Il disturbo di panico - Dr. Giovanni Iannuzzo

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PSICHIATRIA
11disturbo di panico
Giovanni lannuzzo
Sono solo venti
a sensazione è devastante,
arcaica, invincibile. Viene
in genere descritta dai
pazienti come "perdita del
controllo", ma in verità è
molto d'altro. È angoscia dell'annullamento, irrefrenabile come un fiume in
piena che travolge ogni argine. È consapevolezza di impotenza, di angosciosa
inadeguatezza.
In realtà è difficilmente descrivibile,
la si può comprendere solo per approssimazione. Il suo nome èpanico, che deriva dall'antico greco panikòn, riferito al
dio Pan e usato in questa accezione solo
nel 1836dal francese panique, stando ad
indicare "il terrore che pervadeva gli
umani all'apparizione del dio Pan",
ovvero il "timore repentino di un pericolo che turba profondamente l'animo
impedendo ogni reazione di difesa attiva
e suscitando l'impulso incontenibile alla
fuga" (De Mauro T. (diretto da): Grande
dizionario italiano dell 'uso. Torino:
UTET, 1999, v. IV).
La sindrome è nota come Disturbo di
Panico (DAP), che è una categoria diagnostica relativamente recente. Fu infatti solo dal 1980 che essa venne inclusa
ufficialmente nella terza edizione del
Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali (DSM-III). Eppure si
tratta di una vecchia conoscenza della
psicopatologia. Il primo a descriverla in
epoca moderna fu Jacob Mendez
DaCosta, nel corso della guerra civile
americana, da cui il nome di "Sindrome
di DaCosta", o "del cuore irritabile":
comprendeva molti dei sintomi che oggi
caratterizzano il Disturbo da Panico. Ma
il vero "scopritore" della sindrome fu
Sigmund Freud, che nel 1895 descrisse
la "nevrosi d'ansia", un insieme di sintomi psichici e somatici spesso in relazione con una particolare paura degli
spazi aperti (definita già nel 1871 agorafobia, letteralmente paura delle piazze). La nevrosi d'ansia acuta descritta da
Freud era quasi sovrapponibile alla
descrizione attuale e venne utilizzata
come categoria diagnostica sino a quando le task force dell' American
Psychiatric Association non la cancella-
[I
rono come entità nosografica, sostituendola con la dizione di Disturbo di
Panico. La definizione ha subito diversi
rimaneggiamenti, ma sostanzialmente il
quadro è rimasto lo stesso.
Gli attacchi sono intensi: i sintomi
sono sia psichici (paura intensa, incoercibile, di perdere il controllo, di morire,
di impazzire) sia somatici (tachicardia,
tachipnea, sudorazioni, tremori, vertigini, nausea, brividi o vampate di calore
etc.) e non suscettibili di rispondere ad
alcuna rassicurazione; hanno una durata
variabile, in genere poche decine di
minuti, ma lasciano una profonda ansia
anticipatoria. È per questo che i pazienti
cominciano ad evitare le situazioni nelle
quali l'attacco si è già scatenato, modificando i propri comportamenti: se è successo in auto, eviteranno di guidare; se è
successo al cinema eviteranno rigorosamente le sale cinematografiche. Le strategie di evitamento spesso si estendono
ben oltre il luogo del primo attacco,
diventando generalizzate e condizionando oltre ogni misura la vita quotidiana.
In circa il 70% dei casi il disturbo si
accompagna ad agorafobia, penosa sensazione di paura di essere in luoghi pubblici, soprattutto da soli e in situazioni
nelle quali sembra preclusa una possibilità di rapida fuga se dovesse verificarsi
un attacco di panico. Questo in genere
porta il paziente ad evitare luoghi affollati, o, se proprio è costretto a frequentarli, a cercare posizioni "strategiche"
(per esempio i posti esterni nelle ultime
file di un cinema) per potersi rapidamente assicurare una via di fuga.
Globalmente l'esperienza psicologia del
disturbo da panico con agorafobia è disastrosa, sebbene non sia certo uno dei
disturbi psichiatrici maggiori.
Intendiamoci: ansia, fobie e panico
sono tipici di un gran numero di affezioni psichiatriche. Ma la caratteristica fondamentale del vero disturbo di attacchi
di panico è quella di cadere "a ciel sereno", di manifestarsi cioè in modo del
tutto inaspettato. Alcuni di questi attacchi possono essere scatenati da uno stimolo "situazionale", ma si tratta di casi
abbastanza rari. Esiste una variabilità
anni che il
Disturbo di Panico
è una categoria
diagnostica autonoma. Ma più di
un secolo è passato da quando
Freudlo des,crisse
soggettiva negli attacchi, nella loro
durata, nella frequenza, ma per il
paziente che ne è affetto la sensazione è
comunque penosa. È per questo che egli
ne cerca ossessivamente una spiegazione. Ciò si accompagna spesso alla
preoccupazione che si tratti del sintomo
di una malattia oscura, pericolosa (problemi cardiaci, neurologici, metabolici).
