monumenti dell’ Acropoli distrutti dai persiani nel 480- 479 a.C. riutilizzati come riempimento dei grandi terrazzamenti che allargarono il pianoro nel corso del programma di ristrutturazione della metà del V secolo. Le informazioni sull’architettura e scultura di questo periodo sono il frutto degli scavi archeologici effettuati nella seconda metà dell’ Ottocento proprio in quella che è definita “colmata” a sud del Partenone, il materiale ritrovato che comprendeva elementi votivi, frammenti statuari ed elementi architettonici, non potevano essere asportati dal luogo in cui erano stati sepolti e di conseguenza furono riutilizzati in parte come fondazione. Sono emersi gruppi statuari in marmo e consistenti frammenti di architettura: frontoni, frammenti di fregio, trabeazioni, colonne, capitelli. La scultura nell’età arcaica (VII-VI secolo a. C.) Il periodo dell’arte greca che si colloca fra quello geometrico e quello classico, e più precisamente fra il 650 a.C. e il 480 A.C.. Nella scultura arcaica la figura, prima rigida e squadrata perché vista dall’artista secondo piani paralleli, trovò poi punti di visione molteplici e un migliore inserimento nello spazio, passando così dall’astrazione “dedalica” a una maggiore aderenza alla realtà. Oltre che architettonica la scultura era votiva, funeraria, onoraria (statue di vincitori di gare atletiche; gruppo dei Tirannicidi). Pochi erano i tipi della grande statuaria, tra cui anzitutto quello del “kouros” (statua maschile nuda, in piedi, con la gamba sinistra avanzata) e della “kore” in greco “κορη” (statua femminile in posizione analoga, vestita di chitone e himαtion), tipi documentati dai numerosi esempi trovati nella cosiddetta colmata persiana dell’Acropoli di Atene ed oggi al Museo dell’Acropoli (dalla metà del sec. VI a. C. ai primi decenni del V) ma presenti in Attica (Atene, Museo Archeologico Nazionale) e in altre località già alla fine del sec. VII; in essi è soprattutto 163 fig. 5 Disegno dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard 164 fig. 6 Fotografia dello stereobate tratto da ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard evidente la progressiva conquista della conoscenza dell’anatomia umana. Lo stile attico, proprio di Atene fonde la severità dorica con l’eleganza ionica. QUOTA 149; 145 Fotografie degli scavi del1882-1890 dai disegni di Kawerau_ J.A. Bundgaard, Copenhagen 1974. The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’ contiene una raccolta di testi e fotografie realizzati da Wilhelm Dorpfeld and Georg Kawerau durante gli scavi sulll’Acropoli e utilizzati da quest’ultimi per preparare le pubblicazioni circa venti anni più tardi. La collezione è praticamente completa e , in connessione con le fotografie, permette di seguire gli scavi step by step dall’inizio alla fine, fornendo durante questo periodo nuove prove a proposito dell’importante questione e oggetto di accese dispute sulla data del Vecchio Partenone, grazie al lavoro di J. A. Bundgaard questi documenti di fondamentale importanza sono diventati materiale di facile accesso. Plastico della ricostruzione dello scavo Plastici ricostruttivi della storia dell’ Acropoli Fotografie/ pannelli di inquadramento periodo storico-artistico QUOTA 143 Ceramiche micenee, statuine in terracotta e protomi (ex-voto) fig. 7 Copertina del volume ‘The ‘Excavations of the Athenian Acropolis’, J. A. Bundgaard Dallo studio sulla distribuzione delle forme ceramiche dell’Acropoli è stato inoltre è possibile delineare un quadro, seppure talvolta sfocato a causa della frammentarietà degli esemplari e della mancata conoscenza della loro provenienza, su specifiche attività cultuali che scandiscono i differenti momenti della vita civica e religiosa della polis. In questo senso al pari di crateri e vasi potori risultano ugualmente “parlanti” i ritrovamenti di loutrophoroi, lebetes gamikoi ed anfore panatenaiche, tutte forme che hanno conosciuto un utilizzo pratico prima di essere offerte alla divinità e, in questo senso, segni tangibili della religiosità ateniese e attestazioni di significative “tappe” o “traguardi” dell’esistenza dell’individuo (matrimonio, agon atletico) o della collettività (rituali e celebrazioni delle diverse festività). Per contro appare, invece, indubbia la connotazione votiva di altri prodotti ceramici rinvenuti sull’Acropoli, quali pinakes, epinetra, kantharoi, vasi configurati ed esemplari miniaturistici che si qualificano come veri e propri anathemata, sovente accompagnati da un’iscrizione che esplicita l’occasione della dedica. Una considerazione di primaria importanza è che, accanto alla funzione rituale assolta da alcune forme vascolari, anche l’iconografia appare funzionale alla vita cultuale del santuario al punto da essere talvolta preminente sulla forma. I vasi a soggetto mitico sono decisamente predominanti rispetto a quelli decorati da scene non mitologiche e pertinenti a svariati ambiti, da quello rituale a quello funerario, dalla sfera erotica a quella guerriera etc. 165 fig. 8 Plastico dell’ Acropoli Periclea fig. 9 Plastico dell’ Acropoli Micenea fig. 10 Plastico dell’ Acropoli medievale 166 fig. 11 Plastico dell’ acropoli Pre-persiana (arcaica) fig. 11 Statuine in terracotta fig. 12 Anfora Proto Panatenaica a figure nere. fig. 13 Lekythos a fondo bianco, a sinistra, Caronte e Hermes. 