la nuova visione de la fenomenologia

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LA “NUOVA” VISIONE DELLA FENOMENOLOGIA1
Javier San Martín
UNED, Madrid
L’intento di queste pagine è discutere quello che qualche anno fa è stato definito il
new Husserl, il nuovo Husserl2. Com’è noto, Husserl fu il fondatore della
fenomenologia, un movimento filosofico che ha significativamente segnato il secolo
XX, e che per molti aspetti continua a caratterizzare il XXI. Eppure, questo influsso non
é stato chiaro e rettilineo, ma tortuoso, attraversando strade talora sconosciute, talaltra di
mera reazione alla medesima fenomenologia. Questo influsso e, soprattutto, i percorsi
che ha seguito si fondavano su una interpretazione dell’opera di Husserl che presentava
una certa ambiguità, giacché, da una parte, si basava su alcune particolari espressioni
del fondatore della fenomenologia riguardo alla sua propria opera, sulle quali erano in
disaccordo molti di coloro che lavoravano con lui, e, dall’altra, sul carattere generale
della fenomenologia che tutti costoro accettavano di buon grado e a cui era dovuta la
fortuna stessa della fenomenologia. Questa duplicità si è poi definitivamente accentuata
e approfondita con l’opera di Heidegger.
L’opera scritta di Husserl è immensa. La sua formazione di matematico lo aveva
abituato a pensare scrivendo. Se a questa pratica aggiungiamo una lunga vita dedicata
alla docenza e, in particolare, l’impegno di scrivere un testo di almeno duecento o
trecento pagine per ogni corso di lezione, per ogni Vorlesung, nell’arco di trent’anni, e
due volte ogni anno, cioè, una ogni semestre, arriveremo alle cinquantamila pagine di
testi da lui lasciateci. Al contrario, ciò che Husserl pubblicò in vita si riduce a cinque
libri in tedesco3, uno in francese4, alcuni articoli e il frammento dell’opera La crisi delle
1
La traduzione italiana del presente testo è stata rivista da Maria Lida Mollo.
Nell’agosto del 2003 è uscito un libro con questo titolo, AA. VV., The New Husserl: A Critical Reader,
a cura di D. Welton, Bloomington, Indiana University Press.
3
I libri sono: Philosophie der Arithmetik (1891), poi in Husserliana: Edmund Husserl – Gesammelte
Werke, Dordrecht, Springer [d’ora in poi Hua], Bd. XII, a cura di L. Eley, 1970; Logische
2
2
scienze europee5. Quale fu la conseguenza di questa curiosa situazione, quella di un
filosofo che scrive un’opera, che se fosse messa in forma di libri ammonterebbe a
centoventi volumi, ma di cui viene pubblicato solo un numero esiguo? Proprio quella
cui prima accennavo, ovvero la grande discrepanza tra l’interpretazione ufficiale che i
professionisti della filosofia davano o diffondevano della fenomenologia di Husserl
(basata perlopiù sulle opere edite, cioè su una minima parte dei suoi testi) e l’influenza
che la fenomenologia stava avendo nella filosofia del secolo XX in molte direzioni, una
delle quali era quella che proseguiva lo spirito della fenomenologia che i più
condividevano, avendolo appreso direttamente dalle lezioni del maestro moravo, e
attraverso cui passavano molte formule della fenomenologia che spesse volte urtavano
contro ciò che lo stesso Husserl aveva pubblicato.
Ebbene, ora disponiamo della pubblicazione di una quantità ragionevole di questa
opera manoscritta. La serie Husserliana ha al suo attivo, a fine 2009, già 40 tomi6, quasi
un terzo dei suoi testi, il che è ad ogni modo sufficiente per comprendere in profondità
la filosofia dell’autore, superando così i difetti di quella linea interpretativa la cui
parzialità era dovuta al limite di disporre delle poche opere pubblicate in vita. E questa
situazione ha costretto molti a cambiare la loro visione di Husserl. È in questo contesto
che è sorta la teoria del “nuovo Husserl” che, partendo da quelle numerose
pubblicazioni, sarebbe in grado di correggere la visione topica che insegnano i manuali
e contro cui si ribellano molti degli stessi discepoli di Husserl.
In primo luogo proverò a tracciare brevemente i tratti di quello che è stato definito
lo Husserl “topico”, che si formò attraverso un'interpretazione tradizionale della parola
"idealismo", attraverso le interpretazioni di alcuni discepoli di Gottinga, e soprattutto
poi di Heidegger, ed attraverso alcune affermazioni tratte da Merleau-Ponty e Derrida,
Untersuchungen (1900/01), poi in Hua, Bd. XVIII, a cura di E. Holenstein, 1975; Hua, Bd. XIX, a cura di
U. Panzer, 1984; Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, I (1913),
poi in Hua, Bd. III, a cura di K. Schuhmann, 1976; Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren
Zeitbewusstseins (1928), poi in Hua, Bd. X, a cura di R. Boehm, 1969; Formale und transzendentale
Logik (1929), poi in Hua, Bd. XVII, a cura di P. Janssen, 1974.
4
Le Méditations cartésiénnes (1931), poi (con l’aggiunta dei Discorsi Parigini) Cartesianische
Meditationen und Pariser Vorträge, in Hua, Bd. I, a cura di S. Strasser, 19912.
5
Furono pubblicate le parti I e II, cioè i §§ 1-27.
6
L’ultimo tomo è: Edmund Husserl. Untersuchungen zur Urteilstheorie. Texte aus dem Nachlass (18931918), Hua, Bd. XL, a cura di R. Rollinger, 2009. Alla serie Husserliana dobbiamo aggiungere anche
“Husserliana”: Edmund Husserl – Materialien, nella quale sono apparsi già otto volumi, l’ultimo volume
dei quali è Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934). Die C-Manuskripte, a cura di D. Lohmar,
Dordrecht, Springer, 2006.
3
nel convincimento che quello Husserl è lo stesso che per alcuni aspetti ancora è presente
in talune letture in Spagna e in Italia (in quest’ultima nonostante gli scritti di Antonio
Banfi e soprattutto del suo discepolo Enzo Paci, e nonostante le traduzioni di importanti
testi di Husserl)7. In secondo luogo, analizzerò alcuni punti chiave di questo nuovo
Husserl, con la precisazione che il nuovo Husserl non è veramente nuovo perché si
trovava già nei libri su Husserl almeno dagli anni ’50, nelle opere di Gerd Brand 8, di
Il caso dell’Italia è particolarmente interessante, perché il “nuovo Husserl” fu qui riconosciuto a pieno
fin dall’inizio. Gli scritti di Enzo Paci (come detto, discepolo di Antonio Banfi. Su Paci, cfr. il
recentissimo AA. VV., In ricordo di un maestro. Enzo Paci a trent’anni dalla morte, a cura di G.
