IL REGNO DELLA BELLEZZA
La Grecia
Nessuno sa esattamente quale fu il popolo che dominò in Creta, la cui arte fu copiata nel continente greco,
particolarmente a Micene. Recenti scoperte inducono a pensare che si parlasse una specie di greco arcaico. Successivamente,
intorno all’anno 1000, tribù guerriere provenienti dall’Europa penetrarono
nell’accidentata penisola greca e nelle coste dell’Asia minore, combattendo
e debellando gli abitanti. Qualcosa dello splendore e della bellezza di
quell’arte, distrutta nel protrarsi delle guerre, sopravvive soltanto nei canti che
ci narrano queste battaglie, ovvero nei poemi omerici, giacché tra i nuovi
arrivati erano le tribù greche a noi note.
I vasi erano spesso decorati con semplici motivi geometrici, e ogni scena
rappresentata faceva parte di un disegno rigoroso. La figura accanto
riproduce un corteo funebre. Il morto giace nella bara, mentre alcuni
personaggi, a destra e a sinistra, alzano le mani nel rituale gesto di lamento
comune a quasi tutte le società primitive.
Il vaso del Dipylon o anfora del Dipylon è un'anfora
greca, prototipo dello stile tardo geometrico, ritrovata
nella necropoli ateniese del Dipylon e datata al 750 a.C.
circa. È considerato il capolavoro del Maestro del
Dipylon ed è conservato nel Museo archeologico
nazionale di Atene.
Qualcosa di questo amore per la semplicità e la disposizione ordinata sembra essere penetrato nello stile architettonico
introdotto dai greci in quei lontani tempi e che, strano a dirsi, sopravvive ancora nelle nostre città e nei nostri paesi. Qui accanto
vediamo un tempio greco dell’antico stile che ha preso il nome dalla tribù dei DORI. Era la tribù alla quale appartenevano gli
spartani, noti per la loro concretezza e la loro austerità.
Nei loro edifici non c’è, infatti,
niente di superfluo, niente, almeno, di
Fidia, Iktinos, Kallikrates, il Partenone 450 a.C.
cui non si creda di scorgere lo scopo.
Tempio dorico sull’Acropoli di Atene
Probabilmente i primi templi del genere
erano costruiti in legno e consistevano
in una minuscola cella, chiusa da ogni
lato, destinata a contenere l’immagine
del dio. Tutto intorno una solida cintura
di puntelli di legno per sorreggere il
peso del tetto. Verso il 600 a. C. i greci
cominciarono a riprodurre in pietra
queste semplici strutture. Ai puntelli in
legno sostituirono colonne atte a
reggere le massicce travi trasversali in
pietra. Sono queste le architravi, e
l’intero apparato poggiante sopra le
colonne prende il nome di trabeazione.
Possiamo
scorgere
tracce
delle
antiche costruzioni in legno nella parte
superiore, dove sembra che ancora
emergano le testate delle travi. Queste
travi in legno originarie erano generalmente segnate da tre scanalature, denominate con parola greca triglifi,
che vuol dire appunto tre graffi. I triglifi sono intervallati da riquadri, detti metope, scolpiti a bassorilievo con scene
di battaglia o di divinità.
La cosa che più colpisce in questi antichi santuari, che tanto chiaramente imitano le costruzioni in legno, è la
semplicità e l’armonia dell’insieme. Se i costruttori avessero usato semplici pilastri quadrati, o colonne cilindriche, l’edificio
sarebbe potuto sembrare pesante e goffo. Invece, essi ebbero cura di ingrossare leggermente le colonne a metà e di affusolarle
verso la cima (rastremazione), cosicché si direbbero quasi elastiche, come se il peso del tetto le premesse lievemente senza
schiacciarle né comprometterne la linea. Sembrano quasi organismi viventi tesi a reggere senza sforzo alcuno il proprio carico.
Sebbene molti di questi templi siano vasti e maestosi, non tendono al colossale come ad esempio le costruzioni egizie.
Si sente che furono costruiti da creature umane per creature umane. Non c’era infatti tra i greci un tiranno divino che potesse o
volesse costringere un intero popolo ad abbrutirsi di lavoro per lui. Le tribù greche erano sistemate in numerose cittadine e
porticcioli. Fra le piccole comunità esistevano molte rivalità e molti contrasti, ma nessuna riuscì a prevalere sulle altre.
Il tempio era costituito da una parte chiusa,
accessibile solo ai sacerdoti, e da una aperta,
esterna, spettacolare e visibile in lontananza. La parte
chiusa era suddivisa in tre ambienti:
1. Quello centrale, denominato cella o naos,
destinato alla custodia della statua del dio cui il
tempio era dedicato.
2. L’accesso al naos era mediato dal pronaos.
3. Sul retro era presente un vano denominato
opistodomos utilizzato come ambiente di
servizio per le offerte rituali.