167 fig. 14 Moscophoros 168 fig. 15 Cavaliere Rampin Statuaria arcaica QUOTA 143- 148.5 Statuaria arcaica: KOUROS- KORAI Il Moschophoros Il moschophoros (da μοσχος, vitello: “portatore di vitello”) è una scultura greca di età arcaica; il corpo fu rinvenuto sull’Acropoli di Atene nel 1864, la base nel 1864, die Basis 1887 negli scavi a sud-est dell’Acropoli nella cosiddetta colmata persiana. La statua è ora conservata nel museo dell’acropoli di Atene. Risale al 560 o 550 a.C. (per la precisione, risalirebbe agli anni immediatamente posteriori il 566 a.C., anno della riorganizzazione delle grandi Panatenee). La statua è in marmo dell’Imetto e ha un’altezza di 1,65 m. La figura originariamente era policroma, con occhi di pasta vitrea, avorio e osso. In questa scultura viene rappresentato un uomo che porta sulle spalle un vitello. Il viso dell’uomo presenta il cosiddetto “sorriso arcaico” (utile per l’arrotondamento degli occhi e della bocca) e lo sguardo diritto. Cavaliere Rampin C “ avaliere Rampin”: 560 - 540 a.C., marmo, alt. 113 cm., il corpo è conservato al Museo dell’Acropoli, oggi trasferito al Nuovo Museo dell’Acropoli, Atene mentre la testa originale si trova al Louvre di Parigi (testa, acquistata dal diplomatico Rampin); altezza (della sola testa) 27 cm. E’ la prima statua equestre nota, i cavalieri erano due: i figli di Pisistrato (Ippia e Ipparco), ritratti quali vincitori di giochi oppure i Dioscuri. La corsa con i cavalli era uno sport molto elitario, destinato solo ai cittadini di posizione sociale elevate, a causa delle spese consistenti che comportavano l’allevamento dei cavalli ed il mantenimento delle scuderie. La testa del cavaliere, cinta da una sottile corona di foglie di quercia, simbolo dell’atleta vittorioso, è caratterizzata dal contrasto creato dal chiaroscuro dei lunghi capelli ricci e della barba con la morbidezza del volto liscio, caratterizzato dal tipico sorriso arcaico. Il torso possente mostra i pochi dettagli anatomici, quali i muscoli addominali e i pettorali. La testa, come del resto il torso e parte del cavallo (conservati ad Atene nel Museo dell’Acropoli) ai quali venne ricondotta nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento dalla felice intuizione del grande archeologo inglese Humfry Payne (1902-1936), è opera di scavo ed è stata rinvenuta nella «colmata persiana» dell’Acropoli. La statua che oggi è possibile ammirare nel Museo Archeologico di Atene è composta quindi dal calco in gesso della testa conservata al Louvre e dal grande torso originale. Il nome «Rampin», con cui è universalmente conosciuta, è quello del collezionista francese che per primo la possedette. È probabile che la statua equestre – la più antica della Grecia nel suo genere – facesse parte di un gruppo comprendente due cavalieri vincitori. La testa presenta una leggera inclinazione laterale rispetto al busto; allo stesso tempo il torso del giovane è ruotato rispetto a quello del cavallo, nel tentativo di porre cavallo e cavaliere su due piani diversi. In tal modo viene superata la frontalità tipica delle sculture di età arcaica. I piani ortogonali che definiscono la volumetria della testa, i grandi occhi obliqui dallo sguscio delicato che disegna le palpebre e le labbra dal taglio lunato testimoniano l’appartenenza della scultura alla corrente attica. Tuttavia la delicatezza del trattamento scultoreo l’avvicina agli esiti della dolce scultura ionica. Il volto, decisamente espressivo, è incorniciato dalla barba, resa con un motivo 169 fig. 16 Kore di Archermos (675) fig. 17 Kore di Anenore (681) 170 a perline memore della scultura medio-orientale, nonché dall’elaborata acconciatura dei capelli (che presentano ancora tracce di una colorazione rossiccia). Numerose treccine, infatti, calano con regolarità dietro le orecchie, mentre altre si dispongono simmetricamente sulla fronte con andamento divergente verso destra e verso sinistra a partire dal centro. Una corona di foglie di quercia circonda la calotta cranica. Tale ornamento lascia ritenere che il cavaliere