Cacciatore e A. Di Miele, Napoli, ScriptaWeb, 2009), Angela Ales Bello, Aldo Masullo, Giovanni Piana,
Antonio Ponsetto, Mario Sancipriano, Giorgio Scrimieri, Giuseppe Semerari, Carlo Sini (successore di
Paci a Milano), Paolo Valori, Stefano Zecchi e altri, sono riusciti a dare alla fenomenologia uno status
molto forte nell'insieme della filosofia italiana. Di quelli citati, Zecchi e Piana si sono laureati con Enzo
Paci, l’ultimo con una tesi sulla storia nei manoscritti di Husserl, che fu pubblicata con il titolo Esistenza
e storia negli inediti di Husserl (Milano, Lampugnani Nigri Editore, 1965). Questo saggio è, come viene
affermato nella traduzione inglese – History and Existence in Husserl's Manuscripts, in «Telos», 13
(1972), pp. 86-124 –, risultato «of a study conducted in the Husserl Archives in Freiburg»; la ricerca, che
è un chiaro segno del “nuovo Husserl”, conta sul saggio di Brand. Ponsetto studiò a Colonia, con
Landgrebe. Ma, come si legge nella Prefazione del libro di Renato Cristin, e nel suo contributo al libro
Phänomenologie in Italien (a cura di R. Cristin, Würzburg, K&N, 1995), la caratteristica della ricezione
della fenomenologia in Italia «sta nello sforzo intrapreso in modo energico, di mediare tra il pensiero di
Husserl e quello di Heidegger. L'obiettivo di questa via italiana alla fenomenologia è tanto il superamento
dei limiti di queste posizioni classiche della fenomenologia, quanto il rinnovamento generale della
prospettiva fenomenologica, nella misura in cui si discute e si prosegue lo sviluppo di punti di partenza
centrali della fenomenologia tedesca». Anche Spiegelberg (The Phenomenological Movement. A
Historical Introduction, The Hague, Nijhoff, 19843, p. 658) scrive: «Italian phenomenology has been at
least as much under the influence of Heidegger, Sartre and Merleau-Ponty as that of Husserl». In ogni
caso la ricezione della fenomenologia in Italia è un tema appassionante, al quale non posso far altro che
alludere. Come introduzione generale si può leggere quella di Renato Cristin, Zur Geschichte der
Phänomenologie in Italien, nel libro citato Phänomenologie in Italien, pp. 11-43. Renato Cristin parla
delle fasi di quell'accoglienza, legata alle opere, in un primo momento, di Antonio Banfi (fase numero 2),
e del suo discepolo, Enzo Paci, (fase numero 3). Nella fase numero 1 si possono rinvenire indicazioni su
quella che potremmo chiamare la differenza tra i due Husserl, quello compreso tradizionalmente ed il
nuovo. Le "eresie" di cui parla Ricoeur e che ricorda Cristin sono in relazione ad una concezione della
fenomenologia che considera la coscienza pura nel suo essere tale, in quanto è una coscienza incarnata,
mentre, nel nuovo Husserl, la prima tappa della coscienza è la coscienza come carne, come Leib. Il
protagonismo attribuito a Löwith, nell'interpretazione del rapporto del movimento fenomenologico con
Husserl, è indicativo di quello che è stato probabilmente frequente anche in Italia. Risale già al 1965
l’articolo di Carlo Sini: La fenomenologia in Italia. I. Lo sviluppo storico, in «Revue international de
Philosophie», XIX, fasc. 1-2, 71-72 (1965), pp. 125-139. Successivamente si può vedere, di A. Ales
Bello, La fenomenologia in Italia, in «Filosofia e Società», 2-3 (1979), pp. 103-126. E, della stessa
autrice, Phenomenology in Italy, in «Analecta Husserliana», 9 (1979), pp. 429-486. Isidro Gómez Romero
fa eco al testo di Ales Bello in Fenomenología y Metafísica. Un debate en la filosofía italiana actual, in
«Anales del Seminario de Historia de la Filosofía», 3 (1982-83), pp. 211-240. Ancora si può ricordare lo
scritto di Stefano Zecchi, La fenomenologia in Italia: diffusione e interpretazioni, in Filosofia italiana e
filosofie straniere nel dopoguerra, in «Rivista di Filosofia», 2-3 (1988), pp. 175-96. Significativa, infine,
è la sezione che Massimo Ferrari dedica a questo argomento nella Storia della Filosofia, diretta da Mario
dal Pra, 11/ La Filosofia contemporanea / Seconda metà del Novecento, t. 1, Padova, ed. Piccin, 1998, pp.
75-84, intitolata La “rinascita” della fenomenologia.
8
La sua opera principale fu tradotta in italiano già nel 1960, a cura di E. Filippini e con un’introduzione
di E. Paci: Mondo, io e tempo. Nei manoscritti inediti di Edmund Husserl, Milano, Bompiani, 1960.
7
4
Klaus Held9, in significative parti dell’opera di Merleau-Ponty e, in Italia, almeno nei
libri di Paci e dei suoi discepoli, nei testi di Angela Ales Bello e di altri 10. In questo
senso la lettura di molti studiosi, ancora prima della progressiva pubblicazione dei
manoscritti di Husserl, già negli anni ’60 e ’70, è andata preparando ciò che possiamo
chiamare il cambiamento di paradigma nell’interpretazione di Husserl, passando da uno
Husserl fondamentalmente delineato nell’opinione degli addetti ai lavori a partire dalle
formulazioni heideggeriane, a uno Husserl che ha poco a che vedere con quella
definizione e che per ciò stesso giunge al secolo XXI libero da fastidiose adesioni che,
dando la sua filosofia per morta, propendevano per il suo congedo. Così, nella prima
parte intendo esporre il paradigma più comune nell’interpretazione della fenomenologia,
mentre nella seconda parte emergerà il nuovo paradigma che, a mio giudizio, si è già
imposto, sebbene non sia ancora arrivato ai manuali. Devo inoltre aggiungere che il
cosiddetto “nuovo Husserl” è proprio quello al quale appare profondamente ispirato il
libro più affidabile che sia mai stato scritto finora sulla presentazione globale della
Esiste l’edizione italiana di alcuni saggi di K. Held, per esempio, Per una fondazione fenomenologica
della filosofia politica, in «Fenomenologia e Società», 9 (1986), pp. 55-68; o La tesi dell’europeizzazione
dell’umanità in Husserl, in AA. VV., Razionalità fenomenologica e destino della fenomenologia, a cura
di A. Masullo e C. Senofonte, Genova, Marietti, 1991, pp. 101-121.
10
Nonostante le affermazioni di Spiegelberg e la conferma di Renato Cristin, di cui abbiamo riferito nella
nota 7, bisogna dire che l'Italia ebbe l’opportunità, grazie in primo luogo ad Antonio Banfi e soprattutto
ad Enzo Paci, di mettere a fuoco, sin dall'inizio, la fenomenologia in un orientamento pratico in virtù
dell’accesso ai manoscritti di Husserl. In coerenza con quanto già osservato nella nota 7 relativamente
all’influenza di Banfi e Paci nella ricezione italiana della fenomenologia, è opportuno richiamare
l’attenzione sull'interessante collana di A. Ponsetto Fenomenologia e Società, la quale dà testimonianza di
quell'orientamento pratico. Tutto questo diede come frutto una precoce conoscenza in Italia del “nuovo
Husserl”, come si vede nella traduzione, già nel 1960, del libro di Gerd Brand (cfr. nota 8). Le molte
traduzioni che sono state condotte sui testi di Husserl indicano una notevole continuità nelle ricerche. In
S. Spileers, Husserl Bilbiography (Dordrecht, Kluwer, 1999) pp. 75-78, si può ritrovare una panoramica
di tutte queste traduzioni (fino al 1997). Da sottolineare è la bella edizione bilingue a cura di Paolo
Volontè di uno dei testi che Husserl preparò nel 1917 per l'Antrittsrede a Friburgo. Per me questi testi
furono molto importanti, perché uno di essi, intitolato Fenomenologia e psicologia, è quello che usò Leo
van Breda nella sua tesi dottorale sulla riduzione. Il testo che traduce Paolo Volonté è l'altro,
Fenomenologia e teoria della conoscenza (Milano, Bompiani, 2004). Le ultime traduzioni, totali o
parziali, dei diversi volumi dell’Husserliana indicano l'enorme vigore della fenomenologia in Italia,
adesso sicuramente nella direzione del nuovo Husserl. Queste traduzioni sono: il vol. VII, Filosofia
prima. Teoria della riduzione fenomenologica, trad. it. di A. Staiti, a cura di V. Costa, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2007; il vol. VIII, Filosofia prima (1923-24). Teoria della riduzione fenomenologica. Parte
seconda, a cura di P. Bocci, Pisa, ETS, 2009; il vol. XIII, I problemi fondamentali della fenomenologia.
Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-11), a cura di V. Costa, Macerata, Quodlibet, 2008; il vol.
XVI, La cosa e lo spazio. Lineamenti fondamentali di fenomenologia e teoria della ragione (1907), trad.
it. di A. Caputo, a cura di V. Costa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008; il vol. XXIII: Sulla fantasia.
Manoscritti 1918-1924, a cura di F. Masi, Napoli, Giannini, 2009; il vol. XXXI: Lezioni sulla sintesi
attiva. Estratto dalle lezioni sulla «logica trascendentale» (1920-21) [Ms. F I 39], a cura di L. Pastore,
Milano, Mimesis, 2008; e il vol. XXXVI: Introduzione all’etica, a cura di N. Zippel e con
un’introduzione di P. S. Trincia, Roma-Bari, Laterza, 2009.
9
5
fenomenologia. A questo libro, intitolato Edmund Husserl: Darstellung seines Denkens
e dato alle stampe nel 1989, parteciparono tre ricercatori degli Archivi-Husserl, di
quello di Lovanio e di quello di Colonia: Iso Kern, Eduard Marbach e Rudolf Bernet. È
da segnalare che la versione italiana di questa importante opera è uscita
immediatamente dopo l’edizione originale11.
1. Il paradigma topico nell’interpretazione di Husserl
Non è difficile indicare le note più importanti del paradigma tradizionale a
proposito della fenomenologia di Husserl. Sarà sufficiente indicare alcune coordinate
storiche, o riandare ai luoghi teorici che si sono accumulati e che hanno dato origine ad
una struttura interpretativa talmente salda che solo un corrispettivo accumulo di
evidenze circa la sua inadeguatezza ha fatto sì che tale struttura ermeneutica iniziasse ad
incrinarsi.
Il punto di partenza di quel paradigma è intimamente connesso all’effetto che sortì
la pubblicazione dell’opera fondamentale di Husserl, le Idee per una fenomenologia
pura nel 1913, in cui si afferma un idealismo trascendentale di nuovo tipo, che però è
considerato dai discepoli di Gottinga come un tradimento dello spirito e delle parole
stesse della fenomenologia. Questa frattura tra Husserl e i suoi discepoli non si sarebbe
mai più ricomposta, e tale idealismo, respinto dai discepoli, continuò ad essere il motivo
del rifiuto della fenomenologia, divenendo, inoltre, una nota essenziale della stessa, che
la qualificava in modo assolutamente negativo.
