L'attenzione è un processo cognitivo che permette di selezionare stimoli ambientali,
ignorandone altri. Una metafora spesso usata è quella del filtro, che lascia passare
soltanto gli stimoli rilevanti.
I livelli di attivazione
Una premessa è d'obbligo, quella dello studio dei livelli di attivazione o arousal. La teoria
dell'arousal presuppone che lo stato di vigilanza vari lungo un continuum che va dal sonno
all'eccitazione diffusa. Il livello di attivazione è considerato un fattore importante nella
determinazione dell'efficienza di un soggetto in prestazioni o compiti. La relazione tra
livello di attivazione ed efficienza del soggetto, espressa in ordinata sotto forma di qualità
della prestazione, è rappresentata da una curva ad U invertita. A bassi livelli di attivazione
l'individuo si distrae facilmente, mentre a livelli troppo elevati l'eccessiva ansietà ha un
effetto ugualmente dannoso sull'efficienza (Teoria di Yerkes e Dodson). Si può spiegare il
deterioramento delle prestazioni (distraibilità) con l'aumento del livello di attivazione:
quest'ultimo ridurrebbe il raggio dell'attenzione ma causerebbe, contemporaneamente, un
aumento dell'esplorazione con conseguente disorganizzazione del comportamento. La
teoria dei livelli di attivazione, inizialmente ipotizzata dagli psicologi, è stata in seguito
studiata dai neurofisiologi, che hanno indagato le modalità di funzionamento del sistema
reticolare attivatore e la sua influenza sull'attività della corteccia cerebrale.
Modelli teorici dell'attenzione
Premessa storica sullo studio dei modelli teorici dell'attenzione
Agli inizi della psicologia scientifica, lo studio dell'attenzione fu un tema privilegiato di
ricerca. Il metodo introspettivo aveva dato informazioni e proposto concetti considerati
validi ancora oggi (come quello di abituazione). Tale metodo però, non ha permesso la
definizione in termini oggettivi delle componenti dell'attenzione. Quando le scuole della
Gestalt e del Comportamentismo cominciarono a dominare il campo della psicologia, il
concetto di attenzione divenne impopolare e finì con l'essere bandito dal vocabolario della
psicologia scientifica. Solo sul finire degli anni '50, con l'emergere del Cognitivismo il
concetto di attenzione tornò al centro dell'interesse. Nello stesso periodo l'affinamento
delle tecniche di studio delle funzioni del Sistema Nervoso ha fatto in modo che l'approccio
neurofisiologico si affiancasse a quello psicologico. Attenzione e livello di attivazione
sono due stati correlati fra di loro ma che non si identificano: l'attivazione è uno
stato globale dell'organismo che si svolge lungo un continuum e l'attenzione è una
funzione selettiva che si correla con il livello di attivazione. Il grado di attenzione dipende
dal livello di attivazione dell'organismo che a sua volta dipende sia dalle condizioni interne
che dagli stimoli esterni: stimoli intensi suscitano attenzione, che poi seleziona le
informazioni in ingresso in base alla loro rilevanza biologica o psicologica. Proprio in
quanto processo di selezione di informazioni l'attenzione può essere definita come un
processo cognitivo. Esistono diversi modelli esplicativi sul funzionamento dell’attenzione.
Modelli dei limiti
Inanzitutto i limiti di capacità attentiva sono determinati dai limiti del sistema sensoriale,
poi le aspettative del soggetto sono in grado di influire nella selezione degli stimoli. Ad
alcuni eventi si presta attenzione consciamente, mentre altri vengono registrati
inconsciamente.
Kahneman[1]: esiste un limite di tipo biologico alla elaborazione contemporanea delle
informazioni e queste devono quindi essere poste in sequenza attraverso un canale
sensoriale che blocca tutte le informazioni che eccedono la capacità di elaborazione.
Broadbent [2] ritiene che il limite della capacità attentiva sia ascrivibile ad una selezione
che avviene dopo la registrazione sensoriale, mentre altri propendono per l'ipotesi (Deutsh
e Deutsh, 1963[3]; Norman, 1968) che questa avvenga in memoria e quindi agli ultimi
livelli di elaborazione dell'informazione, spostando così l'accento dai limiti del sistema
sensoriale sulle aspettative del soggetto che influenzano la selezione degli stimoli.
