Esiste una forma di disagio emotivo prolungato, simile alla depressione, che colpisce molte persone dopo un intervento chirurgico, in particolare dopo lunghi interventi di chirurgia toracica e addominale. La casistica è oramai evidente, ma la ricerca delle cause per il momento è ferma a conclusioni particolarmente superficiali e in molti casi il fenomeno è liquidato con argomenti discorsivi: probabilmente il paziente era già depresso prima, magari proprio a causa della sua malattia, è comprensibile che uno si senta un po’ giù dopo un’operazione, lo stravolgimento delle abitudini quotidiane, etc. Alcuni medici, in questi casi, amano arricchire le diagnosi con un termine che va bene per tutte le stagioni: latente. Nel caso il paziente insista a sostenere di non essere mai stato depresso prima, c’è sempre la possibilità che la depressione fosse latente. In medicina, questo è un termine che si usa per descrivere una malattia i cui agenti sono presenti ed effettivamente rilevabili, ma i cui sintomi sono al momento assenti. In ambito psicologico questo è difficilmente applicabile: poiché è quasi esclusivamente sui sintomi che si fa una diagnosi, in assenza di questi, vi è raramente la possibilità di certificare un disturbo. Se non fosse così, il rischio diventerebbe la diagnosi dialettica e qualunquista, e a quel punto si potrebbe anche liquidare un ansioso affermando che possiede comunque una componente di serenità latente: non ci sono segni evidenti, ma chissà. Gli americani, più pragmatici, hanno associato la “depressione post operatoria” al disturbo post traumatico di chi si trova coinvolto in tragedie come terremoti o guerre. Nel cercare una spiegazione hanno tentato di verificare se questo potesse dipendere da un’anestesia “mal calibrata” che lasciava il paziente in qualche modo vagamente cosciente del trauma che il suo corpo stava subendo. Sono stati fatti migliaia di elettroencefalogrammi durante gli interventi di chirurgia maggiore, per verificare lo stato di reattività cerebrale del paziente sotto anestesia, ma non si è riusciti con questo mezzo a trovare correlazioni che potessero consentire la formulazione di una teoria. Di fatto non si sa molto su quale parte del cervello umano sia consapevole e in che modo, nonostante l’anestesia, del grave stato di pericolo che il corpo sta correndo durante un’operazione. In ogni caso, i più accorti si preoccupano di somministrare al paziente, dopo l’operazione, alte dosi di vitamina B, quella che sarebbe consumata drasticamente negli eventi altamente stressanti. Neppure questo sembra però avere fatto una differenza. Come psicoterapeuta mi è capitato di seguire alcuni di casi di “depressione post intervento chirurgico” e sebbene la casistica osservata sia minima, vorrei condividere alcune riflessioni. La letteratura dice che la tipica depressione post operatoria, più volte osservata, inizia spesso con una fase di euforia subito dopo l’operazione, mentre la fase depressiva si instaura di solito dopo che il paziente è tornato a casa, ed è caratterizzata da fragilità emotiva, pianti frequenti, sensazione di non essere voluti o accettati. Il paziente risulta ipersensibile a ogni stimolo. I sintomi sembrano più simili a quelli di una depressione melanconica che a quelli del disturbo post traumatico, ove si trovano anche marcata irritabilità e sbalzi dall’umore. Quando un terapeuta si occupa di un caso di depressione che pare essere in atto da tempo, oltre a rilevare gli eventuali sintomi attivi del disturbo, che possono essere molteplici, va in cerca dei “meccanismi di difesa contro la depressione” che il paziente depresso mette in atto nel tempo, per mitigare la sofferenza. Posso dire che nei casi di depressione post operatoria da me osservati tali meccanismi difensivi risultavano completamente assenti e pertanto ritengo che non si trattasse di depressioni che esistevano già in precedenza. In una depressione di origine nevrotica, i sintomi della depressione si accentuano in certe situazioni o con un certo tipo di accadimenti. Vi è anche una forma di ripetitività ciclica nell’andamento dell’umore, fatta di alti e bassi, che non ho rilevato nei casi di depressione post operatoria. Il processo di guarigione di queste due forme di disturbo dell’umore mi è parso anch’esso non sovrapponibile: nel caso di una depressione, sia essa endogena o reattiva, i miglioramenti sono intermittenti e si devono valutare su una media fatta di progressi e ricadute molto dolorose. Il miglioramento delle depressioni post operatorie da me osservate, invece, è sempre stato graduale e costante. In tutti i casi il disturbo si è risolto in circa un anno, e ho sempre avuto la sensazione che questi pazienti tendessero a migliorare in modo spontaneo: la psicoterapia era vissuta come un momento di appoggio e di rassicurazione, ma tutto sembrava accadere indipendentemente dal mio intervento. Alla luce di queste osservazioni, la depressione post operatoria mi pare più simile a quella post partum, e originata da squilibri fisiologici, siano essi di origine elettrica o chimica, che tendono a riequilibrarsi da soli, anche se con una certa lentezza. Dal punto di vista dell’intervento psicologico, sia che si associ questo disturbo dell’umore alla depressione reattiva o al disturbo post traumatico, rimane l’assenza di un evento concreto da ricordare e da elaborare. Rimane aperta la questione dell’uso di antidepressivi, che potrebbero non aiutare e forse persino rallentare, in questo caso, il recupero. Solitamente il paziente reduce da una prolungata operazione chirurgica assume già una certa quantità di farmaci e aggiungerne altri di dubbia utilità, e che potrebbero causare sintomi fisici in grado di confondere il quadro clinico, deve essere valutato attentamente. Un’ultima osservazione – che come le precedenti va considerata tenendo presente il piccolo numero di casi da me seguito – riguarda l’improvvisa accelerazione del deterioramento delle abilità cognitive del paziente, che, in soggetti di età avanzata, risultava piuttosto marcato. Un deterioramento cognitivo improvviso è spesso associato a disturbi dell’umore: osservazioni più precise in questo ambito, testando per esempio le abilità cognitive del paziente prima e dopo l’operazione, potrebbero essere utili per l’arricchimento delle ipotesi su questo fenomeno, attualmente poco studiato.