sia un vincitore forse dei Giochi Istmici o di quelli Nemei. Kore n. 675 Kore 675: 520-510 a. C., marmo di Chio, alt. 55 cm., E’ conservata la decorazione a colori. Acropoli di Atene, oggi al Museo dell’Acropoli La testa fu ritrovata a est del Partenone nel 1886 mentre il corpo nel 1888 nell’area a sud dello stesso. Statua di fanciulla, probabilmente da uno scultore greco orientale. Una delle numerose korai dedicate nell’ultimo quarto del VI secolo a.C., presumibilmente ad Atena. La sua gamba sinistra è leggermente più avanzato, il braccio sinistro tira la gonna di lato, creando un ventaglio di fini pieghe disposte radialmente. Il suo braccio destro è teso in avanti. Indossa un bel chitone increspato sul quale è drappeggiato un corto himation in diagonale. La scultura è la ricca di dettagli, e il colore l’arricchisce ulteriormente. Il chitone è blu, l’ himation bordato con un disegno di colore rosso e blu, lo stephane è stato decorato con un intreccio, gli orecchini e una collana sono dipinti, e anche i capelli sono colorati. Anche se lo stile di vestire ionico è una caratteristica delle Korai dell’Acropoli dopo il VI secolo, questa kore sembra avere altre connessioni con l’Oriente greco. Il suo viso e i capelli sono molto simili alle sculture greche di Delfi e alla Nike di Delo di Archermos di Chio. Il nome di Archermos di Chios è rappresentato sull’Acropoli anche da uno o forse due dediche, conosciute da colonne iscritte, e Raubitschek ha provvisoriamente associato a lui questa Kore. Si pensa che il tipo di marmo utilizzato provenga da Chio. Plinio (NH36.11-14) ci racconta che la famiglia Archermos sono stati scultori per generazioni, dunque se la differenza di tempo tra i lavori a Delo e ad Atene è troppo grande, Stewart suggerisce che ci potrebbe essere stato un nipote con lo stesso nome. Stewart 1990, 124, 243-4; Boardman 1978a, 88; Brouskari 1974, 65; Richter 1968, 79 no. 123, figs. 394-97; Raubitschek 1949, no. 9 Kore di Antenore Kore di Antenore (681) Intorno al 520 a.C. (530 a.C.- 520 a.C.), marmo, h. m 2,55 Acropoli di Atene, oggi al Museo dell’Acropoli Trovato sull’ Acropoli, Atene, (la parte inferiore è stata rinvenuta nel 1882 a est del Partenone mentre la parte superiore è stata trovata nel 1886 ad ovest del Eretteo). Dimensions: alt. 2.01 m (escusa la base); alt. (inclusa la base) 2.155 m Una giovane donna muscolosa in posa frontale, con la gamba sinistra leggermente avanzata. Indossa un himation corto ionico drappeggiato in diagonale su chitone a mezze maniche abbottonato sulla parte superiore delle braccia. I suoi capelli lunghi sono pettinati in quattro ciocche ondulate che cadono sulla parte anteriore di ogni spalla; tre strati di ciocche a spirale disposte orizzontalmente sulla sua fronte si sovrappongono a un stephane, o corona stretta. La Kore tiene il braccio sinistro piegato al suo fianco, e afferra saldamente una parte della gonna con la mano sinistra, si protende in avanti con la mano destra (mancante), che presumibilmente teneva un’offerta (ex-voto). Condizioni: 171 fig. 18 Rocco di colonna probabilmente appartenente al pre- Partenone 172 fig. 19 Capitello Ionico Composta da frammenti ricongiunti (reduce da alcuni restauri, ad esempio, sull’avambraccio sinistro) che costituiscono la maggior parte delle kore, è stato identificato un sostegno separato a cui apparteneva. Il panneggio è scheggiato ai bordi, e il naso è rotto, così come le dita dei piedi e le dita della mano sinistra. Piccole tracce cristallo intarsiato color porpora rimangono sugli occhi (il contenitore metallico per il cristallo, a cui ciglia sarebbe stato aggiunto, rimane l’occhio sinistro ??). L’avambraccio destro è completamente mancante. La base di iscritti (che probabilmente apparteneva a questa statua, anche se questo non è stato provato) conserva qualche decorazione dipinta (come anche i panneggi e la Stephane), mentre la superficie iscritta è rotta. Buchi nei lobi delle orecchie e sulla stephane indicano che gli orecchini e la decorazione erano fatti in un altro materiale (metallo?) che sarebbe stato aggiunto; Brouskari aggiunge anche che la Kore avrebbe potuto indossare un braccialetto sul braccio sinistro. Richter (70) nota i resti di una meniskos di bronzo sulla testa. L’iscrizione alla base è la seguente: * N * E * A * R * X * O * S * A * N * E * D * E * K * E [* N * H * O * K * E * R * A * M * E] * U * S * E * R * G * O * N * A * P * A * R * X * E * N * T * A * Q [* E * N * A * I * A * I] * A * N * T * E * N * O * R * E * P [* O * I * S * E * N * H] * O * E * U * M * A * R * O * S * T [* O * A * G * A * L * M * A]. Questo è approssimativamente tradotto con: “Nearchos (il vasaio?) Dedicato da i primi frutti