Ma in quella stessa opera di Husserl ci sono altre caratteristiche molto importanti
che vanno a determinare l’immagine che, dagli anni Trenta in poi, farà della
fenomenologia di Husserl una filosofia profondamente inadeguata per i nuovi tempi.
In Idee I la teoria dell’idealismo trascendentale si basa – e così continuerà ad essere
nell’opera di Husserl – sulla teoria dell’epoché e sulla riduzione trascendentale, per cui
sembra instaurarsi un atteggiamento specifico del filosofo che acquisisce una
condizione molto peculiare. La condizione dell’epoché e della riduzione appare
particolare in quanto, da un lato, sono per Husserl indispensabili in fenomenologia al
11
Edmund Husserl, trad. it. a cura di C. La Rocca, Bologna, Il Mulino, 1992.
6
punto che mai le abbandona, e, dall’altro, dal lato di quelli che lo circondano, epoché e
riduzione trascendentale costituiscono proprio ciò di cui la fenomenologia deve liberarsi
se vuole essere fruttuosa.
L’epoché e la riduzione sono caratterizzate in virtù della loro facoltà di costituire il
fenomenologo come “spettatore disinteressato”, che cerca soltanto di descrivere
l’esperienza. L’affermazione husserliana secondo cui il fenomenologo è uno spettatore
disinteressato sembra condannare la fenomenologia alle tenebre della filosofia del
“disimpegno”, proprio quando si affermava che la filosofia doveva essere connotata
dall’impegno politico. Che Husserl proclamasse l’assenza di impegno – null’altro,
infatti, poteva significare l’espressione “spettatore disinteressato” – qualificava la sua
filosofia secondo un orientamento che la trasformava in una filosofia affatto reazionaria,
al servizio degli interessi dei potenti contro i quali lottavano i politici di sinistra e i
filosofi “impegnati”.
Ma accanto a ciò, nell’opera di Husserl del 1913 si poteva constatare il compimento
di una tendenza allarmante che era già apparsa in un articolo del 1911 12, in cui Husserl
rifiutava con la stessa fermezza tanto lo storicismo quanto il naturalismo, oltre al fatto
che negava alla storia ogni tipo di influenza. Eppure sappiamo che, subito dopo, Husserl
intrattenne un duro carteggio con Dilthey, in cui si mostrava più prudente. Appare, però,
incontrovertibile che nelle Idee del 1913 non solo la storia non esiste, ma, anzi, viene
affermata l’astoricità della filosofia. La fenomenologia sarebbe stata vista come una
filosofia che non ha niente da dire sulla storia e, per ciò stesso, radicalmente incapace di
esprimersi sulla storia13.
A ciò si aggiunge il fatto che, nell’opera edita di Husserl, e in linea con le
sopracitate tendenze, non pare che si faccia menzione dei problemi morali. Il che
sembra scaturire necessariamente dal fatto che il fenomenologo è uno “spettatore
disinteressato”: se egli non ha alcun interesse, appare ragionevole che sia estraneo alle
faccende umane. Piuttosto, per la fenomenologia il soggetto trascendentale non è un
12
Mi riferisco al noto articolo Die Philosophie als strenge Wissenschaft, pubblicato nella rivista «Logos»
nel 1911, ed attualmente riedito nel vol. XXV della Hua. L’articolo fu tradotto in italiano: La filosofia
come scienza rigorosa, a cura di F. Costa, Torino, Paravia, 1958 (poi trad. it. di C. Sinigaglia, introd. di
G. Semerari, Roma-Bari, Laterza, 2001.
13
Tra le fila degli heideggeriani sembrerebbe esservi l’interesse di mantenere questa tesi oltre ogni
evidenza. In merito si veda J. M. Díaz, Husserl y la Historia. Hacia la función práctica de la
fenomenología, pref. di J. San Martín, posf. di J. Muguerza (Madrid, UNED, 2003). È molto pertinente al
riguardo il già citato saggio di G. Piana, Esistenza e storia negli inediti di Husserl.
7
essere umano, in quanto il carattere umano è stato neutralizzato dall’epoché, così come
il mondo effettivamente reale, in cui noi viviamo e che è pieno di cose umane, di
strumenti d’uso, di cose che valgono, ecc. Tutto ciò è stato messo tra parentesi affinché
il fenomenologo potesse costituirsi come una istanza di accesso alle cose stesse, al fine
di descrivere che cosa sono le cose nel loro modo d’apparire. Perciò, si dice che Husserl
prescinde in quest’opera da tutte le questioni importanti di una filosofia morale. La
fenomenologia si diffonde fin troppo nella trattazione dei problemi teoretici, ma non ha
detto né dice né mai dirà nulla sull’etica e sulla morale14.
E tuttavia vi è una questione che non appariva nelle opere edite, ma che era allo
stato latente, e che stranamente sarà compito della stessa fenomenologia mettere a tema.
È, infatti, indubbio che, nell’opera di Husserl, il fenomenologo è da solo, e ciò perché
con l’epoché e con la riduzione, attraverso le quali rompe con il mondo, il
fenomenologo rompe anche con gli altri, e così rimane da solo, per quanto ciò suoni
contraddittorio. Era da un bel po’ che gli studi di Husserl giravano attorno a quel
problema, di cui soltanto i più vicini a lui, come la sua assistente Edith Stein, potevano
avere notizia15. Molti anni dopo, nelle Meditations cartésiénnes, pubblicate in francese,
tale problema riappare formulato e declinato nei termini dell’intersoggettività, insieme
ad un tentativo di soluzione. Ma siccome quest’ultima era tanto difficile da ottenere
quanto fondamentale per la fenomenologia – al punto che la stessa fenomenologia
dipendeva da tale soluzione – il fatto che la proposta di Husserl non fosse convincente
provocò due peculiari effetti. Da un lato, l’assunzione di un problema filosofico nuovo,
14
È stato osservato che, in Italia, ad opera di Banfi, si intese la fenomenologia a partire da un impegno
civile e in una prospettiva pratica. In molti ambienti, poi, si pensò che l’engagement di Paci fosse
addirittura eccessivo. Non si può dimenticare, tuttavia, che per alcuni discepoli di Husserl la
fenomenologia aveva un gran potere critico di fronte alla società contemporanea. Il saggio di Metzger
Phänomenologie der Revolution (Francoforte, Syndikat, 1979) è testimonianza di una tale possibilità.
D'altra parte, la citata collana Fenomenologia e Società, del gesuita Ponsetto, che si lega al lavoro
condotto a Colonia dal colombiano, anch’egli gesuita, Guillermo Hoyos Vásquez, rappresenta un identico
orientamento sociale della fenomenologia. Si deve anche citare il libro di Mario Sancipriano Edmund
Husserl: l'etica sociale, Genova, Tilgher, 1988. È degno di nota, inoltre, che siano apparsi in Italia negli
ultimi dieci anni almeno quattro libri in relazione all'etica di Husserl, primo tra i quali quello di I. A.
Bianchi, Etica husserliana. Studio sui manoscritti inediti degli anni 1920-1934, Milano, Franco Angeli,
1999; e, della stessa autrice, Fenomenologia della volontà. Desiderio, volontà, istinto nei manoscritti
inediti di Husserl, Milano, Franco Angeli, 2003. Poi Fenomenologia della ragion pratica. L'etica di
Edmund Husserl, a cura di B. Centi e G. Gigliotti, Napoli, Bibliopolis, 2004; e, infine, come ho già
indicato, la traduzione dell'etica di Husserl degli anni 1920 e 1924. Come sostiene Cornice Deodati, in
una recensione del libro del 2004, «L'interesse nei confronti dell'aspetto pratico del pensiero di Husserl è
andato negli ultimi anni crescendo in modo esponenziale».
8
la necessità di comprendere il tratto sociale dell’essere umano, che non consiste soltanto
nella fattività dello stare con gli altri, giacché, secondo la descrizione di Husserl,
l’intersoggettività appartiene alla nostra realtà. Ma dall’altro lato, l’incapacità della
fenomenologia di risolvere o di rispondere alla domanda che essa stessa, ed essa prima
di tutti, aveva posto, e la relativa accusa di essere un metodo incapace di risolvere il
problema dell’intersoggettività. In poche parole, la fenomenologia è accusata di
chiudersi in un solipsismo metodologico.
D’altro canto, quest’ultimo punto ha la sua coerenza: storia, impegno e morale sono
sfaccettature della vita sociale dell’essere umano. Le difficoltà a rispondere alle
domande che scaturiscono dal problema dell’intersoggettività sono in stretta
connessione con lo stile della fenomenologia nella trattazione di quei luoghi teorici che
sono via via apparsi. A partire dalla constatazione che, malgrado il suo stesso intento, la
fenomenologia non risponde al problema dell’intersoggettività, diviene possibile
cogliere in pieno il fondamento più profondo delle suddette mancanze.