I limiti del sistema sensoriale e della capacità di elaborazione dell'informazione sono
studiate confrontandole e differenziandole con quelle dei bambini[4] e attraverso l'evolversi
di strategie di elaborazione delle informazioni[5]. Inoltre si evidenzia il fatto che ad alcuni
eventi viene prestata attenzione a livello cosciente, mentre altri sono recepiti ugualmente
in qualche modo, anche se non viene prestata loro attenzione: esisterebbero quindi delle
procedure di registrazione automatiche, che passano le informazioni ad una componente
del sistema che stabilisce a quale degli elementi si deve prestare attenzione.
I cambiamenti stimolanti l’attenzione possono essere la variazione dell’intensità degli
stimoli e le mutazioni ambientali per la comparsa di stimoli, che hanno acquisito un
significato per il soggetto (come per un bambino ascoltare la voce della propria madre, ad
esempio).
Posner [6] afferma che esistono due momenti specifici, successivi alla registrazione
automatica: il primo è l'orientamento, ovvero l'allineamento dell’attenzione verso la
sorgente dello stimolo sensoriale, il secondo è la detezione, ovvero la registrazione
cosciente e il rilevamento dello stimolo.
Cohen e Gelber [7] affermano che è opportuno differenziare i meccanismi che presiedono
all'orientamento verso lo stimolo (volgere gli occhi etc) da quelli coinvolti durante la
fissazione. Nella risposta di orientamento lo stimolo cattura l'attenzione, nella risposta di
fissazione opera un meccanismo diverso che trattiene l'attenzione. In entrambi i processi si
riscontra un ruolo attivo da parte del soggetto, giacché processi di questo tipo non
possono essere considerati come automatici.
Il concetto di attenzione appare di fatto multiforme, perché comprende aspetti diversi e
viene usato per spiegare situazioni e fenomeni differenti. In particolare, sia la selezione
delle informazioni che la capacità di svolgere contemporaneamente compiti diversi
sono state studiate dai ricercatori, che quindi parlano di attenzione selettiva e di
attenzione divisa. Lo studio dell'attenzione si occupa quindi di come percepiamo un
aspetto o l'altro.
Attenzione selettiva
Lo studio dell'attenzione selettiva è stato avviato da Cherry [8] che cercò di capire come
avviene che fra stimoli molteplici provenienti dal mondo esterno, il soggetto ne selezioni
alcuni (attended messages) lasciandone decadere altri (unattended messages). La
dimostrazione di ciò è data da un fenomeno noto come cocktail party in cui si riesce a
prestare attenzione ad una sola conversazione nonostante ve ne siano parecchie in corso
che potrebbero interferire (in pratica vengono esclusi gli stimoli disturbanti): nonostante le
emissioni sonore provenienti da tutti gli astanti siano colte dai nostri recettori acustici, noi
siamo in grado di selezionare e analizzare solo quelle provenienti dalla persona con la
quale stiamo conversando. Negli studi sull’attenzione selettiva sono state utilizzate
prevalentemente due classi di paradigmi sperimentali: i paradigmi di selezione e i
paradigmi di filtraggio.
I paradigmi di selezione sono rappresentati soprattutto dai compiti di ricerca visiva
(visual search). Un tipico compito di ricerca visiva è composto da numerose prove
consecutive; ciascuna prova consiste nella presentazione di una figura composta da diversi
elementi. In alcune prove, tra i vari elementi è presente un particolare elemento detto
stimolo bersaglio (target), che il soggetto conosce. Nelle altre prove lo stimolo bersaglio
non è presente. In ciascuna prova il soggetto ha il compito di decidere più rapidamente
possibile se lo stimolo target è presente o no.
A differenza dei paradigmi di selezione, i paradigmi di filtraggio si basano
essenzialmente sulla presentazione rapida e continua di stimoli rilevanti e irrilevanti (da
ignorare), che differiscono generalmente per un qualche attributo fisico, quale la posizione
spaziale, il colore, l’intensità, ecc.