di Atena. Antenore, il figlio di Eumares, realizzò la statua.” Antenore era insieme scultore in bronzo e in marmo (come forse prova il fatto che i globi degli occhi erano incastrati) Maestosità; sopra il chitone ionico, sollevato con la mano sinistra, indossa un pesante mantello, che avvolge il busto con profonde pieghe verticali Il volto venne mutilato dopo la morte di Ipparco. Nella “kore di Antenore” non v’è neppure anatomia, ma soltanto drappeggio. Come in tutto il gruppo delle “korai” dell’Acropoli di Atene, un sottile luminismo di origine ionica increspa tutte le superfici, variamente incanalando la luce nei rivoli fitti delle pieghe irraggiate in direzioni diverse, nei festoni dei lembi ricadenti dei pepli, nelle fini treccioline ondulate. Il moto o, piuttosto, la vita della figura è dunque interamente ottenuto con diverse qualificazioni delle superfici per una varia modulazione della luce, con il diverso orientamento e andamento dei risalti luminosi e dei solchi d’ombra, con il loro ritmo ora ascendente ora discendente. La figura, insomma, è uno schermo su cui si intensificano, animandosi, gli elementi che compongono lo spazio naturale: e proprio da ciò dipende il predominio della figura, il maggior prestigio o il maggior valore di bellezza che la figura scolpita, la statua, assume nei confronti di tutte le possibili sembianze naturali. Questa concezione della centralità della figura umana rispetto allo spazio della natura corrisponde del resto all’evolvere della credenza religiosa, del mito. Indubbiamente la gravità dorica, con il taglio severo delle masse e la forza contenuta delle sue forme conserva ancora il senso d’oppressione della mitologia “ctonia”, che è appunto la mitologia delle preponderanti, invincibili forze cosmiche: come si vede nel “frontone della Gorgone, dal tempio di Artemide a Corfù” con la mostruosa raffigurazione della Gorgone tra le belve; mentre, nella corrente attica il rapporto si inverte e la figura umana, dandosi come suprema forma della natura e quindi come rappresentazione di sè e dello spazio, si pone veramente come pitagorica “misura di tutte le cose”. 173 fig. 20 Persiano in ginocchio, Vaticano. 174 fig. 21 Galata in ginocchio, Venezia. Piccolo donario Attalide QUOTA 150.5 Intorno al 432 a.C. si concludevano i lavori al Partenone. Giungeva così a compimento l’ampio e complesso programma politico-ideologico pericleo, che puntuale attuazione trovava nel variegato e fastoso apparato decorativo del tempio (e dell’intera rocca), frutto di un preciso e meditato progetto iconografico improntato a una tradizione di cui il Partenone diventerà, da quel momento in poi, il sinonimo. Ancora dopo quasi tre secoli, la forza, la persistenza e la valenza politica di quel messaggio permanevano intatte, al di sopra del tempo e della storia, se un sovrano di Pergamo, all’apice del proprio potere, scelse proprio l’acropoli ateniese - e il suo tempio di Atena - per la dedica di una colossale commemorazione del proprio regno. Con l’erezione del cosiddetto “Piccolo donario”, Attalo intendeva deliberatamente proporsi come continuatore e sostenitore di quel progetto, inserendovisi perentoriamente, completandolo e ricevendone completamento, per trarne inoppugnabile legittimazione politica e culturale. Le metope orientali del Partenone e le figure del Piccolo donario vanno dunque a costituire le tappe estreme di un percorso ideologico, politico, artistico, iconografico che si ricongiunge a se stesso (sebbene non nuovo prima, né concluso poi): dopo tre secoli di rappresentazioni, tipi e rielaborazioni dalla loro ricomparsa sulla rocca ateniese, i Giganti torneranno ancora una volta sull’acropoli per volere di Pergamo, in diretto contatto visivo con i proprî predecessori partenonici, a propria volta echeggiati dalle mostruose e sofferenti creature del Grande Altare. D’altra parte, lo stretto legame che unisce Pergamo ad Atene, nell’ambito di un rapporto che vede in quest’ultima il punto di riferimento e il modello culturale per la giovane dinastia attalide, è fatto assodato. Tra i molteplici aspetti di cui si sostanzia questo rapporto, vi è senza dubbio la ripresa diretta, in campo artistico, di temi dalle pregnanti valenze intrinseche, cui la consacrazione classica conferì ulteriore importanza e significato, rendendoli punto di riferimento ineludibile per qualsiasi affine discorso artistico. Di qui, la necessità di un’analisi, condotta attraverso l’osservazione mirata dei singoli monumenti, e il loro confronto reciproco, dell’evoluzione artistica non disgiunta da quella concettuale - cui andò incontro un episodio del mito come la Gigantomachia tra Fidia e Firomaco, con specifica attenzione alla figura del Gigante. Un tema che, se tanto favore e così monumentale espressione raggiunse in Pergamo, aveva giocato un ruolo di rilievo anche in Atene, essendo uno dei tre soggetti, insieme a Centauromachia e Amazzonomachia3, a essere rappresentato più di una volta all’interno del “complesso partenonico”. 