Il problema dell’infinito nella fenomenologia di Husserl Abstract La fenomenologia di Husserl potrebbe essere interpretata come una serie discontinua di svolte e ripensamenti: dallo psicologismo ancora di stampo brentaniano della Filosofia dell’aritmetica (1891), Husserl sarebbe passato in un secondo momento al realismo logicista delle Ricerche logiche (1900-1901), in seguito rovesciato dall’idealismo del primo libro delle Idee (1913), che sarebbe poi stato a sua volta definitivamente superato dalla riscoperta dell’intersoggettività e del mondo delle Meditazioni cartesiane (1929-31) e de La crisi delle scienze europee e la Fenomenologia trascendentale (1935-36). Per questo Husserl dovrebbe essere considerato, a seconda delle occasioni, uno psicologista, un logicista, un idealista e un esistenzialista. Tuttavia, nonostante questa linea interpretativa possa sembrare abbastanza convincente, non si può seriamente pensare che egli abbia semplicemente mutato d’opinione; la ragione dei cambiamenti probabilmente risiede altrove. Dove? Forse nell’unità di senso di un cammino aperto alla realizzazione di un compito, che consiste nel tentare di pensare a una filosofia als strenge Wissenschaft. A ben guardare infatti, nella fenomenologia scorre l’unità di un problema, che va dalla Filosofia dell’aritmetica a L’origine della geometria: il rapporto tra ideale e reale, tra logica ed esperienza, tra trascendentale ed empirico. Si tratta quindi di un interrogativo concernente il nostro modo di conoscere il mondo e di attribuire ad esso un senso. Come può l’ideale applicarsi all’empirico? O meglio, come può il mondo venire compreso attraverso le categorie dell’intelletto? Husserl riprende a suo modo la problematica kantiana -che deve peraltro essere affrontata da qualsiasi filosofia che si proponga di prendere in esame il tema della conoscenza- dandole però un risvolto complessivo del tutto differente. Per operare la mediazione tra l’empirico e l’ideale, Husserl infatti non inserisce uno schema, bensì un’idea. La fenomenologia può utilizzare il termine «idea» nell’ambito conoscitivo senza cadere in pesanti contraddizioni, proprio perché ne sfrutta l’essenziale duplicità: l’idea di infinito in senso kantiano può infatti implicare sia un progresso (oppure un regresso) all’infinito, sia un progresso indefinito, a seconda che sia dato il tutto e debbano essere ricercati i singoli elementi componenti (all’infinito), oppure che siano dati ogni volta alcuni elementi, e il tutto sia comunque sempre ancora a venire. Ebbene per Husserl, se l’ideale di per sé stesso considerato ha tutte le caratteristiche dell’idea intesa come tutto, l’ideale nei suoi rapporti con l’empirico deve essere considerato come un «indeterminato» (idea come indefinito), che sempre si arricchisce delle realizzazioni particolari, senza tuttavia mai del tutto: la corrispondenza tra i due è in questo secondo caso un'idea, mai compiuta, della perfetta coincidenza tra empirico e trascendentale, tra fatto ed essenza. Husserl presenta tale idea in quattro forme differenti, al fine di riuscire a salvare la fenomenologia al tempo stesso da un vuoto idealismo e da uno schietto empirismo: nelle Ricerche logiche essa è introdotta quale idea di un divenire infinito della logica, in Idee I come idea della totalità infinita delle esperienze temporali, in Esperienza e giudizio essa è l’idea di un mondo come suolo infinito di tutte le esperienze possibili; ed infine, nelle Meditazioni cartesiane e ne La crisi delle scienze europee e la Fenomenologia trascendentale, l’idea si caratterizza come teleologia intenzionale. Il ruolo preciso di tale idea all’interno della fenomenologia non è mai stato tematizzato da Husserl, e questo per una ragione essenziale: l’idea di infinito è un concetto operatore, cioè ha un senso nella misura in cui svolge una funzione (in questo caso regolativa) e non di per sé stesso. Questo implica che la negatività dell’infinito husserliano, inteso come infinito non-compimento (che è però sempre contemporaneamente un indefinito compimento), includa la positività di un compito: l’idea di infinito racchiude infatti una positività assiologica e teleologica che definisce i contorni di un’etica del pensiero.