Ora, se consideriamo l’elaborazione delle informazioni come un processo continuo che va
dall’analisi delle caratteristiche elementari dello stimolo al suo riconoscimento,
all’emissione della risposta allo stimolo, allora uno dei problemi teorici più importanti
riguarda l’identificazione del punto in corrispondenza del quale avviene la selezione
dell’informazione. A questo riguardo le teorie sull’attenzione si dispongono lungo un
continuum che va dalle teorie che propongono una selezione precoce dell’informazione a
quelle che propongono invece una selezione tardiva.
Filtro di Broadbent
Un esempio di modello che propone una selezione precoce dell’informazione da elaborare
è la Teoria del filtro di Broadbent[9], secondo la quale esisterebbe una fase iniziale di
elaborazione dell’informazione durante la quale tutti gli stimoli vengono analizzati
simultaneamente sulla base delle loro caratteristiche fisiche elementari e immagazzinati
per un breve periodo. In questa fase, quindi, non si ha alcuna selezione dell’informazione.
A questo stadio di elaborazione, che Broadbent attribuisce al sistema sensoriale (S), segue
una fase di elaborazione più avanzata da attribuire al sistema percettivo (P), il quale opera
serialmente, elaborando cioè uno stimolo dopo l’altro. Un filtro, posto tra il sistema S e il
sistema P, seleziona gli stimoli che possono avere accesso ai livelli di elaborazione più
sofisticati. Broadbent asserì che i soggetti hanno la capacità di prestare attenzione ad una
sola voce alla volta, evidenziando la relazione negativa, inversamente proporzionale, fra il
grado di comprensione di due voci, nel senso che se aumenta la comprensione di una
diminuisce la comprensione dell'altra (uso della tecnica dell'ascolto dicotico: stimolazione
contemporanea di due canali sonori).Selezione e rilevanza degli stimoli. Per seguire due
processi gli individui devono alternare rapidamente l’attenzione dall’uno all’altro.
Teoria del filtro attenuato della Treisman
Treisman [10] modificò la teoria originale di Broadbent e formulò la teoria del filtro
attenuato, secondo la quale il filtro attentivo si limita a ridurre e non a cancellare
l’informazione disponibile nel canale non attentivo e che in particolari condizioni anche
questa informazione ridotta, è sufficiente ad attivare delle unità nel lessico mentale (una
sorta di magazzino delle parole conosciute). All’interno del lessico mentale esisterebbe uno
stato di facilitazione di alcune unità che aumenterebbe la probabilità per certi significati
(come ad esempio il proprio nome di battesimo), di essere attivati e quindi percepiti. Ad
esempio i soggetti erano sensibili all'informazione presentata all'orecchio cui si doveva
prestare meno attenzione, soprattutto se la voce cui non dovevano prestare attenzione
diceva il loro nome. Tale stato di facilitazione può infine essere modificato dalle istruzioni
ricevute o dalle aspettative del soggetto.
Deutsch e Deutsch
Una proposta più radicale rispetto al modello di Broadbent è invece quella di Deutsch e
Deutsch[11] . Questi autori respinsero il modello di Broadbent, perché valutarono che le
capacità di elaborazione dell’informazione che il filtro descritto da Broadbent dovrebbe
avere per operare la selezione dell’informazione dovrebbero essere tanto complicate
quanto lo sono quelle del sistema P. Se questo è vero, allora il filtro diventa totalmente
inutile. Essi quindi proposero che non esiste nessun filtro e che l’intera elaborazione dello
stimolo è automatica e indipendente dall’attenzione selettiva. L’attenzione selettiva
interverrebbe solo per controllare l’accesso dello stimolo alla coscienza, alla memoria e ai
sistemi di risposta. Gli effetti dell’attenzione sarebbero quindi soltanto il prodotto
dell’interazione tra coefficienti di importanza e informazione afferente.