175 fig. 22 Installazione di B. Andreae degli anni ‘90, riproduzione del Piccolo Donario Attalide sulle mura sud dell’ Acropoli. 176 Presupposti storici: Nel 279 tribù di Celti (Galli, Galati) europei invadono la Grecia. Respinti a Delfi, in parte si riversano l’anno successivo in Asia Minore passando per la Tracia. Culturalmente ed etnicamente differenti dai Greci, come barbari rimasero isolati, nella regione che da loro si chiamò Galazia. Per decenni terrorizzarono le città costiere greche con razzie. Attalo I (241-197) negli anni 240-230 li sconfisse in una serie di battaglie, che segnano una forte espansione del regno attalide (in seguito anche Eumene II nel 168-166 a.C.). Vittorie commemorate da una grande serie di monumenti votivi sull’acropoli di Pergamo e su quella di Atene – punto di riferimento culturale dei sovrani attalidi – di cui rimane testimonianza, oltre che dalle copie romane che ora vedremo, in testimonianze epigrafiche e soprattutto nelle fonti: . Paus.1.25.2 “nel muro sud dell’Acropoli di Atene Attalo dedicò (a) la leggendaria battaglia dei Giganti (b) la battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni (c) la battaglia contro Persiani a Maratona (d) la distruzione del Galati in Misia. Ciascuna figura alta due cubiti (tre piedi, circa un metro). 177 178 Progetto Il desiderio di istituire e rendere evidenti le relazioni tra i frammenti e tutto ciò che esiste sul sito sono state per noi una preoccupazione primaria. Uno dei principali obiettivi del progetto è infatti quello di evidenziare il rapporto tra i ritrovamenti e tutto ciò che esiste in loco. I frammenti stessi e ciò che essi riflettono sono utili per la definizione della tipologia di Museo, la determinazione di uno spazio in grado di mettere in risalto il rapporto tra ciò che viene esposto- e per estensione la collezione nel suo complesso - e la profonda essenza del paesaggio architettonico. Infatti la scultura arcaica e quella classica sono state concepite come parte di un tutto, come se “i visitatori percorrendo il loro cammino sull’Acropoli nell’antichità avrebbero visto le sculture come parte di un sistema indivisibile chiamato l’Acropoli di Atene.” L’intervento si propone di individuare una strategia di intervento che si proponga di restituire a questo sito monumentale, forse il più formativo della civiltà occidentale - o più precisamente ad una parte di esso, quella delimitata dalle mura a sud e dal Partenone stesso- , una propria compiutezza, riportando alla luce cioè le origini dell’acropoli classica. Non appena vediamo il Partenone, l’Eretteo o i Propilei, diventa necessario “vedere ciò da cui sono stati separati”, ciò che è stato nascosto. Se il rapporto dei frammenti con l’intero è ignorato, anche la pseudo-autonomia dei Marmi Elgin al British Museum potrebbe essere affermata come un’ installazione altrettanto legittima, fornendo un isolato piacere estetico sprovvisto dell’esperienza problematica e di tutte le possibilità derivanti dal rapporto delle sculture con il sito di appartenenza. Pertanto, il requisito che almeno le sculture arcaiche dovrebbero rimanere sulla roccia sacra dell’Acropoli diventa una conditio sine qua non per alcuni architetti ateniesi; infatti la possibilità di estendere il museo esistente di un piano al di sotto del Partenone era già stata formulata nel primo Concorso architettonico, accompagnata da suggerimenti di Manolis Korres, un architetto coinvolto intimamente con il sito. A partire dal movimento moderno, abbiamo cominciato ad intendere l’opera d’arte come un elemento autonomo, sia essa legata a qualche spazio architettonico o meno. Questo concetto non è però applicabile alla scultura arcaica e classica, in cui ogni opera è concepita come parte di un tutto, di un insieme. Se i visitatori moderni che scalano l’Acropoli devono essere pienamente consapevoli dell’ universalità spirituale che articola il più completo sistema che la civiltà occidentale ha da offrire per un sito monumentale, dobbiamo garantire che i loro significati non siano ulteriormente frammentati. Non appena noi vediamo il Partenone, l’Eretteo o Propilei, è necessario percepire ciò da cui essi sono stati staccati (separati), ciò che è stato negato da questa esperienza assoluta. Se l’intero (la globalità) viene spezzato, la pseudo-autonomia offerta dalla vista dei Marmi di Elgin al British Museum potrebbe essere