Ancora una nota, a conferma di tutto questo insieme paradigmatico, è possibile
trovarla in un testo di Husserl, edito da Heidegger, sulla coscienza interna del tempo, in
cui, in linea con altri suoi scritti, egli espone descrittivamente il tempo come un flusso
che va verso il passato, che permane in qualche modo in noi, come ritenzione,
configurando anche la coscienza presente. Dietro il tempo sembra esservi un io assoluto
costituente. La presenza ultima di questo io, così come il fatto che il tempo sia
fondamentalmente la sua dimensione del passato, sembra essere coerente con
quell’immagine di un io disimpegnato, dal momento che in tale testo tutto sembra
essere stato deciso nel passato, e sembra che non vi sia futuro, il che va a legarsi con i
problemi di cui sopra.
Questa immagine di Husserl, che risale alla sua pubblicazione del 1913, sarebbe
divenuta stabile a partire dai commenti di Heidegger a Marburgo, intorno al 1921.
Heidegger nelle sue Lezioni – per esempio nella prima lezione di Marburgo16 – mostra
15
E. Stein ha condotto su questo tema la tesi di dottorato, Das Einfühlungsproblem in seiner historischen
Entwicklung und in phänomenologischer Betrachtung, pubblicata nel 1917 col titolo Zum Problem der
Einfühlung, presso la Buchdruckerei des Waisenhauses di Halle.
16
Einführung in die phänomenologische Forschung. (Wintersemester 1923/24), Gesammt-ausgabe, a cura
di F-W. von Herrmann, Bd. 17, Francoforte, Klostermann, 1996: «Die Vorlesung [...] verdient besondere
Aufmerksamkeit. [Sie] ist von bestechender Klarheit: Nachdem Heidegger nicht mehr Husserls Assistent
war, konnte er sich mit der Philosophie seines Lehrers Husserl sehr viel freier beschäftigen als in seiner
Freiburger Zeit». Su questa critica ho scritto in J. San Martín, La crítica heideggeriana a la
9
di assumere in modo sempre più evidente quei luoghi teorici, e li trasmette ai suoi
allievi, tra i quali vi erano sia Hanna Arendt sia Hans-George Gadamer, che tanta
influenza avrebbero avuto nel consolidamento del paradigma su Husserl stratificatosi
poi nella tradizione filosofica. L’aspetto fondamentale dell’accusa heideggeriana contro
Husserl è di essere radicalmente cartesiano. Tale accusa è da Heidegger esposta in un
punto fondamentale, ovvero laddove spiega quella che avrebbe chiamato l’“illusione
fenomenologica”, consistente nel pensare che le cose sono come il metodo che si
impiega; è convinzione di Heidegger che Husserl sia caduto in quell’illusione e che
abbia quindi falsato la realtà. In effetti, la realtà che Husserl descrive è ben lungi
dall’essere la realtà storica concreta nella quale viviamo; al contrario, essa è una realtà
già manipolata, depurata dai tratti storici che la configurano come una realtà vincolata
alla vita umana. La realtà descritta dalla fenomenologia è una realtà artificialmente
creata dalla fenomenologia stessa, ragion per cui il difetto della filosofia di Husserl
starebbe nell’ignorare che è proprio la storia a fare quella realtà umana. Il
cartesianesimo di Husserl è divenuto uno dei topici fondamentali che riassume il
“vecchio” paradigma della fenomenologia, paradigma che ha trovato conferma negli
ultimi testi di Patočka17, che a loro volta si rifanno alla lettura heideggeriana e
arendtiana di Husserl.
2. Il nuovo paradigma di interpretazione della fenomenologia: il “nuovo” Husserl
Prima di entrare nel merito, desidero chiarire il senso di questa “novità”. È evidente
che essa non è veramente tale, per le ragioni sopra richiamate. Infatti, il paradigma cui
faccio riferimento non è certo nuovo per coloro che abbiano studiato i manoscritti di
Husserl a partire dagli anni ’50, come è il caso, già citato, di Gerd Brand, Klaus Held o
Enzo Paci, e ancora, a partire dagli anni ’60 e ’70, come è il caso di molti italiani,
fenomenología de Husserl, in Centenario de Descartes (1596-1996), a cura di E. Ranch e F.-M. Pérez
Herranz, Alicante, Universidad de Alicante, 1998, pp. 89-98.
17
Su questo tema ho tenuto una relazione dal titolo Die Kritik von Patočka an der Phänomenologie
Husserls, nel corso del convegno Das Phänomen. Eugen Fink und Patočka, in occasione del 90esimo
anniversario della nascita di Jan Patočka, che ebbe luogo a Praga la seconda settimana di aprile del 1997.
Il testo fu pubblicato prima in serbo-croato, Patočkina kritika Huserlove fenomenologije, in «Filozofski
Godišnjak», 10 (1997), pp. 286-292, e poi in ceco, Patočkova kritika Husserlovy fenomenologie, in AA.
VV., Fenomen Jako filosofický problém, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, Praga, Oikoymenh, 2000, pp.
150-159.
10
spagnoli e latinoamericani, ad esempio Giovanni Piana, Stefano Zecchi, Angela Ales
Bello, in Italia; Roberto Walton, Antonio Aguirre o Guillermo Hoyos, in America
latina, o di spagnoli, come io stesso, o Miguel García Baró. Certamente occorrerebbe
anche citare qui alcuni studiosi estremo-orientali come il giapponese Hamauzu o il
coreano Nam In Lee. Per me e per tutti quelli che ho appena citato, il “nuovo”
paradigma non è tale, in quanto non abbiamo mai adottato quello precedente, piuttosto
ci siamo avvicinati a Husserl non attraverso il vecchio paradigma, bensì, al contrario,
attraverso quello che ora è chiamato il new Husserl. Questi è l’unico Husserl che io
abbia mai conosciuto, giacché ho cominciato a studiare Husserl nel 1968, a Lovanio,
con Alphonse de Waelhens, e a partire da Merleau-Ponty. Nel Prologo al suo libro più
importante, la Fenomenologia della percezione, si possono leggere quasi tutti i problemi
insiti in quello che ho chiamato il “vecchio” paradigma di interpretazione, così come un
certo orientamento verso la loro soluzione, ovvero, le linee che avrebbero configurato il
“new” Husserl. Con tale preparazione io andai direttamente a studiare presso
l’Archivio-Husserl a Friburgo i.B., sicché agli inizi degli anni ’70 ero già immerso in
quello che ora è denominato il “new Husserl”18. Pur non potendo raccontare le storie
degli studiosi che ho appena citato, immagino che le loro circostanze siano più o meno
simili alle mie.
E, prima di passare all’esposizione di questo “new” Husserl, voglio evidenziare ciò
in cui consiste l’interesse di questa novità, posto che è lecito interrogarsi sulla maggiore
o minore adeguatezza di un’interpretazione rispetto all’altra. La questione è a mio
giudizio assai importante per le ragioni che seguono. Con il vecchio paradigma, Husserl
è abbandonato o si raccomanda di non studiarlo perché tutta la sua filosofia sarebbe
basata su un grande errore. Questo interdetto potrebbe estendersi perfino allo Heidegger
di Essere e tempo – ovvero allo Heidegger fenomenologo –, perché la Kehre ne avrebbe
superato i primi lavori. Si può dire che in molti luoghi la critica di Heidegger e l'influsso
della sua "seconda navigazione” avrebbero potuto soffocare i tentativi di studiare
Husserl. E, in una certa misura, questo è accaduto proprio in Germania. Il predominio
assoluto di Heidegger e di Gadamer fece sì che Husserl praticamente sparisse
Cfr. J. San Martín, La estructura del método fenomenológico, Madrid, UNED, 1986 – una
rielaborazione della mia tesi di dottorato. In questo libro sono affrontati alcuni dei problemi interpretativi
più frequenti del vecchio paradigma.
18
11
dall’Università, e che Klaus Held, o Waldenfels, non esercitassero l’influsso che le loro
filosofie avrebbero meritato.
Ebbene, non studiare Husserl presuppone di non considerare le questioni
fondamentali che egli pone, il problema della natura della filosofia e della professione
del filosofo nel mondo contemporaneo; la deriva di un mondo sociale che prescinda dal
confronto con gli esperti che discutono con serietà sul valore orientativo delle idee; la
relazione delle scienze umane con le scienze naturali, con la filosofia e con il mondo
quotidiano, problemi, insomma, che Husserl aveva esaminato estesamente e nella cui
trattazione una filosofia, che ne ignori gli apporti, sembra destinata a tornare a livelli di
discussione ampiamente superati.