La teoria di Norman
Secondo un'altra teoria dell'attenzione[12] la selezione viene operata non mediante il blocco
o il filtro dell'informazione sensoriale, come si è già accennato in precedenza, ma
elaborando selettivamente l'informazione già attivata in memoria dall'informazione
sensoriale che si sta raccogliendo. Si deve notare che anche stimoli familiari e usati di
frequente sembrano essere percepiti così automaticamente, che è impossibile ignorarli
(Schneider e Schiffrin, 1977). Un esempio di questo automatismo è dato dallo Stroop
effect (Stroop, 1935) in cui si mostrano a soggetti delle parole stampate in colori diversi e
si chiede loro di ignorare le parole e di riferire solo il colore dell'inchiostro. Questo compito
era perfettamente eseguito, salvo che nel caso in cui le parole erano nomi di colori, diversi
dal colore dell'inchiostro. In questo caso l'impedimento derivava dalla percezione del
significato della parola resa quasi automatica dall'esercizio, che normalmente facilita la
lettura ma che in questo caso era un elemento di disturbo. Lo stroop-effect può essere
considerato un esempio di insuccesso dell'attenzione selettiva. C’è da dire che, comunque,
il lavori più recenti nel campo sembrano essere favorevoli alla posizione di Broadbent.
Attenzione divisa
Quando si fa riferimento al concetto di attenzione divisa si pone l’accento su un particolare
aspetto dei processi attentivi, ovvero sulla capacità che tutti abbiamo di prestare
attenzione a più cose contemporaneamente. Va sottolineato che i due aspetti, quello di
selezione studiato nell’ambito dell’attenzione selettiva e quello di distribuzione studiato
nell’ambito dell’attenzione divisa, non sono due fenomeni indipendenti, ma due aspetti
dello stesso fenomeno. La situazione sperimentale tipica nello studio dell’attenzione divisa
è quella relativa al doppio compito; il risultato che in genere si osserva in questa
situazione è che la prestazione ai due compiti è peggiore di quella ottenuta dallo stesso
soggetto quando è impegnato nei due compiti separatamente. Le teorie che abbiamo visto
precedentemente, che possono essere dette strutturali, spiegano la prestazione in compiti
multipli facendo riferimento ad un rapido spostamento dell’attenzione tra i diversi compiti.
Ad esempio, Broadbent propone che l’operatore umano abbia una singola risorsa, ovvero
un unico processore a capacità limitata. Quando questo processore è impegnato
nell’elaborazione dell’informazione per un compito, l’elaborazione per il secondo compito
viene sospesa finché la prima non è completata. In questa prospettiva, l’attenzione è vista
come un fenomeno tutto-o-nulla. I teorici della capacità, invece, sottolineano la divisibilità
delle risorse cognitive tra i diversi compiti contemporanei e la possibilità di assegnare in
modo graduato parte delle risorse a ciascun compito. Il modello di Kahneman[13] è
particolarmente importante perché rappresenta il tentativo di unificare le teorie strutturali
e quelle della capacità. Egli afferma che l’operatore umano ha una capacità limitata per
l’esecuzione delle attività mentali e che il limite varia con il livello di attivazione in funzione
del carico imposto da ciò che, attimo per attimo, siamo chiamati a fare. Assume quindi che
quando l’attivazione fisiologica è moderatamente alta c’è una maggiore disponibilità di
capacità. K. ritiene che al crescere delle richieste si ha un corrispondente aumento della
quantità di risorse mobilitate, fin quando le prime non eccedono le seconde: a questo
punto la prestazione del soggetto non è più adeguata alla domanda e si ha un’interferenza
tra i compiti. Possiamo distinguere tra un’interferenza di capacità, che è non specifica e
dipende solo dalle richieste di entrambi i compiti, e un’interferenza strutturale, che è
specifica e dipende dal grado in cui i compiti gravano sugli stessi meccanismi. L’ipotesi,
quindi, è che per eseguire una qualsiasi attività mentale siano necessarie due condizioni:
disporre di un insieme di informazioni adeguate e specifiche per quell’attività e
poter usufruire della quantità sufficiente di impegno, sforzo o attenzione.