legittimato - un piacere estetico che non può competere con l’esperienza spirituale del totale. Il requisito possiamo dire quasi scaramantico è la possibilità che almeno le sculture arcaiche vengano ricollocate nel loro luogo originario e cioè sulla roccia dell’Acropoli, con la possibilità di estendente il museo esistente di un piano nello spazio al di sotto del livello 179 180 del Partenone (un approccio che era già stato formulato e mostrato tramite un modello in marmo in occasione del primo concorso per il museo dell’acropoli indetto dal Ministero della Cultura nel maggio 1989) corre parallelamente con le considerazioni suggerite da Manolis Korres (un architetto interessato esclusivamente al monumento). FORMA La forma è data dallo spazio del vuoto, mentre la copertura ripristina la quota del terreno su cui sorge il Partenone. Il museo è visto come sezione nello spazio e nel tempo, rispettivamente in orizzontale e in verticale. Lo spazio del museo è circoscritto (al di sotto) dalla topografia della roccia, dalle fondamenta su cui si erge il Partenone (ad una profondità fino a 11 metri: stereobate) e dal lato interno delle pareti di 7 metri di spessore. Si tratta di un luogo che conservò la memoria dei tempi arcaici fresca sotto il peso della terra umida, fino a quando venne riempito al tempo in cui l’epoca arcaica lasciò spazio all’epoca classica e il tempio arcaico conosciuto come Hekatompedon fu demolito per lasciare spazio all’attuale Partenone. A quel tempo, le mura micenee caddero in disuso e furono costruite quelle classiche che vediamo oggi. Tutte queste memorie – le mura più antiche, le abitazioni preclassiche, le tombe e i laboratori dove è stato tagliato il marmo - saranno messe a nudo e lasciate in loco dopo uno scavo esaustivo venendo a far parte integrante dell’opera. Questo luogo buio e umido è l’unico che la storia degli ultimi 2500 anni ha lasciato intatto e il riempimento effettuato sotto Pericle custodisce il segreto del passaggio dall’età arcaica all’epoca classica, e renderà a noi oggi a pieno il concetto di museo come custode della memoria. Due primi scavi effettuati durante l’800 gettano un po’di luce su questo passato. Fu in questo momento che furono ritrovate statue e frammenti di elementi architettonici e sculture appartenenti al tempio arcaico, sepolti come i resti di bambini, l’uno accanto all’altro tra le pareti e la superficie della roccia. Il mondo arcaico, che era strettamente legato alle divinità ctonie, non poteva essere né distrutto né ignorato dai Greci del V secolo. Perché tutto questo dovrebbe essere ignorato oggi? Questi spazi accanto all’Acropoli hanno mantenuto in vita l’origine della nostra civiltà, sono stati caricati con il significato della cripta; l’area in cui fu gettata la maggior parte della terra di riempimento, in particolare, ha il duplice valore simbolico di essere una cripta, e di essere soprattutto la cripta del Partenone. La discesa nella cripta, che è anche una discesa nel tempo, è l’elemento più importante nel rivelare a noi che tipo di museo il Museo dell’Acropoli dovrebbe essere. M. Boutmy (come citato in G. Duthuit ‘s Le musée Inima-ginable) ha affermato che il Partenone non avrebbe mai potuto essere un tempio in toto (assoluto), nel senso contemporaneo del termine, poiché non vi era alcun modo di poter essere visitato interamente dal pubblico; egli concluse che ci doveva essere un thesaurus o tesoro-casa per le reliquie e le offerte: “Prima di tutto è stato un museo”, conclude, e soprattutto, era una cripta, aggiunge Duthuit. L’arcaico suggerimento che ci invita a esplorare le possibilità offerte dal questa cavità nella roccia dimostrato più rivelatore. Questo progetto si svolgerà in due fasi. La prima riguarda l’archeologia. Dopo la demolizione del Museo esistente lo scavo potrà essere esteso su tutta l’area a sud del Partenone fino all’estremità sud-est (circa 5.000 metri quadrati) e per tutta la profondità del riempimento , fino ad arrivare alla superficie naturale della roccia, la quale non sarà intaccata. Quando questo scavo sarà completato, le sezioni finali determinanti la forma del vuoto risultante potranno essere plasmate. La seconda fase riguarda l’architettura. (Dopo aver coperto quasi per intero l’area dello scavo con il pavimento/soffitto l’illuminazione laterale naturale per il Museo, che sarà disposte lungo il pavimento piano tra i reperti naturali rivelati dagli archeologi, con scale e rampe, fino a una profondità di quasi 11 181 182 metri sul lato interno del muro) L’area dello scavo non verrà coperta per intero ma il pavimento/soffitto del vuoto terminerà in corrispondenza delle mura arcaiche e lasceranno scoperta l’area sulla quale