Tutto il tempio era sopraelevato su un crepidoma,
grande basamento con valore simbolico, e costruito
direttamente sullo stilobate, l’ultimo gradino del
crepidoma. Le colonne perimetrali, presenti nella
maggior parte dei templi ancora eretti, prendono il nome di peristilio.
Queste caratteristiche strutturali si ripetono anche nelle successive evoluzioni degli stili architettonici. Questi stili in architettura
prendono il nome di ordini, e differiscono soprattutto per le dimensioni e per le decorazioni delle singole parti del tempio. Gli
ordini più diffusi (secondo la classificazione che ne fece Vitruvio, grande architetto romano del II secolo dopo Cristo) sono:
A.
Dorico
B.
Ionico – V e IV secolo a. C., caratterizzato da snellezza ed eleganza formale, prende il nome dall’etnia degli Ioni. I templi
C.
Corinzio
– dal secolo VIII al VI a. C., caratterizzato da forme monumentali e ampia diffusione (sono i più grandi e i più
presenti nel territorio). Prende il nome dalla etnia dei Dori, popolazione proveniente dall’Europa dell’est
non sono particolarmente grandi.
– dal 300 a. C. fino alla conquista romana dopo l’anno zero. È lo stile più ricco di decorazioni e molto raffinato.
Deve il nome alla città di Corinto dove fu introdotto per la prima volta. Venne utilizzato in età ellenistica e fu ripreso dai
Romani e in età cristiana.
Ordine dorico
TRIGLIFI
METOPE
TIMPANO
TRABEAZIONE
CAPITELLO
COLONNA
FUSTO
STILOBATE
CREPIDOMA
METOPE
FREGIO
ABACO
ARCHITRAVE LISCIO
ECHINO
TRIGLIFI
Ordine ionico
ARCHITRAVE TRIPARTITO
FREGIO CONTINUO
ECHINO A VOLUTE
BASE
Ordine corinzio
Alla fine del V secolo a. C. venne
introdotto il CAPITELLO CORINZIO,
ideato secondo la tradizione
dall’architetto CALLIMACO, che
si ispirò ad un cesto sormontato
da una lastra, lasciato accanto
ad un sepolcro e sormontato da
foglie d’acanto.
I frontoni
Il FRONTONE è un triangolo lungo e basso,
costituisce la cornice esterna del triangolo interno,
detto TIMPANO. Non era facile disporre le statue,
scolpite a tutto tondo, in maniera armoniosa e
coerente. I greci ci riuscirono adattando le figure
agli spazi reali: così la statua centrale risulta eretta,
mentre le altre seguono l’inclinazione delle falde e
sembrano chinarsi fino quasi a stendersi. Le storie
narrate, mitologiche, si sposano alla forma
triangolare.
L’Acropoli di Atene
È uno dei monumenti dell’antichità più conosciuti al mondo. Rappresenta la cittadella sacra della città di Atene, dedicata
alla dea Atena, nota per essere portatrice di vittoria, di virtù guerriere e pura, incorruttibile.
Posta su una collina sopra Atene, a 160 m di altezza, fu ricostruita per volere di Pericle per mano degli architetti Ictino e
Callicrate, mentre tutti i più
importanti lavori di modellazione
e decorazione furono affidati al
grande scultore Fidia.
PARTENONE
L’arte greca toccò il culmine del suo
sviluppo nell’epoca di maggior
fioritura della democrazia ateniese.
Nel 480 a.C. i templi sull’altura sacra di
MUSEO E BIBLIOTECA
Atene erano stati incendiati e
ERETTEO
saccheggiati dai persiani e dovevano
essere ricostruiti in marmo, con uno
splendore e una maestosità senza
precedenti. Pericle trattava gli artisti
PROPILEI
come suoi pari e scelse con grande
attenzione
gli
esecutori
della
ricostruzione.
TEMPIO DI
La fama di Fidia è basata su
ATHENA NIKE
opere che non ci sono pervenute,
principalmente la statua di Zeus ad
Olimpia e la statua crisoelefantina1 di
Athena Parthenos2 all’interno del
Partenone, il tempio più grande e maestoso dell’acropoli di Atene. Tali opere sono andate perdute. Ma le copie eseguite dai
romani all’epoca delle dominazioni ci forniscono però una pallida idea di come potessero apparire.
1
2
Relativo a statua greca del periodo arcaico e classico con il volto e le parti scoperte del corpo in avorio e le vesti in oro.
Vergine, pura, incorruttibile. Partenope è anche il vecchio nome di Napoli (da cui il termine partenopei).
La statua di Athena Parthenos all’interno del Partenone era una gigantesca
scultura di legno, alta circa dodici metri, completamente ricoperta da materiali preziosi,
armatura e abiti in oro, la pelle d’avorio. Colori
vivaci e splendidi erano nello scudo, mentre gli
occhi erano gemme sfavillanti.