Le teorie appena presentate assumono l’esistenza di un’unica riserva di risorse
indifferenziate e quindi, non riescono a spiegare alcuni effetti sperimentali che invece sono
stati più volte osservati. Tra gli effetti sperimentali che le teorie della capacità limitata non
riescono a spiegare ricordiamo:
l’insensibilità alla difficoltà: in base alle teorie della capacità, se si aumenta la difficoltà del
compito primario allora la sua esecuzione dovrebbe richiedere più risorse a scapito
dell’esecuzione del compito secondario, quindi la prestazione a quest’ultimo dovrebbe
peggiorare; quest’effetto però non viene sempre osservato, in quanto a volte l’incremento
della difficoltà in un compito primario non determina un peggioramento della prestazione
nel compito secondario;
la condivisione perfetta: è stato osservato che a volte due compiti vengono eseguiti
contemporaneamente senza alcuna interferenza.
Questi effetti ci dicono che nel caso di situazioni che impongono di eseguire più compiti
contemporaneamente non conta solo la quantità di risorse allocate ad ogni compito, ma
anche le strutture o i processi cognitivi che essi coinvolgono. L’osservazione di tali effetti
dà ragione di esistere alle teorie delle risorse multiple, il cui principale esponente è
Wickens. Tali teorie non prevedono l’esistenza di un unico insieme di risorse allocabili ad
uno o più compiti, ma di più insiemi di risorse, ciascuno con proprie caratteristiche, che
possono essere allocabili in modo indipendente. Va comunque detto che al momento non
c'è nessuna teoria sull'attenzione unanimemente condivisa; sembra accertato che molti
processi diversi siano responsabili della selettività dell'attenzione.
Sviluppo dell'attenzione
Mackworth [14] sostiene che esistono due tipi di attenzione: una dovuta all’esperienza
dell’ambiente fisico e sociale e regolata dall’attività dei lobi frontali ed una involontaria
regolata dal flusso degli stimoli esterni, indipendentemente dall’esperienza. Solo dopo i
sette anni i bambini sarebbero capaci di risposte di attenzione selettiva e volontaria e non
di semplice orientamento, poiché solo a questa età si sviluppano i lobi frontali. Questa
spiegazione appare molto controversa: ciò che si modificherebbe con lo sviluppo non è,
probabilmente la capacità attentiva in sé, ma l'attività di selezione percettiva delle
informazioni.
Con la maturazione e lo sviluppo vengono sempre meglio colte le informazioni utili per
ottenere una certa prestazione, cioè il bambino è in grado di utilizzare strategie sempre
più flessibili ed economiche per elaborare e strutturare in modo organico le informazioni
che gli provengono dall’ambiente. I fenomeni fisiologici tipici dell'attenzione (dilatazione
pupillare, vasocostrizione periferica, vasodilatazione cerebrale, decelerazione dell'attività
muscolare, arresto del ritmo alpha all'EEG con sostituzione di ritmo beta irregolare e
riflesso psicogalvanico) sono presenti in quella che viene definita risposta di orientamento:
si osservano alla prima presentazione di uno stimolo nuovo. È il prodotto della discrepanza
fra lo stimolo che viene presentato e la traccia mnestica di quelli che lo hanno preceduto.
Si riducono alla ripresentazione dello stimolo (risposta di abituazione).Tale risposta è
legata alla coincidenza dello stimolo con una sua traccia presente nella memoria a lungo
termine.
La risposta di abituazione è più rapida con il crescere dell'età: secondo la teoria di Jean
Piaget, ciò può essere legato alla costanza dell'affetto, acquisita dopo una certa età e alla
relativa capacità di prevedere gli stimoli acquisita dal bambino. Nei bambini in età scolare
non si evidenziano particolari differenze nelle capacità attentive, rispetto agli adulti,
mentre differenti sarebbero piuttosto le capacità di formulare strategie diverse per la
soluzione di un compito, cioè la capacità di cogliere gli elementi principali di una realtà
problematica utili alla soluzione di un compito. Sembrerebbe dunque implicato un diverso
livello di sviluppo cognitivo, piuttosto che un aspetto legato all'attenzione. Al momento non
c'è nessuna teoria sull'attenzione unanimemente condivisa. Sembra accertato che molti
processi diversi siano responsabili della selettività dell'attenzione. Un'altra difficoltà nello
studio dell'attenzione deriva dal fatto che il processo attentivo è implicato in numerosi altri
processi cognitivi fondamentali (la percezione, la memoria, l'apprendimento) oltre al fatto
che lo studio disgiunto dell'attenzione dagli altri processi psichici si è rivelato poco
fecondo.