Detto ciò, diviene ora possibile procedere segnalando alcune caratteristiche di
questo nuovo Husserl. E credo che in primo luogo occorra mettere in rilievo
l’importanza che in questa riconsiderazione di Husserl ha acquistato il ripensamento dei
suoi due concetti metodologici più importanti: la riduzione e l’epoché. Partiamo dalla
considerazione che secondo il “vecchio” paradigma esse sono la stessa cosa, senza che
sia poi possibile capire perché Husserl abbia avvertito la necessità di utilizzare due
parole diverse. Ebbene, il punto è che si tratta di due cose profondamente diverse, una
cosa è la riduzione fenomenologica, un’altra è l’epoché. Quest’ultima ci appare adesso
come l’instaurazione di un atteggiamento di sospensione riflessiva per poter fare
filosofia; per fare filosofia devo uscire dal mondo degli affari, devo mettere in
discussione il mondo stesso, anziché darlo in partenza per presupposto. In secondo
luogo, – ed è proprio qui che si trova la differenza temporale tra l’epoché e la riduzione
– vi è l’importante scoperta che tutto è intorno a me, che tutto si riferisce o è riferito a
me, sicché – questo è il senso della riduzione – tutto viene ricondotto a me. Bisogna
leggere la famosa riduzione nel suo originario significato latino, ossia ritornare al luogo
di riferimento, per esempio, exercita in castra reducere, “ricondurre gli eserciti
all’accampamento”. La riduzione, in questo senso, è rendersi conto che la realtà, ciò che
è nel mio ambiente circostante, dipende da me, che essa è sempre un polo di una
struttura duale, sicché il mondo è il “mio” mondo, la realtà sociale è la “mia” realtà
sociale, Dio è il “mio” Dio, in poche parole, tutto è il polo di una visione, di una
coscienza che vede, di un modo di essere aperto a quella realtà.
12
Husserl sta proponendo una cornice concettuale per pensare l’origine della
filosofia, e la filosofia come professione. Infatti, la filosofia come professione non è
altro che aprire uno spazio-tempo nel quale anzitutto prendiamo coscienza che il mondo
ci appare e che, al di fuori di questa cornice di apparizione, il mondo non è niente, gli
spazi interstellari non sono altro che prolungamenti di quello spazio di apparizione. In
questo modo l’epoché e la riduzione diventano la cornice che definisce la natura del
sapere filosofico come un tipo di sapere diverso, profondamente diverso dagli altri
saperi, i quali, invece, cercano sempre di conoscere una parte del mondo in modo da
poter agire in quel mondo o almeno in quella parte di esso conosciuta. La filosofia, che
parte dall’instaurazione di quello spazio-tempo particolare, in cui non ci curiamo degli
affari – e proprio questo è l’epoché19 – istituisce lo spazio-tempo di apparizione del
mondo nel mio ambiente circostante, o suppone di prenderne coscienza, dacché è a me
che il mondo appare, sicché il mondo è il correlato della mia vita. Possiamo spingerci
ancora più in là, e affermare che la mia vita non è altro che l’altro polo del mondo che
appare. È proprio ciò che affermava Husserl, sin dall’inizio, quando cercava di definire
quella situazione che viene alla luce alle origini della filosofia, ovvero che ogni
coscienza è coscienza di un oggetto, e, in modo equivalente, che ogni oggetto è oggetto
di una coscienza; il che vuol dire che oltre l’uno o l’altro polo non c’e niente, e che non
posso uscire dalla correlazione. Questo è quello che si chiama l’a priori della
correlazione intenzionale.
In secondo luogo, i cambiamenti più importanti in relazione al “vecchio” paradigma
si riferiscono al modo di concepire quel me dal quale dipende tutto – e che ci è apparso
quando ci siamo accorti che tutto è nel mio ambiente circostante, che tutto dipende da
me – e al modo di cogliere il carattere della filosofia che sorge a partire da tale
atteggiamento. Il fatto è che quella filosofia, formulata nei termini “teorici”
contemplativi di cui sopra, e in virtù della quale il filosofo è uno “spettatore
disinteressato”, sembra slegata dalla vita, sembra non avere alcuna utilità per la vita,
sembra una specie di gioco di divertimento in cui ci alieniamo dai problemi della vita e
della società. In quanto all’io che necessariamente sorge nell’atteggiamento filosofico,
19
Sull'epoché da questo punto di vista può leggersi il mio Epoché und Selbstversenkung. Der Anfang der
Philosophie, in spagnolo: http://www.o-p-o.net/essays/SanMartinArticleSpanish.pdf. In tedesco:
http://www.o-p-o.net/essays/SanMartinArticleGerman.pdf. Anche in «Phainomenon. Revista de
Fenomenología», 7 (2003), pp. 13-22.
13
sappiamo che, secondo il vecchio paradigma, si tratta di un io senza storia e isolato; e
che, nella misura in cui è un io contemplativo, si configura come un io senza interessi,
appunto come afferma Husserl, uno “spettatore disinteressato”. Ebbene, in relazione a
tutti questi punti, il cambiamento rispetto al vecchio paradigma è, nel “new Husserl”,
radicale.
Prendiamo pure le mosse da questo secondo aspetto, quello dell’io senza interessi,
assunto che il fenomenologo è uno “spettatore disinteressato”. Questo è stato appunto
uno dei temi più importanti che configuravano il vecchio paradigma, il quale qualificava
Husserl come un filosofo cruciale per una teoria della conoscenza ma irrilevante per la
filosofia morale e per la filosofia politica. Ma la realtà è un’altra: la filosofia, la cui
natura viene descritta nei termini che abbiamo appena analizzati, non si intraprende
senza motivi, ci sono motivi, ci sono ragioni, temi che, pur scaturendo dalla vita
quotidiana, la mettono in discussione, che non si riferiscono al valore di alcuni scopi
che possiamo inseguire nella vita, ma alla vita stessa, alla totalità degli scopi, giacché è
il problema della nostra vita, il mondo come insieme, ciò che all’improvviso, o in un
processo di maturazione della problematicità, fa irruzione nella nostra vita, obbligandoci
a fermarci – questo significa la parola epoché: fermarsi – e a riconsiderare la totalità, il
mondo, la sua forma, la mia vita, etc. Perciò la filosofia, che deve essere definita come
una attività contemplativa, sorge dalla massima preoccupazione, dalla preoccupazione
per il senso della vita, del mondo, della nostra presenza nel mondo. Questa è la ragione
per cui, nell’ottica di Heidegger, l’intenzionalità husserliana, che è la forma nella quale
appare la relazione tra io e mondo, è la Cura, la Sorge20.
Mi si dirà che tutto ciò è frutto di una possibile interpretazione di un’opera, quella
di Husserl, molto estranea a questa preoccupazione per la vita, che, d’altra parte, sembra
destinata a trasformarsi, prima o poi, in una preoccupazione morale e politica. Ebbene,
un dato fondamentale del nuovo paradigma è proprio l’insistenza con cui Husserl tenne
lezioni di filosofia morale. Il che indica come questa fosse per lui tanto importante
quanto la filosofia teoretica. In effetti, già a partire dal 1898, Husserl tenne regolarmente
corsi di filosofia morale, rimasti però inediti. Per Husserl la vita umana – e la
fenomenologia è soprattutto descrizione della vita umana – possiede tre versanti
fondamentali, quello conoscitivo, quello affettivo/valutativo e quello pratico/attivo.
14
‘Conoscere’, ‘valutare’, ‘fare’ sono i verbi che denotano la nostra vita. Generalmente
ciò che conosciamo ci affetta positivamente o negativamente: è qui che sorge la
valutazione delle cose, in loro stesse, o in relazione ad altri scopi valutati o voluti, ed il
risultato è l’azione dopo una decisione, che, dal canto suo, è vera decisione fintantoché
si prolunga nell’azione. Tutta l’opera di Husserl si concentra su questi nodi tematici21.
Bisogna però considerare una questione, che a Husserl stesso preme esaminare
quando, dopo la Grande guerra, la sua preoccupazione è più sociale e politica che
semplicemente morale, proprio perché quella vicenda bellica aveva mostrato il
fallimento dell’idea d’Europa. Dopo la guerra, esattamente quando egli si trasferisce a
Friburgo nel 1917, la morale sarà una morale sociale, con la sua traduzione politica. Ciò
che preoccupa Husserl è il “rinnovamento” della vita culturale europea, la ricostruzione
di quell’ideale europeo che aveva costituito l’essenza filosofica dell’Europa, e di cui la
guerra aveva mostrato il fallimento. C’è una lezione del semestre invernale del 1922/23,
ora pubblicata nel volume XXXV dell’Husserliana, in cui si parla di come l’etica sia
quella filosofia che sta al di sopra di tutte, dal momento che qualunque altra parte della
filosofia è risultato di un’azione, e l’etica è la filosofia della legittimità dell’azione22.