Alcuni ippogrifi si levavano sull’elmo della
dea, e gli occhi di un enorme serpente
arrotolato all’interno dello scudo erano
anch’essi di scintillanti pietre. Chi entrando nel
tempio si trovava improvvisamente di fronte a
questa statua doveva provare un misterioso
timore. C’era nei suoi tratti qualcosa di
primitivo e selvaggio: essa era più di una
statua, più di un semplice idolo o demone. Era
un essere umano sublimato: la sua
potenza non derivava dal mistero o
dagli incantesimi, ma dalla bellezza.
L’arte di Fidia ispirava una nuova concezione
del divino. La statua sembra, nella sua rigida
frontalità, risentire ancora dei canoni e delle
regole dell’arte egizia, ma l’artista vuole studiare l’anatomia delle ossa e dei muscoli,
e cerca di costruire una struttura umana convincente, visibile anche sotto il
drappeggio. Il modo stesso con cui gli artisti greci impiegavano il drappeggio per sottolineare le principali partizioni del corpo
umano mostra quale importanza essi dessero alla conoscenza della forma e allo studio delle proporzioni.
Tale equilibrio tra fedeltà alle regole e libertà ha valso all’arte greca tanta ammirazione nei secoli posteriori: gli artisti in cerca
di ispirazione sono sempre ricorsi ai capolavori dell’arte greca, considerata sempre un modello insuperabile di riferimento.
L’acropoli di Atene era un luogo importantissimo per tutti i cittadini ma anche per i visitatori: durante le feste panatenee3
erano migliaia le persone che accorrevano dall’intera Grecia. Riti religiosi, avvenimenti culturali, giochi ginnici e spettacoli
teatrali animavano le giornate dei pellegrini.
Panatenee La più importante festa religiosa e civile dell’antica Atene, istituita secondo la tradizione da Teseo e celebrata in onore di Atena Poliade nel mese di
ecatombeone (all’incirca luglio). Si distinguevano le piccole P., annuali, e le grandi P., quadriennali. Culminavano entrambe il 28° giorno del mese, considerato natalizio di
Atena, con una processione che recava alla dea, sull’Acropoli, il prezioso peplo tessuto dalle donne ateniesi. Nel corso delle P. si svolgevano agoni ginnici e ippici, gare
poetiche e musicali, e la sera del 27 una παννυχίς o festa notturna, con la lampadedromia o corsa con le fiaccole.
3
Il Partenone si innalza nel punto centrale
dell’Acropoli ed è certo il più conosciuto fra i
capolavori dell’architettura greca, abbiamo
detto. Presenta 8 colonne davanti (tempio
octastilo) e 17 sui lati, e si poggia su un
basamento di tre gradini. Un tempo le sue
superfici erano coperte di dolori vivaci e rilievi,
oggi resta solo il marmo. Ci vollero 9 anni per
costruirlo e fu completato nel 438 a.C. La sua
importanza risiede nel fatto di essere uno degli
edifici più completi mai costruiti, realizzato da
una delle civiltà più avanzate che il mondo
abbia mai conosciuto. Il Partenone, anche se
è stato studiato per secoli, cela ancora tanti
interrogativi e misteri. È considerato l’edificio
perfetto ed è la costruzione più imitata al
mondo. È un po’ come la Gioconda di
Leonardo: anche se si son viste decine di
fotografie, non si è mai del tutto preparati
Acropoli di Atene
all’immensità del Partenone, nel bene e nel
male. Si potrebbe restare enormemente delusi, o incantati per sempre.
Sfregiato dal tempo e dalla storia, divenne in ordine un tempio romano e poi una chiesa cristiana; trasformato in moschea,
fu utilizzato come polveriere dai turchi e nel 1687 una disastrosa esplosione causata dall’assedio dei veneziani ne distrusse la
parte centrale. Abbandonato ogni utilizzo, divenne una cava di materiali edili (marmi e ferri) per gli abitanti del luogo, finché
tra il 1700 e il 1800 fu letteralmente depredato di tutte le sculture ancora rimaste, alcune delle quali oggi sono visibili nei più
importanti musei del mondo. Un lento e laborioso lavoro di restauro è iniziato nel XX secolo, e ad oggi non è ancora ultimato.
Il teatro
Per l’evoluzione e lo sviluppo della civiltà greca, fu fondamentale l’attenzione per l’individuo: l’urbanistica,
l’architettura e la qualità della vita si misurano su scala territoriale ma anche e soprattutto attraverso il benessere dei gruppi
familiari ma anche dei singoli cittadini. Case ampie e spaziose, strade larghe e comode, furono apripista per una evoluzione
culturale e sociale di lunga durata.