I pazienti possono fare ovviamente tutti
gli esami possibili, con risultati del tutto
negativi, ma continuare a rivolgersi ai
medici per essere rassicurati.
La paura più grande, e più frequente,
è quella legata alla possibilità di "perdere il controllo", per cui molti pazienti si
convincono di stare impazzendo, di
avere un "esaurimento nervoso" o di
essere troppo fragili. Possono talvolta
negare di essere angosciati dai loro
attacchi di panico, ma ciò nonostante
cambiare il loro comportamento, evitando le situazioni che, più o meno indebitamente, associano con il primo episodio.
L'attacco di panico si può associare
frequentemente ad altre patologie,
all'ansia, all'apprensione, alla separazione da persone care, ma anche all'ipocondria o alla spropositata paura degli
effetti collaterali dei farmaci.
Talvolta il disturbo da panico insorge
in apparente correlazione con un life
event (una separazione, un divorzio,
l'allontanamento da casa, problemi
lavorativi) e non raramente questa associazione (indebita) tra eventi frustranti e
insorgenza del primo attacco ha un effet25
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to deleterio sull' autostima, sulle qualità
del proprio carattere, sulla propria debolezza. Gli effetti sulla vita lavorativa o
sul rendimento scolastico peraltro, per le
assenze continue, per la pratica dell' evitamento, per i sintomi agorafobici, possono essere causa di ulteriori fallimenti,
in un circolo vizioso che non raramente
porta a una condizione depressiva (circa
nel 50% dei casi). Tutto questo spinge
spesso il paziente all'automedicazione,
con conseguenti fenomeni di abuso e
dipendenza (da alcool o psicofarmaci)
che possono divenire una vera patologia
associata. Insomma, è una reazione a
cascata che può essere interrotta solo da
un appropriato intervento psichiatrico.
Ma da dove origina una simile catastrofe comportamentale?
olte condizioni mediche
possono mimare un attacco
di panico. Si pensi per
esempio al feocromocitoma, alla tachicardia sopraventricolare, a certe condizioni di iperparatiroidismo, alla patologia a carico
del vestibolo. E ancora, l'abuso di certe
sostanze può riprodurre un DAP: frequentissimo nell' abuso di eccitanti di
caffeina o di alcool (ma anche di droghe
hard come le amfetamine, la cocaina,
non raramente gli stessi cannabinoidi).
Ma in questo caso i sintomi scompaiono
non appena è scomparso l'effetto della
sostanza. Il Disturbo da Panico purtroppo no.
Non esistono dati di laboratorio
obiettivi o patognomonici. Sono state
ipotizzate correlazioni con situazioni di
ipertiroidismo, con il prolasso della valvola mitralica, relazioni con sostanze
'panicogene', come illattato di sodio o
l'anidride carbonica, ma in realtà non
esistono
conferme
specifiche.
L'esistenza di anomalie biologiche nella
struttura dell' encefalo (specialmente il
locus ceruleus, il nucleo del rafe mediano e il sistema limbico) e soprattutto
nelle funzioni cerebrali (specialmente
per quanto riguarda specifici sistemi
neurotrasmettitoriali: noradrenergici,
serotoninergici e GABAergici) è abbastanza evidente; ma è anche abbastanza
vaga. Neanche la familiarità è dimostrata indiscutibilmente (e se lo fosse bisognerebbe distinguere tra i fattori di
apprendimento e quelli propriamente
111
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biologici). Come sempre, in questi casi,
si invocano indefinite cause organiche e
sicure componenti psicologiche. Un po',
insomma, come sparare nel mucchio...
I dati epidemiologici dimostrano
semplicemente che si tratta di un disturbo frequente nella popolazione mondiale. La prevalenza nel corso della vita
oscilla fra lo 0,6 e il 6%. Le donne guidano la classifica, con una frequenza
doppia o tripla rispetto agli uomini,
forse però dovuta a una loro maggiore
disponibilità a parlare di questa espenenza.