Ma d’allora in poi Husserl, che in quel momento ha sessantatre anni, non si sarebbe
dedicato all’etica in senso stretto, ma a pensare le ragioni del fallimento dell’Europa e le
condizioni di un suo rinnovamento. Questo orientamento si sarebbe accentuato con
l’ascesa dei nazisti al potere, che non inducono alcun cambiamento significativo nella
fenomenologia, ma soltanto un’insistenza sulle riflessioni di ordine morale e politico
degli anni immediatamente precedenti alla Grande guerra. Questa insistenza su tali
argomenti comporta l’ampliamento di un tema che era già presente negli anni
precedenti, ma che adesso – proprio perché Husserl prende sul serio la vita dell’Europa
come una vita sociale e culturale – acquista una dimensione molto più ampia. Mi
riferisco al tema del mondo della vita, su cui mi soffermerò in seguito.
20
Cfr. G. Piana, op. cit., p. 77, e la citazione del manoscritto E III, p. 2: «Ogni vita nella speranza è vita
nella cura e reciprocamente: se appunto cura d'esistenza riguarda il come non il che dell'esistenza».
21
Si veda al riguardo il mio Ética, antropología y filosofía de la historia. Las lecciones de Husserl de
Introducción a la ética del Semestre de verano de 1920, in «Isegoría», 5 (1992), pp. 43-77, ora
disponibile in La fenomenología como teoría de una racionalidad fuerte, Madrid, UNED, 1994, cap. IX,
in part. pp. 304 e ss.
22
Si veda l’interessante paragrafo delle lezioni londinesi, pubblicate per la prima volta in questo volume,
p. 314. Husserl descrive il principio della filosofia come una erkenntnisetische Einstellung, come una
disposizione etico-conoscitiva, in Einleitung in die Philosophie. Vorlesungen 1922/23, Hua, Bd. XXXV,
a cura di B. Goossens, 2002, p. 315.
15
È quindi chiaro il versante pratico della fenomenologia. Il fenomenologo è certo
“spettatore disinteressato”, ma lo è per la stessa ragione per cui lo scienziato in quanto
tale non formula proposizioni opportuniste per ottenere un risultato di successo,
incurante di ciò che le cose sono. Proprio per poter interagire con la natura bisogna
conoscere le sue caratteristiche così come sono, non come si vorrebbe che fossero. In
questo senso il fenomenologo è spettatore disinteressato, ma il fenomenologo è, come
afferma Fink, l’esponente23 − non solo nel senso di esporre, ma in senso matematico, di
potenziare la base − del vero soggetto trascendentale, che non è altro che il mio vero io,
la mia vera personalità e, in questo senso, non fraintesa da teorie interpretative. È
proprio ciò che Ortega chiamerà con due parole, che, d’altra parte, saranno il nucleo
della sua filosofia fenomenologica, il fondo incorruttibile. Io, la mia vita, ho un’entità
che in ultima istanza non si lascia ingannare, perché mi chiama all’azione corretta che,
in questo senso, è morale. Proprio questo io è colui che sta dietro l’istituzione della
filosofia e perciò – nella misura in cui questo io si è elevato a suo esponente, ovvero
l’ego, l’io che fa fenomenologia – «la teoria è pratica». Per questo Husserl avrebbe
detto, negli ultimi anni, che ciò che succede al livello teorico della ragione non manca di
avere conseguenze sul livello pratico: infatti sul terreno della fondazione «non c’é
differenza fra teoria e pratica»24.
Giustappunto questo versante pratico della teoria impone a Husserl di approfondire
la “teoria” dell’ io, ossia, di studiare ciò che è la persona concreta che io sono e, con me,
ognuno di noi. Con tre notazioni possiamo circoscrivere le caratteristiche dell’ego, o, se
si vuole, della mia vita, una vita che certo parla di se stessa come di un io, un ego. Con
questo rispondo alla domanda sulla natura dell’ego, del Me, dal quale – abbiamo detto
all’inizio – “dipende” il mondo, che è l’altro polo della struttura di apparizione o
apertura dello spazio di apparizione del mondo. Queste tre notazioni definiscono i tratti
basilari del paradigma del new Husserl, secondo cui l’io è generativo, intersoggettivo e
23
E. Fink, VI. Cartesianische Meditation. Teil I: Die Idee einer transzendentalen Methodelehre, a cura di
H. Ebeling, J. Holl, G. van Kerckhoven, Dordrecht, Kluwer Academic Publisher, 1988, p. 44, 65 e 73.
Cfr. anche G. van Kerckhoven, Mundanisierung und Individuation bei Edmund Husserl und Eugen Fink.
Die VI. Cartesianische Meditacion und ihr “Einsatz”, Würzburg, Koenigshausen & Neumann, 2003, pp.
323, 333, 350, 362, 425. C’è una traduzione italiana, che è uscita prima della versione tedesca:
Mondanizzazione e individuazione. La posta in gioco nella sesta Meditazione cartesiana di Husserl e
Fink, Genova, Il Nuovo Melangolo, 1998. Fink parla di un “esponente funzionale”.
24
Per questo afferma Husserl che «Das Versagen der theoretischen Vernunft als Philosophie beschliesst
aber auch das Versagen der praktischen», in Über die gegenwärtige Aufgabe der Philosophie, (1934), in
Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Hua, Bd. XXVII, a cura di T. Nenon e H. R. Sepp, 1988, p. 206.
16
storico. I tre tratti sono intimamente legati e, benché ognuno abbia la propria densità,
tuttavia essi appaiono a malapena o per nulla nell’opera pubblicata di Husserl, sicché
sono completamente assenti nel vecchio paradigma, pur essendo consustanziali
all’opera di Husserl. Chiunque si sia affacciato tra i suoi manoscritti si renderà conto
immediatamente che per Husserl quelle tre note sono fondamentali.
Cominciamo dal primo tratto, intorno al quale possiamo concentrare due
caratteristiche della vita umana, ovvero il fatto di darsi nell’ambito di una generazione e
di un tempo. L’io ha inizio in una famiglia, e vive in quel contesto generazionale25.
Husserl ha indagato con molta insistenza tanto l’elemento temporale della coscienza,
della sua vita, quanto l’elemento generazionale in cui siamo immersi, e dal quale noi
emergiamo alla vita, generalmente per passare da una posizione generazionale ad
un’altra. Particolare interesse ha la relazione madre-figlio, in cui si configura un modo
d’interrelazione che costituirà la matrice di molte altre relazioni26. Inoltre, in quel
contesto Husserl ricerca elementi istintuali che costituiscono una prima matrice del
comportamento e contribuiscono alla genesi di altri elementi acquisiti che avranno uno
sviluppo nella mia vita. Il passaggio generazionale della vita, dalla nascita alla morte, è
un tema che ha molto interessato Husserl, benché egli sia arrivato alla conclusione che
la morte è un accadimento che non affetta la “soggettività trascendentale”, dacché la
verità e i suoi valori legittimi trascendono la morte dell’io proprio in quanto sono
sostenuti da una soggettività quale quella trascendentale. Ciononostante, questa tesi di
Husserl non è compatibile con il fatto, anch’esso affermato da Husserl, che l’io, la
soggettività trascendentale, in quanto generativa e immersa in uno sviluppo, è soggetto
di abitudini. Ovviamente, in quanto soggetto di abitudini, tale io è destinato ad una fine,
ma come soggetto epistemologico viene pensato anche dopo la morte.
Proseguiamo pure con gli attributi dell’io. Se l’io è generativo e temporale, esso è
anche affettivo. Il tempo si lascia affettare, affezione, questa, che rimane nello stesso
tempo, perché la prima affezione del tempo è la medesima forma del tempo, che è un
modo di perdere presenza, di depresentificazione. Quando Heidegger pubblicò il testo di
Husserl sul tempo, che risaliva al 1905, la descrizione che vi apparve di ciò che
25
Cfr. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie
(1936), Hua, Bd. VI, a cura di W. Biemel, p. 13: «Menschentum überhaupt ist wesensmässig Menschsein
in generativ und sozial verbundenen Menschheiten».
26
Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität (1929-1935), III, Hua, Bd. XV, a cura di I.
Kern, 1973, pp. 604-608.
17
costituisce la forma del tempo non alterò la posizione che già si era configurata e che
avrebbe finito per accusare Husserl di essere immerso in una filosofia della presenza27,
benché la forma stessa del tempo, come una forma di depresentificazione
[Entgegenwärtigung] essenziale, portasse a pensare la forma umana come corrosa in
modo insuperabile da una perdita della presenza. Così purtroppo si confonde la
descrizione della vita umana, che vive in modi di non presenza, con i risultati
epistemologici che si riferiscono a ciò che è presente, pur con il limite di essere sempre
corroso dalla perdita di presenza.