sorgeva il santuario di Pandione, il quale sarà osservabile dall’alto durante la promenade che interesserà le mura meridionali, mentre il vuoto correrà tramite delle lunghe fenditure in corrispondenza delle rovine e soprattutto nel vuoto centrale creato sul punto di incontro tra i muri poligonale e squadrato. In corrispondenza con le rovine si interromperà il pavimento/soffitto lasciando un leggero discrimine all’incontro tra vecchio (verticale) e nuovo (orizzontale). HYPERTOPOS Il museo, inteso come luogo di protezione, esposizione e stoccaggio di importanti opere d’arte, ha le sue origini agli inizi della del tempo umano. Al fine di preservare dalla morte qualcosa della sostanza immortale della vita, gli esseri umani fin dai primi tempi seppellivano i loro morti con gli oggetti più preziosi e che essi possedevano in vita. Questi oggetti funerari raggruppati e collocati nelle cripte rappresentavano il gesto iniziale di installazione del “prezioso” in un luogo suggellato (chiuso, sigillato), un luogo istituzionalmente e ritualmente proibito, da cui gli oggetti non avrebbero mai più dovuto emergere. Il soggetto che seppellisce un oggetto in un sepolcro è ben consapevole che questo oggetto non potrà mai essere restituito, recuperato, come oggetto la da quel momento accompagna i morti. Questo gesto archetipico, l’immissione di una collezione di opere in modo specifico, precisamente zona delimitata, si è evoluta nel tempo per comprendere le tombe dei re, i funzionari, gli eroi e i ricchi. Il museo inteso come “topos”, letteralmente ”luogo” della raccolta, conservazione, protezione ed esposizione, deriva così la sua genealogia dalla tomba. In questo progetto lo spazio museale esiste a priori, è un grande vuoto dimenticato e riempito al momento della costruzione del Partenone classico, uno spazio sotto l’altopiano che si estende verso l’estremità sud-orientale della rocca.Uno spazio per sua natura eterotopico. Letteralmente inaccessibile, un abaton: non semplicemente un tabù, ma invisibile. Un luogo persistente, come un errore che chiede di essere corretto. All’interno di questo vuoto, gli Ateniesi dell’epoca classica seppellirono i loro morti e onorarono le statue arcaiche del tempio dei loro padri e nonni. Essi costruirono un immenso muro di ritenzione, e, tra esso e la superficie della roccia gettarono le fondazioni del Partenone lungo il pendio in questo grande vuoto che, per un breve periodo rimase visibile, per poi scomparire sotto il terrapieno. L’esistenza di questo sito invisibile è nota, ma è un punto cieco della nostra conoscenza. Fu un punto cieco anche nella nostra conoscenza, ma abbiamo a scoprire con tutti i mezzi un modo in cui un museo potrebbe essere collocato all’interno del sito archeologico senza disturbare, nella sua realtà e il suo design, il paesaggio che circonda l’Acropoli. 183 184 Museo come palinsesto Le statue arcaiche conservate oggi nel nuovo Museo dell’Acropoli, sono state ritrovate in questo luogo durante gli scavi ottocenteschi. Grazie al lavoro fatto dagli archeologi dell’Istituto tedesco di Archeologia e soprattutto grazie ai libri di Bundgaard (The excavation of the Athenian Acropolis 1882-1890 : the original drawings / edited from the papers of Georg Kawerau by J. A. Bundgaard; Parthenon and the Mycenaean City on the Heights by J. A. Bundgaard) abbiamo trovato schizzi ed eidotipi delle sezioni architettoniche venute alla luce attraverso lo scavo che, insieme a disegni topografici, piante e rilievi di edifici antichi e micenei e delle loro altezze interne –i quali che stati tutti sepolti nuovamente al termine delle operazioni di scavo. L’impressione di oscurità, vaga e informe che avevamo inizialmente di questo spazio improvvisamente è diventato chiaro: come se una serie quasi completa e scientifica di disegni, i disegni di un luogo inesistente fossero improvvisamente caduti nelle nostre mani. Un sito invisibile e non misurabile che può solo essere intuito grazie alle mura e superfici esterne. In questo momento siamo venute in possesso di tutti gli elementi di cui avevamo bisogno ed è stato come se il progetto stesso si fosse mostrato rivelandosi ai nostri occhi. Il volume dello scavo è abbastanza ampio per poter esibire per dare riparo la maggior parte dei gli oggetti esposti. Per andare avanti è stato necessario attuare una sorta di rottura rispetto al tabù che ha impedito a tutti (a partire da Schinkel) di intaccare la roccia sacra. Dall’alto dell’Acropoli il museo potrebbe ora svilupparsi dispiegandosi nella sua discesa lungo il pendio verso quei “soggetti dispersi” che il volume del museo principale non potrebbe includere. Abbiamo deciso fin dall’inizio di demolire il museo