L'età media di esordio è circa 25
anni, con una certa variabilità: esistono
casi infantili (molto rari) e casi ad esordio dopo i 45 anni (rari anch' essi). Non
sempre si tratta di una patologia che arriva all' osservazione psichiatrica. Molti
casi hanno un decorso cronico ed esistono individui (difficile specificare quanti)
che addirittura riescono a convivere con
il disturbo, magari evitando le situazioni
temute. Possono esservi anche remissioni spontanee, o forme di disturbo attenuato e cronico (le cosiddette forme
paucisintomatiche). Altrettanto variabile
è la risposta al trattamento (psicofarmacologico soprattutto, ma anche psicoterapico, specialmente di tipo cognitivocomportamentale): i dati non sono brillanti. A distanza di 6-10 anni dalla terapia, solo il 30% può dirsi guarito. Dal 20
al 30% i sintomi rimangono o peggiorano; e il resto continua ad avere sintomi,
anche se non acuti. La verità è probabilmente che esistono remissioni e riacutizzazioni spontanee.
In realtà, il Disturbo di Panico ha
caratteristiche decisamente particolari
rispetto a tutti gli altri disturbi psichiatrici. Ciò che lo distingue soprattutto è la
sua modalità di insorgenza. L'ansia, la
depressione (nelle sue varie forme), le
sindromi psicotiche in genere appaiono
in maniera progressiva, lenta, subdola se
vogliamo, e sono in genere precedute da
una 'storia' di disagio psichico, all'interno di un continuum. Nel Disturbo di
Panico tutto ciò non esiste. Lo si sente
dire spessissimo ai pazienti: "Dottore,
prima di questo episodio non avevo mai
avuto problemi". Spesso un'indagine
attenta dimostra che hanno assolutamente ragione. È proprio quest' aspetto che
vincola, in maniera suggestiva, l'esperienza soggettiva del disturbo di panico
alle interpretazioni magiche. Tali inter-
pretazioni variano in dipendenza della
cultura, così come cambiano gli "stimoli" (laddove esistano) che possono essere alla base, del tutto casuale, del primo
attacco.
sistono molte sindromi
"culturali" che sembrano
semplicemente
modi
diversi di esperire il panico
e di fornirne un'interpretazione: qualunque essa sia, rassicura e
conforta, fornisce un modello teorico di
riferimento che rende l'esperienza del
panico meno devastante.
Una delle forme più comuni e note, e
delle più ibride, vista la grande inclusività dei sintomi, è l'attacco di nervi, ataque de nervios dei Paesi di cultura spagnola, ma genericamente di cultura latina (simili forme sono abbastanza diffuse
anche in Italia). L'attacco di nervi può
assumere forme molto diversificate, ma
le manifestazioni di panico sono tipiche
anche se non predominanti. Un attacco
di nervi presuppone una vasta sintomatologia psichica, che va dalle convulsioni alle crisi di pianto, ai sintomi somatici, agli episodi francamente psicotici.
Ciò che sembra in massima parte caratterizzare le crisi di attacco di nervi, rendendole molto simili al DAP, non è solo
la possibile immediatezza dell' attacco,
ma anche l'intensa paura del paziente di
"perdere il controllo".
Più esotico è il dhat, una malattia
caratteristica della cultura indiana e contraddistinta da rilevante ansia, ipocondria, e sintomi somatici generali (come
debolezza e senso di affaticamento) o
circoscritti all' apparato genito-urinario
(polluzioni, colorazione biancastra delle
urine). Ne esistono altre varianti rilevate
nello Sri Lanka e in Cina.
Ilfalling-out o blacking-out è invece
tipico del Sud degli Stati Uniti. Il sintomo predominante, assai simile a quello
che in altre zone culturali è l'attacco di
panico, è proprio una sensazione di collasso, spesso improvvisa; a ciò possono
accompagnarsi vertigini, o sensazioni di
"testa vuota" o "galleggiante". Il soggetto che esperisce questa sindrome ha
spesso una sorta di blocco motorio: si
sente "bloccato", anche se capisce perfettamente quanto gli sta accadendo
attorno. Si tratta di un disturbo rilevato
anche altrove e che, sebbene abbia molte
Il
somiglianze con un disturbo dissociativo o di conversione, presenta caratteristiche tipiche dell'attacco di panico.