L’affezione del tempo si dà realmente nella configurazione di schemi secondo i
quali ci relazioniamo cognitivamente, affettivamente – valorialmente – e attivamente al
mondo. Questi schemi costituiscono l’insieme di abitudini che configurano lo stile di
essere di una persona, in realtà di una soggettività trascendentale. Dacché questo modo
di essere finisce con la morte, la soggettività trascendentale concreta muore, per quanto
non possiamo dire lo stesso della soggettività trascendentale come polo soggettivo della
verità. Husserl asserisce nelle Meditazioni cartesiane che l’io è soggetto di abitudini28.
Roman Ingarden saluta con entusiasmo questa affermazione di Husserl29, riconoscendo
così all’io un contenuto evolutivo e storico. Eppure queste annotazioni così rilevanti di
Roman Ingarden apparvero solo nell’edizione delle Meditazioni cartesiane, in
Husserliana I, risalente al 1950, quando il paradigma topico e l’influsso di Heidegger
precludevano ormai qualunque revisione del pensiero di Husserl.
Da quanto detto si deduce che per Husserl l’io, la vita umana, era sin dall’inizio
intersoggettivo. Se la vita sorge e si evolve in un contesto generazionale, quella stessa
vita è necessariamente intersoggettiva. Certo si potrebbe dire che questo non costituisca
alcuna novità, perché sarebbe già presente nel vecchio paradigma, essendo piuttosto uno
degli aspetti che tradirebbero l’incapacità della fenomenologia di farsi carico
“teoricamente” dell’altro. Questa è stata un’accusa frequentemente rivolta a Husserl.
Anche un fenomenologo molto vicino a Husserl come Schütz è giunto alla conclusione
che la teoria husserliana dell’intersoggettività, cioè a dire quella delle Meditazioni
L’accusa deriva principalmente da Derrida, ma dopo di lui è diventata classica.
Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Hua, Bd. I, cit., p. 100, § 32.
29
Egli parla di «ein wichtiges – und mir pensönlich sehr sympatisches – Novum im Vergleich zu de
Ideen», ivi, p. 215.
27
28
18
cartesiane, non renderebbe giustizia alla realtà dell’altro così come questo si presenta30.
Ebbene, benché ciò sia vero, occorre leggere tale teoria in un contesto molto più ampio,
che è quello descritto nei paragrafi precedenti. Io sono sin dall’inizio con gli altri, con i
miei genitori, e costituisco la mia entità, la mia biografia, in uno scambio con gli altri,
prima di tutto con mia madre e con la mia famiglia, talché non so che cosa sia mio di
ciò che è in me, e che cosa dei miei familiari. Io sono talmente coinvolto con loro, da
essere me stesso soltanto con gli altri. Non sono prima io e dopo gli altri – e questo io
non è quello colto da una prospettiva prefenomenologica – bensì quell’io incorruttibile,
che è, come abbiamo detto, l’io o la vita trascendentale: io sono con gli altri, come
afferma Husserl in un manoscritto che precede il soggiorno marburghese di
Heidegger31, l’essere umano è un Mit-sein, è un essere che esiste in compagnia degli
altri.
Questa compagnia ha diversi livelli, ma ve ne è uno molto interessante, che Husserl
analizza in extenso, ossia la compagnia che noi abbiamo di noi stessi, oggettivati, ma in
una oggettivazione animata dal mio corpo come carne sentita dal didentro, nel ricordo,
in tutte le rappresentazioni, nella costituzione dello spazio omogeneo definito in virtù di
un movimento che parte da un centro dello spazio disomogeneo. Io ho di me
un’immagine che mi accompagna, come mi accompagna sempre l’immagine dei miei
parenti più vicini, un’immagine ricordata, aspettata e presente. Sono sempre
accompagnato da un orizzonte in cui viene meno la mia condizione di essere un io,
circondato dagli altri, tra i quali mi trovo in altri momenti, in altri luoghi, in altre
situazioni. Giusto questa perdita della mia stessità32, vissuta senza alcuno scandalo né
difficoltà, fa che gli altri siano presenti nella mia vita direttamente, senza che in una vita
mentalmente sana mi faccia domande riguardo all’avere esperienza degli altri come
altri.
Cfr. A. Schütz, Das Problem der transzendentalen Intersubjektivität bei Husser”, in «Philosophische
Rundschau: Eine vierteljahrsschrift für philosophische Kritik», 5 (1957), pp. 81 e ss. In inglese, in
Collected Paper III: Studies in Phenomenological Philosophy, The Hague, Martinus Nijhoff, 1966, pp.
51-83.
31
Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität (1921-1928), II, Hua, Bd. XIV, a cura di I.
Kern, 1973, p. 308: «[…] durch Indizierung der phänomenologischen Empirie phänomeno-logische
Rechtgebung vollziehend, mich als reines Ich weiss und dazu empirisch gewiss bin (im
phënomenologischen Feld) des Mitseins und kommunikativen Verbundenseins mit anderen reinen Ich». Il
testo risale presumibilmente all’inizio del 1923.
32
Così parla Husserl di una “Selbstentfremdung meines Leibes”, Zur Phänomenologie der
Intersubjektivität (1905-1920), I, Hua, Bd. XIII, a cura di I. Kern, 1973, p. 443.
30
19
La costituzione, dall’inizio della vita, almeno dopo la nascita, di questo a priori
dell’esperienza dell’altro è una caratteristica fondamentale delle analisi di Husserl che,
pur non essendo evidente nelle Meditazioni cartesiane, tuttavia è presente nei testi
sull’Intersoggettività pubblicati sin dal 197333.
Qui voglio introdurre un elemento, che dovrebbe essere ovvio, ma che, se non è
citato, sembra non avere importanza, ed, infatti, nel vecchio paradigma non è negato,
ma neanche affermato con la dovuta chiarezza. Ciò che vale riguardo all’interrelazione
del bambino con sua madre può darsi soltanto perché ambedue interagiscono
corporalmente. Lo stesso capita con le abitudini. Ci sono abitudini intellettuali, ma la
maggior parte di esse sono abitudini corporali. Questo significa che la vita umana è
corporale, che la soggettività trascendentale, l’io come fondo incorruttibile è corporale;
certo non è fisicamente corporale, non è quello il corpo che mi costituisce, ma il corpo
vissuto, la carne come lo strato fondamentale o primario della vita soggettiva. Ciò
appare ora relativamente pacifico, ma quando Landgrebe lo espose in un
importantissimo incontro a Lovanio nel 1971, in occasione di un riconoscimento
accordato a lui e a Fink34, suonava alquanto strano, in quanto della soggettività
trascendentale si aveva una nozione molto astratta, in linea con quella coscienza
trascendentale che Kant pensava dovesse poter accompagnare tutte le rappresentazioni.
Adesso diventano efficaci le descrizioni husserliane in Idee II, da cui è facilmente
deducibile ciò che Landgrebe annunciava a Lovanio35. Così la soggettività
trascendentale husserliana diventava qualcosa di concreto, la mia vita che si va
configurando in un mondo al quale si adatta perfettamente, poiché la vita stessa si
33
Ciò è particolarmente chiaro nei testi nº 8 e 9 di E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität
(1905-1920), I, Hua, Bd. XIII, cit., in part., pp. 253 dove Husserl scrive: «Um die Möglichkeit der
Erfahrung, der äusseren Erscheinung eines fremdem Ich zu gewinnen, brauche ich offenbar nicht
wirkliche Erfahrung von einem solchen. Es genügt, dass ich mich körperlich hinausbewegt,
hinausversetzt denke und meine Körpererscheinung übergeführt denke in eine äussere Erscheinung und
zugleich in der ursprünglichen Erscheinung, der Selbsterscheinung meines Körpers, ihn also apperzipiere
als Leib mit seinen Empfindlichkeiten etc.». Su questo tema, cfr. il cap. III del mio libro La
fenomenología como utopía de la razón, Barcellona, Anthropos, 1987; ora in Madrid, Biblioteca Nueva,
2008. César Moreno richiama questo tema nel suo libro La intención comunicativa, Siviglia, Themata,
1989, definendolo come «la disposición comunicativa», che si forma con la possibilità d’essere in un altro
modo, l’Anders-sein-können. (op. cit., pp. 192 e ss.).
34
Insieme con Walter Biemel, Marly Biemel e Rudolf Boehm.
35
Un'analisi della problematica di Idee II (Ideen zu einer reinen Phänomenologie und
phänomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution,
in Hua, Bd. IV, a cura di M. Biemel, 1991) al riguardo può vedersi in J. San Martín, Apuntes para una
teoría fenomenológica del cuerpo in AA. VV., El cuerpo. Perspectivas filosóficas, a cura di J. Rivera de
Rosales e M. López, Madrid, UNED, 2002, pp. 133-165.
20
configura mediante abitudini che facilitano non soltanto la conoscenza ma anche la
valutazione e l’azione.