esistente perché le sue piccole dimensioni non potevano soddisfare il requisito di dare dimora ai reperti e soprattutto perchè tale spazio non avrebbe mai permesso di svelare le strutture sotterranee di fondazione e sostruzione che stanno all’origine della costruzione del Partenone. La sua posizione, parzialmente affondata nella superficie del riempimento, impedisce di estendere lo scavo fino all’estremità sud-est dell’Acropoli, ostacolando il recupero di importantissime strutture quali l’ansa di muro miceneo conservato e le rovine del santuario di Pandione, celate sotto il pavimento del vecchio museo. Lo operazioni di scavo dell’ ottocento, dalle informazioni in nostro possesso, (anche se lo scavo non è stato sistematicamente fotografato) sono state evidentemente eseguite con eccessiva impellenza, al punto tale che molte delle antiche strutture scoperte furono danneggiate. Gli archeologi portarono alla luce la maggior parte della parete rocciosa (tranne al livello più basso adiacente ai piedi delle mura), le abitazioni micenee sia dentro che fuori dal limite delle mura difensive risalenti al II Millenio e i laboratori che risale alla costruzione dell’attuale Partenone. Queste rovine e la geologia stessa sarebbe diventata parte della struttura del nuovo museo. Evidentemente, dati gli insufficienti elementi a nostra disposizione, non abbiamo potuto effettuare con assoluta precisione una ricostruzione di ciò che emerse dalle operazioni di scavo ma ciò che possediamo e che abbiamo ricavato è stato più che sufficiente per dare un’idea generale di progetto. Abbiamo trovato delle sezioni che, confrontate con le fotografie ci hanno fornito delle misure piuttosto precise della superficie della roccia con le posizioni esatte delle mura micenee che longitudinalmente intersecano il “vuoto” e il laboratorio del Partenone V secolo (di Fidia). Dopo aver recuperato la maggior parte delle misure di questo luogo “invisibile”, abbiamo ricostruito tridimensionalmente una ad una tutte le sottostrutture presenti all’interno dello scavo e abbiamo cominciato ad immaginare alcune viste virtuali degli interni da differenti punti di vista. Il progetto del museo è emerso da una strategia basata sull’ immagine dello scavo: 159 160 una serie di piani-piattaforma seguono la topografia della roccia, tenendo sempre come riferimento principale l’elemento che più di ogni altro a nostro avviso ha avuto importanza in riferimento allo scavo e cioè lo stereobate del Partenone. Il Proprio per questo motivo abbiamo deciso di impostare la quota minima del piano di calpestio (pavimento) esattamente allo stesso livello di imposta della fondazione (+143) per poi risalire fino al limite ovest, sempre seguendo la geologia. L’ingresso avviene tramite una discesa che segue il naturale pendio a est del Partenone concludendosi con una rampa che porta all’interno del primo volume. La copertura, impostata ad una quota inferiore rispetto a quella del vecchio museo, rimane allo stesso livello dell’originario cortile del Partenone (+ 153), (ripristinando la quota di calpestio attuale in modo da non stravolgere l’immaginario della rocca rimasto immutato negli anni) rimanendo per cui invisibile dalla città. ricollocamento sul limite meridionale in copertura della statuaria proveniente dal piccolo donario attalico permetterà di valorizzare il prospetto meridionale e in qualche modo di ripristinare uno status ante che non può far altro che arricchire l’attuale visuale depauperata da tale preziosissima opera d’arte. La scala conduce ad un punto preciso in cui il livello della copertura del museo divide l’orizzonte: il cielo Attico e il Partenone al di sopra, le fondazioni sepolte dell’angolo sud-est del Partenone al di sotto. Un’inquadratura inedita, che, a colpo d’occhio, definisce il primo passo di una discesa nel tempo storico, il tempo del museo. Il museo è una cripta, una camera del tesoro (tesoreria) adiacente alle fondazioni del Partenone. Un topos sepolto 2500 anni fa. All’interno di uno spazio del senza tempo, della cavità naturale della roccia, l’unità tra architettura e la scultura degli antichi greci può essere almeno in parte mantenuta e si differenzia dalla modalità più violenta del “white cube”. “L’Acropoli di Atene può allora continuare il suo percorso attraverso il tempo come una “nave di pietra” che ha conservato gran parte del suo carico, trattenendo il più possibile in sé stessa, offrendo un luogo e una speranza per le generazioni future di scoprire e interpretare le creazioni di una civiltà un in silenzio indisturbato.” Un museo costruito al di fuori della Rocca, all’interno della moderna città di Atene, è sostanzialmente un sovrappiù, una zavorra. 161