Tra i numerosi edifici destinati a cambiare per sempre il rapporto dei cittadini con il mondo circostante, il teatro è tra i più
spettacolari e quello che pare cristallizzare l’ideale greco dell’architettura come pura forma geometrica.
Le rappresentazioni facevano parte delle celebrazioni in onore di Dioniso4. Nei primi e più antichi drammi l’azione era
portata avanti prevalentemente dal coro, mentre
il ruolo dei singoli attori era assai limitato. Nel corso
Diàzoma
del V secolo a.C. gli attori assunsero
Galleria
un’importanza sempre maggiore e all’epoca
Càvea
delle ultime commedie di Aristofane, scritte nella
prima metà del IV sec. A.C., il coro era ormai
praticamente
scomparso,
a
favore
del
movimento degli attori nello spazio circolare
dell’orchestra. In breve tempo anche la
Platea
Scalette
scenografia
e
l’architettura
subirono
un’evoluzione analoga. Nel V e nel IV secolo la
progettazione del teatro aveva dato rilievo
Settori
soprattutto alla posizione dell’orchestra, il luogo
circolare per le danze dove il coro si esibiva e
interagiva con gli attori. La càvea, (theatron),
ricavata sfruttando il pendio naturale di una
collina, si era sviluppata come luogo di
osservazione situato intorno all’orchestra, una
sorta di platea naturale che infine fu dotata di
forme architettoniche appositamente studiate.
Il teatro di Epidauro, costruito in aperta
campagna, riprodotto accanto in pianta, del IV
sec. A.C., è uno splendido esempio di teatro
classico.
La cavea ha un diametro di 118 m, costituita
Orchestra e coro
Pàrodoi (corridoi)
Proscenio
da 55 gradoni in marmo. Lo spazio generato, praticamente illimitato,
consentiva a 20.000 spettatori di sentire e vedere gli attori. Un capolavoro di acustica che ancora oggi
sbalordisce.
Scena
Dioniso (gr. Διόνυσος) Una delle grandi divinità dell’Olimpo greco. Dioniso era considerato l’inventore della vite, del melo, del vino, della birra; gli si attribuiva, inoltre,
la crescita e il rinnovarsi della vita dei fiori e degli alberi. Il vino, da lui donato agli uomini, era per i Greci la bevanda che faceva dimenticare gli affanni, che creava gioia
nei banchetti, che induceva al canto, all’amore, nonché alla follia e alla violenza e che, nel sacrificio, era strumento di mediazione tra uomini e dei. Le sue epifanie erano
caratterizzate dal polimorfismo: era toro, leone, serpente, capretto, barbaro e greco, giovane e vecchio, femmineo nel vestire e nei capelli fluenti.
4
La rappresentazione degli spettacoli greci avveniva solo nelle ore diurne, prima del tramonto, e riguardava tragedie con
finale drammatico, commedie e, in epoca ellenistica, anche farse.
Nei teatri del V e IV secolo l’edificio del proscenio o palcoscenico,
alto un solo piano, veniva usato per riporre gli arredi scenici e le
quinte, mentre alle sue spalle si ergeva il fondale architettonico o
la scena (skené). Tutto questo costituiva la coreografia.
Teatro di Epidauro, 350 a. C.
Con il teatro concludiamo la trattazione relativa
all’architettura greca. Ma resta lo spazio per alcune
considerazioni condivise. In realtà la spettacolare
evoluzione di quest’arte, frutto di un processo evolutivo
senza precedenti per qualità e velocità, deve trasmetterci l’idea di una civiltà spavaldamente pop, ad usare un termine
moderno: il disastrato Partenone di oggi era in origine uno straordinario edificio coloratissimo. Sui suoi marmi si riscontrano
consistenti tracce di malachite, di ematite, di azzurrite. Il rosso, l’azzurro, il verde caratterizzavano la Valle dei templi ad
Agrigento, l’Acropoli era un grande luna-park dell’antichità capace di attrarre masse di visitatori.
Certo, la tradizione ci trasmette immagini di compassate civiltà che facevano del bianco del marmo e del giallo del tufo
l’immagine più evidente del rigore geometrico e proporzionale. Ma i greci erano sanguigni, come gli dei vanitosi e litigiosi in cui
credevano: perché mai avrebbero dovuto celebrare queste divinità con stili slavati e privi di colore?
Tutte le considerazioni sono rielaborate e sintetizzate da Dario D’Antoni.
Le citazioni sono liberamente tratte dai testi
Ernst H. Gombrich
Breve storia del mondo (Firenze 1997)
Ernst H. Gombrich
H. Hounor/J. Fleming
Il mondo dell’arte (Verona 1952)
Storia universale dell’arte (Bari 1982)
Susan Woodford
Grecia e Roma (Milano 1989)