Se l’essere umano, nel suo senso trascendentale, è generativo e intersoggettivo,
allora esso è anche storico. L’astoricità, infatti, è il punto più ridicolo di quelli che
costituiscono il vecchio paradigma di Husserl. Egli stesso riconosce, in una lettera a
George Misch, di essere stato oggetto di tali accuse: «io, l’Husserl astorico...» –
scrive36. Viceversa, la realtà è ben altra; il tema della storia preoccupa Husserl sin
dall’inizio, da quando ha interesse a determinare i concetti propri delle scienze storiche,
cioè già dal 190537; ma in realtà, sotto la forma delle scienze dello spirito si trova
sempre, nella mente di Husserl, il carattere storico della vita umana. Ancora in Idee II
egli avrebbe attribuito carattere storico a tutto l’animato, perché l’esperienza lascia nella
vita una impronta irreversibile, che rende impossibile ritornare alla fase precedente, a
differenza delle cose inanimate, nelle quali gli equilibri possono, in uguali circostanze,
essere totalmente restaurati38.
Nel testo di Idee II Husserl non approfondisce esaurientemente i tratti del carattere
storico della vita umana, benché la descrizione che in quell’opera si fa del mondo dello
spirito sia poi utilizzata per la teoria della soggettività trascendentale intersoggettiva,
soggetto della storia. In effetti, in quell’opera si pongono le basi di ciò che nel periodo
friburghese sarebbe stato uno dei temi più importanti: la descrizione del mondo
quotidiano, di ciò che poi sarebbe stato il mondo della vita, intorno al quale Husserl
avrebbe articolato la sua teoria della storia. In realtà, l’approssimazione di Husserl alla
storia ha un’origine assai precoce e finisce solo nella sua ultima opera, La crisi delle
scienze europee. È sufficiente che i prodotti dell’attività in comune dell’essere umano si
sedimentino e siano assunti dagli altri perché si abbia storia. La storia ha dunque come
primo requisito la temporalità della vita umana nel modo in cui questa è temporale, cioè,
una temporalità che si modifica continuamente depresentificandosi nella ritenzione, ma
Giovanni Piana richiama questa citazione (op. cit., p. 45) all’inizio della sezione seconda: «In fine
risulterà chiaro — io penso — che l'«astorico Husserl» solo temporaneamente prese distanza dalla storia
(che in realtà gli fu sempre presente), proprio per approfondire il metodo fino al punto di poter porre su di
essa questioni scientifiche». Lettera di E. Husserl a G. Misch, (Freiburg, 27 XI '30). Piana prende la
citazione da A. Diemer, Edmund Husserl Versuch einer systematischen Darlegung seiner
Phänomenologie, Meisenheim am Glan, A. Hain, 1956, p. 394.
37
Cfr. A. Noor, Individuación, identificación, e interpretación: la demarcación categorial de Husserl
entre “Natur” y “Geist”, in AA. VV., Sobre el concepto de mundo de la vida, a cura di J. San Martín,
Madrid, UNED, 1993, pp. 33 e ss.
38
Cfr. E. Husserl, Ideen II, Hua, Bd. IV, cit., p. 137.
36
21
con la capacità di ritornare nel ricordo a quella depresentificazione; quale secondo
requisito il carattere intersoggettivo, e in questo contesto la sedimentazione dei risultati
delle azioni nella realtà mondana cambia il mondo. Così Husserl propone anche una
teoria della cultura39, che gli sarebbe servita, inoltre, come punto di partenza per la
proiezione di una cultura ideale che fungesse da orientamento o rinnovamento per
l’Europa in rovina.
Tutta questa teoria della storia – integrata, altresì, da importanti contributi a una
filosofia della storia come scienza, nonché posta nella cornice di una filosofia della
storia come accadere storico – rappresenta il culmine e l’unione degli aspetti teorici e
pratici della fenomenologia. La storia non è estranea alla fenomenologia, non lo può
essere, visto che la vita umana che la fenomenologia vuole descrivere è storica. E se la
descrizione della fenomenologia vuole tenersi fedele alle cose come sono, bisogna
descrivere la soggettività così come essa è. Husserl lo fa sin dall’inizio, benché ciò non
appaia nelle opere pubblicate, e coloro che ebbero accesso ai suoi testi manoscritti non
potevano ignorarlo né, per ciò stesso, considerare valido il vecchio paradigma.
Due temi finali ancora, più per dare spunti ad una riflessione che per chiudere
quella contenuta in questo saggio. Ciò che è stato fin qui detto sul nuovo Husserl non ha
considerato due questioni che, indipendentemente da tutto ciò che è stato asserito prima,
sembrerebbero trasformare Husserl in un filosofo radicalmente superato dalla
postmodernità. Mi riferisco, in primo luogo, alla tesi della filosofia come fondazione
ultima e, in secondo luogo, alla filosofia della storia che pone l’Europa sulla vetta della
storia dell’umanità, giungendo persino ad affermare che quell’Europa è il telos
dell’umanità40. Per molti, la prima tesi è un tentativo totalmente superato nell’epoca
della postmodernità. Quanto alla seconda, la cattiva coscienza dell’Occidente ha fatto sì
che si vedesse in quella proposta il residuo di un colonialismo intellettuale che finisce
per giustificare quello reale e ogni genere di violenza, e ciò per l’ironia di un destino
che vedeva l’ebreo Husserl, perseguitato dai nazisti, convertirsi in un difensore della
stessa superiorità culturale in virtù della quale egli stesso era stato perseguitato.
39
Su questa teoria fenomenologica della cultura ho scritto nel cap. III del mio libro Teoría de la cultura,
Madrid, Ed. Síntesis, 1999. Cfr. anche i capitoli IV, V e VI del mio libro Para una filosofía de Europa.
Ensayos de fenomenología de la historia, Madrid, Biblioteca Nueva, 2008. In particolare si veda il
capitolo V, il cui titolo è La filosofía de la historia de Husserl como núcleo de una filosofía
fenomenológica de la cultura.
22
Soltanto due parole al riguardo. Prima di tutto, in fenomenologia bisogna
distinguere tra la descrizione fenomenologica e il tentativo di fondazione ultima. A
prova di ciò, lo stesso Husserl afferma che tutta la teoria dell’epoché e della riduzione
può essere disgiunta dall’obbiettivo del filosofo che comincia41, all’inizio della sua
riflessione, obbiettivo che non è altro se non la ricerca di fondamento e di saldezza negli
atti che si vanno compiendo nella vita. La fenomenologia pretende di creare una scienza
rigorosa, in ultima istanza responsabile delle sue affermazioni. Ma questo è uno scopo
ulteriore, che, per esempio, nelle Meditazioni cartesiane si colloca in posizione finale, e
che non invalida affatto la prima parte perché ne è indipendente42. D’altro canto, tale
fondazione, in una fenomenologia che riconduce tutto all’esperienza, compresi i principi
ultimi, non manca di offrire punti deboli; ma Husserl direbbe che la fenomenologia ci
offre la fondazione che è possibile, e non quella che non è possibile.
In seconda istanza, rispetto all’idea di Europa. Per Husserl l’Europa è la
configurazione culturale che si forma nella restaurazione dell’ideale greco di
emancipazione e di liberazione umana, e che nell’Età Moderna configura un’umanità
che vuole organizzare la vita a partire da una ragione libera, idea che costituirebbe ciò
che è fondamentale e fondante dell’Europa, ciò che appunto sarebbe stato al centro
dell’Illuminismo. Quell’idea troverà la sua formulazione istituzionale nel linguaggio dei
Diritti Umani, che dovrebbero definire i minimi assoluti a cui tutte le società aspirano;
essi, senza dimenticare le differenze di ogni cultura o popolo, fanno parte della storia
europea, in un processo di integrazione nella storia a partire dalla prospettiva europea,
una prospettiva che, proprio per questo, non è più patrimonio dell’Europa soltanto, ma
dell’Umanità intera43. Ad ogni modo, ambedue le tesi, quella della fondazione e quella
del senso dell’Europa come configurazione culturale che ha dato i natali al mondo
contemporaneo, non sono temi di cui si possa parlare senza il rigore di una conoscenza
autentica dei testi, e soprattutto senza assumere le conseguenze delle tesi contrarie.
40
Cfr. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie,
in Hua, Bd. VI, cit., p. 13 e s.
41
Cfr. E. Husserl, Erste Philosophie (1923/24). Zweiter Teil: Theorie der phänomenologischen
Reduktion, in Hua, Bd. VIII, a cura di R. Boehm, p. 170.
42
Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Hua, Bd. I, cit. § 63. Questa
divisione della fenomenologia in due tappe è presente già nella Grundproblemevorlesung dal 1910/11.
Cfr. Hua, Bd. XIII, 151. Al riguardo cfr. la presentazione della traduzione di questo testo fatta dall’autore,
in E. Husserl, Problemas fundamentales de la fenomenología, Madrid, Alianza Editorial, 1994.
23
43
Cfr. i capitoli VIII e IX del già citato Para una filosofía de Europa.
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