Principe dei disturbi da panico sembra essere però il koro, un'altra sindrome dell'estremo Oriente (classicamente
malese, ma presente in tutta 1'Asia meridionale e sud-orientale, e abbastanza
frequente anche nelle culture occidentali) che consiste nel terrore panico che il
pene rientri nel corpo (nei casi femminili, più rari, la paura riguarda la retrazione dei capezzoli e raramente della
vulva). Le origini del disturbo vengono
attribuite a modificazioni nell' equilibrio
delle energie vitali (yin e yang), con
conseguenti manifestazioni sintomatiche. Come nel panico occidentale classico le rassicurazioni sono inutili, e spesso le uniche terapie efficaci sono tradizionali. L'elenco potrebbe continuare a
lungo, ma uno spazio particolare merita
il mal de susto (lo "spavento", o "perdita dell' anima") diffuso ubiquitariamente
tra le popolazioni latine, dal Messico e
dal Centro-America alla Sicilia. A causa
di un evento spaventevole l'anima fugge
dal corpo e causa una serie di sintomi
imponenti, sia sul piano psichico (attacchi di panico), sia sul piano somatico. Il
mal de susto può anche provocare la
morte. La terapia è rituale e, indipendentemente dal contesto culturale e geografico nel quale viene applicata, tende
semplicemente a ricongiungere l'anima
col corpo.
Il
a riflessione sul rapporto
fra panico e cultura
costringe a confrontarsi
con alcuni antichi e irrisolti problemi: i sintomi psichiatrici hanno talvolta un valore di
adattamento? Possono essere modalità
di difesa comportamentale di fronte ad
eventi problematici? Sono domande
affascinanti alle quali tentò di rispondere già Freud in un manoscritto ritrovato
fortunosamente alcuni anni fa, Sintesi
delle nevrosi di traslazione. Qui Freud
ipotizzò che i sintomi psicopatologici
moderni fossero il riflesso individuale di
manifestazioni comportamentali adattative
estremamente
arcaiche.
Rappresenterebbero cioè una specie di
rievocazione (del tutto inconscia) di
risposte comportamentali un tempo
assolutamente normali. Nel corso della
.
storia, sarebbero divenute inappropriate
nei nuovi contesti storici e culturali, ma
di fatto si tratterebbe solo del residuo di
antiche reazioni difensive. La più arcaica è appunto l'isteria d'angoscia, insomma l'attuale Disturbo di Panico. Questa
risalirebbe secondo Freud alla prima era
psichiatrici, e il Disturbo da Panico in
particolare, siano antiche reazioni adattative che per una specie di "corto circuito" neurobiologico si ripresentano in
maniera esagerata, come un imprinting
arcaico, sembra oggi condivisa da nuove
discipline scientifiche, per esempio la
glaciale, e sarebbe una normale reazione
emozionale a un mondo ostile e pericoloso.
Fantasie? Certo. Ma a pensarci bene
il disturbo da panico ha una serie di
caratteristiche inquietanti. Mima perfettamente la risposta di un organismo che
si trova improvvisamente di fronte a un
grave pericolo, una reazione intensissima e immediatamente seguita dalla
fuga. E l'agorafobia non è altro che un
vissuto di pericolosità estrema dell' ambiente esterno, e della ricerca sistematica di luoghi sicuri, dai quali sia possibile fuggire agevolmente in caso di necessità. In fondo è esattamente quello che
dovevano fare e pensare i nostri progenitori in epoca preistorica. È un caso che
il paziente con agorafobia, o con comportamenti di evitamento, si senta grandemente rassicurato quando è in compagnia? Non ricorda, tutto ciò, la sensazione di sicurezza che viene data dal gruppo in condizioni di pericolo?
Ancora: l'età media di insorgenza
del Disturbo di Panico è di 25 anni. Più
o meno l'età che, in epoche remote, corrispondeva alla piena maturità e all'assunzione di responsabilità dell'individuo nel proprio gruppo. Fantasie, certo.
Ma la convinzione che molti sintomi
psicologia evoluzionistica. Di recente, a
un congresso internazionale, un noto
scienziato in questo campo, R. Nesse, ha
descritto l'agorafobia come risposta
difensiva più o meno in questi termini:
se all' esterno vi sono predatori, è ovvio
che gli individui cerchino rifugio in luoghi protetti e che tentino di evitare di
starsene in giro. Un tempo questo era
normale. Ora è un sintomo.
D'altra parte, non dimentichiamo
che lo studio di modelli animali sembra
confermare simili ipotesi. Se ciò fosse
vero, forse si potrebbero aprire nuove
strade per il controllo del Disturbo da
Panico, combinando neurobiologia, etologia e variabili culturali. Ma questo è
un altro discorso.
Di fatto il Disturbo da Panico, se
letto come reazione difensiva, sembra
proprio la metafora di quel male di vivere che accompagna la nostra specie dalle
sue origini e che a qualunque epoca e
latitudine può affliggere l'uomo e condizionarne i comportamenti quotidiani, in
agguato dietro 1'angolo di ogni esistenza. Il Disturbo di Panico è lì, a dirci dei
nostri limiti, della nostra impotenza, di
ogni nostra possibile inadeguatezza. È
lì, a ricordarci la fragilità del nostro
essere nel mondo.
[U]
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